Marcello e la Padrona (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
Marcello non voleva andare a quella festa in cui gli erano sconosciuti persone, luogo e ambiente. L’unica cosa certa era che tutti questi elementi erano completamente diversi dai suoi. Tutto ciò che era nuovo, non controllato o controllabile, gli faceva paura. Per questo frequentava poche persone e sempre gli stessi posti.
Si era fatto convincere da Francesco, come al solito.
Francesco era la parte nera della sua anima. Marcello si sentiva attratto da lui perchè era completamente diverso, sempre alla ricerca di cose nuove e situazioni improbabili, come se quell’amico potesse essere il suo contatto con ciò di cui aveva paura e che, se in compagnia, avrebbe potuto affrontare meglio.
Il suo amico era venuto a sapere di una festa in una mega villa, piena di persone straricche e strafighe. Per lui non era tanto un modo per rimorchiare una gnocca da scopare, quanto il piacere ed il brivido dell’ignoto, di imbucarsi ad una festa qualsiasi, in mezzo a gente sconosciuta e darsi un tono. Non importava se si trattasse di una matrimonio o di una laurea o altro. Era troppo eccitante andare e fingersi qualcuno e gettarsi, non importava dove e come.
Qualche volta li avevano beccati. In un’occasione avevano pure rischiato di prenderle perché gli invitati (quelli veri) erano un pochino bevuti e predisposti ad alzare le mani.
Marcello alla fine aveva ceduto all’invito a partecipare alla “spedizione”, più per non sentirsi tagliato fuori dal gruppo che per propria e vera convinzione o, forse, sempre nella speranza di riuscire a staccarsi dalla sua comfort zone dove tutto era conosciuto e controllato.
Si era sentito anche un figo, alla fine, quando si era vestito dopo la ricerca dell’abito nell’armadio di suo padre.
I suoi amici gli avevano detto che spaccava, e lui gli aveva pure creduto.
Prima di uscire aveva guardato con un senso di colpa il testo di anatomia che quel giorno aveva completamente trascurato, sia per cercare il vestito sia, soprattutto, per l’agitazione.
Si sarebbero imbucati alla festa di un grosso industriale della zona. Girava voce che ci sarebbe stato il Questore ed un Sottosegretario.
D’altro canto, gli avevano detto, ci sarebbe stata anche tanta gnocca. Qualcuno di quelli si sarebbe pure portato la figlia snob no?.
Solo all’arrivo in villa si era reso conto che la convinzione di essere vestito da figo era solo sua, e che gli amici, stronzi, lo avevano preso in giro.
Osservando sia i “vecchi” sia i suoi coetanei, si rese conto che stava indossando un vestito fuori moda.
Maledetto Francesco. Adesso era sparito e lui da lì non poteva muoversi.
Sapeva che avrebbe dovuto venire con la sua auto.
Cazzo! cazzo! cazzo!.
Cercò posti un po’ defilati, sperando, disperatamente, di individuare il suo amico, almeno per farsi dare le chiavi dell’auto dove lo avrebbe aspettato.
Alla fine lo aveva visto, ma era con due giovani gnocche. Una la conosceva, almeno di vista. Frequentava medicina ma non le aveva mai parlato. Troppo inarrivabile, troppo bella. Non si avvicinò per il timore che Francesco lo coinvolgesse in qualche sua palla, facendogli fare una figura peggiore di quella che stava vivendo. C’era pure il rischio che quella lo riconoscesse.
Scese in giardino dove c’era meno gente.
Finse di darsi un tono fumando una sigaretta, appoggiato di spalla ad una colonna.
“Quand’è stata l’ultima volta che tuo padre ha messo quest’abito?”
Benché la voce provenisse dalle sue spalle, sapeva, sentiva, ne era certo che quella donna ce l’avesse con lui.
Si sentì come colto, al supermercato, a rubare un barattolo di nutella. Non aveva bisogno di guardarsi allo specchio per avvertire il rossore che gli bruciava il viso e l’orgoglio. Quello stronzo di Francesco questa volta gliel’avrebbe pagata.
Gli venne in mente il libro di anatomia abbandonato aperto a casa, dove avrebbe voluto essere per studiare.
“Buona sera, signora”.
Far finta di nulla, in questi casi occorreva far finta di nulla.
“Tu ed i tuoi amici vi siete imbucati eh”.
Non riuscì nemmeno a negare. Non ne era capace.
Si sentiva solo rassicurato dal sorriso canzonatorio di quella signora coi capelli lunghi, biondi, molto curati. Era figa, nonostante i quaranta o quarantacinque anni che apparentemente dimostrava. Da giovane quella doveva essere stratosferica. Certo, il vestito ed il trucco giocavano un ruolo fondamentale, ma il corpo era proprio bello ed anche il viso, pur struccato, avrebbe comunque attirato l’attenzione.
Lo sguardo era quello della maestra che becca l’alunno più asino a copiare, più contenta di essere riuscita a scoprirlo che per l’azione in sé, perché da quell’allievo se lo aspettava.
Avrebbe voluto sprofondare e scappare.
“Il tuo amico, di sopra, ha trovato una tipa che gli dà retta. Gli sono passata a fianco e raccontava di essere imparentato con uno importante. La cosa divertente era che la tipa gli credeva. Credo che stasera il tuo amico scopi”.
Marcello era paralizzato. Negare non serviva a nulla. Confermare non era il caso.
Guardava l’espressione divertita della donna, tipica del gatto che gioca col topo.
Decise di darsi un tono, o almeno di cercare di farlo, fingendo quella spavalderia che non aveva. In casi di difficoltà il debole cerca di attaccare, sperando di spaventare l’avversario, usando però armi che non ha o che non sa usare.
“Se passa la serata a cercare chi si è imbucato, vuol dire che pure lei si sta rompendo le palle a questa festa del cazzo”.
Fu sorpreso dalla fragorosa risata della donna la quale gli poggiò la mano sul braccio, tenendola ferma ma morbida. Sembrava un gesto tipico di chi ha confidenza e vuole rassicurare l’interlocutore.
Marcello ebbe la sensazione, anzi la certezza, di avere fatto ancor più danni.
“Questa è casa mia e questa è la mia festa”.
Si sentì svuotato dentro e riuscì ad accennare un risata nervosa che, però, non era riuscita a convincere la donna che aveva davanti.
“Pare che questa non sia la mia serata”.
“Direi di no”.
Il sorriso e l’allegria di quella donna era coinvolgente, avvolgente. Pur volendo imbarazzarlo (riuscendoci, peraltro) teneva anche a rassicurarlo, come volesse prenderlo in giro ma per ridere assieme, senza infierire ma anche senza perdere il controllo della situazione.
“Su, da bravo, vai a prendermi un bicchiere di spumante che ho sete”.
Marcello tornò con due bicchieri.
“Eh no caro, hai già scroccato abbastanza. Tu non bevi, ti ho solo usato per farti guadagnare la serata ed essere utile, almeno come servo”.
Rise mentre bevve tutto d'un fiato il bicchiere che gli riconsegnò, vuoto.
Mentre si stava allontanando con l’altro, gli disse di tornare da lei, in quella casa, sabato mattina alle 11. Si raccomandò di non tardare, ma nemmeno di arrivare prima.
Si era fatto convincere da Francesco, come al solito.
Francesco era la parte nera della sua anima. Marcello si sentiva attratto da lui perchè era completamente diverso, sempre alla ricerca di cose nuove e situazioni improbabili, come se quell’amico potesse essere il suo contatto con ciò di cui aveva paura e che, se in compagnia, avrebbe potuto affrontare meglio.
Il suo amico era venuto a sapere di una festa in una mega villa, piena di persone straricche e strafighe. Per lui non era tanto un modo per rimorchiare una gnocca da scopare, quanto il piacere ed il brivido dell’ignoto, di imbucarsi ad una festa qualsiasi, in mezzo a gente sconosciuta e darsi un tono. Non importava se si trattasse di una matrimonio o di una laurea o altro. Era troppo eccitante andare e fingersi qualcuno e gettarsi, non importava dove e come.
Qualche volta li avevano beccati. In un’occasione avevano pure rischiato di prenderle perché gli invitati (quelli veri) erano un pochino bevuti e predisposti ad alzare le mani.
Marcello alla fine aveva ceduto all’invito a partecipare alla “spedizione”, più per non sentirsi tagliato fuori dal gruppo che per propria e vera convinzione o, forse, sempre nella speranza di riuscire a staccarsi dalla sua comfort zone dove tutto era conosciuto e controllato.
Si era sentito anche un figo, alla fine, quando si era vestito dopo la ricerca dell’abito nell’armadio di suo padre.
I suoi amici gli avevano detto che spaccava, e lui gli aveva pure creduto.
Prima di uscire aveva guardato con un senso di colpa il testo di anatomia che quel giorno aveva completamente trascurato, sia per cercare il vestito sia, soprattutto, per l’agitazione.
Si sarebbero imbucati alla festa di un grosso industriale della zona. Girava voce che ci sarebbe stato il Questore ed un Sottosegretario.
D’altro canto, gli avevano detto, ci sarebbe stata anche tanta gnocca. Qualcuno di quelli si sarebbe pure portato la figlia snob no?.
Solo all’arrivo in villa si era reso conto che la convinzione di essere vestito da figo era solo sua, e che gli amici, stronzi, lo avevano preso in giro.
Osservando sia i “vecchi” sia i suoi coetanei, si rese conto che stava indossando un vestito fuori moda.
Maledetto Francesco. Adesso era sparito e lui da lì non poteva muoversi.
Sapeva che avrebbe dovuto venire con la sua auto.
Cazzo! cazzo! cazzo!.
Cercò posti un po’ defilati, sperando, disperatamente, di individuare il suo amico, almeno per farsi dare le chiavi dell’auto dove lo avrebbe aspettato.
Alla fine lo aveva visto, ma era con due giovani gnocche. Una la conosceva, almeno di vista. Frequentava medicina ma non le aveva mai parlato. Troppo inarrivabile, troppo bella. Non si avvicinò per il timore che Francesco lo coinvolgesse in qualche sua palla, facendogli fare una figura peggiore di quella che stava vivendo. C’era pure il rischio che quella lo riconoscesse.
Scese in giardino dove c’era meno gente.
Finse di darsi un tono fumando una sigaretta, appoggiato di spalla ad una colonna.
“Quand’è stata l’ultima volta che tuo padre ha messo quest’abito?”
Benché la voce provenisse dalle sue spalle, sapeva, sentiva, ne era certo che quella donna ce l’avesse con lui.
Si sentì come colto, al supermercato, a rubare un barattolo di nutella. Non aveva bisogno di guardarsi allo specchio per avvertire il rossore che gli bruciava il viso e l’orgoglio. Quello stronzo di Francesco questa volta gliel’avrebbe pagata.
Gli venne in mente il libro di anatomia abbandonato aperto a casa, dove avrebbe voluto essere per studiare.
“Buona sera, signora”.
Far finta di nulla, in questi casi occorreva far finta di nulla.
“Tu ed i tuoi amici vi siete imbucati eh”.
Non riuscì nemmeno a negare. Non ne era capace.
Si sentiva solo rassicurato dal sorriso canzonatorio di quella signora coi capelli lunghi, biondi, molto curati. Era figa, nonostante i quaranta o quarantacinque anni che apparentemente dimostrava. Da giovane quella doveva essere stratosferica. Certo, il vestito ed il trucco giocavano un ruolo fondamentale, ma il corpo era proprio bello ed anche il viso, pur struccato, avrebbe comunque attirato l’attenzione.
Lo sguardo era quello della maestra che becca l’alunno più asino a copiare, più contenta di essere riuscita a scoprirlo che per l’azione in sé, perché da quell’allievo se lo aspettava.
Avrebbe voluto sprofondare e scappare.
“Il tuo amico, di sopra, ha trovato una tipa che gli dà retta. Gli sono passata a fianco e raccontava di essere imparentato con uno importante. La cosa divertente era che la tipa gli credeva. Credo che stasera il tuo amico scopi”.
Marcello era paralizzato. Negare non serviva a nulla. Confermare non era il caso.
Guardava l’espressione divertita della donna, tipica del gatto che gioca col topo.
Decise di darsi un tono, o almeno di cercare di farlo, fingendo quella spavalderia che non aveva. In casi di difficoltà il debole cerca di attaccare, sperando di spaventare l’avversario, usando però armi che non ha o che non sa usare.
“Se passa la serata a cercare chi si è imbucato, vuol dire che pure lei si sta rompendo le palle a questa festa del cazzo”.
Fu sorpreso dalla fragorosa risata della donna la quale gli poggiò la mano sul braccio, tenendola ferma ma morbida. Sembrava un gesto tipico di chi ha confidenza e vuole rassicurare l’interlocutore.
Marcello ebbe la sensazione, anzi la certezza, di avere fatto ancor più danni.
“Questa è casa mia e questa è la mia festa”.
Si sentì svuotato dentro e riuscì ad accennare un risata nervosa che, però, non era riuscita a convincere la donna che aveva davanti.
“Pare che questa non sia la mia serata”.
“Direi di no”.
Il sorriso e l’allegria di quella donna era coinvolgente, avvolgente. Pur volendo imbarazzarlo (riuscendoci, peraltro) teneva anche a rassicurarlo, come volesse prenderlo in giro ma per ridere assieme, senza infierire ma anche senza perdere il controllo della situazione.
“Su, da bravo, vai a prendermi un bicchiere di spumante che ho sete”.
Marcello tornò con due bicchieri.
“Eh no caro, hai già scroccato abbastanza. Tu non bevi, ti ho solo usato per farti guadagnare la serata ed essere utile, almeno come servo”.
Rise mentre bevve tutto d'un fiato il bicchiere che gli riconsegnò, vuoto.
Mentre si stava allontanando con l’altro, gli disse di tornare da lei, in quella casa, sabato mattina alle 11. Si raccomandò di non tardare, ma nemmeno di arrivare prima.
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