Serva di famiglia (parte 3)
di
Kugher
genere
sadomaso
I rapporti umani dipendono non solo dalla personalità, ma anche dalla persona, cioè dalla sua posizione e da ciò che può dare o significare.
Così, i primi tempi, Camille venne accolta nella famiglia di Michelle come un’ospite non qualunque, ma di riguardo.
La ragazza non aveva mai conosciuto il marito. Tornava raramente. Il lavoro era lontano, lontanissimo e stava via anche alcuni mesi.
In quei giorni girava anche voce che tutti gli uomini sarebbero stati arruolati. Non avevano notizie.
Michelle e Nala avevano molta tensione. I primi tempi la manifestavano solo in privato. Successivamente anche davanti a Camille, in quanto veniva necessariamente sempre più coinvolta nella vita quotidiana e sempre meno vista come un ospite.
Una volta alla settimana, la ragazza riusciva a respirare aria di famiglia, della sua famiglia. Si recava presso il confine e, attraverso il filo spinato ed il corridoio che separava le due recinzioni poste sui diversi Stati, riusciva a vedere e a dialogare con la mamma. Ogni tanto riusciva a venire anche il padre, raramente e si fermava poco.
Il tempo era contato nei minuti e le condizioni non permettevano gli scambi di informazioni o confidenze, che quegli incontri sporadici avrebbero meritato.
La sensazione di Camille era quella di essere una carcerata che riceveva le visita. Al termine, i familiari sarebbero tornati a casa, in libertà, mentre a lei sarebbe spettata nuovamente la cella di detenzione.
Il padre aveva cercato di attivare le sue conoscenze che, però, si fermavano anch’esse sul confine, imbrigliate in quel filo spinato che si attorcigliava sulle vite di coloro che erano stati separati, entrando nell’anima e strappando i ricordi e le emozioni che, via via, si affievolivano per lasciare spazio al dolore, dopo che la rabbia aveva espresso tutto ciò che poteva da ogni parte del corpo, rimasta inascoltata e, soprattutto, impotente.
Gli appuntamenti settimanali erano ormai un rito di dolore, per tutti coloro che si vedevano separati da quella maledetta recinzione.
Nala aveva smesso di andare a scuola. Il sogno del diploma ormai era sfumato, anch’esso appeso e stracciato da quel maledetto filo spinato sul quale venivano appese le speranze di coloro che, al di qua del filo, si vedevano una vita martoriata dalla guerra civile.
In casa di Michelle cominciarono le prime tensioni conseguenti anche alle frustrazioni.
Non vi era più spazio per i modi gentili verso colei che, ormai, non era più la ricca figlia del datore di lavoro, ma cominciava ad essere un peso.
Camille avvertiva di essere una estranea in quella casa che non era sua, che rubava spazio e cibo a quelle due persone che l’avevano accolta, nella speranza che presto le cose si sarebbero risolte. Invece, sulla linea di confine, erano stati rinforzati i turni di guardia ed avevano fatto la loro comparsa anche delle torrette.
Queste erano costruite in mattoni. Il materiale utilizzato ebbe un fortissimo impatto sulla popolazione, ma anche su Camille e la famiglia ospitante.
Quella pila di mattoni in cima alla quale stavano guardie armate, trasmettevano senso di stabilità alla situazione, cosa che sarebbe potuta apparire transitoria con il solo filo spinato.
Quel giorno stesso cambiò la posizione di Camille in casa. La sua presenza diveniva sempre più stabile.
Quei mattoni scioglievano anche ogni vincolo tra le due famiglie. Michelle nell’istante in cui prese visione di quelle maledette torrette, si sentì libera dal rapporto economico con l’odiato Augustin e prigioniera di quello Stato in cui faceva fatica a trovare lavoro.
Camille, all’incontro settimanale con la madre, raccontò che Michelle aveva trovato un lavoro per un’azienda statale che produceva armi. Era lontana e si recava in bicicletta.
Nala faceva qualche lavoro in giro e del marito/padre non si avevano notizie. Questa cosa alimentava le tensioni in casa che, ormai, non le nascondevano più, facendogliele invece sentire senza renderla partecipe.
“Così ho iniziato io a fare i lavori di casa, a pulire e a preparare da mangiare, ma i soldi mancano e cominciano a farmi sentire un peso”.
L’istinto di protezione è insito verso le persone amate. Così, per non darle ulteriori pensieri, le aveva taciuto il fatto che Michelle, presa dal nervosismo per la situazione, spesso la rimproverava perché non puliva bene ed il cibo non era buono.
La sera precedente le aveva detto che non era più la padroncina servita e riverita e che, adesso, doveva darsi da fare.
Non soddisfatta delle pulizie, le aveva impedito di cenare e costretta a rifare tutti i lavori, prima di poter toccare il piatto che, ormai, conteneva solo cibo freddo.
Camille aveva cenato da sola, osservando tutta la tavola abbandonata con i piatti sporchi che lei avrebbe dovuto i lavare.
Michelle aveva però fatto il giro della casa per verificare il suo lavoro, prima di darle il permesso di mangiare. Questo equivalse ad un colpo allo stomaco ancor più forte del fatto che le aveva ordinato di rifare tutti i lavori. L’ordine principale era consistito in una punizione, la prima in quella casa. Il controllo finale, invece, le fece definitivamente comprendere il suo nuovo status.
Michelle, prima di andarsi a riposare in salotto, le disse di sistemare la cucina una volta terminato il pasto e prima di andare a letto.
Lo avrebbe fatto comunque, ma Camille ebbe la sensazione che le fosse stato detto per rimarcare la sua posizione di inutile peso, in quella nuova famiglia che l’aveva accolta senza però farne parte.
Non disse nulla di tutto questo alla madre. Dopo averla salutata con le reciproche lacrime agli occhi, allontanandosi sapendo che lei sarebbe rimasta a vederla fino a che non avesse svoltato l’angolo, le lacrime per avere lasciato la persona amata si sommarono al ricordo di essere stata svegliata da Michelle perchè, dopo avere sistemato la cucina, non aveva lavato il pavimento.
Aveva dovuto alzarsi e pulire mentre Michelle andò a letto, dicendole che avrebbe controllato la mattina successiva.
Così, i primi tempi, Camille venne accolta nella famiglia di Michelle come un’ospite non qualunque, ma di riguardo.
La ragazza non aveva mai conosciuto il marito. Tornava raramente. Il lavoro era lontano, lontanissimo e stava via anche alcuni mesi.
In quei giorni girava anche voce che tutti gli uomini sarebbero stati arruolati. Non avevano notizie.
Michelle e Nala avevano molta tensione. I primi tempi la manifestavano solo in privato. Successivamente anche davanti a Camille, in quanto veniva necessariamente sempre più coinvolta nella vita quotidiana e sempre meno vista come un ospite.
Una volta alla settimana, la ragazza riusciva a respirare aria di famiglia, della sua famiglia. Si recava presso il confine e, attraverso il filo spinato ed il corridoio che separava le due recinzioni poste sui diversi Stati, riusciva a vedere e a dialogare con la mamma. Ogni tanto riusciva a venire anche il padre, raramente e si fermava poco.
Il tempo era contato nei minuti e le condizioni non permettevano gli scambi di informazioni o confidenze, che quegli incontri sporadici avrebbero meritato.
La sensazione di Camille era quella di essere una carcerata che riceveva le visita. Al termine, i familiari sarebbero tornati a casa, in libertà, mentre a lei sarebbe spettata nuovamente la cella di detenzione.
Il padre aveva cercato di attivare le sue conoscenze che, però, si fermavano anch’esse sul confine, imbrigliate in quel filo spinato che si attorcigliava sulle vite di coloro che erano stati separati, entrando nell’anima e strappando i ricordi e le emozioni che, via via, si affievolivano per lasciare spazio al dolore, dopo che la rabbia aveva espresso tutto ciò che poteva da ogni parte del corpo, rimasta inascoltata e, soprattutto, impotente.
Gli appuntamenti settimanali erano ormai un rito di dolore, per tutti coloro che si vedevano separati da quella maledetta recinzione.
Nala aveva smesso di andare a scuola. Il sogno del diploma ormai era sfumato, anch’esso appeso e stracciato da quel maledetto filo spinato sul quale venivano appese le speranze di coloro che, al di qua del filo, si vedevano una vita martoriata dalla guerra civile.
In casa di Michelle cominciarono le prime tensioni conseguenti anche alle frustrazioni.
Non vi era più spazio per i modi gentili verso colei che, ormai, non era più la ricca figlia del datore di lavoro, ma cominciava ad essere un peso.
Camille avvertiva di essere una estranea in quella casa che non era sua, che rubava spazio e cibo a quelle due persone che l’avevano accolta, nella speranza che presto le cose si sarebbero risolte. Invece, sulla linea di confine, erano stati rinforzati i turni di guardia ed avevano fatto la loro comparsa anche delle torrette.
Queste erano costruite in mattoni. Il materiale utilizzato ebbe un fortissimo impatto sulla popolazione, ma anche su Camille e la famiglia ospitante.
Quella pila di mattoni in cima alla quale stavano guardie armate, trasmettevano senso di stabilità alla situazione, cosa che sarebbe potuta apparire transitoria con il solo filo spinato.
Quel giorno stesso cambiò la posizione di Camille in casa. La sua presenza diveniva sempre più stabile.
Quei mattoni scioglievano anche ogni vincolo tra le due famiglie. Michelle nell’istante in cui prese visione di quelle maledette torrette, si sentì libera dal rapporto economico con l’odiato Augustin e prigioniera di quello Stato in cui faceva fatica a trovare lavoro.
Camille, all’incontro settimanale con la madre, raccontò che Michelle aveva trovato un lavoro per un’azienda statale che produceva armi. Era lontana e si recava in bicicletta.
Nala faceva qualche lavoro in giro e del marito/padre non si avevano notizie. Questa cosa alimentava le tensioni in casa che, ormai, non le nascondevano più, facendogliele invece sentire senza renderla partecipe.
“Così ho iniziato io a fare i lavori di casa, a pulire e a preparare da mangiare, ma i soldi mancano e cominciano a farmi sentire un peso”.
L’istinto di protezione è insito verso le persone amate. Così, per non darle ulteriori pensieri, le aveva taciuto il fatto che Michelle, presa dal nervosismo per la situazione, spesso la rimproverava perché non puliva bene ed il cibo non era buono.
La sera precedente le aveva detto che non era più la padroncina servita e riverita e che, adesso, doveva darsi da fare.
Non soddisfatta delle pulizie, le aveva impedito di cenare e costretta a rifare tutti i lavori, prima di poter toccare il piatto che, ormai, conteneva solo cibo freddo.
Camille aveva cenato da sola, osservando tutta la tavola abbandonata con i piatti sporchi che lei avrebbe dovuto i lavare.
Michelle aveva però fatto il giro della casa per verificare il suo lavoro, prima di darle il permesso di mangiare. Questo equivalse ad un colpo allo stomaco ancor più forte del fatto che le aveva ordinato di rifare tutti i lavori. L’ordine principale era consistito in una punizione, la prima in quella casa. Il controllo finale, invece, le fece definitivamente comprendere il suo nuovo status.
Michelle, prima di andarsi a riposare in salotto, le disse di sistemare la cucina una volta terminato il pasto e prima di andare a letto.
Lo avrebbe fatto comunque, ma Camille ebbe la sensazione che le fosse stato detto per rimarcare la sua posizione di inutile peso, in quella nuova famiglia che l’aveva accolta senza però farne parte.
Non disse nulla di tutto questo alla madre. Dopo averla salutata con le reciproche lacrime agli occhi, allontanandosi sapendo che lei sarebbe rimasta a vederla fino a che non avesse svoltato l’angolo, le lacrime per avere lasciato la persona amata si sommarono al ricordo di essere stata svegliata da Michelle perchè, dopo avere sistemato la cucina, non aveva lavato il pavimento.
Aveva dovuto alzarsi e pulire mentre Michelle andò a letto, dicendole che avrebbe controllato la mattina successiva.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Serva di famiglia (parte 2)
Commenti dei lettori al racconto erotico