Serva di famiglia (parte 6)

di
genere
sadomaso

Ancora in trance, Camille obbedì. Poggiò la fronte a terra e strisciò, prostrata, fino ai piedi dell’uomo che aveva una voce eccitatissima.
"Baciami le scarpe".
Non sentì la mamma pregarla di non farlo e pose le labbra su quegli scarponi sporchi e impolverati, lasciando un segno di umido dove aveva posato la parte del viso, pulendo per asportazione un po’ di polvere.
“Adesso alza la testa a prendilo in bocca”.
Ne aveva già succhiati di cazzi, le piaceva anche farlo, ma quello no. Non ce la fece.
Restò prostrata con la fronte a terra, accanto ai piedi del soldato.
L’uomo le pose un piede sulla schiena, sporcando il vestito lindo e stirato. Schiacciò, fortemente.
Restò in quella posizione un tempo che le parve infinito, misurato coi battiti forti del suo cuore che le esplodeva nel petto, sentendo la voce di sua madre della quale non capiva il significato. Udiva solo l’altro soldato che le intimava di stare zitta, altrimenti se ne sarebbe andato e tutto sarebbe saltato.
La donna tacque e Camille si sentì sola, senza nemmeno quella protezione che la voce forte di sua madre poteva darle.
Il doppio filo spinato, con il corridoio che ulteriormente le divideva, divenne dello stesso materiale delle torrette. Le parve di mattoni e nemmeno vide più sua madre.
Pensava solo ai soldi che aveva promesso a Michelle.
Il soldato non la stava costringendo. Aveva tolto il piede e aspettava.
Alzò la testa e prese in bocca quel cazzo che era diventato duro, forse anche per la situazione.
Iniziò a succhiare, stando in ginocchio, con la testa tenuta dai capelli nelle mani di quell’uomo sconosciuto e odiato, ulteriore rappresentazione di una situazione sempre più pesante e insostenibile. Ad ogni affondo con la bocca, si sentiva maggiormente sola, pensando unicamente di voler far parte di quella famiglia con il suo contributo, a qualunque costo.
Succhiò, impegnandosi in modo da far finire presto la cosa, sperando anche che l’uomo godesse in fretta, prima che gli venisse in mente di scoparsela.
La sua abilità e l’eccitazione del soldato, probabilmente maturata anche per l’iniziale resistenza della ragazza e successiva sottomissione, portarono l’uomo a godere.
Camille non si fermò quando sentì che si stava preparando all’ogasmo, anzi, aumentò il movimento della lingua e della bocca, impugnando le palle e accarezzandole, stringendo appena per aumentare l’eccitazione.
L’orgasmo era ormai imminente, lo sentiva arrivare. L’uomo la prese per i capelli e strinse forte, incurante del dolore.
Camille si lasciò il collo morbido, in quanto il controllo era stato preso dal soldato che muoveva velocemente e a piacimento le testa, scopando la bocca.
Al momento di venire, spinse il cazzo fino in fondo alla gola e spruzzò tutto il suo piacere, considerandolo un ulteriore balzello per il suo lavoro di consegna del denaro.
Il tutto era avvenuto con tanta sicurezza e, probabilmente, era cosa normale che, in caso di donna, pretendesse anche prestazioni sessuali, oltre al pagamento in soldi.
La ragazza ingoiò, non avendo altra possibilità, in quanto la testa le era ancora tenuta ben ferma.
La tenne ancora per i capelli fino a che non ebbe finito.
“Posa nuovamente la fronte a terra”.
Camille obbedì.
L’uomo prese il pacchetto con i soldi e si sedette sulla schiena della ragazza prostrata per contarli, osservando la sua sedia umana e la madre dall’altra parte che lo guardava con odio.
Camille sentiva il peso su di sé.
Capiva che quello non era solo il peso dell’uomo che la usava come sedia. Era il peso della situazione, di quanto stava accadendo e di quanto era già successo.
In bocca aveva ancora il sapore dello sperma.
Avrebbe potuto rifiutare e, così, avrebbe dovuto rinunciare ai soldi, alla sua contribuzione alla nuova casa, alla speranza di essere accolta nella sua nuova famiglia.
Era anche la presa di coscienza che tutto era cambiato, che i rapporti tra le persone erano cambiati e lei non era più la figlia del padre ricco.
Era un ingranaggio, costretta a succhiare un cazzo e a fare da sedia per potere essere accettata in una nuova casa, dove cominciava ad essere una serva.
L’uomo era pesante. Sentiva che stava contando i soldi, con tranquillità, probabilmente perché si gustava la sua sedia umana.
Il peso lo sentiva nell’anima, nella solitudine di quegli ultimi periodi, di quella provata quando le era stato dato l’ordine, perché tale era, di alzarsi e preparare la colazione.
Ingoiò a fatica la saliva, mandando giù ancora tracce del sapore dell’orgasmo dell’uomo.
Cazzo, aveva strisciato a terra e baciato le scarpe impolverate, succhiato un cazzo ed ora stava fungendo da sedia.
Lo avrebbe rifatto: tutto era cambiato, anche la sua anima.
“Metà dei soldi è mia”.
“Eravamo d’accordo per un quarto”.
Sotto il peso dell'uomo seduto sopra di lei, Camille sentì la protesta della madre.
"Le regole sono cambiate".
L’uomo si alzò e col piede la spinse a terra. Le mise una scarpa sui seni, schiacciando quel corpo che non si ribellava.
“Sei una brava succhia cazzi. La prossima volta assaggerò la tua figa”.
di
scritto il
2025-10-31
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