Il percorso della lingua

Scritto da , il 2021-12-27, genere dominazione

Il sole filtrava dalle imposte proiettando una lama di luce sul letto, unica fonte di illuminazione. L’intimità creata dalla penombra era disturbata dai rumori che, benché attutiti, provenivano dalla piazza sottostante e invadevano il silenzio che regnava nel locale.
Il caldo nella stanza era mitigato dal ventilatore sul soffitto, il cui rumore leggero e costante contrastava il caos disordinato delle voci provenienti dall’esterno.
La goccia di sudore tra i seni della donna, stesa sul letto, non era però determinata dalla calura.
Seduto in poltrona, l’uomo sorseggiava il caffè bollente, mentre osservava quella goccia di sudore che il respiro affannato della donna stava facendo scivolare verso l’ombelico. Iniziò muovendosi piano e, superato il termine dello sterno, accelerò la sua corsa verso il buco naturale al centro del ventre.
La donna, bendata, non poteva vedere il sorriso eccitato di colui che la osservava. La goccia di sudore le aveva causato un brivido al quale non poté dare sollievo in alcun modo. Si trovava nel centro del grande letto oversize ed il suo bel corpo formava una X con i polsi e le caviglie legate.
Le gambe erano aperte al massimo con quel leggero e costante dolore che le ricordava in ogni momento la sua posizione ed esposizione, lasciandola inerme, impotente al desiderio altrui.
L’uomo le stava osservando la figa completamente depilata eccitandosi alla vista di quel sesso completamente esposto. Gli piaceva l’attenzione messa nella depilazione perchè la bellezza non è cosa casuale, ma è il frutto della cura della persona e dei dettagli.
Lei sapeva che la stava guardando e le piaceva essere ammirata.
Lui la guardava spesso, eccitato dalla sua bellezza. Lo faceva anche in strada, al bar, al ristorante, quando la costringeva ad indossare abiti corti che la esponessero alla vista di giovani e vecchi, uomini e donne. A maggior ragione quando, nuda, era a sua disposizione, come in quel momento.
La donna lo sentiva muoversi e mettersi comodo in poltrona.
L’attesa le creava molta ansia e lui, stronzo, su questa giocava. La faceva attendere per un tempo che lei non riusciva a calcolare, proiettata nella nuova dimensione che la faceva sentire in mezzo alla piazza dalla quale salivano le voci di quelle persone che non avrebbero sentito la sua, smorzata dalle mutandine che aveva in bocca.
Da quanto tempo stava bevendo quel cazzo di caffé? Quanto dura quel cazzo di caffè?
Il formicolio alla bocca dello stomaco le faceva sperare che durasse all’infinito ma, contemporaneamente, che finisse subito.
Le venne irrazionalmente in mente quando, da ragazza, andava all’Eurodisney e si eccitava sulle montagne russe, con l’ansia che creava la prima salita, tremendamente lenta, dalla quale, raggiunto il colmo, sarebbe poi partita la corsa.
La benda le allungava, o accorciava, il tempo. Non capiva più.
Quanto era passato? 5, 10, 20 minuti, mezz’ora, un giorno, due?
La cecità acuisce gli altri sensi. Il profumo del caffè, che le arrivava forte, fu interrotto dal suono della tazzina posata sul tavolino.
Si era alzato! Cazzo! La salita stava finendo, sarebbe iniziata la corsa a velocità folle su quei binari progettati da lui e ignoti a lei.
Lo sentiva dai movimenti così come intuì che il leggero fruscio fosse determinato dall’aver preso in mano il frustino che aveva visto posato accanto alla poltrona quando l’aveva legata.
Il respiro prese velocità e la cecità non le consentiva di vedere se era già arrivata al colmo della salita per la discesa sulle montagne russe.
Era finita l’attesa?
L’ansia?
Sarebbe iniziato il dolore?
Paura?
Aveva paura?
Sì, cazzo, sì!
Aveva paura e quella sensazione le trasmetteva un formicolio alla bocca dello stomaco che poi scendeva alla figa che si sentiva bagnata.
Il Padrone le girava attorno. Quello stronzo sapeva come alimentare l’ansia e la paura.
Lo odiava. Sì. Lo stava odiando. Muoviti stronzo, colpisci, fammi iniziare la discesa, poni fine a questa cazzo di attesa.
No!
Il frustino iniziò a scorrere sulla pelle.
Respiri corti, affannati.
Mancava poco alla fine della salita.
La paura aumentava, era aumentata, aumenterà.
Cazzo! Cazzo! Cazzo!
Sperava che tornasse a sedersi in poltrona!
Sperava che restasse lì e la finisse con quell’ansia del cazzo!
Voleva che restasse lì e durasse il più a lungo possibile perché quella tensione, che temeva, la eccitava!
Voleva parlare. Non poteva. Quelle cazzo di mutandine che le aveva messo in bocca al momento della legatura quando, già tesa, lei lo mandò affanculo.
Cosa cazzo stava aspettan….sciack!!!!!!
Lo stronzo l’aveva colpita sul capezzolo con la paletta di quel maledetto frustino.
Il respiro era affannato, veloce ed aveva sentito tirare le corde che la bloccavano a letto quando si era contorta dando sfogo a tutta la tensione che aveva accumulato.
Ed ora? avrebbe fatto passare ancora una eternità o l’avrebbe colpita subit….sciack!!!
Lo stesso capezzolo.
Bastardo, se lo aspettava sull’altro.
Ancora mugolii e tirate alle corde.
La discesa sulle montagne russe era iniziata.
sscciacckk!!!
Interno coscia.
sscciiacckk
Altro interno coscia.
Lo stronzo non le stava dando tempo di recuperare e……….
Silenzio!
Maledetta benda.
Non avesse avuto quelle cazzo di mutandine avrebbe chiesto pietà, lo avrebbe implorato di smettere o, almeno, di mettere fine all’attesa tra un colpo e l’altro e la picchiasse per segnare il suo bel corpo, come piaceva a lui, simbolo e segno di possesso e di potere, il suo potere, quel potere che la faceva sentire sua, che le dava il senso di appartenenza che avrebbe sentito ancora quando, guardandosi allo specchio, avrebbe visto quei segni.
Ancora silenzio.
Lei lo sentì salire sul letto, lo sentiva sul letto, si stava muovendo.
Lui era salito sul letto, la guardava sul letto, si mosse per prendere posto.
Silenzio. Immobilità.
La schiava era tesa e si mosse quel tanto che le corde le consentissero nella speranza di trovare una via di fuga che non avrebbe comunque voluto percorrere.
Lingua?
Non frusta?
Lingua, lingua sulla sua figa.
Il Padrone prima gliela baciò, lievemente, poi a bocca aperta fece strisciare le labbra fino a concludere con un bacio dal quale, con la lingua, passò su tutta la fessura depilata, tenendola piatta e senza entrare.
Era bagnatissima. Le faceva sempre questo effetto la paura e l’attesa della frusta, o il desiderio di lui, del suo possesso, del suo potere.
La lingua passò dall’alto al basso entrando lentamente di punta nella figa, mentre le mani passavano sul corpo, sfiorandolo, a volte premendo e facendo proprie le carni fino ad impugnare le natiche e sentire il plug che le entrava nel culo.
Prima di farla stendere a letto, l’aveva spinta contro il muro di forza e le si era addossato penetrando la sua bocca con la lingua desiderosa. Le mani l’avevano presa per i capelli e spinta ad inginocchiarsi schiacciandole col bacino il capo contro il muro. Lei sentiva il cazzo duro ma ancora dentro i pantaloni. Cercò di prenderlo ma lui la afferrò per i capelli fino a spingerla con la guancia a terra, ai suoi piedi. Lei era già stata denudata e fu facile per lui infilarle il plug nel culo.
La lingua giocava con le grandi labbra alle quali dava piccoli morsi, eccitandosi nel sentirla tirare le corde che la trattenevano. Le mani erano ora sui seni e le dita giocavano con i capezzoli a volte stringendo a volte accarezzando.

(Ripensò alla prima volta che le diede il bacio in un turbinio di battiti al cuore e di emozione, quando le rubò quel contatto al termine di una serata al ristorante. Per tutta la cena l’aveva divorata con gli occhi facendole trasparire la metà del desiderio, frutto del tempo in cui l’aveva corteggiata con discrezione, standole vicino senza mai essere invadente, consentendole di guardare la sua anima mentre lui studiava quella di lei. Erano davanti alla porta e lei cercava le chiavi nella borsetta, quando le prese i capelli e la attirò a sé per cercare la sua lingua. Lei era stata colta alla sprovvista e replicò al contatto della lingua più per istinto dell’anima, nell’aver ritrovato nell’umido il piacere del contatto di quell'uomo che le era entrato sottopelle lentamente. Lui la lasciò e se ne andò, per non darle modo di dire nulla ma di pensare a quanto accaduto, di guardarsi dentro per consentirle di capire se le fosse o meno piaciuto e, in questo caso, per non metterla nell’imbarazzo di respingerlo in quel momento ma di negarsi alla prossima telefonata).

Con la lingua salì accarezzando il ventre perfettamente liscio apprezzandone la perfetta depilazione, fino ad arrivare all’ombelico, nel quale trovò quella goccia di sudore, frutto dell’attesa e della tensione e che lui bevve, riprendendosi quello che lui stesso le aveva procurato.

(Arrivato a casa, le aveva mandato un sms con una semplice “buona notte”, per farle capire che la stava pensando senza essere troppo invadente, senza chiederle nulla ma semplicemente comunicandole il suo pensiero per lei. Quasi ripensandoci, prima che lei potesse rispondere ponendo termine allo scambio, la ringraziò per la bella serata e per le emozioni provate nell’avere apprezzato i suoi pensieri e la sua bellezza).

Le dita ora strizzavano sempre più forte i capezzoli. Lei evidentemente stava soffrendo e si contorceva tra le corde, cercando una vana fuga da un posto dal quale non avrebbe voluto allontanarsi, sapendo che le corde erano lo strumento per lasciarla libera di godere della sua sessualità, assieme a colui che, ora, le stava passando i denti sul ventre, chiudendo la bocca per farle sentire il tentativo di morderla e che, a tratti, portava a termine, facendole dimenticare il dolore ai capezzoli. Anzi, in realtà non stava capendo se si fosse fermato dallo strizzarli per accarezzarli oppure se fosse lei a fare confusione tra dolore e piacere.

(Nei tre giorni successivi la chiamò per ascoltarla e parlarle, accarezzandole l’anima coi suoi pensieri e facendosi accarezzare da quelli di lei. Lasciò passare qualche giorno prima di chiederle di uscire ancora, perchè voleva che i pensieri scambiati le entrassero attraverso pelle fino all’anima, per essere tradotti nel cervello in modo che ritornassero in quel luogo indefinito emendati dalle parole inutili al calore).

Quando arrivò a leccarle i capezzoli le mani artigliavano con desiderio le natiche, quasi a farle proprie, a farle capire quanto la volesse al punto da stringere quel culo che tanto lo faceva impazzire. Non erano mani che accarezzavano ma che possedevano, che trasmettevano il desiderio carnale di lei e che anticipavano il contatto del suo cazzo, ancora lontano dalla figa sempre più bagnata. La lingua sui capezzoli venne sostituita dai denti che stringevano procurando quel leggero dolore tale da farle sentire il possesso unito alle mani sul culo e alle dita che toccavano il plug al solo scopo di ricordarle che c’era e che gliel’aveva infilato lui, con un atto di dominio, mentre era ai suoi piedi, sottomessa, offerta, schiava.

(Quando uscirono, la volta successiva, non andarono subito al ristorante, preferendo assaporare l’intimità della passeggiata in mezzo alla gente oppure al bar, al tavolino in piazza, anticipando il silenzio della sala da pasto guardandole le gambe che lei aveva messo in vista, tacito segnale di desiderio e di richiamo unitamente alla scollatura sui seni).

Il momento in cui le strappò di bocca le mutandine piene della sua saliva, era già tale da vedere il desiderio vicino all’insopportabilità dell’ulteriore attesa, al pari dei cavalli poco prima della partenza di un palio, quando il desiderio di percorrere il tratto sino all’arrivo è tale da essere l’unica pulsione a guidare tutto il corpo e le sue esigenze, solo istinto, istinto puro. Istante che coincise con la penetrazione del cazzo fino in fondo alla figa, quasi a voler prendere possesso di ogni centimetro dell’intimità della schiava che sentiva sua in ogni battito e respiro, quel respiro stesso che si confondeva col suo unitamente alla saliva e alle lingue, in quel gesto di rinnovato possesso ed appartenenza, sempre nuovo nella sua ripetitività perché diverso era il rapporto tra loro dall’ultima scopata, fino a necessitare di una nuova unione carnale per ricordare a loro stessi il piacere di quell’atto ancestrale che porta alla reciproca definizione dei ruoli tra penetrante e penetrata, Padrone e schiava, uomo e donna.
Sesso.
Piacere.
Orgasmo.

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