La gabbia di Isabella (parte 3 - epilogo)
di
Kugher
genere
sadomaso
Quando il grosso culo di Marco si alzò dalla sua faccia, per un attimo ebbe una sensazione di sollievo.
Mosse la testa da una parte all’altra.
Il Padrone si era proprio seduto, stando cavalcioni, sulla sua guancia, schiacciandola sul materasso.
Isabella aveva la necessità di muovere i muscoli del collo che erano stati costretti per un tempo che le era parso indefinito.
Una cosa che caratterizzava Marco era la mancanza di grazia, di delicatezza, almeno con le schiave.
Tutto sommato però era anche stata quella la cosa principale che l’aveva attratta di quell’uomo che, se l’avesse incontrato in altre circostanze, forse nemmeno avrebbe notato.
La giovane schiava, la cui bocca era stata usata per godere, era accucciata a terra, in un angolo.
Con buone probabilità l’aveva mandata con un ordine mentre le strattonava i capelli. Quando lei si alzò, tirata dal guinzaglio che nel frattempo le aveva attaccato al collare di pelle nera, la giovane era già in quella posizione.
Doveva avercela mandata mentre ancora stava seduto sulla sua guancia cavalcioni, coprendole l’orecchio con la pelle sudata del culo, mentre l’altro era schiacciato contro il materasso.
“Muoviti cagna”.
L’incitamento era dato più per farle capire come avrebbe dovuto muoversi, che dalla volontà, o piacere, di umiliarla verbalmente.
Dopo l’orgasmo, ormai lo conosceva, non era più interessato ad atti erotici e la sua attenzione si spostava verso il disinteresse di quella che era divenuta meramente un corpo, al momento inutile o, anzi, utile per altri scopi.
Isabella seguì, a quattro zampe, il suo Padrone fino alla gabbia che teneva in sala e che, normalmente, era ricoperta con un telo elegante ed una piastra di cristallo posata sopra, come fosse un tavolino, un oggetto che rappresentasse, quotidianamente, l’eleganza della vita ordinaria e le esigenze sessuali di dominio di quell’uomo.
Cosa peraltro assolutamente solita in tutti, anche in lei, Isabella, nella cui anima albergano tante emozioni e sensazioni contrastanti da dover far respirare.
La gabbia era sufficientemente ampia da non farla stare eccessivamente costretta in una posizione scomoda. Non lo era, invece, per consentirle di stare comodamente sdraiata.
Stava così accucciata come un cane.
Un cane, però, al quale non venne dato nulla da mangiare. Marco era tornato in sala con gli avanzi del pasto che aveva consumato mentre si era fatto servire dalla giovane schiava vestita da cameriera sexy. Isabella, durante la cena, era stata sotto il tavolo per leccargli piedi, palle e succhiargli il cazzo.
Dalla gabbia, avendo come primo orizzonte le sbarre, poteva osservare Marco che stava seduto in poltrona, mentre la televisione accesa dava una parvenza di compagnia. Non gli serviva un alibi per ignorare le due schiave. Non ne aveva bisogno e non si era mai fatto un problema per questo.
Dopo l’orgasmo, non voleva rotture di palle con inutili rapporti umani e il suono che usciva dall’elettrodomestico gli teneva compagnia.
L’altra schiava, quella giovane, a quattro zampe consumava gli avanzi della cena in una ciotola di acciaio sul cui lato era disegnato un osso.
Marco era persona sì burbera, ma anche gentile e capace di trattenere rapporti umani. Nel sesso, invece, cercava solo corpi da usare per godere e coi quali non instaurare quei rapporti che avrebbero potuto diventare ingrombanti.
D’altro canto, chi si prestava a divenire corpo per soddisfare le pretese erotiche di quell’uomo, a sua volta aveva l’esigenza di essere corpo senza quei rapporti tipici che possono esistere dopo un orgasmo.
A lei andava bene, era sempre andata bene.
Osservava l’altra, quella giovane che, sicuramente non sazia per quel poco che aveva mangiato, era andata ad accucciarsi a terra accanto alla poltrona del Padrone il quale, per stare comodo, le aveva appoggiato sopra i piedi.
Le era sempre piaciuto essere costretta in gabbia. Anche il digiuno non le dispiaceva, quando era mezzo di dominio.
Qualcosa era cambiato negli ultimi mesi, gradatamente. Lei non era più fresca e la bellezza necessita anche di questo, se ciò che interessa è solo il corpo.
Quell’altra, quella utilizzata in quel momento come tappeto per il Padrone, le aveva entrambe.
Non era gelosa. Tuttavia essere messa in gabbia per una esigenza di spazio e non per erotismo, le faceva venire meno il piacere della sottomissione.
Marco era cambiato. Non era tanto l’introduzione della giovane bocca che lo aveva fatto godere, ma il fatto che avesse perso interesse per la sua bocca, non più giovanissima.
Era giunto il momento di interrompere quel rapporto.
In ospedale un collega medico la corteggiava da tempo. Ci aveva anche fatto un pensiero, ma quello voleva un rapporto quasi normale, una trombamicizia, come l’aveva definita.
Il sesso vanilla non le interessava. Lei aveva bisogno di cose forti, che le entrassero nell’anima rovesciandola per il tempo in cui era schiava.
Aveva paura dei rapporti umani, al punto da rinunciare al piacere che possono dare, più spaventata da tutte le implicazioni.
Avrebbe invece approfondito con un master conosciuto in un sito a tema. Lui sosteneva di essere un professore universitario. Non le interessava la professione ma la personalità. Inoltre quello asseriva di avere una casa in campagna, abbastanza isolata. Avevano anche parlato di alcune eccitanti possibilità di utilizzo di quegli spazi bucolici.
La gabbia nella quale in quel momento era accucciata, non era tanto quella di Marco, ma la sua, nella quale ci si era messa pur essendosi accorta che il Padrone non era più interessato a dominarla ma solo ad usarla.
Per lei quel rapporto di dominio era finito quella sera. Senza rimpianti. Lei si era data tanto, quale schiava, a Marco. D’altro canto da lui aveva avuto tanto, quale Padrone.
Il bello dei rapporti di sesso e non di anima è che sono solo una porta da chiudere, nulla più, come uscire dalla sala di un cinema, dalla quale ci si allontana con la piacevole sensazione che le emozioni provate dal film hanno lasciato, ma nulla più.
Doveva solo attendere che le venisse aperta la porta, per uscire definitivamente da quella gabbia ed entrare in un altra.
Mosse la testa da una parte all’altra.
Il Padrone si era proprio seduto, stando cavalcioni, sulla sua guancia, schiacciandola sul materasso.
Isabella aveva la necessità di muovere i muscoli del collo che erano stati costretti per un tempo che le era parso indefinito.
Una cosa che caratterizzava Marco era la mancanza di grazia, di delicatezza, almeno con le schiave.
Tutto sommato però era anche stata quella la cosa principale che l’aveva attratta di quell’uomo che, se l’avesse incontrato in altre circostanze, forse nemmeno avrebbe notato.
La giovane schiava, la cui bocca era stata usata per godere, era accucciata a terra, in un angolo.
Con buone probabilità l’aveva mandata con un ordine mentre le strattonava i capelli. Quando lei si alzò, tirata dal guinzaglio che nel frattempo le aveva attaccato al collare di pelle nera, la giovane era già in quella posizione.
Doveva avercela mandata mentre ancora stava seduto sulla sua guancia cavalcioni, coprendole l’orecchio con la pelle sudata del culo, mentre l’altro era schiacciato contro il materasso.
“Muoviti cagna”.
L’incitamento era dato più per farle capire come avrebbe dovuto muoversi, che dalla volontà, o piacere, di umiliarla verbalmente.
Dopo l’orgasmo, ormai lo conosceva, non era più interessato ad atti erotici e la sua attenzione si spostava verso il disinteresse di quella che era divenuta meramente un corpo, al momento inutile o, anzi, utile per altri scopi.
Isabella seguì, a quattro zampe, il suo Padrone fino alla gabbia che teneva in sala e che, normalmente, era ricoperta con un telo elegante ed una piastra di cristallo posata sopra, come fosse un tavolino, un oggetto che rappresentasse, quotidianamente, l’eleganza della vita ordinaria e le esigenze sessuali di dominio di quell’uomo.
Cosa peraltro assolutamente solita in tutti, anche in lei, Isabella, nella cui anima albergano tante emozioni e sensazioni contrastanti da dover far respirare.
La gabbia era sufficientemente ampia da non farla stare eccessivamente costretta in una posizione scomoda. Non lo era, invece, per consentirle di stare comodamente sdraiata.
Stava così accucciata come un cane.
Un cane, però, al quale non venne dato nulla da mangiare. Marco era tornato in sala con gli avanzi del pasto che aveva consumato mentre si era fatto servire dalla giovane schiava vestita da cameriera sexy. Isabella, durante la cena, era stata sotto il tavolo per leccargli piedi, palle e succhiargli il cazzo.
Dalla gabbia, avendo come primo orizzonte le sbarre, poteva osservare Marco che stava seduto in poltrona, mentre la televisione accesa dava una parvenza di compagnia. Non gli serviva un alibi per ignorare le due schiave. Non ne aveva bisogno e non si era mai fatto un problema per questo.
Dopo l’orgasmo, non voleva rotture di palle con inutili rapporti umani e il suono che usciva dall’elettrodomestico gli teneva compagnia.
L’altra schiava, quella giovane, a quattro zampe consumava gli avanzi della cena in una ciotola di acciaio sul cui lato era disegnato un osso.
Marco era persona sì burbera, ma anche gentile e capace di trattenere rapporti umani. Nel sesso, invece, cercava solo corpi da usare per godere e coi quali non instaurare quei rapporti che avrebbero potuto diventare ingrombanti.
D’altro canto, chi si prestava a divenire corpo per soddisfare le pretese erotiche di quell’uomo, a sua volta aveva l’esigenza di essere corpo senza quei rapporti tipici che possono esistere dopo un orgasmo.
A lei andava bene, era sempre andata bene.
Osservava l’altra, quella giovane che, sicuramente non sazia per quel poco che aveva mangiato, era andata ad accucciarsi a terra accanto alla poltrona del Padrone il quale, per stare comodo, le aveva appoggiato sopra i piedi.
Le era sempre piaciuto essere costretta in gabbia. Anche il digiuno non le dispiaceva, quando era mezzo di dominio.
Qualcosa era cambiato negli ultimi mesi, gradatamente. Lei non era più fresca e la bellezza necessita anche di questo, se ciò che interessa è solo il corpo.
Quell’altra, quella utilizzata in quel momento come tappeto per il Padrone, le aveva entrambe.
Non era gelosa. Tuttavia essere messa in gabbia per una esigenza di spazio e non per erotismo, le faceva venire meno il piacere della sottomissione.
Marco era cambiato. Non era tanto l’introduzione della giovane bocca che lo aveva fatto godere, ma il fatto che avesse perso interesse per la sua bocca, non più giovanissima.
Era giunto il momento di interrompere quel rapporto.
In ospedale un collega medico la corteggiava da tempo. Ci aveva anche fatto un pensiero, ma quello voleva un rapporto quasi normale, una trombamicizia, come l’aveva definita.
Il sesso vanilla non le interessava. Lei aveva bisogno di cose forti, che le entrassero nell’anima rovesciandola per il tempo in cui era schiava.
Aveva paura dei rapporti umani, al punto da rinunciare al piacere che possono dare, più spaventata da tutte le implicazioni.
Avrebbe invece approfondito con un master conosciuto in un sito a tema. Lui sosteneva di essere un professore universitario. Non le interessava la professione ma la personalità. Inoltre quello asseriva di avere una casa in campagna, abbastanza isolata. Avevano anche parlato di alcune eccitanti possibilità di utilizzo di quegli spazi bucolici.
La gabbia nella quale in quel momento era accucciata, non era tanto quella di Marco, ma la sua, nella quale ci si era messa pur essendosi accorta che il Padrone non era più interessato a dominarla ma solo ad usarla.
Per lei quel rapporto di dominio era finito quella sera. Senza rimpianti. Lei si era data tanto, quale schiava, a Marco. D’altro canto da lui aveva avuto tanto, quale Padrone.
Il bello dei rapporti di sesso e non di anima è che sono solo una porta da chiudere, nulla più, come uscire dalla sala di un cinema, dalla quale ci si allontana con la piacevole sensazione che le emozioni provate dal film hanno lasciato, ma nulla più.
Doveva solo attendere che le venisse aperta la porta, per uscire definitivamente da quella gabbia ed entrare in un altra.
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