Pigmei - commercio di schiave (parte 16)

di
genere
sadomaso

Il suono della voce della socia ebbe l’effetto di riportare al presente Antonio, ancora attratto da ciò che vedeva.
Si era soffermato sugli occhi e sulle espressioni rassegnate delle schiave, di tutte quelle in funzione di amaca e di trono.
In quegli sguardi lesse la consapevolezza del loro ruolo di oggetti appartenenti a quell’uomo.
Vi era rassegnazione al ruolo dal quale sapevano che non avrebbero potuto più scappare, mista all’attenzione che avrebbero dovuto prestare ad un cenno del Padrone che avrebbe comunicato loro un ordine da eseguire subito.
Antonio stava osservando la vera schiavitù. Come sarebbero state una volta importate in Italia o in Francia, nel mondo civilizzato? sarebbero rimaste tali? Si sarebbero ribellate? Questo non era dato modo di sapere. Sicuramente avevano un’educazione ed un ammaestramento all’esecuzione degli ordini molto più elevato rispetto ad una donna occidentale resa schiava.
Osservò le due schiave-amaca, legate strette tra loro e appese al soffitto in modo che il loro corpo formasse comoda accoglienza. Nei loro occhi lesse rassegnazione, come se fosse normale quel loro uso che non poteva non provocare sofferenza.
Guardò gli occhi della schiava tappeto. La ragazza era ferma, immobile nella sua funzione. Forse il piede sul ventre o quello sui seni le faceva male. Dagli occhi non si capiva, come se non potesse fare a meno di soffrire per la posizione impostale. Era lì, ferma, nella sua funzione di tappeto, come se fosse cosa naturale. Anzi, dopo chissà quanto tempo di schiavitù quella era la sua funzione normale.
Nei loro occhi leggeva schiavitù e rassegnazione alla sottomissione, al servizio.
Vide gli occhi della schiava cagna, l’unica, al momento, non usata quale mobilio e, quindi, con un minimo di mobilità.
Era ferma, immobile, aveva gli stessi occhi da schiava ma erano attenti, come se dovesse curare i gesti del Padrone per ubbidire al comando.
Quegli attimi durarono ore nella testa e nei pensieri di Antonio al quale non sfuggì il gesto del capo che aveva rivolto il dito indice verso i suoi piedi.
Con fare docile e delicato, la cagna si accucciò a terra. Non era prostrata. Era accucciata, come fosse un cane ai piedi del Padrone che baciò prima di porre il viso accanto ad essi, sul petto della schiava tappeto.
L’uomo, alzò il piede e lo pose sulla faccia della schiava cagna mentre Chanel aveva iniziato a presentarsi.
La donna iniziò a parlare in quella lingua che aveva appreso quando era schiava. La parlava malissimo ma riusciva a comunicare.
L’uomo rimase colpito e, per la prima volta, fece trasparire sconcerto nei suoi occhi. Probabilmente pensava che avrebbero parlato la lingua incomprensibile dei bianchi che non si erano mai premurati di imparare dalle schiave.
Iniziò quindi a mostrare più attenzione ed una sorta di rispetto verso quella donna che, evidentemente, non aveva riconosciuto.
Chanel diede uno strattone alla schiava dai capelli rossi. Non sapeva nulla di lei, se non che era stata comprata da una famiglia di contadini in Toscana.
Le si rivolse con tono calmo e sicuro per trasmettere al pigmeo la sensazione di avere tutto sotto controllo.
“Mettiti in ginocchio e, a 4 zampe, raggiungi i piedi del pigmeo, baciandoli e leccandoli. Se mostri incertezza o ti rifiuti, una volta via da questo campo sarai frustata fino a portarti in fin di vita e abbandonata agli animali della foresta”.
Disse questa frase terribile col sorriso sulle labbra, più ad uso dell’uomo che della schiava la quale, spaventata sia dalla Padrona sia da ciò che aveva visto in quel mondo diverso, eseguì.
La schiava dai capelli rossi si comportava come se fosse in trance, con gesti lenti, anestetizzati, come se si trovasse in un sogno.
Forse aveva voglia di scappare, forse aveva troppo terrore per pensare di farlo. A Chanel non interessava. Per lei era solo commercio e quella era solo una merce.
Era stata acquistata da quella donna da tempo, ormai, ed aveva conosciuto la schiavitù ed il sadismo dei suoi Padroni.
Pensava di essere trattata male dallo zio che, ogni tanto, abusava di lei, facendola dormire in uno sgabuzzino e costringendola a servire lui e la sua famiglia.
Comprese solo dopo essere stata venduta che, tutto sommato, prima era un bel vivere, se veniva confrontato con il suo stato di schiava.
Aveva anche cercato di scappare e ci era riuscita, ma lo zio l’aveva ritrovata, frustata e riconsegnata alla sua (il)legittima proprietaria.
In ogni caso, aveva quasi imparato le regole della schiavitù e, adesso, in quel mondo che per lei era fuori da ogni possibile ed immaginabile realtà, le sembrava di essere in una terra inesistente, come se da un momento all’altro si dovesse svegliare.
Quando la Padrona le tirò la corda legata al suo collo e le diede quel terribile ordine, ebbe il solo pensiero di obbedire, terrorizzata dalla punizione della Padrone o di quel piccolo uomo.
Non sapeva dire se nel suo animo vi fosse sconcerto o terrore.
Sicuramente non vi erano idee di ribellione.
Il pigmeo la guardò con soddisfazione e piacere e la lasciò ai suoi piedi anche quando distolse lo sguardo da lei per concentrarsi nuovamente sugli ospiti che cominciò a guardare diversamente.
Chanel offrì al capo villaggio il guinzaglio col quale teneva la schiava a terra, in evidente gesto che rappresentava il dono.
La schiava se ne accorse e capì di essere appena stata regalata al pigmeio e, quindi, condannata alla schiavitù nel campo.
Solo in quel momento capì il significato di tutto quanto accaduto, della sua presenza in quel campo e dell’ordine che le aveva impartito la sua (ormai ex) Padrona.
Reagì ma il pigmeo, abituato alle schiave nuove ancora da addomesticare, la colpì forte con il solito frustino dal quale non si separavano mai i pigmei che stavano usando le schiave.
Disse qualcosa nella sua lingua incomprensibile ma fu il tono ad allarmare la schiava dai capelli rossi che, pur piangente, restò ferma a terra.
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2024-06-03
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