La schiava e il cameriere (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
Il primo sole mattutino di quella città del nord Europa, quando entrò dalle finestre dell’albergo nel centro storico, illuminò il letto che accoglieva due corpi e il cazzo duro di Fausto.
Erano riusciti a ritagliarsi un po’ di tempo per loro e si erano regalati una vacanza a Copenaghen. Adoravano cercare sempre un posto diverso, nel quale far godere gli occhi oltre che il corpo.
Simona si svegliò per prima e subito cercò l’erezione dell’uomo che, quella notte, l’aveva fatta dormire nel letto con lui e non a terra, incatenata come a volte accadeva.
Le aveva infatti detto che al mattino voleva la sua lingua e la sua bocca sul cazzo, pronto per un’ottima colazione.
Simona ormai lo conosceva ed aveva imparato a percepire le sfumature della sua voce, soprattutto se accompagnate da uno sguardo, che lei definiva “furbetto”.
Sapeva anche che non le avrebbe detto nulla, facendole invece capire che qualcosa sarebbe successo, lasciandola in sospeso sul “cosa”.
In quell’anno di frequentazione che stava andando un pochino oltre al semplice incontro erotico, si era sviluppata una forte complicità, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo che li divertisse. Inevitabilmente, quando si condividono esperienze e piaceri, alla ricerca della reciproca soddisfazione, aumenta anche il senso di unione dell’anima prima ancora che dei corpi.
Il collare era il suo unico abbigliamento in camera.
Quando lo avevano acquistato, lei gli aveva proposto di recarsi in un negozio per animali.
Lui, invece, ne aveva voluto uno in acciaio, quasi fosse un anello, non troppo spesso ma nemmeno sottilissimo. Qualcosa di classe che agli occhi dei più sarebbe passato come un accessorio stravagante, ai più attenti, invece, sarebbe apparso subito quale collare, molto bello, elegante ma pur sempre un collare.
Simona aveva dormito con i polsi ammanettati davanti. Circostanza sufficiente per ricordarle tutta la notte che lei era schiava, non abbastanza da impedirle di ubbidire, al risveglio, dedicandosi al suo cazzo che, in effetti, lei trovò già duro.
Sapeva che lei gli piaceva, che con lei stava bene. Glielo leggeva negli occhi, nello sguardo, al di là del dominio che era “solo” la loro sessualità.
“Non vedo l’ora di andare a fare colazione”.
Simona aveva il suo cazzo in bocca e non riusciva a vederlo negli occhi, ma ne percepì la sfumatura di voce, quasi fosse una “minaccia”, ovviamente erotica.
Istintivamente si fermò un attimo e Fausto, che evidentemente se lo aspettava, le spinse giù la testa fino a farle arrivare il sesso alla gola e, divertito per i suoi sforzi, gliela tenne giù a lungo.
Non le disse nulla su quanto avesse in mente, ma Simona cominciò ad intuire qualcosa quando lui si vestì, mentre lei, pur privata delle manette, restò nuda, vestita del solo collare.
Il Padrone le si avvicinò e attaccò il guinzaglio al collare dopo aver fatto passare la catena che lo componeva nell’asola dell’impugnatura alla gamba del letto, rendendole di fatto impossibile alzare il pesante mobile per staccarlo.
Quale completamento, legò l’attaccatura del guinzaglio al collare con un lucchetto che non aveva mai visto, abbastanza grande da essere visibile.
La chiusura in quel modo era inutile al loro rapporto e Simona capì che doveva avere ben altra motivazione, posto che il guinzaglio non era mai stato da lei staccato.
La schiava osservò stupita l’uomo che compiva l’operazione continuando a vedere sulla sua espressione quel sorriso “furbetto” a lei molto noto e che la incuriosì, oltre a farle sentire l’altrettanto noto formicolio alla bocca dello stomaco per quel gesto che evidentemente rappresentava qualcosa di nuovo che le era ignoto.
Ciò che è sconosciuto e resta nella mente del Padrone ha sempre in lei avuto il potere di scatenarle fantasia e curiosità nell’attesa degli eventi.
Fausto prese un foglietto e scrisse qualcosa prima di appoggiarlo in bella vista sul mobile.
L’uomo uscì annunciando che sarebbe andato a fare colazione.
L’allontanamento dalla camera avvenne troppo velocemente per darle il tempo di avere la benché minima reazione.
I minuti successivi, impossibili da misurare, furono trascorsi nell’unica posizione concessale dal corto guinzaglio, cioè accucciata ai piedi del letto.
Osservò la porta quando sentì lo scatto elettronico che annunciava l’apertura, pensando al ritorno del Padrone.
Rimase pietrificata quando, invece, vide entrare l’inserviente addetto alla pulizia delle camere, quell’uomo gentile nonostante la sua imponente corporatura.
Sapevano solo che si chiamava Matteo, avendo visto il nominativo sulla targhetta attaccata alla divisa dell’albergo. Avevano scambiato qualche veloce battuta come è solito fare per cortesia.
Il giorno prima Fausto le aveva fatto notare lo sguardo che l’uomo le aveva rivolto dopo averli incontrati nei corridoio dell’albergo, mentre stavano andando ad una cena durante quella settimana dedicata ad una vacanza rubata alle rispettive agende.
In effetti era facile che ricevesse sguardi con quel vestito semplice ma aderente, bianco ma, soprattutto, adeguatamente scollato e con un piccolo spacco che faceva maggiormente apprezzare le sue lunghe gambe.
Anche l’uomo, entrato, restò sulla porta, pietrificato, assistendo ad una scena che non doveva certo essere solita nell’esercizio delle sue incombenze.
Non sapeva cosa fare e come muoversi, combattuto tra la stranezza della situazione e la bellezza di quella donna legata e accucciata a terra che, evidentemente, lo aveva eccitato.
Fece un passo in stanza dopo avere guardato nel corridoio se stesse arrivando qualcuno, con lo sguardo di chi sa che sta compiendo qualcosa che non dovrebbe.
Il biglietto era ciò che ne aveva determinato l’ingresso, pur con le incertezze del caso che trovavano nel suo rossore la prova di quanto fosse combattuto.
Lesse il biglietto e provò un certo rasserenamento, quasi si fosse tranquillizzato per la situazione.
Prese a fare i suoi lavori, passando vicino alla cagna più volte del dovuto, soffermandosi tanto tempo nell’averla ai piedi.
Simona non potè non notare il rigonfiamento nei pantaloni e si chiese se il cazzo eccitato fosse proporzionato alla corporatura dell’uomo.
La schiava non sapeva quanto tempo in media fosse necessario per rifare una stanza. Sicuramente ci aveva messo molto più del necessario. Quando uscì, prima di chiudere, si voltò ancora una volta a guardare la donna accucciata con espressione che tradiva i suoi pensieri.
Erano riusciti a ritagliarsi un po’ di tempo per loro e si erano regalati una vacanza a Copenaghen. Adoravano cercare sempre un posto diverso, nel quale far godere gli occhi oltre che il corpo.
Simona si svegliò per prima e subito cercò l’erezione dell’uomo che, quella notte, l’aveva fatta dormire nel letto con lui e non a terra, incatenata come a volte accadeva.
Le aveva infatti detto che al mattino voleva la sua lingua e la sua bocca sul cazzo, pronto per un’ottima colazione.
Simona ormai lo conosceva ed aveva imparato a percepire le sfumature della sua voce, soprattutto se accompagnate da uno sguardo, che lei definiva “furbetto”.
Sapeva anche che non le avrebbe detto nulla, facendole invece capire che qualcosa sarebbe successo, lasciandola in sospeso sul “cosa”.
In quell’anno di frequentazione che stava andando un pochino oltre al semplice incontro erotico, si era sviluppata una forte complicità, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo che li divertisse. Inevitabilmente, quando si condividono esperienze e piaceri, alla ricerca della reciproca soddisfazione, aumenta anche il senso di unione dell’anima prima ancora che dei corpi.
Il collare era il suo unico abbigliamento in camera.
Quando lo avevano acquistato, lei gli aveva proposto di recarsi in un negozio per animali.
Lui, invece, ne aveva voluto uno in acciaio, quasi fosse un anello, non troppo spesso ma nemmeno sottilissimo. Qualcosa di classe che agli occhi dei più sarebbe passato come un accessorio stravagante, ai più attenti, invece, sarebbe apparso subito quale collare, molto bello, elegante ma pur sempre un collare.
Simona aveva dormito con i polsi ammanettati davanti. Circostanza sufficiente per ricordarle tutta la notte che lei era schiava, non abbastanza da impedirle di ubbidire, al risveglio, dedicandosi al suo cazzo che, in effetti, lei trovò già duro.
Sapeva che lei gli piaceva, che con lei stava bene. Glielo leggeva negli occhi, nello sguardo, al di là del dominio che era “solo” la loro sessualità.
“Non vedo l’ora di andare a fare colazione”.
Simona aveva il suo cazzo in bocca e non riusciva a vederlo negli occhi, ma ne percepì la sfumatura di voce, quasi fosse una “minaccia”, ovviamente erotica.
Istintivamente si fermò un attimo e Fausto, che evidentemente se lo aspettava, le spinse giù la testa fino a farle arrivare il sesso alla gola e, divertito per i suoi sforzi, gliela tenne giù a lungo.
Non le disse nulla su quanto avesse in mente, ma Simona cominciò ad intuire qualcosa quando lui si vestì, mentre lei, pur privata delle manette, restò nuda, vestita del solo collare.
Il Padrone le si avvicinò e attaccò il guinzaglio al collare dopo aver fatto passare la catena che lo componeva nell’asola dell’impugnatura alla gamba del letto, rendendole di fatto impossibile alzare il pesante mobile per staccarlo.
Quale completamento, legò l’attaccatura del guinzaglio al collare con un lucchetto che non aveva mai visto, abbastanza grande da essere visibile.
La chiusura in quel modo era inutile al loro rapporto e Simona capì che doveva avere ben altra motivazione, posto che il guinzaglio non era mai stato da lei staccato.
La schiava osservò stupita l’uomo che compiva l’operazione continuando a vedere sulla sua espressione quel sorriso “furbetto” a lei molto noto e che la incuriosì, oltre a farle sentire l’altrettanto noto formicolio alla bocca dello stomaco per quel gesto che evidentemente rappresentava qualcosa di nuovo che le era ignoto.
Ciò che è sconosciuto e resta nella mente del Padrone ha sempre in lei avuto il potere di scatenarle fantasia e curiosità nell’attesa degli eventi.
Fausto prese un foglietto e scrisse qualcosa prima di appoggiarlo in bella vista sul mobile.
L’uomo uscì annunciando che sarebbe andato a fare colazione.
L’allontanamento dalla camera avvenne troppo velocemente per darle il tempo di avere la benché minima reazione.
I minuti successivi, impossibili da misurare, furono trascorsi nell’unica posizione concessale dal corto guinzaglio, cioè accucciata ai piedi del letto.
Osservò la porta quando sentì lo scatto elettronico che annunciava l’apertura, pensando al ritorno del Padrone.
Rimase pietrificata quando, invece, vide entrare l’inserviente addetto alla pulizia delle camere, quell’uomo gentile nonostante la sua imponente corporatura.
Sapevano solo che si chiamava Matteo, avendo visto il nominativo sulla targhetta attaccata alla divisa dell’albergo. Avevano scambiato qualche veloce battuta come è solito fare per cortesia.
Il giorno prima Fausto le aveva fatto notare lo sguardo che l’uomo le aveva rivolto dopo averli incontrati nei corridoio dell’albergo, mentre stavano andando ad una cena durante quella settimana dedicata ad una vacanza rubata alle rispettive agende.
In effetti era facile che ricevesse sguardi con quel vestito semplice ma aderente, bianco ma, soprattutto, adeguatamente scollato e con un piccolo spacco che faceva maggiormente apprezzare le sue lunghe gambe.
Anche l’uomo, entrato, restò sulla porta, pietrificato, assistendo ad una scena che non doveva certo essere solita nell’esercizio delle sue incombenze.
Non sapeva cosa fare e come muoversi, combattuto tra la stranezza della situazione e la bellezza di quella donna legata e accucciata a terra che, evidentemente, lo aveva eccitato.
Fece un passo in stanza dopo avere guardato nel corridoio se stesse arrivando qualcuno, con lo sguardo di chi sa che sta compiendo qualcosa che non dovrebbe.
Il biglietto era ciò che ne aveva determinato l’ingresso, pur con le incertezze del caso che trovavano nel suo rossore la prova di quanto fosse combattuto.
Lesse il biglietto e provò un certo rasserenamento, quasi si fosse tranquillizzato per la situazione.
Prese a fare i suoi lavori, passando vicino alla cagna più volte del dovuto, soffermandosi tanto tempo nell’averla ai piedi.
Simona non potè non notare il rigonfiamento nei pantaloni e si chiese se il cazzo eccitato fosse proporzionato alla corporatura dell’uomo.
La schiava non sapeva quanto tempo in media fosse necessario per rifare una stanza. Sicuramente ci aveva messo molto più del necessario. Quando uscì, prima di chiudere, si voltò ancora una volta a guardare la donna accucciata con espressione che tradiva i suoi pensieri.
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