Dark room 3
di
AngelicaBellaWriter
genere
prime esperienze
La porta si aprì con uno scatto, e la luce rossa della dark room si mescolò all’ombra pesante del corridoio.
Silvia uscì nuda.
La pelle imperlata di sudore, i capelli sciolti sulle spalle, i capezzoli ancora tesi, le cosce segnate dalle mani che l’avevano stretta dentro.
Dietro di lei, il ragazzo — lo stesso che l’aveva portata dentro — camminava calmo, teneva il suo vestito piegato su un braccio, come un cameriere che porta una bottiglia rara.
All’inizio non vide il marito.
Poi lo riconobbe, appoggiato al muro, con la schiena rigida e lo sguardo puntato su di lei.
Aveva lo sguardo dell’uomo che si crede predatore e si accorge di essere diventato preda.
I suoi occhi passarono da Silvia al ragazzo, e si fecero scuri.
Fece un passo avanti.
«Che cazzo…»
Ma si fermò.
Non poteva fare nulla. Perché quella donna nuda, lucida di piacere, che aveva sempre considerato “la sua” — ora non era più sua.
Il ragazzo si avvicinò a Silvia con lentezza.
Le aprì il vestito con cura. Lo tenne alto per permetterle di infilarsi dentro.
Le chiuse i bottoni, uno a uno, come un rituale. Le sistemò i capelli, le tolse un grumo di rossetto sbavato dall’angolo delle labbra.
Nessuna fretta. Nessuna volgarità.
Silvia non parlava. Respirava.
Con calma. Con padronanza.
Come se tutto fosse cambiato in quell’ora di buio e carne.
Il marito si avvicinò. Le prese la mano. Gliela baciò. Non osava guardarla negli occhi.
Poi si voltò verso il ragazzo.
«Grazie,» mormorò.
Il ragazzo annuì, neutro.
Ma Silvia non si mosse.
Fu lei a rompere il silenzio.
«A che ora finisci?»
Il ragazzo la guardò.
«Alle tre.»
Silvia si avvicinò.
Gli posò le labbra all’orecchio.
Gli sussurrò l’indirizzo di casa.
Via Savona 56. Citofono Malavasi. Terzo piano.
Poi si voltò verso il marito.
«Ti va un altro bicchiere di vino?»
«A casa?»
Silvia sorrise.
«Sì. Ti aspetto lì.»
Fece un passo. Poi si voltò di nuovo verso il ragazzo.
«Ti aspettiamo dopo.»
E lo disse senza ammiccamenti, senza malizia, senza vergogna.
Solo come chi ha finalmente deciso di prendere tutto ciò che desidera.
Silvia uscì nuda.
La pelle imperlata di sudore, i capelli sciolti sulle spalle, i capezzoli ancora tesi, le cosce segnate dalle mani che l’avevano stretta dentro.
Dietro di lei, il ragazzo — lo stesso che l’aveva portata dentro — camminava calmo, teneva il suo vestito piegato su un braccio, come un cameriere che porta una bottiglia rara.
All’inizio non vide il marito.
Poi lo riconobbe, appoggiato al muro, con la schiena rigida e lo sguardo puntato su di lei.
Aveva lo sguardo dell’uomo che si crede predatore e si accorge di essere diventato preda.
I suoi occhi passarono da Silvia al ragazzo, e si fecero scuri.
Fece un passo avanti.
«Che cazzo…»
Ma si fermò.
Non poteva fare nulla. Perché quella donna nuda, lucida di piacere, che aveva sempre considerato “la sua” — ora non era più sua.
Il ragazzo si avvicinò a Silvia con lentezza.
Le aprì il vestito con cura. Lo tenne alto per permetterle di infilarsi dentro.
Le chiuse i bottoni, uno a uno, come un rituale. Le sistemò i capelli, le tolse un grumo di rossetto sbavato dall’angolo delle labbra.
Nessuna fretta. Nessuna volgarità.
Silvia non parlava. Respirava.
Con calma. Con padronanza.
Come se tutto fosse cambiato in quell’ora di buio e carne.
Il marito si avvicinò. Le prese la mano. Gliela baciò. Non osava guardarla negli occhi.
Poi si voltò verso il ragazzo.
«Grazie,» mormorò.
Il ragazzo annuì, neutro.
Ma Silvia non si mosse.
Fu lei a rompere il silenzio.
«A che ora finisci?»
Il ragazzo la guardò.
«Alle tre.»
Silvia si avvicinò.
Gli posò le labbra all’orecchio.
Gli sussurrò l’indirizzo di casa.
Via Savona 56. Citofono Malavasi. Terzo piano.
Poi si voltò verso il marito.
«Ti va un altro bicchiere di vino?»
«A casa?»
Silvia sorrise.
«Sì. Ti aspetto lì.»
Fece un passo. Poi si voltò di nuovo verso il ragazzo.
«Ti aspettiamo dopo.»
E lo disse senza ammiccamenti, senza malizia, senza vergogna.
Solo come chi ha finalmente deciso di prendere tutto ciò che desidera.
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