La schiava e il cameriere (parte 3)

di
genere
sadomaso

Gli sguardi sulle lunghe gambe poco coperte dal vestito bianco corto di Simona erano a volte discreti, altre più sfacciate.
Fausto osservava con più attenzione gli uomini a passeggio con la moglie o compagna, magari avanti nell’età, che sembravano dedicare a lei, ma anche a lui, uno sguardo che era a metà strada tra il piacere della visione di qualcosa di bello e il sentimento della malinconia, per un tempo passato e gioie passate, quando il sangue circolava e la fantasia poteva essere soddisfatta.
La differenza di età tra loro due forse suscitava altre emozioni, quelle che vedono ancora la possibilità di frequentare una donna giovane che, però, viene castrata dalla routine e dal consolidato, magari per il timore di rompere una convivenza che, comunque, ha creato una comfort zone più vicina all’abitudine che agli affetti.
Fausto aveva un braccio attorno alla vita di Simona e la mano terminava sulla curva dell’anca nella parte in cui essa termina e inizia il busto.
Adorava sentire il suo corpo aderente al suo, camminare all’unisono dopo avere cercato il passo comune che ormai era divenuto automatico nel tempo di frequentazione priva di convivenza alla quale lui aveva sempre resistito, forse per il timore di ritrovarsi in quell’abitudine che vedeva negli occhi di alcuni uomini.
Il caffè all’angolo della via era il preferito per la sosta.
Ormai conoscevano il titolare col quale scambiavano sempre qualche parola. Quell’uomo piaceva ad entrambi. Sembrava uno di quelli che viene definito “tutto di un pezzo”. Abbastanza anziano per avere una certa esperienza di vita, non tanto per non avere più lunghe aspettative di altra esperienza.
Entrambi avevano cercato gli occhi di lui posati sul corpo di Simona ma non li avevano mai trovati. Il piacere di quel tavolino che offriva la vista sul mare era dettato anche dalle immancabili scambi di parole con quella persona che trasmetteva la sensazione di avere a che fare con un amico di lunga data, fidato e sincero.
Simona accavallò le gambe, non solo per comodità, ma anche per rivelare meglio la sua coscia.
Il cuore della donna ebbe una accelerata quando sulla passeggiata vide arrivare il cameriere che quella mattina aveva rifatto la camera mentre lei era a terra, nuda, incatenata.
Si sentì nuda sulla pubblica via, come se tutti fossero a conoscenza di quel segreto a tre.
L’uomo li riconobbe, anzi, la riconobbe, solo dopo essersi seduto ad un tavolino vicino. Il velo di imbarazzo lasciò subito il posto all’eccitazione per quel segreto intimo che li univa.
Simona richiamò l’attenzione di Fausto sulla presenza che anche a lui era sfuggita, intento ad assaporare il sole.
L’uomo non diresse subito lo sguardo verso il cameriere.
“Gira le gambe in modo che possa apprezzare la coscia accavallata”.
La donna obbedì mentre rivolse al cameriere uno sguardo tenendo la testa china, come se lo stesse guardando dal basso.
Per bere il caffè alzò la testa quel tanto che fosse sufficiente per far vedere il collo che lui aveva potuto osservare cinto da un collare.
“Cambia la gamba accavallata e fai in modo che possa vedere tra le cosce”.
Senza lo sguardo sfrontato di Sharon Stone, Simona eseguì l’ordine, accertandosi che l’uomo potesse osservare l’assenza di protezione.
Le dispiacque che non poteva vedere il plug nel culo.
Fausto non aveva mai diretto lo sguardo verso il cameriere, come se la scena, della quale nuovamente era il regista, fosse solo una cosa loro, come nei film, nei quali il rapporto è solo tra spettatore e attrice.
Il plug non le venne tolto nemmeno ritornati in camera, quando il Padrone la fece inginocchiare, nuda, davanti alla poltrona, lasciandola in attesa, con i polsi ammanettati dietro alla schiena, mentre andava a farsi la doccia.
Tornando, vestito con l’accappatoio bianco con il logo dell’albergo, la osservò, senza fermarsi nel suo percorso verso la poltrona.
La schiena evidenziava la curva che lui aveva abbracciato durante la passeggiata.
Le anche disegnavano bene il culo e la testa china lo eccitava.
Si sedette davanti a lei, osservandola con il busto eretto ed i seni esposti a lui. Le ginocchia erano allargate quel tanto per fargli vedere ciò in cui lui avrebbe potuto entrare a piacimento.
Slacciò l’accappatoio e lo aprì.
Non fu necessario un ordine per portare la testa della schiava verso il grembo dell'uomo, prendendo in bocca il cazzo che era già abbastanza duro.
Bastarono pochi minuti nella sua bocca e le giuste attenzioni della sua lingua, a farle capire che l’attesa dell’orgasmo era finita. Il gioco erotico prolungato, sì da far circolare velocemente il sangue, non poteva essere proluntato ulteriormente.
Quel cazzo era troppo duro, lo sentiva dentro la bocca, sentiva tutto il desiderio del Padrone che lei sapeva essere anche per lei, non solo per il suo corpo. Questo le diede ulteriore voglia di compiacerlo ed eccitarlo, fino a portarlo all’estremo del piacere e farsi prendere per i capelli, guidata ad alzarsi con controllata impazienza fino a essere spinta sullo stesso tavolo di qualche ora addietro, con il busto schiacciato sul ripiano dalla mano che stringeva il collo, mentre con l’altra toglieva il plug dal culo nel quale prese posto il cazzo durissimo.
A volte facevano l’amore. Quella era invece ciò che definivano una sana scopata, con qualche schiaffo sulla natica e sulla schiena fino al momento in cui lo sperma non invase il culo della donna.
Fausto trascorse qualche minuto appoggiato sulla schiena di Simona per riprendersi dall’intenso piacere e prolungare il contatto della pelle. Andò poi a sedersi sulla stessa poltrona nella quale il cazzo era stato preparato per la scopata.
Osservava Simona, ancora sul tavolo, ed il filo di sperma che usciva dal culo per colare piano sulla coscia.
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2025-07-02
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