Marcello e la Padrona (parte 3)

di
genere
sadomaso

Marcello era già eccitato dalla mattina. Un ulteriore crescita del suo sesso lo ebbe quando la signora gli aprì la porta. Aveva pensato di trovarsela di fronte in autoreggenti e tacchi a spillo. Invece trovò una donna vestita con un abito estivo, bianco ed aderente, che esaltava un corpo evidentemente tenuto benissimo da massaggi e sport.
Nessun saluto, nessun bacio sulla guancia.
Erano spariti gli abiti ricercati coi quali l’aveva conosciuta alla festa. A prima vista non era nemmeno truccata. Non ne aveva bisogno, stavano per fare sesso, non doveva sedurlo.
Apprezzò la bellezza non sfiorita per l’età. Ciò che lo attrasse fu ciò che lo aveva paralizzato quella sera, cioè il suo atteggiamento, la sua sicurezza, il suo sguardo fermo, come se non si aspettasse mai un rifiuto, quanto meno da lui.
Quello più di altro lo aveva colpito e continuava ad apparirgli nel suo io più profondo, in quei giorni di indecisione.
“Spogliati, tesoro”.
La guardò impacciato, mentre nelle narici avvertiva il profumo di quella donna che sentiva sempre più pericolosa per la sua comfort zone. Non si stupì di avvertire una fragranza forte e decisa.
“Qui?”
“Tesoro, la prima cosa che devi imparare è l’ubbidienza”.
Il sorriso della donna non aveva mitigato, bensì amplificato, la forza di quella frase che, al pari del momento in cui gli aveva fissato “l’appuntamento”, era in realtà un ordine.
Marcello non seppe sottrarsi, non volle sottrarsi nonostante avesse iniziato a ben comprendere quali sarebbero state le regole del gioco.
Quasi sempre c’è la possibilità di una scelta e la sua passività fu una scelta.
Si sentì come se quella donna avesse scavato nel suo profondo e avesse visto cose che a lui stesso erano ignote, benché esistenti.
Si sentì nudo ancor prima che iniziasse a togliersi gli abiti, divenuti improvvisamente di troppo e, anzi, come se scottassero. Sentì improvvisamente che era giusto ciò che stava facendo, non per la signora, che avrebbe ottenuto ciò che voleva, ma per lui, come se non avesse avuto alternative, come se quella parte nascosta avesse preso il controllo di una situazione che lui non riusciva a controllare.
“Bravo tesorino, vedrai che andremo d’accordo”.
La carezza sul suo viso, se fosse stata d’affetto, sarebbe risultata fuori luogo.
“Ora inginocchiati”.
Quest’ordine lo lasciò esterrefatto ma non sorpreso, come se se lo aspettasse e ne avesse paura, non tanto per l’atto in sé, quanto perché sapeva che non avrebbe potuto, o voluto, resistere al suo desiderio di inginocchiarsi.
Cambiando la prospettiva, il punto di vista, tutto cambia.
In ginocchio, davanti a quella donna, non vide la sua bellezza e la sua forma fisica, il suo abito bianco il cui candore era in contrasto con quella situazione forte e anormale, almeno per lui. In quella donna vedeva proiettata una parte di sé e dei suoi desideri, come se solo adesso vedesse qualcosa che riguardava lui, non lei.
Se non avesse avuto confusione in testa, avrebbe potuto chiedersi se era lui, in ginocchio, che serviva lei o se, invece, fosse lei, in piedi, a servire a quella parte di lui che gli faceva accettare con naturalezza quella posizione socialmente non accettabile, ma utile all’intimità più profonda.
“Forza tesorino, su, baciami i piedi”.
Il cazzo ebbe comunque una reazione che non poteva nascondere e denunziava l’immediata circolazione del sangue che si sentiva al suo interno, portatore di una pressione sanguigna che gli sembrava facesse girare la testa.
Le sue ginocchia si abbassarono a terra così come il suo capo, fino a raggiungere i piedi nelle scarpette eleganti, anch’esse bianche.
Compiendo quel gesto, aveva completato ciò che era iniziato nella sua scelta iniziale di obbedire. Si rese conto che aveva ceduto a sé stesso, non a lei.
Gli sembrò naturale, a quel punto, sentirsi posare sulla testa la scarpa che gli schiacciò il capo a terra, la cui forza risiedeva nella decisione e non nella pressione.
“Bravo tesorino, tu ubbidisci e vedrai che andremo d’accordo”.
di
scritto il
2025-08-10
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