La schiava ceduta (parte 4)

Scritto da , il 2022-09-22, genere sadomaso

L’uomo si sedette. Sentì che si chiamava Paolo mentre la ragazza “cagna” o “schiava”. Non aveva un nome da indicare a Fabrizio. Non serviva.
Anche lei sarebbe stata un oggetto, una merce di scambio, il prezzo che Paolo avrebbe dovuto “pagare” per poter usare e godere dell'altro oggetto, quello in piedi, esposto, in vetrina.
Fabrizio non la indicò nemmeno quando confermò che la sua schiava era in offerta.
Non tardarono molto ad entrare in sintonia quei due Padroni e, così, Fabrizio tolse lei dall’esposizione. Con una trazione del guinzaglio verso il basso le fece capire che avrebbe dovuto inginocchiarsi. Le tirò ancora la catena fino a farla mettere accanto alla giovane cagna offerta in cambio.
Paolo la prese per i capelli e le fece alzare il busto che lei aveva tenuto reclinato verso il pavimento, in posizione di estrema sottomissione.
Le toccò il seno e si mostrò soddisfatto per averlo trovato sodo e piacevole al tocco. Infilò una scarpa tra le cosce e la portò a contatto con il sesso della schiava che trovò umido. Ne sorrise. Sempre tenendola per i capelli le spinse la testa a terra, sulla scarpa resa umida dalla sua eccitazione e le ordinò di pulirla.
Luisa non si chiese nemmeno come avrebbe dovuto fare e iniziò a leccarla.
La trattativa stava procedendo molto velocemente, a quanto pareva. Fabrizio lo lasciava fare e Paolo stava sempre più provando la sottomissione di colei che sarebbe stata il suo giocattolo per quella sera.
A Fabrizio era piaciuta la sensualità dell’altra schiava che si muoveva benissimo come una cagna, in maniera molto eccitante.
Tante volte aveva fatto procedere Luisa in quel modo, spessissimo, ma questa aveva quel qualcosa in più.
Luisa era sottomessa, schiava, masochista. Conseguentemente la “cagna” non le apparteneva molto come figura se non per l’umiliazione della posizione.
Questa era diversa. Evidentemente si sentiva cagna, le piaceva essere tenuta e trattata in quel modo.
Paolo raccontò che spesse volte stava in gabbia o legata al guinzaglio in una parte di casa, tenuta lì mentre lui faceva altre cose che, in quel momento, non necessitavano del suo servizio.
Fabrizio la liberò dal guinzaglio e lo gettò poco lontano, ordinandole di fare il riporto.
Si eccitò molto nel vederla raggiungere l’oggetto, chinarsi e porgerglielo aspettandosi la carezza di gratificazione che si sentì di dare, la stessa che avrebbe dato ad un cane.
Fecero l’accordo, lo scambio.
Paolo avrebbe avuto Luisa a sua disposizione per quella sera. Avrebbe potuto usarla unitamente alla sua cagna.
Fu carico di simbolismo la consegna del guinzaglio da Fabrizio a Paolo, il cui volto non nascondeva nulla dell'eccitazione che in quel momento provava.
Fu sicuramente eccitante per loro come per gli spettatori, andare nelle aree riservate del locale. Paolo aveva la sua cagna al guinzaglio mentre Luisa, sui tacchi di 12 centimetri, procedeva con i polsi ancora ammanettati dietro la schiena ed altro guinzaglio attaccato alle catenelle che univano i morsetti.
Luisa era pervasa da un tremolio misto di timore, eccitazione, tutte emozioni forti, eccitanti, che le prendevano lo stomaco, alimentando la sua sensazione di sottomissione.
Non si interrogò sulle sensazioni dell’altra cagna. Pensava invece al suo Padrone rimasto sul divanetto, in attesa del suo turno per usare le due schiave, a piacimento.
Un’ulteriore emozione le venne procurata quando Paolo compì un atto inutile se non per il suo profondo significato. La chiave che girava nella serratura chiuse dentro Luisa o, anzi, chiuse fuori il mondo, confinandola, ora, in quel locale riservato del privé, alla mercé dei desideri di quello sconosciuto, ceduta come un oggetto da usare e che avrebbe soddisfatto prima lui e, poi, il suo Padrone, invertendo le sorti dell’altra cagna.
Erano entrambe in ginocchio davanti a lui che, ora, era nudo, seduto in poltrona, col cazzo già semirigido.
La sua schiava era tra le sue gambe, in attesa dell’ordine di completare l’irrigidimento del sesso.
Anche Luisa era inginocchiata, appena di lato.
Trovò ridicolo il suo stesso pensiero di sentirsi maggiormente nuda ed esposta solo perchè le aveva fatto togliere le scarpe, quasi che fossero l’ultimo baluardo a protezione della sua incolumità, come se fosse l’ultimo e definitivo passo verso quella nuova avventura che, iniziata sere addietro con la comunicazione della data, le aveva sempre più bagnato la figa e lasciato in lei forti emozioni, sempre in crescendo.
Aveva ancora i polsi ammanettati dietro la schiena.
Non riusciva a tenere lo sguardo sul Padrone, intimorita, umiliata, sottomessa.
Eppure questo era l’ordine, la cui mancata esecuzione, quasi che il pavimento fosse una potente calamita che le attirava gli occhi verso il basso, le costò qualche schiaffo, forte, schiaffo di potere, di dominio che, paradossalmente, le trasmetteva ulteriore senso di sottomissione alimentando la calamita del pavimento.
“Guardami puttana!”
Riuscì ad eseguire, a guardarlo, facendo forza sugli occhi per osservare i suoi, carichi di eccitazione, di voglia di godere della sua sottomissione e del suo dolore.
Aveva in mano il guinzaglio legato alle catenelle che univano i morsetti.
La sua schiava aveva in bocca il suo cazzo, dopo che era stata presa per i capelli e le era stata portata la testa a livello dell’inguine fino a che non avesse tutto in gola il cazzo, diventato improvvisamente duro.
Paolo prese a tirare lentamente il guinzaglio che lo univa a Luisa. Voleva che i morsetti (alle cui estremità vi era una gomma) venissero strappati via dai capezzoli e dalle grandi labbra.
Il dolore di Luisa cominciava ad essere testimoniato dal suo sguardo sofferente e dallo sforzo di non seguire il guinzaglio per rendere vana la trazione.
Doveva restare ferma per consentire al Padrone di godere del suo dolore e del suo potere.
Qualche lacrima iniziò a segnare il viso.
Più lei soffriva più l’altra schiava sentiva diventare sempre più duro il cazzo.
Due colpi di frustino convinsero Luisa a restare ferma, per rendersi complice del suo stesso dolore.
Ad ogni morsetto strappato il dolore saliva di livello, divenendo fortissimo e, istintivamente, a portarla ad abbassare la testa verso il pavimento quasi a proteggere ciò che ormai era già colpito dal dolore, in quell’inutile gesto che le procurò solo altri colpi di frustino.
La eccitava ciò che guidava il gesto di quell’uomo il quale stava evidentemente pensando solo al suo piacere, vedendo lei quale oggetto sessuale, un sextoy, un corpo per godere, una schiava imprestata, da vedere quella sera e basta, quale episodio relegato ai ricordi eccitanti.
Il piacere stava salendo troppo nel cazzo del Padrone.
La voglia di godere era altissima.
La testa della giovane schiava penzolava dal tavolo sul quale era stata fatta stendere. Aveva la bocca aperta. Non ci fu bisogno di ordine e Luisa pensò che dovesse essere abituata ad essere usata in quel modo.
Luisa venne fatta mettere a 90 gradi sulla schiava, appoggiando petto su petto. Davanti al proprio viso aveva la figa depilata della ragazza ma non ci fu bisogno di dirle che non avrebbe dovuto leccarla.
La posa era funzionale al piacere di Paolo, non delle schiave.
Tra le cosce aveva, penzoloni, la testa della giovane cagna.
Paolo, mentre le teneva i fianchi con forza, spingeva il cazzo nella bocca della giovane schiava, scopandogliela.
Lo spingeva fino in fondo, procurandole reazioni che avevano il solo effetto di aggiungere eccitazione a quella esistente, come acqua scaricata nell’invaso il cui livello si avvicina sempre più al colmo della diga, che comincia a dare segni di cedimento.
Voleva aggiungere ancora altra eccitazione, per portare altra acqua all’invaso, da diverse fonti, da torrenti di piacere sempre più pieni.
Cominciò a versare sulla schiena di Luisa la cera calda delle candele che aveva acceso appena entrati lasciandole sul tavolo.
Al piacere della bocca della sua cagna si aggiungeva l’ulteriore tortura che completava l’eccitazione data dalla situazione di dominio creatasi.
Sapeva che mancava poco al cedimento della diga, sapeva che stava per arrivare altra acqua nell’invaso, come se, a monte, si fosse aperta un'altra diga rovesciando improvvisa quantità di acqua.
Questo accadde quando, uscito dalla bocca della giovane schiava, entrò nella figa bagnata di Luisa, il suo sextoy serale, il corpo che gli era stato prestato affinché si soddisfacesse.
Con il frustino cominciò a colpire la schiena, come se volesse togliere la cera solidificata, sentendo arrivare prepotentemente ulteriore acqua nell’invaso e capendo che la sua diga dell’orgasmo era ormai prossima alla rottura.
Cercò di rallentare i colpi di cazzo nella figa nella, vana, speranza, di prolungare ulteriormente il piacere.
Quando capì che il tentativo era del tutto inutile, aumentò la forza della penetrazione e dei colpi sulla schiena fino a che la diga non resistette più.
Godette mentre, stringendo il frustino con una mano, usava l’altra per tirare i capelli della schiava, facendole alzare la testa ed aprire la bocca come se volesse far uscire un muto urlo che contenesse la somma delle sensazioni provate sino ad allora ed esplose unitamente all’orgasmo dell’uomo cui era stata ceduta.
Lei e Fabrizio, il suo Padrone, ne avrebbero parlato a lungo di quella sera che, sicuramente, sarebbe stata ricordata da entrambi, come accade per tutte le prime volte che, nel tempo, conservano sempre un sapore diverso, un’emozione che potrà anche essere rinnovata in altri episodi, ma che resta unica per la sua intensità e scoperta.
A breve sarebbe entrato il suo Padrone.
Lei sarebbe ritornata ad essere nuovamente la sua schiava e, l’altra cagna, si sarebbe trasformata in sextoy.
Sapeva che le emozioni sarebbero state diverse, che avrebbe comunque percepito una diversa complicità col suo Padrone.
Sapeva che sarebbe stata altra cosa.
Attendeva, stesa sul corpo della giovane, gustando il calore, il battito, il respiro sotto di lei.


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krugher.1863@gmail.com

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