Marcello e la Padrona (parte 5 - epilogo)
di
Kugher
genere
sadomaso
La lingua, guidata dal guinzaglio appena tirato, continuò il suo percorso esplorativo sulla pelle del piede, per salire, secondo la velocità dettata dalla Padrona, fino alla figa.
Sentiva solo l’esigenza di dare piacere, di dedicarsi a quella persona che rappresentava i suoi desideri sconosciuti, consentendo alla parte più viva ed istintiva di prendere il sopravvento.
Entrava nella figa con la lingua, si fermava alle grandi labbra e poi sul clitoride. Procedeva in autonomia fino a che non sentì la Padrona dargli ordini, sul come e dove e quanto leccare.
Il suo ruolo era cambiato, divenuto mero strumento della volontà altrui, senza che egli potesse averne una.
L’eccitazione salì ulteriormente, scoprendo sé stesso in modi diversi ed in un tempo in cui poteva vivere il momento di istinto, senza alcun filtro.
I colpi di frustino che iniziò a ricevere sulla schiena mentre leccava, pur in assenza di errori, colpi dettati solo dal piacere altrui, lo relegarono ancor più ad oggetto e la sua eccitazione prese una diversa consistenza.
Non ebbe tempo e modo per realizzare quanto stesse accadendo, per capire il dolore, per controllare la sensazione.
Tutto gli sfuggiva, si sentiva come colui che cerca di prendere un’anguilla a mani nude, tutto fluido, troppo veloce, circostanze che non controllava e che, soprattutto, non voleva controllare.
Si lasciò trascinare verso qualcosa ed un posto sconosciuti, in cui il dolore era una componente di sé stesso, che gli tirava fuori sensazioni che alimentavano il piacere della Padrona la quale, a sua volta, lo conduceva ancor più in sensazioni che erano sue, ma che dipendevano da altri.
Il controllo, ciò che aveva sempre caratterizzato i suoi comportamenti e le sue relazioni, ad un certo punto divenne come quell’anguilla, che non afferrava, fino a che smise di provare a prenderla.
La lasciò andare, l’anguilla smise di essere la sua attenzione.
Solo dopo avere distolto la sua attenzione da ciò che aveva capito non essere l’oggetto principale, poté godersi il flusso di acqua fresca nella quale si era trovato e che aveva capito essere la generatrice di emozioni, mentre l’anguilla, il controllo, erano solo il freno, l'obiettivo sbagliato sul quale si era concentrato.
Era l’acqua l’elemento sul quale sin dall’inizio avrebbe dovuto dedicare le sue attenzioni, quelle istintive, quelle che nascono in luoghi interni alla propria anima e che sono sconosciuti, quelle non razionali perché qualcosa deve essere non razionale.
Non sapeva quanti colpi di frustino avesse ricevuto e non gli interessava.
Sapeva che avrebbero potuto arrivarne altri, così come smettere e accadere altro.
Non gli interessava.
L’anguilla era andata, non gli interessava più.
La sua attenzione era solo per l’acqua, quella che lo circondava e puliva, che lo trascinava rinfrescandolo.
Si ritrovò steso a terra.
La Padrona era a cavalcioni del suo viso.
Leccava, leccava ancora, entrava nella figa o si soffermava sul clitoride.
L’acqua non era solo la figa, l’acqua era il cordino che gli legava il cazzo alla base strizzandogli anche le palle, bloccandogli la circolazione, era la Padrona sopra di lui, era la schiena dolorante per i colpi ricevuti, era il collare che si sentiva al collo.
Si sentiva esplodere il cazzo, quel cazzo colpito dal frustino sulla cappella mentre riusciva ancora a pensare alla sua lingua nella figa.
Si ritrovò poi la Padrona che era passata al cazzo, sul quale si era impalata, seduta cavalcioni, la Padrona che tirava il guinzaglio e lo prendeva a schiaffi mentre gli diceva di non osare godere prima o, peggio, dentro di lei.
Sentiva tutta la sua concentrazione a controllare il piacere e questo gli dava ulteriori scariche di piacere proveniente da fonti sconosciute prima.
Guardava la Padrona seduta sopra di lui ed era bellissima, una bellezza che consisteva non solo nel corpo, ma nel fatto che potesse stare sopra di lui, a cavalcarlo, a godere, perché la Padrona godette, godette fortemente, mentre gli graffiava il petto, fino a che non si accasciò sopra di lui, tenendo ancora il cazzo dentro, quel cazzo che non poteva godere.
Solo dopo, a bocce ferme, Marcello poté concentrarsi sulle sensazioni vissute, dopo che la Padrona aveva avuto l’orgasmo, scopandolo.
Al termine, sempre a quattro zampe, la seguì in giardino, docilmente.
La Padrona si era seduta sulla poltrona di vimini, a bordo piscina di quella calda giornata di sole.
Lui era accucciato a terra, quale cagnolino o, forse, giocattolino di un’ora, di un giorno o forse più.
Mentre la Padrona beveva la bibita fresca che si era portata, teneva un piede, privo di calzatura, appoggiato sulla testa dello schiavo.
I profumi degli alberi e dei fiori del giardino arrivavano alle narici di Marcello, confondendosi con il profumo della pelle di quel piede che era stato a contatto con il cuoio della scarpetta.
Aveva dovuto togliere la calzatura tenendo tra i denti il tacco e tirando, sotto lo sguardo della donna, compiaciuta per la sua docilità.
Il suo cazzo era ancora testimonianza della sua eccitazione.
Ogni tanto la signora allungava l’altro piede e ci giocava, schiacciandolo o fingendo di masturbarlo per fermarsi quando, secondo lei, il ragazzo stava provando troppo piacere.
L’inattività di quella posizione passiva lasciò correre il pensiero di Marcello, che iniziò a elaborare le proprie emozioni, seppur ancora in maniera grezza.
Le sensazioni erano ancora in corso ed erano vive, forti. Pertanto la loro analisi era sicuramente viziata dallo stato di eccitazione stimolata da quel piede e dalla vista dal basso della sua Padrona.
Marcello lasciava correre il suo pensiero a quanto accaduto mentre, d’altro canto, quasi attendeva il momento di vivere la sua solitudine per potersi masturbare e porre fine a quell’eccitazione che lo faceva impazzire.
Solo dopo avrebbe potuto pensare alla scoperta di sé.
Non si interrogò sui pensieri di lei e nemmeno si preoccupò di capire se lei si stesse preoccupando di quelli di lui.
Il rapporto era stato un contatto tra corpi e tra esigenze contrapposte senza la preventiva conoscenza della persona.
Questo aveva consentito al puro istinto di trovare sfogo, senza ulteriori implicazioni.
Era sempre stato attento ai rapporti umani, li aveva coltivati, anche in maniera sbagliata, cercandone sempre il controllo, non tanto del rapporto quanto di sé stesso.
Eppure, in quella circostanza, non gli interessava il rapporto umano, non in quel momento.
Sentiva solo l’esigenza di dare piacere, di dedicarsi a quella persona che rappresentava i suoi desideri sconosciuti, consentendo alla parte più viva ed istintiva di prendere il sopravvento.
Entrava nella figa con la lingua, si fermava alle grandi labbra e poi sul clitoride. Procedeva in autonomia fino a che non sentì la Padrona dargli ordini, sul come e dove e quanto leccare.
Il suo ruolo era cambiato, divenuto mero strumento della volontà altrui, senza che egli potesse averne una.
L’eccitazione salì ulteriormente, scoprendo sé stesso in modi diversi ed in un tempo in cui poteva vivere il momento di istinto, senza alcun filtro.
I colpi di frustino che iniziò a ricevere sulla schiena mentre leccava, pur in assenza di errori, colpi dettati solo dal piacere altrui, lo relegarono ancor più ad oggetto e la sua eccitazione prese una diversa consistenza.
Non ebbe tempo e modo per realizzare quanto stesse accadendo, per capire il dolore, per controllare la sensazione.
Tutto gli sfuggiva, si sentiva come colui che cerca di prendere un’anguilla a mani nude, tutto fluido, troppo veloce, circostanze che non controllava e che, soprattutto, non voleva controllare.
Si lasciò trascinare verso qualcosa ed un posto sconosciuti, in cui il dolore era una componente di sé stesso, che gli tirava fuori sensazioni che alimentavano il piacere della Padrona la quale, a sua volta, lo conduceva ancor più in sensazioni che erano sue, ma che dipendevano da altri.
Il controllo, ciò che aveva sempre caratterizzato i suoi comportamenti e le sue relazioni, ad un certo punto divenne come quell’anguilla, che non afferrava, fino a che smise di provare a prenderla.
La lasciò andare, l’anguilla smise di essere la sua attenzione.
Solo dopo avere distolto la sua attenzione da ciò che aveva capito non essere l’oggetto principale, poté godersi il flusso di acqua fresca nella quale si era trovato e che aveva capito essere la generatrice di emozioni, mentre l’anguilla, il controllo, erano solo il freno, l'obiettivo sbagliato sul quale si era concentrato.
Era l’acqua l’elemento sul quale sin dall’inizio avrebbe dovuto dedicare le sue attenzioni, quelle istintive, quelle che nascono in luoghi interni alla propria anima e che sono sconosciuti, quelle non razionali perché qualcosa deve essere non razionale.
Non sapeva quanti colpi di frustino avesse ricevuto e non gli interessava.
Sapeva che avrebbero potuto arrivarne altri, così come smettere e accadere altro.
Non gli interessava.
L’anguilla era andata, non gli interessava più.
La sua attenzione era solo per l’acqua, quella che lo circondava e puliva, che lo trascinava rinfrescandolo.
Si ritrovò steso a terra.
La Padrona era a cavalcioni del suo viso.
Leccava, leccava ancora, entrava nella figa o si soffermava sul clitoride.
L’acqua non era solo la figa, l’acqua era il cordino che gli legava il cazzo alla base strizzandogli anche le palle, bloccandogli la circolazione, era la Padrona sopra di lui, era la schiena dolorante per i colpi ricevuti, era il collare che si sentiva al collo.
Si sentiva esplodere il cazzo, quel cazzo colpito dal frustino sulla cappella mentre riusciva ancora a pensare alla sua lingua nella figa.
Si ritrovò poi la Padrona che era passata al cazzo, sul quale si era impalata, seduta cavalcioni, la Padrona che tirava il guinzaglio e lo prendeva a schiaffi mentre gli diceva di non osare godere prima o, peggio, dentro di lei.
Sentiva tutta la sua concentrazione a controllare il piacere e questo gli dava ulteriori scariche di piacere proveniente da fonti sconosciute prima.
Guardava la Padrona seduta sopra di lui ed era bellissima, una bellezza che consisteva non solo nel corpo, ma nel fatto che potesse stare sopra di lui, a cavalcarlo, a godere, perché la Padrona godette, godette fortemente, mentre gli graffiava il petto, fino a che non si accasciò sopra di lui, tenendo ancora il cazzo dentro, quel cazzo che non poteva godere.
Solo dopo, a bocce ferme, Marcello poté concentrarsi sulle sensazioni vissute, dopo che la Padrona aveva avuto l’orgasmo, scopandolo.
Al termine, sempre a quattro zampe, la seguì in giardino, docilmente.
La Padrona si era seduta sulla poltrona di vimini, a bordo piscina di quella calda giornata di sole.
Lui era accucciato a terra, quale cagnolino o, forse, giocattolino di un’ora, di un giorno o forse più.
Mentre la Padrona beveva la bibita fresca che si era portata, teneva un piede, privo di calzatura, appoggiato sulla testa dello schiavo.
I profumi degli alberi e dei fiori del giardino arrivavano alle narici di Marcello, confondendosi con il profumo della pelle di quel piede che era stato a contatto con il cuoio della scarpetta.
Aveva dovuto togliere la calzatura tenendo tra i denti il tacco e tirando, sotto lo sguardo della donna, compiaciuta per la sua docilità.
Il suo cazzo era ancora testimonianza della sua eccitazione.
Ogni tanto la signora allungava l’altro piede e ci giocava, schiacciandolo o fingendo di masturbarlo per fermarsi quando, secondo lei, il ragazzo stava provando troppo piacere.
L’inattività di quella posizione passiva lasciò correre il pensiero di Marcello, che iniziò a elaborare le proprie emozioni, seppur ancora in maniera grezza.
Le sensazioni erano ancora in corso ed erano vive, forti. Pertanto la loro analisi era sicuramente viziata dallo stato di eccitazione stimolata da quel piede e dalla vista dal basso della sua Padrona.
Marcello lasciava correre il suo pensiero a quanto accaduto mentre, d’altro canto, quasi attendeva il momento di vivere la sua solitudine per potersi masturbare e porre fine a quell’eccitazione che lo faceva impazzire.
Solo dopo avrebbe potuto pensare alla scoperta di sé.
Non si interrogò sui pensieri di lei e nemmeno si preoccupò di capire se lei si stesse preoccupando di quelli di lui.
Il rapporto era stato un contatto tra corpi e tra esigenze contrapposte senza la preventiva conoscenza della persona.
Questo aveva consentito al puro istinto di trovare sfogo, senza ulteriori implicazioni.
Era sempre stato attento ai rapporti umani, li aveva coltivati, anche in maniera sbagliata, cercandone sempre il controllo, non tanto del rapporto quanto di sé stesso.
Eppure, in quella circostanza, non gli interessava il rapporto umano, non in quel momento.
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