La pianista (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
“La invito ad esibirsi nella Sonata per pianoforte Hammerklavier.
Dovrà essere totalmente nuda.
Se terminerà la prestazione senza sbagliare una nota, potrà rivestirsi e andarsene.
Se, invece, dovesse sbagliare anche una sola nota, lei sarà la mia schiava per un'intera notte”.
Il campo visivo le si restrinse per avere quali unici confini la pergamena. Si soffermò sul disegno del frustino. Il battito ebbe una accelerata improvvisa e, suo malgrado, si sentì bagnare la figa ancora priva della protezione delle mutandine che, nemmeno quella sera, aveva indossato.
Si sentì nuda, spogliata, vista, ammirata ma non toccata se non dall’estremità del frustino che le sembrava di sentirsi percorrere sulla pelle della schiena nuda, minacciosamente carico di promesse.
La terza persona in quella frase così forte e travolgente, ebbe l’effetto di infondere una strana sensazione di sicurezza, proiettandole l’immagine della persona garbata e affascinante con la quale si era intrattenuta ormai due mesi addietro e che aveva prima desiderato avere tra le cosce e, poi, odiato per essersi sentita respinta.
Si sentì spiazzata e chiusa in una gabbia priva di sbarre, come se lei stessa si fosse collocata in quell’area dalla quale non sembrava avere voglia di fuggire.
La sfidava quello stronzo, proprio sulla sua bravura, e poneva sul piatto un prezzo altissimo, la sua schiavitù in cambio di una cosa per lei semplicissima.
Sembrava quasi uno schiaffo dato con un guanto tenuto in una mano e l’appuntamento fissato all’alba, in un campo dietro ad una chiesa, nel 1500.
Schiava. Non aveva mai ricevuto una simile richiesta. Stronzo!.
La rabbia le serviva per nasconderle la figa bagnata, attirata da quella scommessa e dal rischio, dalla sfacciataggine che contrastava con l’eleganza di quella persona attempata e imprevedibile che, nel corso del corteggiamento, l’aveva sorpresa più volte, troppe volte per non portarla ad accettare.
Cazzo!!! La Sonata per pianoforte “Hammerklavier”. Come poteva pensare che sbagliasse un pezzo per lei così facile.
Mentre, ad alta, voce, pronunciò la parola “stronzo!!!”, si sentì pulsare la figa e provò una piacevole tensione alla bocca dello stomaco.
Il guanto venne raccolto.
La sera che l’avrebbe vista recarsi alla sfida, non indossò nulla sotto il vestito di gala dotato di generose scollature e spacchi, fatto realizzare appositamente per lei in modo che evidenziasse il suo corpo giovane ed atletico, così da rendere desiderabile ciò che la sobrietà dell’abito ed il suo sguardo professionale rendevano inarrivabile.
Il conflitto interiore la tormentò già dalla sera precedente. La facilità della sfida le aveva instillato dubbi nel tempo trascorso tra l’invito e la data scelta.
L’insicurezza che le crebbe dentro sempre più, alimentava gli umori alla figa, perché la posta in gioco era alta: schiava per una notte, cazzo!!!.
Le vie illuminate della città che scorrevano veloci dal sedile posteriore del taxi non riuscirono a distrarla. Il viaggio le sembrò troppo lungo e troppo corto, troppo lento e troppo veloce.
Il desiderio di tornare indietro fu scacciato dalla mano che senza esitazioni aprì la portiera, compiaciuta dallo sguardo del taxista che non poteva certo immaginare che stava andando a rischiare di essere una schiava.
Il suo ospite la accolse in abito da sera, quello che ci si aspetta ad una prima.
L’ambiente era scaldato dalle luci di tante candele profumate.
L'eleganza dell'inchino per portare la mano alle labbra che non la sfiorarono, contrastava con il desiderio di averla schiava.
“E’ bellissima…”
Il complimento le sembrò incompleto, come se avesse voluto aggiungere un riferimento alla posta in gioco. Invece nessun’altra parola fece seguito, se non l’invito a farsi seguire.
Dovrà essere totalmente nuda.
Se terminerà la prestazione senza sbagliare una nota, potrà rivestirsi e andarsene.
Se, invece, dovesse sbagliare anche una sola nota, lei sarà la mia schiava per un'intera notte”.
Il campo visivo le si restrinse per avere quali unici confini la pergamena. Si soffermò sul disegno del frustino. Il battito ebbe una accelerata improvvisa e, suo malgrado, si sentì bagnare la figa ancora priva della protezione delle mutandine che, nemmeno quella sera, aveva indossato.
Si sentì nuda, spogliata, vista, ammirata ma non toccata se non dall’estremità del frustino che le sembrava di sentirsi percorrere sulla pelle della schiena nuda, minacciosamente carico di promesse.
La terza persona in quella frase così forte e travolgente, ebbe l’effetto di infondere una strana sensazione di sicurezza, proiettandole l’immagine della persona garbata e affascinante con la quale si era intrattenuta ormai due mesi addietro e che aveva prima desiderato avere tra le cosce e, poi, odiato per essersi sentita respinta.
Si sentì spiazzata e chiusa in una gabbia priva di sbarre, come se lei stessa si fosse collocata in quell’area dalla quale non sembrava avere voglia di fuggire.
La sfidava quello stronzo, proprio sulla sua bravura, e poneva sul piatto un prezzo altissimo, la sua schiavitù in cambio di una cosa per lei semplicissima.
Sembrava quasi uno schiaffo dato con un guanto tenuto in una mano e l’appuntamento fissato all’alba, in un campo dietro ad una chiesa, nel 1500.
Schiava. Non aveva mai ricevuto una simile richiesta. Stronzo!.
La rabbia le serviva per nasconderle la figa bagnata, attirata da quella scommessa e dal rischio, dalla sfacciataggine che contrastava con l’eleganza di quella persona attempata e imprevedibile che, nel corso del corteggiamento, l’aveva sorpresa più volte, troppe volte per non portarla ad accettare.
Cazzo!!! La Sonata per pianoforte “Hammerklavier”. Come poteva pensare che sbagliasse un pezzo per lei così facile.
Mentre, ad alta, voce, pronunciò la parola “stronzo!!!”, si sentì pulsare la figa e provò una piacevole tensione alla bocca dello stomaco.
Il guanto venne raccolto.
La sera che l’avrebbe vista recarsi alla sfida, non indossò nulla sotto il vestito di gala dotato di generose scollature e spacchi, fatto realizzare appositamente per lei in modo che evidenziasse il suo corpo giovane ed atletico, così da rendere desiderabile ciò che la sobrietà dell’abito ed il suo sguardo professionale rendevano inarrivabile.
Il conflitto interiore la tormentò già dalla sera precedente. La facilità della sfida le aveva instillato dubbi nel tempo trascorso tra l’invito e la data scelta.
L’insicurezza che le crebbe dentro sempre più, alimentava gli umori alla figa, perché la posta in gioco era alta: schiava per una notte, cazzo!!!.
Le vie illuminate della città che scorrevano veloci dal sedile posteriore del taxi non riuscirono a distrarla. Il viaggio le sembrò troppo lungo e troppo corto, troppo lento e troppo veloce.
Il desiderio di tornare indietro fu scacciato dalla mano che senza esitazioni aprì la portiera, compiaciuta dallo sguardo del taxista che non poteva certo immaginare che stava andando a rischiare di essere una schiava.
Il suo ospite la accolse in abito da sera, quello che ci si aspetta ad una prima.
L’ambiente era scaldato dalle luci di tante candele profumate.
L'eleganza dell'inchino per portare la mano alle labbra che non la sfiorarono, contrastava con il desiderio di averla schiava.
“E’ bellissima…”
Il complimento le sembrò incompleto, come se avesse voluto aggiungere un riferimento alla posta in gioco. Invece nessun’altra parola fece seguito, se non l’invito a farsi seguire.
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