La visita alla prostata

di
genere
gay

La lettera del mio medico giaceva sulla scrivania, un invito alla visita alla prostata. Sapevo che significava un dito nel culo in un contesto clinico.
​Ho preso il telefono e ho composto il numero del mio amico, ora dottore, con cui anni prima eravamo stati attivi e passivi.
​"Pronto, studio medico," ha risposto la voce familiare.
​"Sono io," ho risposto. "Senti, ho bisogno di un favore... medico. Devo fare un controllo annuale, sai... la prostata. Ho un po' di... disagio all'idea di affidarmi a un medico qualunque per una visita così... intima e invasiva."
​"Capisco," ha detto lui, il tono neutro ma attento.
​"Ecco. Tu sei uno specialista, e... data la nostra vecchia amicizia e la nostra conoscenza... voglio che sia tu. Voglio che sia una mano amica e fidata ad occuparsene."
​C'è stato un silenzio pieno della nostra storia.
​Finalmente, ha risposto. "Ho capito perfettamente, nessun problema. Sei in buone mani. Ti avverto, però: in clinica, sono solo il dottore. Chiaro?"
​"Chiarissimo," ho sussurrato. "Solo il dottore."

​L'appuntamento era fissato per domani pomeriggio. Mi sono ritrovato di fronte al palazzo moderno, anonimo, che ospitava lo studio di Valerio.
​La segretaria mi ha fatto accomodare subito. Pochi minuti dopo, la porta si è aperta.
​Era Valerio. Era invecchiato bene, professionale, con un camice bianco abbottonato. C'era un anello discreto al dito. Non c'è stato alcun abbraccio, nessun riferimento al passato.
​"Ciao. Grazie di essere venuto," ha detto Valerio, misurato. "Hai la richiesta del tuo medico di base per l'esame della prostata?"
​"No, nessuno," ho risposto alla sua domanda sui sintomi. In quel momento, eravamo due estranei. Eppure, ogni nervo nel mio corpo urlava la verità sul nostro passato.
​"Bene," ha detto, prendendo la cartella. "Dobbiamo procedere. Ti chiedo di spogliarti dalla vita in giù, e di indossare questo camice usa e getta."

​Nella stanza adiacente, ho lasciato cadere pantaloni e biancheria. Il mio cazzo ha cominciato a reagire. Non era una reazione romantica, ma la protesta del mio corpo contro la formalità imposta da quel camice. Era teso ed evidente sotto il tessuto sottile.
​Quando ho riaperto la porta, Valerio era in piedi accanto a un lettino da visita. Indossava guanti monouso in lattice.
​Valerio non ha mostrato la minima sorpresa di fronte alla mia eccitazione.
​"Bene," ha detto. "Prego. Sdraiati sul lettino, girato sul lato destro, con le ginocchia raccolte al petto."
​Ho obbedito. Il camice si è aperto leggermente dietro, lasciando il mio ano completamente esposto.
​"Dottore," ho mormorato, "credo che la situazione mi stia mettendo un po' a disagio."
​Valerio si è avvicinato. Ha posato la sua mano guantata, fredda, sul mio fianco. "So che ti stai sentendo imbarazzato. Ma in questo momento, la tua salute è la mia unica priorità. Sei qui perché ti fidi di me. Fidati anche della mia professionalità."

​Valerio si è posizionato dietro di me. Non c'era un segnale nei suoi occhi. Ha spalmato il lubrificante sul dito indice del guanto in lattice. Il gel era freddo, l'odore asettico.
​Tutto era funzionale, calcolato, e questo ha amplificato la mia frustrazione. Il mio cazzo era ancora teso in un'erezione insensata.
​"Rilassati, è un attimo," ha detto Valerio, la voce piatta.
​Non c'è stato nessun tocco preliminare. Ho sentito l'ingresso freddo del suo dito nel mio ano. Non c'era piacere; solo una sorda, dolorosa pressione.
​"Un po' di pressione," ha mormorato Valerio. "Ora ruoto il dito. Respirazione profonda."
​L'esame è continuato per pochi secondi, interminabili. Ho stretto i denti, combattendo contro il desiderio di gemere per la tensione.
​"Bene," ha detto Valerio, ritirando il dito con un movimento pulito. "Finito."

​Valerio ha gettato i guanti nel cestino. Stava per girarsi e andarsene, ripristinando il muro professionale. Ma non l'ha fatto.
​Si è fermato, le mani in tasca, e mi ha fissato. I suoi occhi non erano più concentrati sulla clinica, ma sulla mia eccitazione.
​"Nonostante la mia professionalità, e la mia innegabile freddezza," ha detto Valerio, la sua voce ora era bassa e maliziosa. "Eri ancora terribilmente duro."
​"L'hai notato," ho mormorato.
​"Certo che l'ho notato. Non sono cieco," ha replicato. "Siamo soli, a quest'ora. La segretaria è andata via da cinque minuti."
​Ha staccato le mani dal muro.
​"Mi hai costretto a toccarti in un modo che pensavamo fosse passato da anni. E tu hai reagito come se fossimo tornati nella nostra vecchia stanza all'università. Adesso, dimmi la verità, e non da paziente: Perché sei venuto davvero qui?"

​Valerio ha poggiato le mani sul lettino, intrappolandomi.
​"Non sono qui solo per il referto," ho sussurrato. "Sono qui perché volevo che tu mi toccassi. Volevo vedere se dopo tutti questi anni eravamo ancora noi."
​Ho lasciato che i miei occhi cadessero sul mio cazzo teso.
​"E la risposta, a quanto pare," ho continuato, "è sì. Mi dispiace per l'inganno, ma se dovevo fare una visita invasiva, volevo che fosse con te, perché sapevo che questo avrebbe rotto tutto."
​"Sei un bastardo manipolatore," ha detto Valerio, la voce roca.
​Non ha risposto alla mia sfida. Ha abbassato la testa e ha premuto la sua bocca sulla mia.
​Il bacio era violento, di anni di desiderio negato. La sua lingua ha invaso la mia bocca. Ho gettato le braccia intorno al suo collo, stringendo il camice bianco.
​Ci siamo separati ansimando. "Dottore," ho mormorato, "credo che la diagnosi sia... un'urgenza. E la segretaria è andata via."
​"L'urgenza è bilaterale," ha risposto Valerio. Le sue mani hanno afferrato i lembi del camice usa e getta e l'hanno strappato con un unico, netto gesto.

​Ero nudo, vulnerabile, sdraiato sul lettino da visita. Valerio era in camice bianco e pantaloni.
​Ha afferrato la sua cintura e la zip dei pantaloni. Ha spinto il cazzo teso e duro fuori dai boxer. Ha sputato sulla mano con rabbia sensuale e si è spalmato il cazzo.
​Ha afferrato i miei fianchi e si è posizionato.
​"Hai voluto l'intimità, Sean," ha detto, usando il mio nome. "E avrai l'intimità."
​Senza ulteriori preamboli, ha spinto. La penetrazione è stata immediata e brutale. Ho urlato, il suono si è riverberato nella stanza asettica. Il dolore iniziale si è fuso istantaneamente con un piacere vertiginoso.
​Il suo cazzo si è mosso dentro di me con la stessa efficienza meccanica che aveva usato il suo dito.
​"Ti ricordi cosa si sente ad essere fottuto da me?" ha sussurrato Valerio all'orecchio.
​"Sì... sì," ho ansimato.
​Ho raggiunto il culmine in un gemito strozzato. Un istante dopo, Valerio ha urlato, riversando il suo cazzo bollente dentro di me.
​"Ora," ha detto, la sua voce ridotta a un ansimo, "abbiamo finito il controllo. Puoi rivestirti."

​Valerio si è sfilato da me. Ho raccolto i pezzi strappati del mio camice.
​Quando sono uscito dalla stanza, vestito e con la postura ricomposta, Valerio era seduto alla scrivania, di nuovo il dottore. Ha scritto il referto.
​"La prostata è sana, come ti ho detto. Non ci sono problemi."
​Mi ha porto la cartella. "Allora," ho detto io, con la voce incerta. "Ci vediamo al prossimo controllo?"
​Valerio ha tolto il camice e l'ha appeso all'attaccapanni.
​"Se l'appuntamento è puramente medico, certo. Sono il tuo urologo, ora."
​"E se l'appuntamento non fosse puramente medico? Se volessi rivedere l'amico?"
​Valerio mi ha fissato, i suoi occhi erano liquidi come anni prima. Non ha risposto, ma ha allungato la mano per una stretta di mano ferma, professionale.
​"Addio," ha detto.
​Mentre scendevo i gradini, ho guardato in alto. Lui era ancora sulla soglia.
​Ho stretto la cartella medica e ho pensato: "Forse ci rivedremo. E forse, era proprio quel 'Forse' che volevo, per poterlo chiamare, domani."
scritto il
2025-12-08
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