Sottomissione al Dominio (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
Monica era pentita di avere usato la metropolitana per raggiungere il suo Padrone.
In quel momento il rumore circostante, fatto di sferragliamento e di persone che parlavano di argomenti che non sentiva ma che le sembravano inutili, le dava fastidio, se lo sentiva rimbombare in testa perché non le dava modo di assentarsi, di non pensare a nulla, svuotare la mente, come le piaceva fare quando sente che ne ha bisogno.
Nemmeno un’ora prima aveva la guancia a terra mentre, inginocchiata, il suo culo era offerto al Padrone che le teneva il piede sulla parte di viso esposta.
Le piaceva molto quella posizione. La faceva sentire indifesa, schiacciata a terra dal dominio dell’uomo che, contemporaneamente, tirava verso di sé il guinzaglio, quasi a ricordarle che c’è un posto dove lei non può andare, verso l’alto, verso la libertà di allontanarsi, imprigionata dal dominio di colui che non toglie quel piede, procurandole dolore per il peso che la spinge verso il pavimento, la schiaccia, la sottomette.
Maurizio riesce a farle sentire l’odore del dominio, la conosce.
Si vedevano da mesi, ormai, quasi cinque. Lui sapeva come prenderla, come farla sentire sottomessa, schiava, oggetto utile solo per la sua comodità o piacere.
Lo sentiva eccitato e, infatti, le tolse il plug dal culo e glielo infilò in bocca. Lasciandola in quella posizione a terra la penetrò fino a godere, pensando esclusivamente ad usarla per il proprio piacere.
Lei aveva imparato a pulire l’intestino prima di incontrarlo. Sapeva che gli piaceva prenderla da dietro e aveva l’ordine di farlo trovare pronto.
Dopo l’orgasmo del Padrone, invece di restare tra le sue braccia per farsi accarezzare i segni della frusta, come soliti fare, aveva inventato una scusa per allontanarsi, un messaggio che nel frattempo le era arrivato chiamandola urgentemente altrove.
Era la prima volta che si allontanava così, quasi in maniera furtiva, di soppiatto, sentendosi come colei che si riveste mentre l’amante ancora dorme e si allontana lasciando un biglietto la cui scusa di non svegliarlo nasconde la voglia di non parlare.
Non aveva goduto quella volta. Non nel senso dell’orgasmo mancato. Non era insolito che Lui le negasse l’apice liberatorio del piacere, quale ultima dichiarazione di possesso del suo intero corpo, ivi comprese le sensazioni.
Non aveva provato il solito piacere. Si sentiva bagnata, si era bagnata, anche molto ma era mancato quel qualcosa in più, quell’”odore” che la sottomissione può avere, quel forte formicolio allo stomaco quando si sente schiava, cosa, oggetto, cagna, puttana, come piace a lei, come ricerca, come ne ha bisogno per sentirsi appagata.
Il treno della metropolitana era appena ripartito da una stazione.
Le piaceva guardare le persone, pensare alla loro vita, cercare di dargliene una guardandole. Una donna non ancora anziana stava evidentemente litigando col suo telefono, come se non ne capisse il funzionamento e questo le generasse nervosismo. Le venne in mente sua nonna, che ogni tanto la chiamava per superare problemi misteriosi che solo al suo telefono si verificavano.
Alla fermata di Cadorna erano saliti due ragazzi che si tenevano per mano. Li osservava con disattenzione. Benché ci fossero sedili liberi, lei si sedette in braccio al ragazzo e, ridendo, continuarono la conversazione che non avevano interrotto entrando nel vagone.
Nel guardarli, ancora il pensiero andò a Maurizio, al modo in cui era venuta via o, meglio, scappata via. Si sentiva quasi in colpa per non essersi fermata nel suo abbraccio, come erano soliti fare.
Non c’era amore tra loro. Si vedevano solo per il piacere, ma avevano instaurato un rapporto umano, si sentivano ogni tanto e parlavano delle proprie vite, quasi fosse una lavagna sulla quale annotare tensioni e gioie.
Tutto sommato era un bel rapporto e le piacevano quei momenti caratterizzati dalla delicatezza della mano di lui che accarezzava, a contrasto, i segni lasciati dalle cinghiate sulla sua schiena.
Distolse lo sguardo dai due ragazzi, suoi coetanei, e realizzò che il senso di colpa, ingiustificato, non era per sé, per non avere sentito il bisogno di quei momenti tutti loro, ma per avere privato lui di quelle sensazioni che, fino a poco tempo prima, erano di entrambi.
Cercò di indagare meglio il motivo del mancato piacere nella sottomissione, quella “cosa” diversa e più forte del semplice orgasmo, che necessariamente lo deve precedere e per la quale il piacere fisico liberatorio arriva solo quando la pressione interna diviene insostenibile ed il corpo si deve scaricare.
Fu nel momento in cui era maggiormente concentrata sul pensiero del loro rapporto, che Anna si fece spazio nella sua mente, nella sua anima, nelle sue viscere, fino a concentrarsi nella zona indefinita della passione, quella che genera il piacere e le scalda lo stomaco, le bagna la figa.
Anna era un’amica di sua madre, elegante, austera, seriosa ma con qualcosa sempre di “stonato”, un accessorio che attira l’attenzione, una pettinatura apparentemente spettinata, scarpe dal colore acceso a contrasto col tailleur dai colori tenui.
Le piaceva quella donna, le dava quel po’ di soggezione che le faceva sentire il desiderio di frequentarla.
Si era sempre fermata volentieri a parlare con lei ed era attratta dal suo sguardo, risoluto ma comprensivo, fermo ma attento, a tratti severo ed esigente.
Su di lei aveva fatto qualche pensiero, avuto qualche fantasia erotica. Anche in quel momento si fece strada l’immagine di sé stessa, nuda, accucciata ai suoi piedi, legata.
Provò un inizio di eccitazione.
Si accorse anche che negli ultimi secondi non vi era più stato spazio, nella sua mente, per Maurizio, il suo Padrone.
Qualcosa entra in un posto solo se in quel posto vi è spazio per quel qualcosa. Lo aveva sempre pensato.
Non è mai un nuovo ragazzo a scacciare il desiderio di quello attuale se quest’ultimo non è stato, anche inconsciamente, allontanato dal suo spazio.
Realizzò che il magnetismo animale, quello che faceva desiderare la persona, verso Maurizio stava svanendo, non essendo più idoneo a colmare lo spazio che lei non voleva restasse vuoto, quello spazio che ciascuno di noi cerca sempre di riempire.
Il suo pensiero erotico si concentrò nuovamente su Anna, sul desiderio che aveva di lei, chiedendosi se lei fosse solo quello stimolo a cercare altro o se, invece, fosse proprio ciò che desiderasse.
Anna era lontana per età, per posizione, essendo amica di sua madre e, quindi, in un “mondo” diverso dal suo di giovane studentessa universitaria, due mondi che possono coesistere per certi aspetti e non per altri.
Mandò a Maurizio un messaggio con un cuore, senza aggiungere altro.
Lo fece più per sé stessa che per comunicargli le proprie sensazioni. Voleva confermarsi le emozioni, le sensazioni, rinnovando il rapporto con lui.
I due ragazzi erano scesi due fermate dopo. Si mise gli auricolari e si concentrò sulla musica finché non arrivò a casa.
Prima di farsi la doccia, quando ancora aveva addosso il profumo di lui ed in bocca il suo sapore, nelle mani la sensazione del calore della sua pelle, si masturbò, cercando di pensare a quel piede sulla sua testa che la teneva giù, con forza, mentre le cinghiava il culo fino a farle implorare di smettere, cercando la pianta del piede da leccare, quale segno di sottomissione, quella che la eccitava e che la accompagnò fino all’orgasmo liberatorio.
Si incontrarono ancora due volte e, l’ultima, lei capì che quel pertugio creatosi si era trasformato in voragine, lasciando uscire il desiderio di essere dominata da Maurizio per lasciare spazio al vuoto, che avrebbe dovuto essere riempito diversamente.
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krugher.1863@gmail.com
In quel momento il rumore circostante, fatto di sferragliamento e di persone che parlavano di argomenti che non sentiva ma che le sembravano inutili, le dava fastidio, se lo sentiva rimbombare in testa perché non le dava modo di assentarsi, di non pensare a nulla, svuotare la mente, come le piaceva fare quando sente che ne ha bisogno.
Nemmeno un’ora prima aveva la guancia a terra mentre, inginocchiata, il suo culo era offerto al Padrone che le teneva il piede sulla parte di viso esposta.
Le piaceva molto quella posizione. La faceva sentire indifesa, schiacciata a terra dal dominio dell’uomo che, contemporaneamente, tirava verso di sé il guinzaglio, quasi a ricordarle che c’è un posto dove lei non può andare, verso l’alto, verso la libertà di allontanarsi, imprigionata dal dominio di colui che non toglie quel piede, procurandole dolore per il peso che la spinge verso il pavimento, la schiaccia, la sottomette.
Maurizio riesce a farle sentire l’odore del dominio, la conosce.
Si vedevano da mesi, ormai, quasi cinque. Lui sapeva come prenderla, come farla sentire sottomessa, schiava, oggetto utile solo per la sua comodità o piacere.
Lo sentiva eccitato e, infatti, le tolse il plug dal culo e glielo infilò in bocca. Lasciandola in quella posizione a terra la penetrò fino a godere, pensando esclusivamente ad usarla per il proprio piacere.
Lei aveva imparato a pulire l’intestino prima di incontrarlo. Sapeva che gli piaceva prenderla da dietro e aveva l’ordine di farlo trovare pronto.
Dopo l’orgasmo del Padrone, invece di restare tra le sue braccia per farsi accarezzare i segni della frusta, come soliti fare, aveva inventato una scusa per allontanarsi, un messaggio che nel frattempo le era arrivato chiamandola urgentemente altrove.
Era la prima volta che si allontanava così, quasi in maniera furtiva, di soppiatto, sentendosi come colei che si riveste mentre l’amante ancora dorme e si allontana lasciando un biglietto la cui scusa di non svegliarlo nasconde la voglia di non parlare.
Non aveva goduto quella volta. Non nel senso dell’orgasmo mancato. Non era insolito che Lui le negasse l’apice liberatorio del piacere, quale ultima dichiarazione di possesso del suo intero corpo, ivi comprese le sensazioni.
Non aveva provato il solito piacere. Si sentiva bagnata, si era bagnata, anche molto ma era mancato quel qualcosa in più, quell’”odore” che la sottomissione può avere, quel forte formicolio allo stomaco quando si sente schiava, cosa, oggetto, cagna, puttana, come piace a lei, come ricerca, come ne ha bisogno per sentirsi appagata.
Il treno della metropolitana era appena ripartito da una stazione.
Le piaceva guardare le persone, pensare alla loro vita, cercare di dargliene una guardandole. Una donna non ancora anziana stava evidentemente litigando col suo telefono, come se non ne capisse il funzionamento e questo le generasse nervosismo. Le venne in mente sua nonna, che ogni tanto la chiamava per superare problemi misteriosi che solo al suo telefono si verificavano.
Alla fermata di Cadorna erano saliti due ragazzi che si tenevano per mano. Li osservava con disattenzione. Benché ci fossero sedili liberi, lei si sedette in braccio al ragazzo e, ridendo, continuarono la conversazione che non avevano interrotto entrando nel vagone.
Nel guardarli, ancora il pensiero andò a Maurizio, al modo in cui era venuta via o, meglio, scappata via. Si sentiva quasi in colpa per non essersi fermata nel suo abbraccio, come erano soliti fare.
Non c’era amore tra loro. Si vedevano solo per il piacere, ma avevano instaurato un rapporto umano, si sentivano ogni tanto e parlavano delle proprie vite, quasi fosse una lavagna sulla quale annotare tensioni e gioie.
Tutto sommato era un bel rapporto e le piacevano quei momenti caratterizzati dalla delicatezza della mano di lui che accarezzava, a contrasto, i segni lasciati dalle cinghiate sulla sua schiena.
Distolse lo sguardo dai due ragazzi, suoi coetanei, e realizzò che il senso di colpa, ingiustificato, non era per sé, per non avere sentito il bisogno di quei momenti tutti loro, ma per avere privato lui di quelle sensazioni che, fino a poco tempo prima, erano di entrambi.
Cercò di indagare meglio il motivo del mancato piacere nella sottomissione, quella “cosa” diversa e più forte del semplice orgasmo, che necessariamente lo deve precedere e per la quale il piacere fisico liberatorio arriva solo quando la pressione interna diviene insostenibile ed il corpo si deve scaricare.
Fu nel momento in cui era maggiormente concentrata sul pensiero del loro rapporto, che Anna si fece spazio nella sua mente, nella sua anima, nelle sue viscere, fino a concentrarsi nella zona indefinita della passione, quella che genera il piacere e le scalda lo stomaco, le bagna la figa.
Anna era un’amica di sua madre, elegante, austera, seriosa ma con qualcosa sempre di “stonato”, un accessorio che attira l’attenzione, una pettinatura apparentemente spettinata, scarpe dal colore acceso a contrasto col tailleur dai colori tenui.
Le piaceva quella donna, le dava quel po’ di soggezione che le faceva sentire il desiderio di frequentarla.
Si era sempre fermata volentieri a parlare con lei ed era attratta dal suo sguardo, risoluto ma comprensivo, fermo ma attento, a tratti severo ed esigente.
Su di lei aveva fatto qualche pensiero, avuto qualche fantasia erotica. Anche in quel momento si fece strada l’immagine di sé stessa, nuda, accucciata ai suoi piedi, legata.
Provò un inizio di eccitazione.
Si accorse anche che negli ultimi secondi non vi era più stato spazio, nella sua mente, per Maurizio, il suo Padrone.
Qualcosa entra in un posto solo se in quel posto vi è spazio per quel qualcosa. Lo aveva sempre pensato.
Non è mai un nuovo ragazzo a scacciare il desiderio di quello attuale se quest’ultimo non è stato, anche inconsciamente, allontanato dal suo spazio.
Realizzò che il magnetismo animale, quello che faceva desiderare la persona, verso Maurizio stava svanendo, non essendo più idoneo a colmare lo spazio che lei non voleva restasse vuoto, quello spazio che ciascuno di noi cerca sempre di riempire.
Il suo pensiero erotico si concentrò nuovamente su Anna, sul desiderio che aveva di lei, chiedendosi se lei fosse solo quello stimolo a cercare altro o se, invece, fosse proprio ciò che desiderasse.
Anna era lontana per età, per posizione, essendo amica di sua madre e, quindi, in un “mondo” diverso dal suo di giovane studentessa universitaria, due mondi che possono coesistere per certi aspetti e non per altri.
Mandò a Maurizio un messaggio con un cuore, senza aggiungere altro.
Lo fece più per sé stessa che per comunicargli le proprie sensazioni. Voleva confermarsi le emozioni, le sensazioni, rinnovando il rapporto con lui.
I due ragazzi erano scesi due fermate dopo. Si mise gli auricolari e si concentrò sulla musica finché non arrivò a casa.
Prima di farsi la doccia, quando ancora aveva addosso il profumo di lui ed in bocca il suo sapore, nelle mani la sensazione del calore della sua pelle, si masturbò, cercando di pensare a quel piede sulla sua testa che la teneva giù, con forza, mentre le cinghiava il culo fino a farle implorare di smettere, cercando la pianta del piede da leccare, quale segno di sottomissione, quella che la eccitava e che la accompagnò fino all’orgasmo liberatorio.
Si incontrarono ancora due volte e, l’ultima, lei capì che quel pertugio creatosi si era trasformato in voragine, lasciando uscire il desiderio di essere dominata da Maurizio per lasciare spazio al vuoto, che avrebbe dovuto essere riempito diversamente.
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