Incontro

di
genere
sentimentali

(in questo racconto non c'è sesso)
Il treno lo stava strappando via da Padova.
Enrico guardava fuori dal finestrino mentre le case prendevano sempre più velocità, impedendogli di rubare, oltre le finestre, dietro le tende, immagini di vita di persone sconosciute, magari sedute ad un tavolo mentre parlano al termine di una giornata, raccontando gli eventi o cercando di dimenticarli, con i loro problemi, il mutuo o la partita del figlio del giorno dopo.
Scorci di vita fatta di quotidianità che rappresenta la vita.
Quando la velocità raggiunta fu elevata, il suo sguardo divenne fisso sul finestrino, senza più vedere nulla, estraniato dal vocio dei vicini di viaggio, dalla persona che, salita in ritardo, era ancora in cerca del suo posto, dalla donna anziana che stava andando in bagno.
Non c’era nulla intorno a lui, se non l’elaborazione di sé a seguito degli ultimi eventi.

Ogni volta che andava a Padova, temeva quell’incontro che sperava avvenisse.
Padova, la città dove abitava Marisa e che una volta era la “loro” città, ora straniera, almeno per lui.
Il timore e la speranza di incontrarla lo attanagliavano solo in stazione, come se lei avesse potuto svolgere la sua vita lì e non nelle piazze, nei bar, nei negozi, sotto i portici.
Quella sensazione lo coglieva solo alla partenza, forse perché, andandosene, ogni possibilità di incontro sarebbe venuta definitivamente meno, come se i minuti prima dell’arrivo del treno fossero l’ultima possibilità.
E così, in stazione, il battito gli saliva alla vista, da lontano, di ogni donna bionda con i capelli lunghi. Si sentiva come a scuola, col timore di essere chiamato alla cattedra per l’interrogazione a sorpresa, perché quell’incontro sarebbe stato un esame, con sé stesso.
Quel giorno i suoi timori e le sue speranze si erano avverati. L’aveva vista, alla partenza. Il cuore gli era andato a mille e sperava che lei, che purtroppo lo aveva fortunatamente individuato, non si accorgesse del suo tremore alle gambe.
Frasi di rito nascondevano l’imbarazzo di due persone, ormai sconosciute, che anni addietro si erano accarezzate nell’intimo più profondo.
Avevano preso un caffè del quale non ricordava nulla se non le emozioni, la mano di Marisa che spostava i capelli dietro l’orecchio, le sue gambe accavallate, la sua gestualità che non era cambiata.

Non si accorse nemmeno che alla stazione di Vicenza era cambiato il suo compagno di viaggio, tutto preso dal suo viaggio, quello interiore.

Marisa lo aveva invitato a cena. La città che aveva attraversato mentre andavano a casa sua, non era più la stessa. Durante il percorso si stupì quasi di non trovare le pubblicità dei film di allora, il profumo della pizzeria ora sostituita da un negozio di abbigliamento, come se camminasse in un epoca e ne vivesse un’altra.
Mentre lei preparava un piatto di pasta, lui l’aveva osservata appoggiato allo stipite della porta, convivendo con l’imbarazzo per sentirsi fuori contesto in quel posto in cui aveva vissuto emozioni.
La sensazione era la stessa di colui che passa davanti ad un palazzo nel quale ha vissuto l’infanzia senza, però, poter entrare e, soprattutto, rivivere i giochi con la mamma, i litigi col fratello, l’attesa del padre.
La stretta di mano ed il bacio sulle guance fu il saluto all’uscita di casa sua. Si era voltato un’ultima volta prima di entrare in ascensore, dopo aver appreso le poche informazioni di una vita avvenuta nei dieci anni passati, chiedendosi se e quanto fosse diversa quella persona che lui aveva fermato nel tempo del suo cuore.

Quando il treno arrivò a Brescia invece se ne accorse, ricordando che in quella città era avvenuto il loro primo incontro.

I ricordi lo portarono al bilancio della sua vita in quegli ultimi dieci anni, alle emozioni vissute e non riconosciute nei tempi in cui incontrarla era normale, ricordando di quanto riuscisse a prendere tutto da quella normalità, assaporandola, vivendola, gustandola, trasformandola in emozioni da conservare gelosamente.
Nel suo viaggio interiore tutte quelle sensazioni uscirono, come durante un trasloco, quando si è costretti ad aprire cassetti i cui contenuti sono noti e, per questo, mai aperti.
Quei minuti sospesi nel tempo, in cui aveva vissuto due epoche nella casa di lei, con gli arredi nuovi che non riconosceva e che stridevano con i ricordi che stava vivendo, gli avevano aperto il vaso di pandora della sua anima, della sua vita, delle sue scelte e, soprattutto, delle sue non scelte.
Conosceva tutti i suoi errori, li aveva riconosciuti mentre li compiva e, nonostante quello, non era riuscito a non commetterli.

Ormai era buio e oltre al finestrino, dal quale non si era mai staccato, passavano solo luci, troppo veloci per poter vedere qualcosa nelle case le cui intimità erano protette dal buio.
Il treno stava rallentando la corsa.
La voce del caporeno comunicava che stavano entrando nella stazione Centrale di Milano con un ritardo di 18 minuti.
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2025-08-07
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