Abbraccio
di
Kugher
genere
sentimentali
Enrico tornò dalla palestra e gettò il borsone all’ingresso.
Lo avrebbe disfatto dopo, o forse domani.
No, almeno la maglietta sudata e l’asciugamani avrebbe dovuto metterli fuori a prendere aria. A quel punto restavano da sistemare solo le scarpe e i pantaloncini.
Si innervosì perché la pigrizia riusciva a perdere sempre. Alla fine prevaleva sempre il dovere.
Niente, disfò la borsa e mise i vestiti fuori a prendere aria.
Mentre la vasca si riempiva di acqua calda, andò in sala e accese lo stereo per sentire un po’ di musica.
Non aveva nemmeno selezionato un po’ di acqua fredda. La voleva caldissima. Gli piaceva. Da anni non andava più a fare saune. Non c’era un motivo, gli piacevano. Semplicemente aveva smesso. L’ultima volta era stata con Manuela. L’unico residuo di quella passione era il bagno caldo che gli rilassa il corpo affaticato dai pesi in palestra.
Aveva caricato molto quella sera e portato i muscoli allo sfinimento. Non voleva sfinire i muscoli, voleva sfinire sé stesso, così, almeno, quella notte sarebbe riuscito a dormire bene, anche solo per la stanchezza.
Spense la luce in bagno e si immerse nell’acqua appena sopportabile tanto era calda.
Gli piaceva guardare fuori, le luci della città, il silenzio della casa, come se il mondo là fuori fosse un film muto, senza rumori, senza auto che suonavano, senza gente che parlava, senza vita, insomma.
Decise che non aveva voglia di prepararsi la cena, né di ordinare una pizza da farsi portare a casa.
Si vestì bene, come amava sempre fare. Abbigliamento casual che, però, non apparisse come la ricerca di una giovane età per lui che giovanissimo non era più.
Prese le chiavi dell’auto dal tavolino che, qualche anno addietro, ospitava le fotografie di una vita con Manuela. Magari una vita intera proprio no, ma 10 anni erano un lasso di tempo tale da poter avere un significato particolare nella vita di una persona.
Prima ancora, quello stesso tavolino ospitava le fotografie di un’altra vita, con Sabrina. Anch’essa della durata di quasi 10 anni, anch’ella era stata lasciata da lui.
Non aveva idea di dove andare a cena e, poi, era presto. Odiava la città in cui viveva. Troppo grande, troppo caotica, troppa gente che non conosceva. Avrebbe potuto camminare un’ora senza incontrare una persona da salutare.
Guidò nel buio di quell’inverno ancora mite. Si lasciò guidare dall’auto o, forse, dal suo inconscio. La musica era tratta dalla lista di spotify, la stessa che gli aveva tenuto compagnia prima e durante il bagno.
Quando vide il cartello dell’uscita di Peschiera del Garda, si rese conto che non aveva guidato né lui né l’auto, ma bensì il suo io più profondo, quello che pensava ingenuamente di avere nascosto, sepolto, dimenticato.
Peschiera era la cittadina che frequentava con Maria. Lei veniva da Vicenza e, anche lei, odiava il caos.
Si erano innamorati di Peschiera perchè il lago infondeva loro calma, soprattutto nei mesi invernali, quando il turismo cedeva il posto ai soli abitanti e agli innamorati del posto e della tranquillità.
A quel punto cedette a sé stesso e posteggiò nel piazzale antistante il lago, quasi vuoto. In inverno e di sera non occorreva pagare nulla e raggiunse la pizzeria che erano soliti frequentare.
Non aveva mai dimenticato Maria, la donna con la quale non aveva nemmeno saputo avviare seriamente quel rapporto nato per caso e finito senza essere iniziato veramente, ma nel corso del quale era riuscito a vedersi dentro in una maniera impressionante, perché lei glielo aveva insegnato.
Quello era il suo terzo fallimento, un fallimento che non aveva nemmeno lasciato tracce di fotografie su quel tavolino delle chiavi.
Accanto al suo tavolo stava già seduta una donna, da sola.
Era sempre stato attratto dalla bellezza femminile, anzi, dalla bellezza in generale.
La bellezza è indice di cura, di uno stile di vita o della fortuna regalata dalla natura che, però, è stata protetta.
La bellezza non è solo nel corpo ma anche nel vestito e nel modo in cui lo si indossa, nei gioielli che ci sono o che non ci sono.
La bellezza è un insieme di piccoli particolari che, in autonomia, nulla trasmettono ma, sommati, narrano di una persona senza far conoscere la sua storia.
Sul tavolo della donna c’era un solo coperto. L’uso insistente da parte di lei del cellulare, gli trasmise la sensazione di una persona che volesse vincere la sua solitudine, facendo vedere che era in contatto con qualcuno, anche se lontano.
Enrico odiava i telefonini e l’uso smodato che se ne faceva in generale. Da tempo aveva cancellato la sua iscrizione a tutti i social, soprattutto da quando erano diventati di moda gli short, troppo corti per dare qualcosa se non immagini che correvano contro il tempo perché troppo sarebbe stato noioso e, così, le immagini perdevano di storia e di personalità.
Iniziarono a parlare. Simona si presentò e poggiò sul tavolo il telefono, abbassando, così, le difese, come se parlando con qualcuno, anche se del tavolo vicino, non dovesse più dimostrare agli altri avventori che non era sola nella sua vita.
Divisero la solitudine ed Enrico, su invito, si sedette al suo tavolo.
Parlarono di molto ma non della loro vita reale. Piuttosto delle loro emozioni e dei loro pensieri che, però, non avevano riscontri in episodi di vita.
Fu cosa naturale proseguire con la passeggiata sul lago, nell’umido che l’ambiente sapeva regalare senza il freddo che la stagione, quell’anno, ancora risparmiava.
Senza alcun contatto fisico se non quello dei pensieri, evitando ciò che in pizzeria non avevano iniziato, cioè la conoscenza reale, come se entrambi avessero necessità di scambiare solo le emozioni, le sensazioni, quelle più profonde.
Con uno sconosciuto è più facile perché la comunicazione non è a doppio senso, mancando all’altro le informazioni per capire l’interlocutore nel suo profondo, in quanto vengono trasmessi solo i pensieri che colui che parla ha il bisogno di esprimere.
Le emozioni, espresse, assumono diversa forma, perché occorre elaborarle prima di raccontarle e, così, obbligano chi parla a guardarsi dentro.
Si svegliarono così come si erano addormentati, in quel letto d'albergo nel quale erano entrati perché attratti dalla bellezza dell’edificio e dalla bellezza del momento che avevano vissuto.
L’abbraccio vedeva il petto di Enrico aderire alla schiena di Simona.
Il sole entrava dalla finestra alla quale non avevano voluto mettere la protezione delle persiane in legno verde.
Ad entrambi piaceva godere della bellezza della natura che il mondo sa regalare, come la semplice luce del sole, tanto preziosa in quella stagione caratterizzata dal buio.
I raggi dalla finestra finivano direttamente sul letto.
Enrico le scostò i lunghi capelli biondi che gli davano solletico, ma non baciò il suo collo.
Nella sala colazioni scelsero il tavolino vicinissimo alla finestra, vistalago, quel lago sul quale si riflettevano i raggi solari.
Era tardi e gli altri tavoli erano vuoti. Un cameriere stava pulendo i resti delle colazioni dei mattinieri, di quelli che si vogliono godere la vacanza e non la compagnia.
A colazione non si narrarono più dei pensieri, riuscendo a parlare del niente, divertendosi, con rilassante leggerezza.
Fortunatamente il televisore, sintonizzato sul tg della Sky, era stato reso muto.
Enrico era riuscito a dormire ed era sicuro che il merito non fosse per lo sfinimento della pesi alzati in palestra.
Entrambi risero del fatto che se avessero raccontato in giro che avevano conosciuto una persona in una pizzaria di una cittadina deserta di lago e, pur avendo dormuito assieme, non avevano fatto sesso, senza nemmeno scambiarsi un bacio, nessuno avrebbe loro creduto.
Durante la notte avevano continuato lo scambio delle emozioni semplicemente condividendo e scambiando il calore della pelle, con uno sconosciuto, senza implicazioni di un rapporto che avrebbe potuto dare dolore.
Enrico era stanco dei rapporti, avendo maturato la sua incapacità di gestirli.
Amava però gli abbracci ed il calore.
Avevano dormito tutta la notte abbracciati, come se avessero la necessità di fare scorta di qualcosa di prezioso.
Sapevano benissimo entrambi che quel calore era vuoto, egoistico, perché l’uno non era nei pensieri e nell’anima dell'altro.
Il calore scambiato era solo quello del corpo e non dell’anima.
Ma non se lo dissero, perché, tutto sommato, non aveva molta importanza, avendo rubato una notte alle rispettive solitudini.
Presero un caffè in centro, al bar d’angolo, vista lago e vista del parcheggio dove entrambi avevano lasciato l’auto, la sera precedente, per recarsi in quella pizzeria galeotta.
Non si scambiarono il numero di telefono.
Si salutarono.
Lo avrebbe disfatto dopo, o forse domani.
No, almeno la maglietta sudata e l’asciugamani avrebbe dovuto metterli fuori a prendere aria. A quel punto restavano da sistemare solo le scarpe e i pantaloncini.
Si innervosì perché la pigrizia riusciva a perdere sempre. Alla fine prevaleva sempre il dovere.
Niente, disfò la borsa e mise i vestiti fuori a prendere aria.
Mentre la vasca si riempiva di acqua calda, andò in sala e accese lo stereo per sentire un po’ di musica.
Non aveva nemmeno selezionato un po’ di acqua fredda. La voleva caldissima. Gli piaceva. Da anni non andava più a fare saune. Non c’era un motivo, gli piacevano. Semplicemente aveva smesso. L’ultima volta era stata con Manuela. L’unico residuo di quella passione era il bagno caldo che gli rilassa il corpo affaticato dai pesi in palestra.
Aveva caricato molto quella sera e portato i muscoli allo sfinimento. Non voleva sfinire i muscoli, voleva sfinire sé stesso, così, almeno, quella notte sarebbe riuscito a dormire bene, anche solo per la stanchezza.
Spense la luce in bagno e si immerse nell’acqua appena sopportabile tanto era calda.
Gli piaceva guardare fuori, le luci della città, il silenzio della casa, come se il mondo là fuori fosse un film muto, senza rumori, senza auto che suonavano, senza gente che parlava, senza vita, insomma.
Decise che non aveva voglia di prepararsi la cena, né di ordinare una pizza da farsi portare a casa.
Si vestì bene, come amava sempre fare. Abbigliamento casual che, però, non apparisse come la ricerca di una giovane età per lui che giovanissimo non era più.
Prese le chiavi dell’auto dal tavolino che, qualche anno addietro, ospitava le fotografie di una vita con Manuela. Magari una vita intera proprio no, ma 10 anni erano un lasso di tempo tale da poter avere un significato particolare nella vita di una persona.
Prima ancora, quello stesso tavolino ospitava le fotografie di un’altra vita, con Sabrina. Anch’essa della durata di quasi 10 anni, anch’ella era stata lasciata da lui.
Non aveva idea di dove andare a cena e, poi, era presto. Odiava la città in cui viveva. Troppo grande, troppo caotica, troppa gente che non conosceva. Avrebbe potuto camminare un’ora senza incontrare una persona da salutare.
Guidò nel buio di quell’inverno ancora mite. Si lasciò guidare dall’auto o, forse, dal suo inconscio. La musica era tratta dalla lista di spotify, la stessa che gli aveva tenuto compagnia prima e durante il bagno.
Quando vide il cartello dell’uscita di Peschiera del Garda, si rese conto che non aveva guidato né lui né l’auto, ma bensì il suo io più profondo, quello che pensava ingenuamente di avere nascosto, sepolto, dimenticato.
Peschiera era la cittadina che frequentava con Maria. Lei veniva da Vicenza e, anche lei, odiava il caos.
Si erano innamorati di Peschiera perchè il lago infondeva loro calma, soprattutto nei mesi invernali, quando il turismo cedeva il posto ai soli abitanti e agli innamorati del posto e della tranquillità.
A quel punto cedette a sé stesso e posteggiò nel piazzale antistante il lago, quasi vuoto. In inverno e di sera non occorreva pagare nulla e raggiunse la pizzeria che erano soliti frequentare.
Non aveva mai dimenticato Maria, la donna con la quale non aveva nemmeno saputo avviare seriamente quel rapporto nato per caso e finito senza essere iniziato veramente, ma nel corso del quale era riuscito a vedersi dentro in una maniera impressionante, perché lei glielo aveva insegnato.
Quello era il suo terzo fallimento, un fallimento che non aveva nemmeno lasciato tracce di fotografie su quel tavolino delle chiavi.
Accanto al suo tavolo stava già seduta una donna, da sola.
Era sempre stato attratto dalla bellezza femminile, anzi, dalla bellezza in generale.
La bellezza è indice di cura, di uno stile di vita o della fortuna regalata dalla natura che, però, è stata protetta.
La bellezza non è solo nel corpo ma anche nel vestito e nel modo in cui lo si indossa, nei gioielli che ci sono o che non ci sono.
La bellezza è un insieme di piccoli particolari che, in autonomia, nulla trasmettono ma, sommati, narrano di una persona senza far conoscere la sua storia.
Sul tavolo della donna c’era un solo coperto. L’uso insistente da parte di lei del cellulare, gli trasmise la sensazione di una persona che volesse vincere la sua solitudine, facendo vedere che era in contatto con qualcuno, anche se lontano.
Enrico odiava i telefonini e l’uso smodato che se ne faceva in generale. Da tempo aveva cancellato la sua iscrizione a tutti i social, soprattutto da quando erano diventati di moda gli short, troppo corti per dare qualcosa se non immagini che correvano contro il tempo perché troppo sarebbe stato noioso e, così, le immagini perdevano di storia e di personalità.
Iniziarono a parlare. Simona si presentò e poggiò sul tavolo il telefono, abbassando, così, le difese, come se parlando con qualcuno, anche se del tavolo vicino, non dovesse più dimostrare agli altri avventori che non era sola nella sua vita.
Divisero la solitudine ed Enrico, su invito, si sedette al suo tavolo.
Parlarono di molto ma non della loro vita reale. Piuttosto delle loro emozioni e dei loro pensieri che, però, non avevano riscontri in episodi di vita.
Fu cosa naturale proseguire con la passeggiata sul lago, nell’umido che l’ambiente sapeva regalare senza il freddo che la stagione, quell’anno, ancora risparmiava.
Senza alcun contatto fisico se non quello dei pensieri, evitando ciò che in pizzeria non avevano iniziato, cioè la conoscenza reale, come se entrambi avessero necessità di scambiare solo le emozioni, le sensazioni, quelle più profonde.
Con uno sconosciuto è più facile perché la comunicazione non è a doppio senso, mancando all’altro le informazioni per capire l’interlocutore nel suo profondo, in quanto vengono trasmessi solo i pensieri che colui che parla ha il bisogno di esprimere.
Le emozioni, espresse, assumono diversa forma, perché occorre elaborarle prima di raccontarle e, così, obbligano chi parla a guardarsi dentro.
Si svegliarono così come si erano addormentati, in quel letto d'albergo nel quale erano entrati perché attratti dalla bellezza dell’edificio e dalla bellezza del momento che avevano vissuto.
L’abbraccio vedeva il petto di Enrico aderire alla schiena di Simona.
Il sole entrava dalla finestra alla quale non avevano voluto mettere la protezione delle persiane in legno verde.
Ad entrambi piaceva godere della bellezza della natura che il mondo sa regalare, come la semplice luce del sole, tanto preziosa in quella stagione caratterizzata dal buio.
I raggi dalla finestra finivano direttamente sul letto.
Enrico le scostò i lunghi capelli biondi che gli davano solletico, ma non baciò il suo collo.
Nella sala colazioni scelsero il tavolino vicinissimo alla finestra, vistalago, quel lago sul quale si riflettevano i raggi solari.
Era tardi e gli altri tavoli erano vuoti. Un cameriere stava pulendo i resti delle colazioni dei mattinieri, di quelli che si vogliono godere la vacanza e non la compagnia.
A colazione non si narrarono più dei pensieri, riuscendo a parlare del niente, divertendosi, con rilassante leggerezza.
Fortunatamente il televisore, sintonizzato sul tg della Sky, era stato reso muto.
Enrico era riuscito a dormire ed era sicuro che il merito non fosse per lo sfinimento della pesi alzati in palestra.
Entrambi risero del fatto che se avessero raccontato in giro che avevano conosciuto una persona in una pizzaria di una cittadina deserta di lago e, pur avendo dormuito assieme, non avevano fatto sesso, senza nemmeno scambiarsi un bacio, nessuno avrebbe loro creduto.
Durante la notte avevano continuato lo scambio delle emozioni semplicemente condividendo e scambiando il calore della pelle, con uno sconosciuto, senza implicazioni di un rapporto che avrebbe potuto dare dolore.
Enrico era stanco dei rapporti, avendo maturato la sua incapacità di gestirli.
Amava però gli abbracci ed il calore.
Avevano dormito tutta la notte abbracciati, come se avessero la necessità di fare scorta di qualcosa di prezioso.
Sapevano benissimo entrambi che quel calore era vuoto, egoistico, perché l’uno non era nei pensieri e nell’anima dell'altro.
Il calore scambiato era solo quello del corpo e non dell’anima.
Ma non se lo dissero, perché, tutto sommato, non aveva molta importanza, avendo rubato una notte alle rispettive solitudini.
Presero un caffè in centro, al bar d’angolo, vista lago e vista del parcheggio dove entrambi avevano lasciato l’auto, la sera precedente, per recarsi in quella pizzeria galeotta.
Non si scambiarono il numero di telefono.
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