Marta e Simona (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
Ormai la porta era aperta abbastanza da vedere oltre e, soprattutto, di consentire a ciò che stava oltre la porta di vedere quanto vi era dalla parte di chi l’aveva aperta.
La lingua di Marta entrò nella bocca dell’amica, dell’amata, era affamata, avida di quel sapore e di quello spazio umido che da tempo desiderava e per la quale più volte si era masturbata.
Entrambe misero i bicchieri nel lavandino alla cieca. Gli oggetti di vetro si rovesciarono senza rompersi mentre le mani di Marta finalmente poterono accarezzare quelle natiche che tutta la sera l’avevano tormentata.
Ormai la porta era spalancata e ciò che stava da una parte non solo guardava oltre, ma ci entrava pure, divenuta inutile la necessità di chiederne il permesso.
Fu Simona a prendere le redini, impugnando i capelli biondi di Marta mentre adesso era la sua lingua a perlustrare la bocca dell’amica.
“Vieni, bella”.
Simona, tenendo ancora i capelli dell’amica, si fece seguire. Marta faceva solo finta di protestare mentre le sue mani cercavano, e trovavano, i seni piccoli dell’amata.
Lo sguardo era però verso gli stivali neri che la eccitavano da impazzire.
Marta si ritrovò stesa sul letto, di schiena, gettata dall’amica che la guardava con occhi che sapevano di sesso.
Simona le si mise cavalcioni e mentre la baciava, iniziò a spogliarla, con impazienza, allontanando le mani dell’amica quando cercava di aiutarla.
“Sta ferma!”.
C'era qualcosa di nuovo nella voce dell’amata seduta sopra di lei.
Il vino anche per lei era in circolo e, come per l’amica, i freni erano stati allentati.
Marta era rimasta con le sole mutandine.
Simona sapeva muoversi in quella casa. cercò nel cassetto dei collant e trovò due paia di autoreggenti nere, ottime per legare i polsi e le caviglie di Marta al letto.
Le strappò le mutandine e, guardandola negli occhi mentre le dita di una mano le entravano in figa, se le mise in bocca, assaporandone il gusto e l’umido trovato.
Gli umori e la saliva erano ormai mischiati. Le mutandine finirono nella bocca di Marta.
Simona si tolse stivali e calzoni, rivelando l’assenza di mutandine. Si sedette cavalcioni sulla faccia dell’amica e si spogliò della camicetta.
Si alzò dal suo viso solo per chiederle dove tenesse il vibratore.
Marta ebbe una reazione strana che fu male interpretata da Simona.
“Dai, tutte abbiamo un vibratore, almeno uno, su, non fare la timida con me”.
Aveva inteso che fosse una sua ritrosia, come se si vergognasse ad ammettere di averne uno.
Altra era la battaglia interna a Marta, eccitata e rossa in viso, non solo per il peso del culo dell’amata, ma per il calore della sua pelle, per il profumo della sua figa, per l’insieme di quanto stava accadendo e che le era entrata nell’anima, come un fiume in piena che occupa ogni spazio, lo lava, ci si insinua e lascia spazio ad altra acqua, che pulisce, rinfresca e sa di di lei, di loro, delle sue emozioni che finalmente hanno potuto respirare e farsi riempire da quel fiume in piena di emozioni fortissime, non solo erotiche.
Quella domanda aveva bloccato il flusso.
Accanto ai vibratori aveva altro, che l’amica non sapeva e che aveva paura a rivelare. Erano oggetti che avrebbero narrato di lei più di quanto avrebbero potuto fare le parole.
Ma ormai la porta era aperta, non era possibile richiuderla nemmeno parzialmente. Poteva solo andare avanti, correre, mettere alla prova quel flusso di emozioni.
Simona aprì il cassetto che le era stato indicato e restò ferma, immobile.
Marta temette e per un attimo la figa le si era asciugata. Si era vista chiudere quella porta come se fosse sbattuta, d’impeto, di stupore, di delusione.
Invece Simona si girò verso di lei e le mostrò gli occhi che le luccicavano di complicità e di calore, di una luminosità propria che si trasferiva a Marta.
Anche quello sguardo comunicava, trasmetteva più di quanto avrebbero potuto fare le parole.
Simona prese ciò che aveva trovato e si sedette nuovamente cavalcioni sulla faccia di Marta che entrava con la lingua in quella figa che trovò ancora più bagnata, mentre l’amata colpiva col frustino la figa della prigioniera sotto di lei, che si dimenava muovendosi sotto il culo dell’altra e muovendo i polsi e le caviglie legate con le autoreggenti.
La lingua entrava nella figa e apriva altre sorgenti di quell’acqua impetuosa, carica di emozioni che le entravano nell’anima, nel cuore, nelle vene, sottopelle, circolando fortemente.
Assaporava la figa bagnata mentre Simona le frustava capezzoli e ventre, unite così anche nell’erotismo, giocando con il masochismo di Marta in perfetto bilanciamento di forze.
L’eccitazione di Simona era altissima, evidentemente era la prima volta che usava quello strumento erotico che andava oltre al sesso, per stabilire un diverso e più forte contatto tra dominante e dominata, come una catena che si salda tra due anime, che può essere strapazzata dal piacere intenso ma i cui anelli restano fortemente uniti, cambiando forma e dimensioni sotto la forza del piacere che unisce.
Venne subito, Simona, venne in faccia all'amica che sentì tutto il piacere dell’amata, la sentì nella figa e nel movimento del bacino su di lei, come non fosse sufficiente il movimento della lingua che doveva essere alimentato e governato dal bacino il quale si muoveva sotto l’impeto dell’orgasmo, in maniera quasi incontrollata e forte, come se cercasse quella lingua dalla quale voleva essere penetrata e godere, mentre il frustino colpiva e alimentava, amplificando, l’orgasmo che stava esplodendo.
“Cazzo Marta, non ho mai provato una cosa simile”.
La pelle ancora calda era unita da un abbraccio che inebriava Marta, abbandonata alle emozioni e al viaggio che aveva compiuto oltre quella porta, trovando l’amica e amata in altra forma.
Ormai quella porta non poteva più essere chiusa e ciò che era passato attraverso poteva solo essere diversamente coltivato.
Era stato sesso, forza, impeto, piacere, orgasmo.
Gli intendimenti però erano rimasti nascosti.
Simona sapeva ora dell’erotismo dell’amica, ma non dei suoi sentimenti.
Marta stava per dirglieli. Mancava solo quello. La porta aperta non bastava. Occorreva altro, occorreva conoscere le emozioni. Voleva che lei sapesse dei suoi sentimenti e di ciò che aveva dentro.
“Cazzo, è tardissimo. Devo andare!”.
Simona si alzò, privando l’amica del desiderio inespresso di una notte con il contatto continuo della pelle.
Si vestì come se fosse finito un gioco, un gioco sessuale.
Marta rimase zitta, zitta fuori e dentro.
Simona si chinò per darle un bacio prima di andare via.
“Cazzo Marta, dobbiamo rifarla questa cosa! Ho visto altri attrezzi che vorrei usare”.
Marta fece scorrere la mano di Simona tra le sue mentre si allontanava.
Non era persa. Era solo l’inizio.
Le avrebbe parlato.
Più avanti.
Ormai la porta era aperta.
La lingua di Marta entrò nella bocca dell’amica, dell’amata, era affamata, avida di quel sapore e di quello spazio umido che da tempo desiderava e per la quale più volte si era masturbata.
Entrambe misero i bicchieri nel lavandino alla cieca. Gli oggetti di vetro si rovesciarono senza rompersi mentre le mani di Marta finalmente poterono accarezzare quelle natiche che tutta la sera l’avevano tormentata.
Ormai la porta era spalancata e ciò che stava da una parte non solo guardava oltre, ma ci entrava pure, divenuta inutile la necessità di chiederne il permesso.
Fu Simona a prendere le redini, impugnando i capelli biondi di Marta mentre adesso era la sua lingua a perlustrare la bocca dell’amica.
“Vieni, bella”.
Simona, tenendo ancora i capelli dell’amica, si fece seguire. Marta faceva solo finta di protestare mentre le sue mani cercavano, e trovavano, i seni piccoli dell’amata.
Lo sguardo era però verso gli stivali neri che la eccitavano da impazzire.
Marta si ritrovò stesa sul letto, di schiena, gettata dall’amica che la guardava con occhi che sapevano di sesso.
Simona le si mise cavalcioni e mentre la baciava, iniziò a spogliarla, con impazienza, allontanando le mani dell’amica quando cercava di aiutarla.
“Sta ferma!”.
C'era qualcosa di nuovo nella voce dell’amata seduta sopra di lei.
Il vino anche per lei era in circolo e, come per l’amica, i freni erano stati allentati.
Marta era rimasta con le sole mutandine.
Simona sapeva muoversi in quella casa. cercò nel cassetto dei collant e trovò due paia di autoreggenti nere, ottime per legare i polsi e le caviglie di Marta al letto.
Le strappò le mutandine e, guardandola negli occhi mentre le dita di una mano le entravano in figa, se le mise in bocca, assaporandone il gusto e l’umido trovato.
Gli umori e la saliva erano ormai mischiati. Le mutandine finirono nella bocca di Marta.
Simona si tolse stivali e calzoni, rivelando l’assenza di mutandine. Si sedette cavalcioni sulla faccia dell’amica e si spogliò della camicetta.
Si alzò dal suo viso solo per chiederle dove tenesse il vibratore.
Marta ebbe una reazione strana che fu male interpretata da Simona.
“Dai, tutte abbiamo un vibratore, almeno uno, su, non fare la timida con me”.
Aveva inteso che fosse una sua ritrosia, come se si vergognasse ad ammettere di averne uno.
Altra era la battaglia interna a Marta, eccitata e rossa in viso, non solo per il peso del culo dell’amata, ma per il calore della sua pelle, per il profumo della sua figa, per l’insieme di quanto stava accadendo e che le era entrata nell’anima, come un fiume in piena che occupa ogni spazio, lo lava, ci si insinua e lascia spazio ad altra acqua, che pulisce, rinfresca e sa di di lei, di loro, delle sue emozioni che finalmente hanno potuto respirare e farsi riempire da quel fiume in piena di emozioni fortissime, non solo erotiche.
Quella domanda aveva bloccato il flusso.
Accanto ai vibratori aveva altro, che l’amica non sapeva e che aveva paura a rivelare. Erano oggetti che avrebbero narrato di lei più di quanto avrebbero potuto fare le parole.
Ma ormai la porta era aperta, non era possibile richiuderla nemmeno parzialmente. Poteva solo andare avanti, correre, mettere alla prova quel flusso di emozioni.
Simona aprì il cassetto che le era stato indicato e restò ferma, immobile.
Marta temette e per un attimo la figa le si era asciugata. Si era vista chiudere quella porta come se fosse sbattuta, d’impeto, di stupore, di delusione.
Invece Simona si girò verso di lei e le mostrò gli occhi che le luccicavano di complicità e di calore, di una luminosità propria che si trasferiva a Marta.
Anche quello sguardo comunicava, trasmetteva più di quanto avrebbero potuto fare le parole.
Simona prese ciò che aveva trovato e si sedette nuovamente cavalcioni sulla faccia di Marta che entrava con la lingua in quella figa che trovò ancora più bagnata, mentre l’amata colpiva col frustino la figa della prigioniera sotto di lei, che si dimenava muovendosi sotto il culo dell’altra e muovendo i polsi e le caviglie legate con le autoreggenti.
La lingua entrava nella figa e apriva altre sorgenti di quell’acqua impetuosa, carica di emozioni che le entravano nell’anima, nel cuore, nelle vene, sottopelle, circolando fortemente.
Assaporava la figa bagnata mentre Simona le frustava capezzoli e ventre, unite così anche nell’erotismo, giocando con il masochismo di Marta in perfetto bilanciamento di forze.
L’eccitazione di Simona era altissima, evidentemente era la prima volta che usava quello strumento erotico che andava oltre al sesso, per stabilire un diverso e più forte contatto tra dominante e dominata, come una catena che si salda tra due anime, che può essere strapazzata dal piacere intenso ma i cui anelli restano fortemente uniti, cambiando forma e dimensioni sotto la forza del piacere che unisce.
Venne subito, Simona, venne in faccia all'amica che sentì tutto il piacere dell’amata, la sentì nella figa e nel movimento del bacino su di lei, come non fosse sufficiente il movimento della lingua che doveva essere alimentato e governato dal bacino il quale si muoveva sotto l’impeto dell’orgasmo, in maniera quasi incontrollata e forte, come se cercasse quella lingua dalla quale voleva essere penetrata e godere, mentre il frustino colpiva e alimentava, amplificando, l’orgasmo che stava esplodendo.
“Cazzo Marta, non ho mai provato una cosa simile”.
La pelle ancora calda era unita da un abbraccio che inebriava Marta, abbandonata alle emozioni e al viaggio che aveva compiuto oltre quella porta, trovando l’amica e amata in altra forma.
Ormai quella porta non poteva più essere chiusa e ciò che era passato attraverso poteva solo essere diversamente coltivato.
Era stato sesso, forza, impeto, piacere, orgasmo.
Gli intendimenti però erano rimasti nascosti.
Simona sapeva ora dell’erotismo dell’amica, ma non dei suoi sentimenti.
Marta stava per dirglieli. Mancava solo quello. La porta aperta non bastava. Occorreva altro, occorreva conoscere le emozioni. Voleva che lei sapesse dei suoi sentimenti e di ciò che aveva dentro.
“Cazzo, è tardissimo. Devo andare!”.
Simona si alzò, privando l’amica del desiderio inespresso di una notte con il contatto continuo della pelle.
Si vestì come se fosse finito un gioco, un gioco sessuale.
Marta rimase zitta, zitta fuori e dentro.
Simona si chinò per darle un bacio prima di andare via.
“Cazzo Marta, dobbiamo rifarla questa cosa! Ho visto altri attrezzi che vorrei usare”.
Marta fece scorrere la mano di Simona tra le sue mentre si allontanava.
Non era persa. Era solo l’inizio.
Le avrebbe parlato.
Più avanti.
Ormai la porta era aperta.
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