La gabbia di Isabella (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
Marco si era girato, sempre seduto cavalcioni.
Il culo era proprio sopra il suo viso, stesa sul letto ancora ammanettata ai polsi, con quelle manette strette attorno alle sue carni.
“Tieni bene aperti gli occhi”.
Il Padrone stava per sedersi sulla sua faccia. Sapeva benissimo che avrebbe dovuto tenere aperti gli occhi, non solo perché a lui piaceva così, ma anche per lei. La eccitava vedere quel culo che piano piano si abbassava sul suo viso che, presto, sarebbe sparito sotto le natiche del Padrone.
Proprio perché lo spettacolo non era bello, la eccitava, andando a soddisfare quella parte di lei che non aveva mai controllato e che l’aveva fatta allontanare dal suo primo marito perchè, scoperta questa sessualità, lui non era stato in grado di appagarla e che, anzi, non aveva capito, né la sessualità né lei.
Il culo del suo primo marito sul suo viso era l’ultimo ricordo di una esperienza erotica fallimentare. Dopo quella volta avevano definitivamente litigato, perchè lei voleva cose che lui non poteva darle o, forse, perchè nell’insieme non le poteva dare più niente, nemmeno il sesso.
Adesso, quelle natiche che si abbasavano sulla sua faccia, la sua lingua che si infilava in quel culo per penetrarlo, leccandone il contorno e cercando di entrare, le dimostrava che quella sessualità, fallita col marito, poteva esistere, anche senza il marito o un marito. Non si più sposata o convissuto. Si era accorta di essere incapace di gestire i rapporti umani e, forse, era stato quello a far fallire il suo matrimonio.
Con Marco era facile, era solo sesso, dominio, frusta, cazzo in culo senza lubrificante o in figa, sperma in bocca o in faccia, quel sesso forte e pieno, che la riempie e la lascia priva di forze per il dolore e la fatica alla quale viene sottoposta.
Adesso era lì, col viso verso quel culo peloso che si stava abbassando e che tra pochi secondi avrebbe usato la sua faccia come sedile, col naso tra le natiche e la bocca in corrispondenza del buco che avrebbe dovuto leccare.
il Padrone si era abbassato ma era rimasto appena appena a contatto del viso, per darle modo di leccare ma ancora di respirare. Solo dopo alcuni secondi si era abbassato definitivamente, togliendole anche l’aria che le avrebbe concesso successivamente per brevi e preziosi momenti, quando si sarebbe alzato a seguito dei suoi contorcimenti per l’assenza di ossigeno. Le avrebbe concesso quel tanto che bastava e del quale avrebbe dovuto fare tesoro per i prossimi secondi.
Mentre leccava in apnea, sentì le dita del Padrone intorno ai suoi seni.
Temeva e aspettava quel suo divertimento.
L’uomo iniziò a torcerle i capezzoli, fino a provocare mugolii sotto il suo culo che, quando diventavano troppo rumorosi, sparivano sotto le sue natiche che impedivano ogni emissione di suoni.
In un momento in cui il Padrone le aveva ridato luce ed aria alzando il grosso culo dalla sua faccia, aveva sentito l’ordine diretto alla giovane schiava inginocchiata.
“Passami il frustino".
Benchè lo strumento avrebbe potuto essere per la giovane pelle in attesa, Isabella sapeva, sentiva che era per lei, per la sua figa che infatti venne colpita dalla paletta mentre la sua lingua era nel culo.
Le cosce restavano volontariamente aperte per esporre il sesso al prossimo colpo, anch’esso temuto ed aspettato.
Eccone un altro, e un altro ancora.
Si immaginava la figa arrossata, i capezzoli turgidi per essere stati strizzati.
Era bagnata, lo sentiva, lo sapeva, le sembrava di esserlo più del dovuto, dimentica dell’ex marito e degli anni di solitudine che erano seguiti, concentrata solo su quel cazzo di dolore e quel cazzo di culo sulla bocca.
“Sali sul letto”.
Altro ordine che aveva sentito quando le aveva regalato prezioso ossigeno.
Evidentemente si alzava in modo che lei, sedile umano, lo sentisse.
Sentì movimento sul letto provocato dalla schiava che stava salendo.
La immaginò ancora ammanettata, ma fu una brevissima immagine, per poi concentrarsi sul suo lavoro di lingua e sulla conservazione delle energie.
Anche la giovane schiava si era messa cavalcioni su di lei, ma in modo che, piegata in avanti, potesse leccare quel cazzo la cui vista a lei era impedita, ma che immaginava durissimo, anche se non proprio enorme.
L’aveva sempre colpita la durezza di quel cazzo, non le dimensioni. Quando la scopava era come avere dentro sasso, tanto era duro. Ultimamente non la scopava più, preferendo quella giovane figa che adesso glielo stava succhiando.
Isabella sarà anche stata ancora bella, ma non era certo più giovane.
Da lì sotto, dove si trovava, non capiva cosa stesse succedendo.
Cercava di visualizzare il Padrone, seduto cavalcioni sulla sua faccia e il suo cazzo dentro quella giovane bocca mentre lei gli leccava il culo.
Ogni tanto l’uomo si alzava per farla respirare e, in quel mentre, sentiva il frustino che colpiva la pelle di colei che glielo stava succhiando.
Le mancava quel frustino del quale aveva paura. Il Padrone lo dedicava sempre più alla giovane pelle di quell’altra.
Non gli aveva mai detto nulla, non si era mai lamentata anche se aveva sempre atteso di essere colpita negli ultimi incontri in cui veniva sempre più schiavizzata, sempre più relegata a strumento piuttosto che generatrice di piacere.
Lo sentì muoversi sempre più, agitarsi sulla sua faccia, come se fosse impaziente. Lo conosceva, si stava preparando all’orgasmo.
Sentì ad un certo punto che muoveva il bacino. Dal movimento si immaginava il Padrone che teneva ferma per i capelli la giovane bocca che stava scopando, spingendo quel cazzo duro fino in fondo, fino a godere.
I movimenti divennero sempre più forti e rapidi, pieni, prepotenti e forti, fino a che, dopo avere goduto in quella giovane bocca, non si sedette sul suo viso, per rilassarsi.
Lei aveva inteso ciò che era accaduto e fece appena in tempo a girare il capo, in modo che lui potesse sedersi sulla sua guancia.
Ormai la lingua nel culo non serviva più. Il Padrone doveva solo rilassarsi e restare comodo, fino a che il respiro ed il battito cardiaco non si fossero calmati.
Pur senza avere la certezza, immaginò che stesse ancora tenendo i capelli della giovane bocca, in modo che il cazzo fosse ancora dentro, così che lei potesse raccogliere le ultime gocce di sperma.
Il culo era proprio sopra il suo viso, stesa sul letto ancora ammanettata ai polsi, con quelle manette strette attorno alle sue carni.
“Tieni bene aperti gli occhi”.
Il Padrone stava per sedersi sulla sua faccia. Sapeva benissimo che avrebbe dovuto tenere aperti gli occhi, non solo perché a lui piaceva così, ma anche per lei. La eccitava vedere quel culo che piano piano si abbassava sul suo viso che, presto, sarebbe sparito sotto le natiche del Padrone.
Proprio perché lo spettacolo non era bello, la eccitava, andando a soddisfare quella parte di lei che non aveva mai controllato e che l’aveva fatta allontanare dal suo primo marito perchè, scoperta questa sessualità, lui non era stato in grado di appagarla e che, anzi, non aveva capito, né la sessualità né lei.
Il culo del suo primo marito sul suo viso era l’ultimo ricordo di una esperienza erotica fallimentare. Dopo quella volta avevano definitivamente litigato, perchè lei voleva cose che lui non poteva darle o, forse, perchè nell’insieme non le poteva dare più niente, nemmeno il sesso.
Adesso, quelle natiche che si abbasavano sulla sua faccia, la sua lingua che si infilava in quel culo per penetrarlo, leccandone il contorno e cercando di entrare, le dimostrava che quella sessualità, fallita col marito, poteva esistere, anche senza il marito o un marito. Non si più sposata o convissuto. Si era accorta di essere incapace di gestire i rapporti umani e, forse, era stato quello a far fallire il suo matrimonio.
Con Marco era facile, era solo sesso, dominio, frusta, cazzo in culo senza lubrificante o in figa, sperma in bocca o in faccia, quel sesso forte e pieno, che la riempie e la lascia priva di forze per il dolore e la fatica alla quale viene sottoposta.
Adesso era lì, col viso verso quel culo peloso che si stava abbassando e che tra pochi secondi avrebbe usato la sua faccia come sedile, col naso tra le natiche e la bocca in corrispondenza del buco che avrebbe dovuto leccare.
il Padrone si era abbassato ma era rimasto appena appena a contatto del viso, per darle modo di leccare ma ancora di respirare. Solo dopo alcuni secondi si era abbassato definitivamente, togliendole anche l’aria che le avrebbe concesso successivamente per brevi e preziosi momenti, quando si sarebbe alzato a seguito dei suoi contorcimenti per l’assenza di ossigeno. Le avrebbe concesso quel tanto che bastava e del quale avrebbe dovuto fare tesoro per i prossimi secondi.
Mentre leccava in apnea, sentì le dita del Padrone intorno ai suoi seni.
Temeva e aspettava quel suo divertimento.
L’uomo iniziò a torcerle i capezzoli, fino a provocare mugolii sotto il suo culo che, quando diventavano troppo rumorosi, sparivano sotto le sue natiche che impedivano ogni emissione di suoni.
In un momento in cui il Padrone le aveva ridato luce ed aria alzando il grosso culo dalla sua faccia, aveva sentito l’ordine diretto alla giovane schiava inginocchiata.
“Passami il frustino".
Benchè lo strumento avrebbe potuto essere per la giovane pelle in attesa, Isabella sapeva, sentiva che era per lei, per la sua figa che infatti venne colpita dalla paletta mentre la sua lingua era nel culo.
Le cosce restavano volontariamente aperte per esporre il sesso al prossimo colpo, anch’esso temuto ed aspettato.
Eccone un altro, e un altro ancora.
Si immaginava la figa arrossata, i capezzoli turgidi per essere stati strizzati.
Era bagnata, lo sentiva, lo sapeva, le sembrava di esserlo più del dovuto, dimentica dell’ex marito e degli anni di solitudine che erano seguiti, concentrata solo su quel cazzo di dolore e quel cazzo di culo sulla bocca.
“Sali sul letto”.
Altro ordine che aveva sentito quando le aveva regalato prezioso ossigeno.
Evidentemente si alzava in modo che lei, sedile umano, lo sentisse.
Sentì movimento sul letto provocato dalla schiava che stava salendo.
La immaginò ancora ammanettata, ma fu una brevissima immagine, per poi concentrarsi sul suo lavoro di lingua e sulla conservazione delle energie.
Anche la giovane schiava si era messa cavalcioni su di lei, ma in modo che, piegata in avanti, potesse leccare quel cazzo la cui vista a lei era impedita, ma che immaginava durissimo, anche se non proprio enorme.
L’aveva sempre colpita la durezza di quel cazzo, non le dimensioni. Quando la scopava era come avere dentro sasso, tanto era duro. Ultimamente non la scopava più, preferendo quella giovane figa che adesso glielo stava succhiando.
Isabella sarà anche stata ancora bella, ma non era certo più giovane.
Da lì sotto, dove si trovava, non capiva cosa stesse succedendo.
Cercava di visualizzare il Padrone, seduto cavalcioni sulla sua faccia e il suo cazzo dentro quella giovane bocca mentre lei gli leccava il culo.
Ogni tanto l’uomo si alzava per farla respirare e, in quel mentre, sentiva il frustino che colpiva la pelle di colei che glielo stava succhiando.
Le mancava quel frustino del quale aveva paura. Il Padrone lo dedicava sempre più alla giovane pelle di quell’altra.
Non gli aveva mai detto nulla, non si era mai lamentata anche se aveva sempre atteso di essere colpita negli ultimi incontri in cui veniva sempre più schiavizzata, sempre più relegata a strumento piuttosto che generatrice di piacere.
Lo sentì muoversi sempre più, agitarsi sulla sua faccia, come se fosse impaziente. Lo conosceva, si stava preparando all’orgasmo.
Sentì ad un certo punto che muoveva il bacino. Dal movimento si immaginava il Padrone che teneva ferma per i capelli la giovane bocca che stava scopando, spingendo quel cazzo duro fino in fondo, fino a godere.
I movimenti divennero sempre più forti e rapidi, pieni, prepotenti e forti, fino a che, dopo avere goduto in quella giovane bocca, non si sedette sul suo viso, per rilassarsi.
Lei aveva inteso ciò che era accaduto e fece appena in tempo a girare il capo, in modo che lui potesse sedersi sulla sua guancia.
Ormai la lingua nel culo non serviva più. Il Padrone doveva solo rilassarsi e restare comodo, fino a che il respiro ed il battito cardiaco non si fossero calmati.
Pur senza avere la certezza, immaginò che stesse ancora tenendo i capelli della giovane bocca, in modo che il cazzo fosse ancora dentro, così che lei potesse raccogliere le ultime gocce di sperma.
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