Ai piedi della vicina (parte 1)

di
genere
sadomaso

Ilaria non sapeva come fosse arrivata in quell’appartamento posto tre piani sopra il suo.
Da qualche giorno i suoi amati studi universitari erano fermi. Si recava all’ateneo perché il suo senso del dovere le impediva di stare a casa a fissare il muro bianco della sua camera, con il libro perennemente aperto e quelle parole che non volevano entrarle in testa.
Per la prima volta aveva sentito il bisogno di parlare, non importava di cosa, purché fosse di sé. Lei, ragazza riservata i cui pensieri erano sconosciuti a tutti i suoi amici e amiche. Era tanto pronta ad ascoltare chiunque nella sua cerchia ristretta ne avesse bisogno, che nessuno di quella cerchia si era mai accorto che lei non parlava mai di sé.
Si era sentita ridicola dopo i primi dialoghi con l’intelligenza artificiale che sembrava dare risposte concrete e corrette, che la facessero riflettere.
Aveva abbandonato subito quell’”interlocutore” che non poteva certo provare empatia per lei.
Non seppe perché aveva accettato l’invito di quella signora ad entrare in casa sua, quando, piangente, l’aveva incontrata sulle scale.
Conosceva da tempo quella condomina, Franca. Sempre cortese e gentile, sorridente. L’aveva sempre presa in giro con sua madre per i suoi chili in eccesso, che le davano una forma piena ed un viso abbastanza rotondo.
Tuttavia quando la incontrava il sorriso le sgorgava sempre spontaneo, dal cuore, perché quello ricevuto da lei le entrava dentro per la serenità che l’aveva generato.
Franca l’aveva praticamente vista crescere.
Adesso era lì, in casa sua, col fazzoletto in mano a piangere di qualcosa e per qualcosa che anche per lei era indefinito, forse determinato solo dalla solitudine dalla quale si sentiva circondata, con quelle parole e quelle emozioni che si sentiva esplodere dentro per la sua incapacità di esternare, stanca di fare proprie le incertezze altrui, le quali si assommavano alle sue fino a far traboccare il vaso.
Franca aveva allungato le mani per prendere le sue, seduta sulla poltrona a fianco, fino a che quella distanza cominciò a sembrarle eccessiva, bisognosa di avere anche un contatto fisico per dare concretezza a quel fiume di parole che non riusciva a fermare.
L’imbarazzo nel far conoscere ad altri le proprie emozioni, di mettersi con l’anima a nudo, era stato una precaria barriera per ciò che le usciva dall’anima in quelle parole spontanee e liberatorie.
Franca parve comprendere la sua necessità di concretezza fisica e, impercettibilmente, la attirò a sé, con quel sorriso aperto che l’aveva incoraggiata ad aprirsi.
Desiderosa di toccare quel corpo sovrappeso che le stava infondendo sicurezza e comprensione, non le restò che inginocchiarsi accanto e posare il capo in grembo alla sua ospite.
Fu cosa naturale per entrambe.
Franca cominciò ad accarezzarla delicatamente, passando la mano sulla testa ripetutamente e ritmicamente.
Pur non potendo vederla, Ilaria immaginava che, mentre le stava donando quelle carezze, le stesse sorridendo maternalmente.
Quei gesti ripetute e regolari ebbero l’effetto di interrompere il fiume di parole, ma non il pianto, che proseguì per un tempo che non seppe quantificare, in una dimensione in cui si sentiva leggera per avere fatto respirare la sua anima e priva di imbarazzo per averla resa nuda.
Cosa assolutamente insolita per lei.
Quei gesti affettuosi le fecero calmare il respiro interrotto solo dal pianto.
Potevano essere passati due minuti come tre ore.
L’empatia e la comunicazione tra anime le faceva sentire quella donna parte di lei e quei chili di sovrappeso, rassicuranti.
Avvertì quindi con naturalezza la leggera pressione di Franca sul suo capo che la spingeva verso terra.
Fu fluido il suo movimento che la portò ad accucciarsi a terra, abbracciando le caviglie per appoggiare la guancia sui quei piedi che le sembravano enormi rispetto ai suoi.
Il pianto si calmò ancor di più ma le lacrime bagnarono i piedi che la stavano ospitando.
Franca non la accarezzava più, ma le parlava con una voce delicata e dolce che ebbe l’effetto di dare regolarità al pianto.
“Ti sto bagnando tutti i piedi”.
“Tesoro mio, non ti preoccupare. L’importante è che tu stia bene”.
Null’altre parole seguirono quell’ultimo scambio, ed il silenzio avvolse maggiormente Ilaria ancora a terra, quasi le si fosse placata la burrasca interiore.
Fu delicato e materno il suono della voce che la invitava ad asciugare i suoi piedi con i baci.
Fu naturale obbedire a quell’invito.
I baci furono tanti quante furono le lacrime.
Non le parve strano l’invito ad usare la lingua e, così, iniziò a percorrere la pelle di quei piedi enormi con la lingua, delicatamente, morbidamente.
Stava bene, libera, e si sentiva tanto riconoscente verso quella donna, da sentire il bisogno non solo di leccarle i piedi, ma di accarezzarli con la lingua con un gesto uguale nell’atto ma diverso nel modo.
Il silenzio regnava tra loro, interrotto solo dal rumore lontano sulla strada che arrivava ovattato dai vetri chiusi, quasi a ricordare che si stava trovando in altro mondo, in altra dimensione nella quale era normale che quella donna l’avesse portata ad accucciarsi a terra e a leccarle i piedi.
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2025-06-22
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