Mia cugina: Parte 32

di
genere
incesti

Prima di entrare in auto, lancio uno sguardo verso il grattacielo in cui lavoro. Non so se Ilaria si stia scopando il suo ex adesso, ma non m'importa. Ormai è come un viso sbiadito su uno sfondo opaco. Non riesco a provare più niente per lei. Non so se sia stato lo shock o altro, ma qualcosa si è rotto. Non dovrei provare questi sentimenti. Alla fine quello che ha fatto più schifo sono io, non lei. Anzi, dovrebbe essere lei quella con sentimenti simili.
Un auto mi passa accanto e si allontana lungo il parcheggio. Il mio sguardo cade sull’ex di Ilaria. Sta camminando verso una macchina. Quindi non è con lei?
Mi guardo intorno. Ilaria non c'è. Forse è andata già via, oppure è ancora nel suo ufficio. Non importa.
Entro nella macchina, metto in moto e mi dirigo verso l'uscita del parcheggio. Mi fermo allo stop e guardo verso l'edificio. Ilaria sta uscendo dall’ingresso. Si ferma a guardarmi e alza il braccio per attirare la mia attenzione. Accosto la macchina e abbasso il finestrino dal lato passeggero.
Lei si china in avanti. — Mi dai un passaggio?
Indico con lo sguardo il parcheggio. — Il tuo ex è nel parcheggio. Può dartelo lui.
Scuote la testa con uno sbuffo, apre la portiera e sale a bordo. — Portami alla villa.
— Che fai? Entri, senza invito?
Mi fissa. — Ho bisogno di un invito?
— Non ti ho detto che ti avrei dato un passaggio.
— Ti lamenti troppo. — Volta la testa in avanti. — Dai, andiamo.
— Dov’è la tua macchina?
Sospira seccata. — Quante storie per un passaggio.
— Se stai cercando di avvicinarti di nuovo a me, sappi che non serve. Non ce l'ho con te.
Mi riguarda. — I tuoi occhi dicono tutt’altro. Ora andiamo?
Colpi di clacson.
Getto uno sguardo allo specchietto retrovisore interno. Una macchina è alle mie spalle. Ingrano la prima e parto.
— Vai ancora a letto con la ragazzina? — chiede Ilaria.
La guardo di sottecchi. — No.
— Ma ti sei fatto fare un pompino.
Non rispondo.
— Sei arrabbiato con me?
— No.
— A me sembra di sì.
— Pensala come vuoi.
Posa una mano sulla mia che ho sul cambio. La ritraggo istintivamente. Mi fissa. — Sì, sei arrabbiato.
Non rispondo.
— Non lo amo, se ti stai chiedendo questo. È capitato.
— Ok.
Sbuffa dal nervoso. — Perché non mi credi?!
— Non ho detto questo.
— Ma nemmeno il contrario.
Mi fermo al semaforo. — Non hai niente di cui scusarti, quindi…
Getta le mani in aria seccata. — Piantala con queste frasi senza senso. Lo so che pensi tutt’altro. Hai tutto il diritto di incazzarti con me.
Sposto lo sguardo su di lei. — Non stiamo più insieme, quindi puoi farti chi vuoi.
Mi fissa perplessa per un attimo. — Non ti ha dato fastidio per niente beccarmi con un altro?
— Te ne ho già parlato.
— Eri deluso. È questo che hai detto, no? Invece di incazzarti, eri soltanto deluso. Poi più niente. Quindi i tuoi sentimenti per me sono questi? Quando mi hai detto che mi amavi, che non mi avresti mai lasciata andare stavi sparando una marea di cazzate!? Volevi solo scoparmi. Non è questo che vuoi da me!?
Scatta il verde.
Forse ha ragione. Schiaccio il piede sull'acceleratore. — Pensala come vuoi.
— Gesù… — dice Ilaria irritata. — Non sai dire altro?
— Non mi va di parlarne.
— E quando ti andrà?
Non rispondo.
Sbuffa esasperata e guarda fuori dal finestrino. Per il resto della strada non ci parliamo. Non mi guarda nemmeno.
Fermo la macchina davanti alla sua villa. Lei scende, si dirige verso il cancello pedonale e ci sparisce dietro. Questo atteggiamento passivo-aggressivo mi dà sui nervi, ma è fatta così. Ci sono abituato.
Riparto.
Guido verso il mio appartamento, ma a metà tragitto cambio strada. Voglio andare da mia cugina. A Ilaria ho detto di no, che non ci sarei andato. Ed eccomi qui con le mani strette sul volante e la mente traviata. Non so da dove venga tutto questo eccitamento, ma ho una voglia matta di scoparmela.
Dopo un po' arrivo davanti alla trattoria. Non ci vengo da un bel po'. L'aria odora di terra bagnata e di uva. Rispetto alla città, qui fa più freschetto. Parcheggio l’auto e passo dal retro. A quest'ora mia cugina dovrebbe essere seduta sui gradini, ma non c'è.
Entro nel locale.
La trovo seduta davanti alla finestra mentre sistema alcuni fogli. Forse i menù? In sala non c'è nessuno e dalla cucina non arriva nessuno chiacchiericcio. Solo il profumo di detersivo che pregna l'ambiente.
La raggiungo. — Ehi.
Sarah si volta di scatto sorpresa. — Oh, ma… Che ci fai qui?
— Volevo vederti.
Si volta di nuovo, lo sguardo sui fogli. Sono documenti, non menù. — Vattene.
— Vogliamo provarci a stare insieme?
Smette di sistemare i documenti. — Ti sei già dimenticato?
— No, certo che no.
— Allora dovresti andare.
— Sono qui per te. Credo che…
Si gira con un forte sospiro irritato. — Basta! Devi smetterla!
La guardo turbato per un momento. I suoi occhi sono lucidi. Si sta trattenendo dal piangere. — Con Ilaria… — dico mentre distolgo lo sguardo. — Con Ilaria penso sia finita.
Lei mi fissa. Non risponde.
— L'ho beccata con il suo ex. Stavano scopando. Non so… All'inizio… Voglio dire…
Mia cugina incrocia le braccia sui seni. — Quindi? Arriva al punto?
— Non lo so
— Dici che sia finita, ma non lo sai nemmeno tu. E poi ti presenti qui a fare che? A dirmi che “non lo sai?”
Guardo fuori dalla finestra, le fronde degli alberi mossi dalla brezza notturna. — L’ho accompagnata a casa. Abbiamo parlato, ma… — Sospiro. — È cambiato qualcosa. Penso che…
Mia cugina sbuffa esasperata. — Sei ridondante. Non fai che parlare delle stesse cose. Ci fai l'amore, litighi, vieni da me per cercare conforto mentre mi riempi la testa di parole vuote e poi te ne vai. — Si blocca e mi punta il dito con fare accusatorio. — No, anzi. Fai l’amore anche con me, litighiamo perché non possiamo stare insieme e… — Sbuffa di nuovo. Fa per parlare, ma ci ripensa. Un altro sbuffo più pesante.
Restiamo in silenzio per un momento.
— Hai ragione — dico, lo sguardo fisso sugli insetti che ronzano sotto la luce di un lampione all’esterno. — Ma sei tu quella che litiga, non io. Io voglio stare con te. Sono sempre stato chiaro su questo.
— E io sul fatto che non possiamo stare insieme — risponde lei. — Lo vedi? Sei ripetitivo. E sinceramente comincio a stancarmi. — Torna a sistemare i documenti. Poi li prende e se ne va nel suo ufficio.
La seguo. — Non ti sei mai chiesta perché?
Sarah mette i documenti in uno schedario mentre mi dà le spalle. — Di cosa?
— Della mia “ridondanza.”
— Ricominci?
— Io ti amo, ecco perché. Sono ripetitivo fino allo sfinimento perché ti amo e non posso farci niente. Sarò pure palloso, ma è la verità.
Chiude lo schedario e si volta verso di me. Là fuori, lo squittio di una civetta. — Pensi solo a te stesso, a ciò che vuoi tu. Hai mai pensato a me? Oppure quando hai detto che saresti stato la mia rovina, era solo per dare aria alle parole? Hai idea di cosa sto passando? Oppure fingi di sì, giusto per accontentarmi?
Mi avvicina lei. — Io ti amo.
Sarah sbuffa con una smorfia divertita, scuote la testa. — Non ci arrivi proprio, eh?!
— Cosa vuoi che ti dica? Voglio stare con te, ma tu…
Scaccia l’aria con un mano ed esce dall’ufficio. Le vado dietro finché esce fuori sul retro. Si volta a guardarmi. — Davvero… sono stanca. Tutta questa situazione è… un casino. Lasciamo stare, ok?
Non rispondo.
Lei siede sull'ultimo gradino e si accende una sigaretta. Butta il fumo dalla bocca.
Mi acciglio confuso e mi siedo accanto. — Da quando fumi?
Agita la sigaretta davanti a me. — Questa… questa è colpa tua.
— Mia?
— Mi hai incasinata di brutto. Non faccio che… — Sospira frustrata. — Lascia stare.
— Non fai cosa?
— Sta’ zitto.
Strappo la sigaretta dalla sua mano e la spengo sotto le scarpe.
— Ehi! — grida Sarah, il viso stravolto dalla rabbia.
— Non voglio che fumi!
Mi fissa con uno sguardo omicida. Si alza, fa per entrare dentro, ma si ferma sotto la soglia. Mi punta il dito. — Seguimi e ti giuro che… — Impreca tra i denti e supera la porta.
Scuoto la testa e mi alzo sconfortato. Non so più che cosa fare con mia cugina. Non c'è verso di smuoverla dalla sua posizione.

Mezz’ora dopo entro nel mio appartamento. Guardo l'orologio al muro, l’una e venti. Mi faccio una doccia ed entro in camera da letto. La mia ex assistente è lì che dorme o fa finta. Ormai non mi importa più se c'è o non c'è. Tanto prima o poi si stancherà. È solo una diciottenne che non sa cosa vuole.
Mi stendo sul letto e fisso il soffitto, le mani incrociate dietro la nuca. La mia mente è una zona vuota. I pensieri si rifiutano di scorrere.
La mia ex assistente si gira verso di me e poggia la testa e la mano sul mio petto. I suoi capelli profumano di balsamo. — Hai fatto tardi.
— Avevo da fare.
— Con i tuoi amici?
— Sono andato da mia cugina.
Il suo sguardo si incupisce. — Te la sei scopata?
— No.
— Non ti credo! — risponde acida.
— Non hai detto che con me vuoi solo fare l'amore? Quindi che t’importa se…
Mi molla un pugno sul braccio. — Non cambiare discorso.
Sospiro e mi giro sul fianco. — Ora voglio dormire.
La mia ex assistente mette una mano nelle mie mutande e mi stringe il pene con delicatezza. — E io voglio fare l'amore con te. Non ho dormito perché…
Allontano la sua mano. — Sono troppo stanco.
Mi tira un calcio alla schiena.
Ruzzolo giù dal letto. — Oh, ma sei scema?! Che cazzo ti prende!?
— Vai a scoparti tua cugina, stronzo!
Mi alzo mentre mi massaggio la schiena. — Tu non ci stai proprio con la testa!
— Pure tu!
— Quando ti leverai dal cazzo?!
La mia ex assistente mi fa a pezzi con gli occhi. — Cosa hai detto?
— Hai sentito bene.
— Non credo.
— Quando ti levi dal cazzo?
Scatta in piedi, balza su di me e mi martella di schiaffi. — Bastardo figlio di pu…
La getto di peso sul letto. — Datti una cazzo di calmata!
Scatta di nuovo verso di me, gli occhi spiritati. — Ti ammazzo!
La fermo per i polsi. Lei cerca di liberarsi, senza riuscirci. Mi sferra una ginocchiata verso i genitali, ma va a vuoto.
La spingo sul letto, mi metto su di lei e le alzo le braccia sopra la sua testa, le dita serrate attorno ai suoi polsi. — La vuoi finire?!
Mi sputa in faccia. — Vuoi stuprarmi?
— Ma che cazzo stai dicendo!?
— Se non mi lasci andare, giuro che mi metto a gridare.
Molla la presa dai suoi polsi.
Lei mi molla un pugno sul costato.
Grido dal dolore e mi piego di lato sul letto. — Fottuta stronza! Che cazzo hai che non va nel cervello!?
La mia ex assistente si porta le mani sulla bocca pentita. — Mi… mi dispiace.
Gemo dal dolore, sebbene il colpo sia stato debole. Ma fa sempre male. — Sei malata!
Mette le mani sulle mie pressate sul punto dolorante. — Non volevo, davvero! Scusami.
— Cazzo, vattene! Levati dai coglioni! Non voglio più vederti.
I suoi occhi si serrano indemoniati, mi tira uno schiaffo sulla spalla.
— Cazzo! Piantala! — grido incazzato.
Lei mi fissa per un momento. Poi mi sale sopra e comincia a muovere il bacino sul mio inguine, lo sguardo assatanato.
— Che stai facendo? — domando turbato.
— Mi hai fatto venire voglia.
— Cosa?
Si abbassa su di me e mi bacia il viso. Il mio pene indurito preme sotto i pantaloni. La mia ex assistente continua a baciarmi mentre si toglie le mutandine. Poi mi abbassa pantaloni e mutande, mi bacia lungo il petto e lo stomaco e si mette in bocca il mio pene. La osservo confuso ed eccitato. È proprio fuori di testa.
Poso la testa sul cuscino e allargo le gambe per mettermi comodo. I suoi denti cominciano a grattare contro la pelle del mio pene. — I denti. Fai piano…
Mi afferra i genitali con una mano e inizia a palparli finché le dita si serrano sempre con più forza.
Le metto una mano sulla spalla mentre gemo. — Non stringere. Mi fai male…
I suoi denti si stringono con forza sul mio pene e mi strizza le palle come se volesse frantumarle.
Urlo dal dolore e le do una ginocchiata di riflesso su una tetta. La mia ex assistente cade dal letto, ma si rialza subito con un sorriso divertito.
Mi controllo il pene e i genitali doloranti. — Ma che cazzo ti prende, Cristo… — Mi piego sul letto dal dolore. Mi manca il respiro.
Lei sì siede sul materasso. — Se non mi scopi, te lo strappo via quel coso!
La guardo in malo modo. Mi alzo ed esco dalla stanza.
Lei mi segue. — Dove pensi di andare?!
Mi volto di scatto e alzo la mano per tirarle un ceffone. Lei si volta con un gridolino impaurito, le mani a protezione della testa. Guardo la mia mano sconvolto. Stavo per colpirla veramente? L’abbasso interdetto.
La mia ex assistente mi fissa da dietro una fila di dita. Indietreggia e torna in camera. Sento alcuni rumori. Poi esce dalla camera da letto vestita, mi supera con lo sguardo basso e se ne va, sbattendo la porta più forte che può.
Resto immobile per un paio di minuti. Non ho mai avuto queste reazioni. Mai. Forse sono arrivato al limite con quella ragazzina psicopatica. Mi metto una mano sulla faccia e sospiro. Un lungo sospiro.
scritto il
2025-07-25
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