La pianista (parte 1)

di
genere
sadomaso

Sophie si alzò dal pianoforte e si rivolse al pubblico, al suo pubblico, un insieme di persone sconosciute alle quali aveva donato emozioni con le sue interpretazioni di una musica classica immortale, perché ormai, priva di evoluzione, è stata consegnata alla storia.
Mentre le note uscivano dal pianoforte e si dirigevano verso l’anima degli astanti, lei riuscì ad essere un tutt’uno con lo strumento, senza sentire altro, respirare altro, vivere altro, in una bolla in cui la sua vita era sparita, la sua vita con le ansie che la circondano, concentrata solo a dare vita alle note sul pentagramma.
Mentre suonava non esisteva nemmeno più il mondo, ma solo le sue mani sulla tastiera che magicamente emetteva note piene della sua anima che si fondeva con quella di ciascuna persona del pubblico, che la riceveva per mischiarla alla propria, generando tante emozioni quanti erano coloro seduti in sala.
Gli applausi restituirono a Sophie tutto il calore che lei aveva donato, le entrarono nell’anima e la fecero sentire parte di quelle persone, riempiendo così la solitudine che la attanaglia quotidianamente.
Mentre si stava dirigendo al camerino, avvertì gli sguardi dei musicisti sullo spacco dell’abito da sera che metteva in mostra la sua lunga gamba, a partire dalla caviglia che la slanciava dal tacco a spillo di 12 centimetri.
L’esibizionismo ha sempre fatto parte delle sue sensibilità. Le piaceva essere ammirata, sapere che gli uomini indugiavano ad esaminare la pelle delle cosce e della scollatura ancor prima che si sedesse sul seggiolino per suonare. Immaginava gli sguardi tesi a capire se fosse vera la leggenda secondo la quale non indossasse mai le mutandine durante i concerti.
Il suo abbigliamento, che superava il limite della sobrietà, faceva tanto discutere nell’ambiente della musica classica. Eppure la sua bravura quale giovane pianista, era riuscita a superare le ritrosie di molti produttori.
Ancora riscaldata dagli applausi, iniziò la transizione dalla bolla nella quale aveva vissuto durante il concerto, verso il mondo reale.
La mente la portò a chiedersi se anche quella sera avrebbe trovato la solita orchidea che spiccava tra tutti i fiori che trovava in camerino. Conosceva il pregio ed il valore di quel fiore, sempre accompagnato da un bigliettino di pergamena arrotolata e chiusa da un nastro rosso di seta. Il foglietto recava sempre una sola parola, un aggettivo: “eccitantissima!”, scritta con una stilografica. Mai una firma, un nome, un simbolo, qualcosa che lasciasse trapelare qualche informazione sul mittente.
Ad ogni concerto, in ogni città, in ogni stato, trovava quel dono, come se il suo ammiratore la stesse accompagnando in quel tour che ogni primo sabato del mese la portava in una diversa capitale europea.
Nel cercare, vanamente, il dono ormai atteso, non individuò subito la scatoletta elegante chiusa con il consueto nastro di seta rosso, posata davanti allo specchio. L’ormai conosciuta pergamena arrotolata le svelò in anticipo l’identità del mittente.
La curiosità le spinse a non dedicare attenzione agli altri fiori per aprire immediatamente il dono. La perla posta all’interno era poggiata su un cuscinetto di velluto nero.
Il cuore che le batteva forte quando spiegò la pergamena, ebbe un ulteriore incremento dei battiti quando lesse l’indicazione di un luogo, una data, un orario.
Aveva solo due ore per farsi una doccia, vestirsi e truccarsi. Anzi no, lasciò stare il trucco e, dopo la doccia, indossò il medesimo vestito del concerto. Pensò se mettere le autoreggenti, ma poi accantonò l’idea scegliendo invece una giarrettiera. La pelle che si vedeva dalle scollature sulla schiena e sul petto privo di reggiseno, era della medesima tonalità di quella delle gambe. Inevitabile che il pensiero fosse se il sole avesse o meno annerito anche parti solitamente più bianche.
Mentre si recava all’appuntamento, non sapeva se ciò che stesse provando fosse il timore o la speranza di una serata di sesso con uno sconosciuto, cosa a lei non insolita, preferendo la frequentazione di cazzi che non sarebbero più apparsi a darle fastidio in quel periodo in cui la solitudine era la sua unica gradita compagnia.
L’uomo che la attendeva le piacque. Non era bello, ma il suo carattere determinato trovava espressione in ogni frase e sottolineato da uno sguardo che a tratti sapeva essere luminoso ed oscuro allo stesso tempo.
Si immaginò spogliata e offerta al tocco affamato delle sue mani, fino ad arrivare ad essere riempita di lui con quell’impeto che gli immaginava osservando la parte oscura dello sguardo.
Quando la cena finì, classificò quale “delusione” la serata svoltasi senza che le guardasse il corpo o le facesse proposte per una scopata che lei non avrebbe rifiutato, più affascinata che respinta dai suoi capelli ormai bianchi.
Ebbe la certezza di non essergli piaciuta, posto che al concerto successivo non trovò nessun dono in camerino.
Il concerto successivo ancora vide in lei maggior speranza, che negava a sé stessa, di trovare un suo segno.
Eccola lì, l’orchidea e la pergamena.
La rabbia nell’essere stata respinta e ignorata le fece aprire il foglietto solo poco prima di uscire dal camerino, come se l’attesa potesse donarle quella sorta di rivalsa benché non fosse nota al mittente.
Aspettandosi il solito riferimento al desiderio sessuale, trovò una frase stesa su più righe, sempre scritta con l’elegante stilografica.
“La invito ad esibirsi nella Sonata per pianoforte Hammerklavier.
Dovrà essere totalmente nuda.
Se terminerà la prestazione senza sbagliare una nota, potrà rivestirsi e andarsene.
Se, invece, dovesse sbagliare anche una sola nota, lei sarà la mia schiava per un'intera notte”.
In luogo della firma, vi era il disegno di un frustino.
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2025-07-08
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