A casa della coppia schiava (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
L’ultima preoccupazione di Andrea era la qualità del cibo che, invece, si stava rivelando migliore di quanto si fosse aspettato.
Anche l’ambientazione aveva superato le sue aspettative. Era sempre attento attento ai particolari, li cercava, li scovava, in ogni cosa che lo interessasse. Erano quelli a fare la differenza e, una volta trovati, in essi cercava la cura dedicata.
Sul tavolo in legno massiccio di realizzazione artigianale, riconoscibile dalle gambe lavorate, era stata messa una tovaglia bianchissima. Il bordo era adornato da un pizzo sottile che la impreziosiva. Non era quella evidentemente una tovaglia che veniva usata quotidianamente. Questo gli dava il senso dell’approccio di quei due giovani sposi verso l’avventura che stavano vivendo in un ruolo opposto al suo.
I tappeti ed i mobili rivelavano ulteriormente la classe della coppia che lo ospitava. Erano stati loro ad insistere affinché l’incontro erotico avvenisse nella loro abitazione, trovando troppo freddo e impersonale un albergo o una casa affittata. Ciò che avevano deciso di provare assieme è una delle cose più calde ed umane in una coppia e, pertanto, anche l’ambientazione avrebbe dovuto aiutare a vivere la loro intimità evidentemente non pregiudicata dall’intervento di una terza persona.
Il tocco definitivo era dato dalla luce ambientale, calda, morbida, avvolgente e, perché no, anche intima, quell’insieme di sensazioni che solo la luce di un camino e delle candele possono dare, avendo affidate a queste la sola fonte di illuminazione della stanza.
Janine e Massimiliano erano persone curate, sia nel corpo sia nell’abbigliamento. L’abitazione, così come solitamente accade, rappresentava le loro personalità che avevano trovato corpo nell’arredamento.
Il Padrone, attento ai dettagli, aveva anche notato ciò che non c’era: fotografie di una vita assieme, oggetti che racchiudono ricordi proiettati nel futuro di una vita assieme. Strana questa cosa, in tutte le case ci sono fotografie.
Massimiliano stava cominciando a dare segni di cedimento. Ormai Andrea era seduto sulla sua schiena da un tempo indefinito, magari breve sull’orologio, ma amplificato dal piacere e dalle sensazioni che riescono a dilatare i minuti, trasformandoli in ore oppure in secondi, veloci o lenti ma carichi di sensazioni e di eccitazione.
L’uomo o, vista l’età del Padrone, il ragazzo, benché curato nel corpo, non poteva non accusare il tempo trascorso a quattro zampe, nella sua funzione di sedia, mentre Andrea, comodamente seduto su di lui, stava assaporando il cibo che la moglie dello schiavo aveva preparato.
Janine, bel nome, francese. L’aveva attratto subito questo particolare. L’accento era esattamente come ci si aspettava, cioè da Francese. Un suo amico era in grado di distinguere se l’accento fosse di Parigi o altrove. Lo eccitava quella erre francese in quella bocca, in quel viso incorniciato da capelli lunghi, lisci e castani che le circondavano il viso e che evidenziavano quegli occhi verdi che sembrava facessero le fusa.
Lei gli piaceva troppo. Non aveva mai schiavizzato una francese.
Era eccitato a sentire sotto il culo la schiena del marito di quella bella schiava.
Gli aveva appena servito il brasato con un contorno di verdure grigliate, ben sistemate sul piatto. Ancora cura per ogni dettaglio.
Il pane stava in un piccolissimo piattino sulla sua sinistra.
In mezzo alla tavola il candelabro emetteva una luce che, pur tremolante, accarezzava il corpo della schiava esaltandone la bellezza.
Gli sembrava di essere fuori dall’epoca attuale, quando l’unica fonte di luce era quella ed i Signori cenavano con candelabri preziosi, su tavoli di legno realizzati a mano, col calore del camino.
Mentre gustava la pietanza, intinse appena il pane e lo gettò a terra.
Janine, dopo averlo servito, aveva obbedito al comando silenzioso dell’indice verso terra e si era inginocchiata. Il Padrone non le aveva detto nulla. Si era seduta sui talloni e unito i polsi dietro alla schiena. L’effetto era quello di evidenziare i seni che non erano grandissimi ma proporzionati su quel corpo magro e abbronzato. La testa leggermente china e la schiena ritta.
Mantenendo la testa verso il basso, aveva alzato gli occhi per guardarlo, in attesa di comprendere il gesto.
“Mangia”.
Il Padrone, seduto sulla schiena del marito di quel bel viso incorniciato dai capelli, la osservò mentre poggiò i palmi delle mani a terra e, scodinzolando, si diresse a raccogliere il cibo con la bocca. Nel farlo ebbe l’accortezza di rivolgere il culo al Padrone, così che potesse ammirarlo.
Il gioco continuò per tutto il secondo.
Per il dolce, invece, aveva altri programmi di divertimento.
Mandò sotto il tavolo il bel viso circondato dai capelli castani.
Le ordinò di togliergli le scarpe e mettere le mani sotto i suoi piedi che avrebbe dovuto leccare, leccare, leccare.
Il Padrone voleva che la lingua fosse piatta e percorresse tutto il piede, accompagnata dalla testa che si muoveva per far strisciare la lingua.
Cazzo se ci sapeva fare. Verso la fine della leccata, la francesina muoveva la lingua come se leccasse un gelato, indurendola nell’ultimo tratto, per poi ritornare piatta sulla parte bassa del piede, o sulla parte alta dalla quale poi scendeva, o di lato, mentre con la lingua cercava la pianta.
Andrea immaginava quella lingua sul cazzo o nel culo, dispensatrice di piacere erotico da paura.
Il marito della erre francese si stava agitando, evidentemente affaticato.
Si accorse che moglie e marito si stavano guardando ed ebbe una sensazione che non si aspettava, quasi di freddo, di gelo che si insinuava nelle pieghe del piacere che stava provando per quella fantastica lingua che accarezzava il piede, in quel gesto estremo di adorazione.
Eppure quella lama fredda si era insinuata. La mise da parte, cercò di metterla da parte, pensò di averla messa da parte, come non fosse esistita.
Anche l’ambientazione aveva superato le sue aspettative. Era sempre attento attento ai particolari, li cercava, li scovava, in ogni cosa che lo interessasse. Erano quelli a fare la differenza e, una volta trovati, in essi cercava la cura dedicata.
Sul tavolo in legno massiccio di realizzazione artigianale, riconoscibile dalle gambe lavorate, era stata messa una tovaglia bianchissima. Il bordo era adornato da un pizzo sottile che la impreziosiva. Non era quella evidentemente una tovaglia che veniva usata quotidianamente. Questo gli dava il senso dell’approccio di quei due giovani sposi verso l’avventura che stavano vivendo in un ruolo opposto al suo.
I tappeti ed i mobili rivelavano ulteriormente la classe della coppia che lo ospitava. Erano stati loro ad insistere affinché l’incontro erotico avvenisse nella loro abitazione, trovando troppo freddo e impersonale un albergo o una casa affittata. Ciò che avevano deciso di provare assieme è una delle cose più calde ed umane in una coppia e, pertanto, anche l’ambientazione avrebbe dovuto aiutare a vivere la loro intimità evidentemente non pregiudicata dall’intervento di una terza persona.
Il tocco definitivo era dato dalla luce ambientale, calda, morbida, avvolgente e, perché no, anche intima, quell’insieme di sensazioni che solo la luce di un camino e delle candele possono dare, avendo affidate a queste la sola fonte di illuminazione della stanza.
Janine e Massimiliano erano persone curate, sia nel corpo sia nell’abbigliamento. L’abitazione, così come solitamente accade, rappresentava le loro personalità che avevano trovato corpo nell’arredamento.
Il Padrone, attento ai dettagli, aveva anche notato ciò che non c’era: fotografie di una vita assieme, oggetti che racchiudono ricordi proiettati nel futuro di una vita assieme. Strana questa cosa, in tutte le case ci sono fotografie.
Massimiliano stava cominciando a dare segni di cedimento. Ormai Andrea era seduto sulla sua schiena da un tempo indefinito, magari breve sull’orologio, ma amplificato dal piacere e dalle sensazioni che riescono a dilatare i minuti, trasformandoli in ore oppure in secondi, veloci o lenti ma carichi di sensazioni e di eccitazione.
L’uomo o, vista l’età del Padrone, il ragazzo, benché curato nel corpo, non poteva non accusare il tempo trascorso a quattro zampe, nella sua funzione di sedia, mentre Andrea, comodamente seduto su di lui, stava assaporando il cibo che la moglie dello schiavo aveva preparato.
Janine, bel nome, francese. L’aveva attratto subito questo particolare. L’accento era esattamente come ci si aspettava, cioè da Francese. Un suo amico era in grado di distinguere se l’accento fosse di Parigi o altrove. Lo eccitava quella erre francese in quella bocca, in quel viso incorniciato da capelli lunghi, lisci e castani che le circondavano il viso e che evidenziavano quegli occhi verdi che sembrava facessero le fusa.
Lei gli piaceva troppo. Non aveva mai schiavizzato una francese.
Era eccitato a sentire sotto il culo la schiena del marito di quella bella schiava.
Gli aveva appena servito il brasato con un contorno di verdure grigliate, ben sistemate sul piatto. Ancora cura per ogni dettaglio.
Il pane stava in un piccolissimo piattino sulla sua sinistra.
In mezzo alla tavola il candelabro emetteva una luce che, pur tremolante, accarezzava il corpo della schiava esaltandone la bellezza.
Gli sembrava di essere fuori dall’epoca attuale, quando l’unica fonte di luce era quella ed i Signori cenavano con candelabri preziosi, su tavoli di legno realizzati a mano, col calore del camino.
Mentre gustava la pietanza, intinse appena il pane e lo gettò a terra.
Janine, dopo averlo servito, aveva obbedito al comando silenzioso dell’indice verso terra e si era inginocchiata. Il Padrone non le aveva detto nulla. Si era seduta sui talloni e unito i polsi dietro alla schiena. L’effetto era quello di evidenziare i seni che non erano grandissimi ma proporzionati su quel corpo magro e abbronzato. La testa leggermente china e la schiena ritta.
Mantenendo la testa verso il basso, aveva alzato gli occhi per guardarlo, in attesa di comprendere il gesto.
“Mangia”.
Il Padrone, seduto sulla schiena del marito di quel bel viso incorniciato dai capelli, la osservò mentre poggiò i palmi delle mani a terra e, scodinzolando, si diresse a raccogliere il cibo con la bocca. Nel farlo ebbe l’accortezza di rivolgere il culo al Padrone, così che potesse ammirarlo.
Il gioco continuò per tutto il secondo.
Per il dolce, invece, aveva altri programmi di divertimento.
Mandò sotto il tavolo il bel viso circondato dai capelli castani.
Le ordinò di togliergli le scarpe e mettere le mani sotto i suoi piedi che avrebbe dovuto leccare, leccare, leccare.
Il Padrone voleva che la lingua fosse piatta e percorresse tutto il piede, accompagnata dalla testa che si muoveva per far strisciare la lingua.
Cazzo se ci sapeva fare. Verso la fine della leccata, la francesina muoveva la lingua come se leccasse un gelato, indurendola nell’ultimo tratto, per poi ritornare piatta sulla parte bassa del piede, o sulla parte alta dalla quale poi scendeva, o di lato, mentre con la lingua cercava la pianta.
Andrea immaginava quella lingua sul cazzo o nel culo, dispensatrice di piacere erotico da paura.
Il marito della erre francese si stava agitando, evidentemente affaticato.
Si accorse che moglie e marito si stavano guardando ed ebbe una sensazione che non si aspettava, quasi di freddo, di gelo che si insinuava nelle pieghe del piacere che stava provando per quella fantastica lingua che accarezzava il piede, in quel gesto estremo di adorazione.
Eppure quella lama fredda si era insinuata. La mise da parte, cercò di metterla da parte, pensò di averla messa da parte, come non fosse esistita.
3
voti
voti
valutazione
8.3
8.3
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Abbraccio
Commenti dei lettori al racconto erotico