Serva di famiglia (parte 18)

di
genere
sadomaso

“Camille, vieni qui”.
il richiamo era provenuto da Nala.
Quando la chiamava la ragazza, Camille veniva immediatamente presa da una accelerazione del battito cardiaco.
Capiva che Nala spingeva per un suo uso più forte, differentemente da quanto invece voleva sua madre, più cauta.
Tuttavia, dopo che era venuto meno il cordone economico con la sua famiglia, Michelle aveva mollato un poco le redini, ed era intervenuta sempre meno per frenare la figlia.
La madre quel giorno era uscita.
Camille era stanca perché erano andate a fare la spesa in un negozio più lontano, dove i prodotti costavano leggermente meno. Il percorso dal negozio a casa, molto carica della spesa, l’aveva stancata. Michelle aveva fretta e aveva tenuto un’andatura in bicicletta un po’ più sostenuta. Camille, alla quale era stata data una gerla per trasportare gli acquisti, così da poterne portare in misura maggiore, aveva accelerato per tenere il passo, ma era arrivata sfinita.
Michelle aveva ritirato la spesa al solito modo, usando la ragazza come scalino e anche questo l’aveva affaticata.
Stava pulendo il bagno. I nuovi ordini le avevano importo di lavare i pavimenti a quattro zampe. Non tanto per comodità o risparmio, quanto perché le due donne lo trovavano più divertente ed eccitante.
Nala si era recata in bagno per chiamare Camille, che non l’aveva sentita arrivare.
Dal tono e dalla posa, la serva aveva capito che il richiamo non era per qualche lavoro.
Si fermò a 4 zampe e le diresse lo sguardo.
Gli occhi di Nala erano accesi, carichi di eccitazione. Evidentemente aveva atteso il ritorno della serva e della madre dalla spesa e, soprattutto, che la madre uscisse.
“Su Camille, vieni quando ti chiamo”.
Camille fece per alzarsi.
“No, tesoruccio, resta a 4 zampe, su, vieni qui ai miei piedi”.
Ebbe un attimo di incertezza e poi si diresse verso la ragazza. Pur senza ordine, anticipando i desideri, si chinò a baciarle i piedi. Sapeva che le faceva piacere e voleva ingraziarsela o, almeno, impedirle di dare ordini bruschi e spazientirla.
“Seguimi”.
Evidentemente doveva seguirla a 4 zampe, come fece.
Andarono in stanza da Nala.
Davanti allo specchio mancava la sedia sulla quale si metteva per sistemarsi i capelli.
“Su tesorina, prendi il posto della sedia”.
Camille aveva capito cosa voleva fare. Tante volte aveva visto Nala che guardava la madre mentre la usava come scalino e, qualche volta, aveva voluto compiere lei quel gesto, con sollievo di Camille perché era più leggera.
Nala si sedette sulla schiena usandola come sedia, e iniziò a pettinarsi i capelli.
Ci impiegava troppo tempo, un tempo inutile. L'obiettivo era chiaro: portarla a sfinimento.
"Resisti, tesorina”.
Stava scimmiottando la madre, e questo non tranquillizzò Camille.
Camille faceva sempre più fatica e Nala, al momento in cui la sentì tremare maggiormente, alzò i piedi da terra, pesando maggiormente.
“Alzati, ti prego, non ce la faccio più”.
Ricevette una sculacciata forte, che le diede ancora un po’ di energia.
“Resisti, schiava”.
Per la prima volta appariva quella parola che, nonostante la fatica, comportò un colpo allo stomaco alla ragazza.
Non ce la fece a resistere ulteriormente, e cedette.
Nala aveva sentito che stava cadendo ma non si alzò, e rovinò a terra assieme a lei.
“Stupida, mi hai fatto cadere”.
Era quello che effettivamente voleva la Padroncina.
“Adesso ti devo punire”.
Da tempo Camille aveva capito che la punizione corporale era nei desideri di Nala. Cercava spesso scuse per farla sbagliare minacciando punizioni. Nelle occasioni precedenti era presente la madre che la frenava. Adesso erano sole.
"Mettiti in ginocchio e appoggia le mani al muro”.
Camille ebbe timore di ciò che sarebbe accaduto, iniziando ad intuirlo vista la posizione.
Nala prese una cinghia e la colpì sulla schiena.
Era eccitata e non sapeva dosare la forza. Così colpì forte.
Camille si accasciò a terra lamentandosi, ma senza reagire.
La ragazza le si avvicinò e, per nulla impietosita ma, anzi, maggiormente eccitata, spingendola col piede, le intimò di rimettersi in posizione.
Senza diminuire la forza, la colpì altre 5 volte.
Camille non riusciva ad alzarsi, nonostante le spinte col piede e le frustate che riceveva sulle natiche per incitarla.
Quando chiese “pietà” ottenne un aumento dell’eccitazione della ragazza, che la fece sistemare stesa sulla schiena e le si sedette sulla faccia.
“Leccami, cagna”.
Anche quella definizione era nuova e non prometteva nulla di buono, non tanto per l’immediato quanto per il futuro.
Camille leccò, leccò a lungo, fino a farla godere, fortemente, con un orgasmo liberatorio che evidentemente era montato da tempo nel corpo e nelle esigenze sessuali di Nala, alimentato anche nell’attesa di quel giorno, che tornasse con la spesa.
Nala andò a riposarsi lasciandola a terra.
“Non muoverti finché non mi sarò svegliata”.
di
scritto il
2025-11-13
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