La parete a vetri (parte 1)
di
Kugher
genere
dominazione
Isabelle aveva nostalgia della sua Francia, da tanto tempo non tornava nella terra natia, in quel paesino vicino a Strasburgo, con tutte quelle case a graticcio la cui bellezza ha cominciato ad apprezzare quando è venuta a vivere in Italia.
Era riuscita a convincere Carlo a prendersi anche il venerdì ed il lunedì successivo di ferie per fare ritorno alla città natale. Aveva tanto desiderio di tornare nella casa che le avevano lasciato i suoi genitori. L’aveva sempre amata e, appena poteva, le piaceva tornare.
Quelle mura per lei erano un forziere di ricordi, dal pianoforte, alla palla da pallavolo conservata con tutte le firme delle compagne di squadra con le quali aveva vinto il campionato.
E poi c’era quella meravigliosa parete vetrata della camera da letto, che consentiva loro di svegliarsi con la vista sull’intera vallata.
Dio quanto amava quel verde rigoglioso, il rumore del ruscello ed il silenzio, quel silenzio che a Milano non ci poteva essere, nemmeno alle 4 di notte, quando le capitava di svegliarsi e si metteva sul balcone a fumare una sigaretta.
Isabelle sentiva anche la mancanza di quella intimità fisica e dell’anima che agli inizi aveva caratterizzato il rapporto con il marito. Era una intimità di intelletto, di corpo e di anima, quando facevano sesso dopo una serata trascorsa a parlare davanti alla televisione spenta, oppure a passeggiare sulle rive affollate di una cittadina di mare.
Amava ancora Carlo, follemente. Con lui si sentiva sé stessa perché poteva raccontare i suoi pensieri più profondi, quelli che risiedono nella parte più nascosta dell’anima, tanto profonda che lei stessa riusciva a scoprire parlando con lui che la aiutava ad analizzarla e a capirla, a capirsi.
Eppure, eppure un giorno ha iniziato a tacergli qualcosa, qualcosa che aveva provato a dire e lui non aveva capito e, da quel momento, si era aperta una piccola fessura sopra la quale non era stato steso nessun ponte che potesse unire le due sponde.
Così, inevitabilmente, la fessura era diventata una crepa e poi ancor di più.
Il loro rapporto era sempre stato caratterizzato da esperienze sessuali diverse. Era sufficiente che uno dei due raccontasse all’altro una fantasia che subito ne parlavano, la esploravano, la miglioravano o la mediavano per andare incontro ai reciproci gusti, e, poi, la realizzavano.
Isabelle un giorno aveva iniziato ad avere fantasie di sesso forte, di gruppo, in cui si cedeva ad un numero abbastanza consistente di sconosciuti che la scopavano, mentre lei obbediva a tutte le loro richieste.
Queste fantasie l’avevano spaventata, sia perché erano troppo forti.
La presenza di terze persone nei loro rapporti sessuali non era cosa ignota. Avevano coinvolto altre donne o altri uomini, anche coppie, sia amici sia gente conosciuta per caso o in luoghi particolari.
Così gli aveva taciuto questa cosa che nemmeno lei avrebbe voluto realizzare, perché le faceva paura, nella realtà. Già, nella realtà ma non nel sogno, nel desiderio, nella fantasia.
Quello era stato l’errore e lei lo sapeva, perché i rapporti sessuali avevano inizato a raffreddarsi.
Lui non capiva quanto stesse accadendo. Non poteva capirla se nessuno glielo spiegava, soprattutto in un rapporto in cui tutto si erano sempre detti, in serenità.
Isabelle capiva questa cosa, capiva che il suo silenzio stava alimentando quella che era iniziata con una piccola fessura, però non ce la faceva a parlarne.
La sera successiva al loro arrivo nella cittadina francese, la donna aveva prenotato nel solito ristorante. Non aveva nulla di particolare se non l’edificio a graticcio, cosa normale per chi viveva in quella cittadina, ma non per chi arrivava dalla metropoli italiana.
L’interno era in legno e non vi erano tutti quei tavoli ammassati che non lasciavano intimità.
Voleva sedurre Carlo, voleva eccitarlo lentamente, portarlo a casa in una condizione in cui per lui era impossibile non fare sesso.
Partì dal profumo, quello che sapeva che lo faceva impazzire. Anni addietro lui le aveva detto che quella particolare fragranza per lui sapeva di sesso.
Il vestito era sobrio con qualche elemento eccentrico.
Carlo era serioso e adorava la sobrietà, ma non la conformità.
Un tocco strano, diverso, in contrasto con la seriosità di un vestito, avevano l’effetto di stimolare la sua fantasia.
In quel caso era uno spacco appena più pronunciato sulla coscia e la scollatura sulla schiena.
Aveva indossato una collana aderente, in oro rosa, semplice, senza ulteriori pietre. Ad un occhio malizioso avrebbe potuto ricordare un collare.
Prima di uscire fece in modo che, quasi casualmente, lui potesse notare che indossava le autoreggenti.
Volle guidare lei fino al ristorante, così che Carlo potesse vedere il movimento delle gambe al cambio delle marce in quella macchina per la quale, all’acquisto, era stato escluso da entrambi il cambio automatico.
Era riuscita a convincere Carlo a prendersi anche il venerdì ed il lunedì successivo di ferie per fare ritorno alla città natale. Aveva tanto desiderio di tornare nella casa che le avevano lasciato i suoi genitori. L’aveva sempre amata e, appena poteva, le piaceva tornare.
Quelle mura per lei erano un forziere di ricordi, dal pianoforte, alla palla da pallavolo conservata con tutte le firme delle compagne di squadra con le quali aveva vinto il campionato.
E poi c’era quella meravigliosa parete vetrata della camera da letto, che consentiva loro di svegliarsi con la vista sull’intera vallata.
Dio quanto amava quel verde rigoglioso, il rumore del ruscello ed il silenzio, quel silenzio che a Milano non ci poteva essere, nemmeno alle 4 di notte, quando le capitava di svegliarsi e si metteva sul balcone a fumare una sigaretta.
Isabelle sentiva anche la mancanza di quella intimità fisica e dell’anima che agli inizi aveva caratterizzato il rapporto con il marito. Era una intimità di intelletto, di corpo e di anima, quando facevano sesso dopo una serata trascorsa a parlare davanti alla televisione spenta, oppure a passeggiare sulle rive affollate di una cittadina di mare.
Amava ancora Carlo, follemente. Con lui si sentiva sé stessa perché poteva raccontare i suoi pensieri più profondi, quelli che risiedono nella parte più nascosta dell’anima, tanto profonda che lei stessa riusciva a scoprire parlando con lui che la aiutava ad analizzarla e a capirla, a capirsi.
Eppure, eppure un giorno ha iniziato a tacergli qualcosa, qualcosa che aveva provato a dire e lui non aveva capito e, da quel momento, si era aperta una piccola fessura sopra la quale non era stato steso nessun ponte che potesse unire le due sponde.
Così, inevitabilmente, la fessura era diventata una crepa e poi ancor di più.
Il loro rapporto era sempre stato caratterizzato da esperienze sessuali diverse. Era sufficiente che uno dei due raccontasse all’altro una fantasia che subito ne parlavano, la esploravano, la miglioravano o la mediavano per andare incontro ai reciproci gusti, e, poi, la realizzavano.
Isabelle un giorno aveva iniziato ad avere fantasie di sesso forte, di gruppo, in cui si cedeva ad un numero abbastanza consistente di sconosciuti che la scopavano, mentre lei obbediva a tutte le loro richieste.
Queste fantasie l’avevano spaventata, sia perché erano troppo forti.
La presenza di terze persone nei loro rapporti sessuali non era cosa ignota. Avevano coinvolto altre donne o altri uomini, anche coppie, sia amici sia gente conosciuta per caso o in luoghi particolari.
Così gli aveva taciuto questa cosa che nemmeno lei avrebbe voluto realizzare, perché le faceva paura, nella realtà. Già, nella realtà ma non nel sogno, nel desiderio, nella fantasia.
Quello era stato l’errore e lei lo sapeva, perché i rapporti sessuali avevano inizato a raffreddarsi.
Lui non capiva quanto stesse accadendo. Non poteva capirla se nessuno glielo spiegava, soprattutto in un rapporto in cui tutto si erano sempre detti, in serenità.
Isabelle capiva questa cosa, capiva che il suo silenzio stava alimentando quella che era iniziata con una piccola fessura, però non ce la faceva a parlarne.
La sera successiva al loro arrivo nella cittadina francese, la donna aveva prenotato nel solito ristorante. Non aveva nulla di particolare se non l’edificio a graticcio, cosa normale per chi viveva in quella cittadina, ma non per chi arrivava dalla metropoli italiana.
L’interno era in legno e non vi erano tutti quei tavoli ammassati che non lasciavano intimità.
Voleva sedurre Carlo, voleva eccitarlo lentamente, portarlo a casa in una condizione in cui per lui era impossibile non fare sesso.
Partì dal profumo, quello che sapeva che lo faceva impazzire. Anni addietro lui le aveva detto che quella particolare fragranza per lui sapeva di sesso.
Il vestito era sobrio con qualche elemento eccentrico.
Carlo era serioso e adorava la sobrietà, ma non la conformità.
Un tocco strano, diverso, in contrasto con la seriosità di un vestito, avevano l’effetto di stimolare la sua fantasia.
In quel caso era uno spacco appena più pronunciato sulla coscia e la scollatura sulla schiena.
Aveva indossato una collana aderente, in oro rosa, semplice, senza ulteriori pietre. Ad un occhio malizioso avrebbe potuto ricordare un collare.
Prima di uscire fece in modo che, quasi casualmente, lui potesse notare che indossava le autoreggenti.
Volle guidare lei fino al ristorante, così che Carlo potesse vedere il movimento delle gambe al cambio delle marce in quella macchina per la quale, all’acquisto, era stato escluso da entrambi il cambio automatico.
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