Mia cugina: Parte 39
di
Catartico
genere
incesti
Tre giorni dopo sono in macchina nel parcheggio della trattoria. Anche questa volta sono qui per vedere mia cugina. E anche stavolta non ho il coraggio di andare da lei. Forse dovrei trovare una scusa per avvicinarmi. Magari cenare lì con qualcuno. Paula? Non è una buona idea. Ilaria? Non mi parla più. La finta ragazza di mio cugino? Sarebbe strano se Sarah ci vedesse da soli. Potrei andarci con gli amici, ma la sera preferiscono starsene al bar.
Comincia a piovigginare, il parabrezza che si punteggia di gocce. Guardo l'orario sul cellulare, le venti e quarantaquattro. Sono qui dalle otto, dovrei andarmene. Tanto non ho il fegato di andare da lei. Ma resto lì e si fanno le nove.
Smette di piovigginare.
Il cameriere nuovo esce sul retro e si accende una sigaretta. Mia cugina lo raggiunge poco dopo. Si mettono a parlare mentre stringo le dita sul manubrio per la gelosia. Lei ridacchia a quello che dice. Lui gesticola e parla in modo molto disinteressato. Penso che a Sarah piaccia. Oppure è sempre così con gli altri? Non lo so. Con me è sempre triste e depressa.
Lei gli tocca il braccio e lo spinge in modo affettuoso mentre ride. Gli piace, poco ma sicuro. Distolgo lo sguardo e sospiro. Un lungo sospiro pesante che uccide ogni sentimento positivo.
Vorrei mettere in moto e andare via, ma non lo faccio. Mi vedrebbe e riconoscerebbe l'auto. Sollevo lo sguardo su di loro e aspetto. Parlano ancora un paio di minuti, poi rientrano in modo giocoso mentre lei tiene le mani ferme sulle sue spalle come se lo stesse guidando dentro.
Il sangue mi sale in testa, la faccia mi formicola, le dita si stringono sul manubrio fino a far diventare le nocche bianche. Ho lo stomaco sottosopra, le labbra secche. Sono così incazzato che potrei fare un massacro. Ma che posso fare? Niente, ecco cosa. Non posso fare proprio niente.
Un cazzo di niente.
Esco dalla macchina in un impeto di rabbia e gelosia e mi dirigo a passo sostenuto verso la trattoria, il profumo di terra bagnata che aleggia nell'aria. Ci entro, ma mi fermo tre passi dopo. Che cazzo sto facendo? Non è da me essere così impulsivo. Ma voglio parlarle, solo questo. Di cosa? Non lo so, di qualunque cosa. Non m'importa.
Alla reception non c'è nessuno. Supero la porta ed entro nella sala. Odore di carne cotta. Una manciata di famiglie e tre coppie sedute ai tavoli. Il nuovo cameriere si ferma a pulire un tavolo. Sarah lo sta osservando accanto alla doppia porta della cucina. La guardo per un momento. Non so se sia così presa da lui da fissarlo, oppure se lo sta solo supervisionando. Lui prende i piatti sporchi e si dirige verso la cucina. Sarah gli sorride mentre le passa accanto. Poi incrocia il mio sguardo e il suo sorriso svanisce come le foglie nelle giornate ventose di autunno.
Abbasso istintivamente lo sguardo sulle mie scarpe, sposto il peso da un piede all’altro del tutto a disagio. Rabbia e gelosia si sono volatilizzati di colpo.
Mia cugina si dirige verso di me mentre sorride ai clienti seduti ai tavoli e mi raggiunge un po' accigliata. — Che ci fai qui?
— Volevo parlarti.
Rotea gli occhi in aria seccata, mi prende per un braccio e mi porta fuori dalla trattoria, all'ingresso. Allontana la mano. — Cosa ti ho detto? Smettila di…
— Non ce la faccio…
— Allora forzati.
— Non capisci…
— Sei tu a non capire — dice stizzita. — Non voglio più vederti. E non voglio che vieni qui, se non è strettamente necessario.
Fa per andarsene, ma la trattengo per un braccio. — Aspetta!
Fissa torva la mia mano stretta sul suo braccio, poi alza lo sguardo su di me. Mi sta uccidendo con gli occhi.
Mollo la presa e distolgo lo sguardo. — Ti piace quel tipo?
Aggrotta la fronte perplessa. — Quale tipo?
— Il cameriere. Quello nuovo.
Non risponde subito. — Stai cercando di cambiare discorso?
Mi liscio il viso sconfortato. — Quindi ti piace.
— È solo un collega. E poi non devo dare conto a te.
Sollevo lo sguardo su di lei. — Allora è finita? Tra noi…?
— Non è mai iniziata.
— Non hai mai voluto.
— E lo sai perché.
Un breve silenzio.
Il chiacchiericcio dei clienti giunge dall'interno. Risate, rumori di sedie che grattano sul pavimento.
— Se non fossimo cugini, — dico — saresti stata con me?
Sbuffa irritata. — Di nuovo con questa domanda…
— Saresti stata con me?
Scuote la testa con disappunto. — Vuoi dirmi che senso ha parlarne?
— Saresti stata?
Scaccia l'aria con una mano. — Ah, sto perdendo solo tempo. — Si volta per rientrare.
La fermo di nuovo per un braccio. — Rispondi, prima.
Mi guarda male. — Tra noi non ci potrà mai essere niente. Te l’ho già detto una volta e te lo…
Prendo il suo viso tra le mani e la bacio in bocca. Lei mi respinge debolmente. Continuo a baciarla mentre la spingo con il corpo lontano dall’ingresso e sbatte le spalle contro il muro ombreggiato dalle fronde di un albero.
Sarah mi spintona via e mi fissa di traverso. — Sei impazzito?
— Ti voglio.
— Non fare il ragazzino arrapato.
Avvicino il viso al suo. — Sono serio. Voglio solo te.
Mia cugina fa una smorfia divertita. — Piantala di comportarti come un idiota. Non mi piace. Per niente.
Fa per andarsene, ma le blocco il passaggio con un braccio. — Lo so che provi le stesse cose per me.
— Ti ho detto di smetterla! — urla.
— Che importa che siamo cugini?
Tenta ancora una volta di andarsene, ma blocco anche l’altro passaggio con un braccio. Il mio corpo preme contro il suo, il mio viso rasenta il suo.
Lei abbassa lo sguardo. — Fammi passare…
Avvicino le labbra al suo collo e lo bacio. — No.
— Smettila…
— Sai che non lo farò.
— Devo tornare al lavoro.
Bacio la sua mascella. — Tra un po' stacchi.
Lei si lascia scappare un gemito di piacere, ma rinsavisce subito. Mi spinge via con forza e ci fissiamo intensamente per un po'.
Mi avvicino di nuovo, i miei occhi nei suoi. — Non ti lascerò andare.
Si stringe al muro, lo sguardo basso. — Smettila…
Sollevo il suo mento con un dito e la bacia sulle labbra. Lentamente, poi con più gusto. Lei batte i pugni sul mio petto finché mi attornia il collo con le braccia. Il mio pene duro preme contro il suo inguine
Sarah sposta la testa di lato. — No, no, non posso… È sbagliato.
La faccio voltare e la bacio di nuovo. Un bacio spinto, passionale. La lingua scivola nella sua bocca, si attorciglia con la sua.
Una coppia giovane esce dall’ingresso. Lancio loro un'occhiata. Non ci hanno visto. Le foglie sui rami ci nascondono da occhi indiscreti.
Mia cugina mi spintona ancora una volta, si gira dall’altra parte per non farsi vedere e si pulisce le labbra con la manica della camicia. — Adesso basta…
— Non ci hanno visti — dico.
Si volta verso di me, gli occhi decisi e rassegnati allo stesso tempo. — Non c'è futuro, lo capisci?! Non possiamo stare insieme, quindi smettila di…
Tappo la sua bocca con una mano e la fisso negli occhi. Lei ricambia un po' nel panico dal mio gesto.
Una famiglia esce dall’ingresso mentre chiacchiera. Sei bambini scendono le scale in tutta fretta e si rincorrono tra le auto, le loro madri che gridano alle loro spalle.
Sarah continua a guardarmi finché sposta gli occhi a sinistra. Seguo il suo sguardo.
Il cameriere nuovo è sull’uscio. Si guarda intorno per un momento e si accende una sigaretta.
Mia cugina mi osserva di nuovo totalmente nel panico, il suo respiro accelera. Tolgo la mano dalla sua bocca. Lei sposta lo sguardo di nuovo sul cameriere e poi su di me.
— Non puoi vederci — dico.
Mi rimprovera con gli occhi.
La bacio sul collo. Lei mi spinge via in modo poco credibile, il suo sguardo va di nuovo a lui. Volto la sua testa e la bacio in bocca. Fa per spingermi una seconda volta, ma non ci mette neanche la forza. Continuo a baciarla mentre tengo sott’occhio quel tizio.
Sarah è mia, mia soltanto.
La stringo a me e la bacio con più trasporto. Lei si lascia andare del tutto.
Il cameriere nuovo butta la cicca nel posacenere sopra il cestino e rientra.
Mi stacco dal bacio e guardo Sarah. Ha le labbra arrossate, gli occhi lucidi e trasognati. — Voglio fare l’amore con te.
Lei trasale. — Non…
La prendo per mano e scendiamo gli scalini mentre Sarah si guarda alle spalle preoccupata di essere vista. Facciamo il giro dell'edificio, poi la conduco per un po' lungo il sentiero che costeggiano i filari d’uva.
— Dove mi stai portando? — domanda.
Mi fermo. — In macchina si sta scomodi.
Ritrae la mano dalla mia in modo scorbutico. — Chi ti dice che voglio far…
La bacio con passione, la lingua sulla sua. La prendo in braccio e la faccio sedere su un muretto.
Mi spinge. — No! Basta! — Faccio per ribaciarla, ma spinge di nuovo. — Ti ho detto basta!
— Ti voglio!
Scende dal muretto con gli occhi lucidi, si volta dall’altra parte. Tutto l'eccitamento svanisce di colpo, abbasso lo sguardo.
Ed ecco che arrivano i sensi di colpa.
Restiamo in silenzio per un momento che sembra un'eternità, la luna che sbircia dalle nuvole.
Sarah si volta verso di me infuriata. — Dici di amarmi, ma non mi rispetti per niente!
— Io…
Mi spintona, gli occhi rossi dalla lacrime. — Perché continui a tormentarmi?! Perché non mi lasci in pace!? Perché!? — Mi sferra pugni sul petto. — Perché mi fai questo!? Perché!?
— Perché…
I suoi pugni si fanno più deboli fino a fermarsi sul mio petto. La stringo a me in un abbraccio. Lei tenta di divincolarsi, senza troppa convinzione. Metto una mano sulla sua testa, avvicino il viso al mio petto. Sarah scoppia in un pianto sommesso per un attimo, poi diventa quasi isterico.
Non so cosa fare. Ogni volta finisce allo stesso modo. Ogni volta la faccio piangere. Ma che ci posso fare? La amo. Non riesco a lasciarla andare. Non ci riesco proprio. Sono uno stronzo egoista del cazzo, lo so. Sono lo schifo fatto persona.
Sarah si stacca da me e mi guarda con gli occhi arrossati e lucidi. — Sei contento…?
— Contento?
— Che mi hai fatto piangere.
— Certo che no.
— Allora perché continui a torturarmi?
— Lo sai perché.
Si asciuga il viso con la manica della camicia. — Sono stanca…
— Anch’io.
— Allora non venire più a cercarmi.
— Lo sai che è impossibile.
Il suo sguardo si fa brutale. — Lasciami in pace!
Prendo una sua mano, ma la ritrae in malo modo. L’afferro di nuovo, la stringo. — Ascoltami…
Mi spinge con violenza. — Basta! Smettila!
L’abbraccio di nuovo. Lei ricomincia a piangere, la testa sul mio petto. Siamo bloccati in un loop e non riusciamo a uscirne. Più le parlo, più peggioro la situazione.
Devo lasciarla andare? No, impossibile. Mai e poi mai.
Mia cugina smette di piangere.
Restiamo abbracciati in silenzio per un lungo momento, il vento che soffia e ulula tra i rami degli ulivi. I rumori della città giungono forti e deboli a seconda dell'intensità dei venti.
Sarah si stacca da me, ma la stringo e la bacio sulla fronte. — Ti amo — bisbiglio.
Nessuna risposta.
— Voglio prendermi cura di te.
Alza la testa di scatto e mi spintona con forza, gli occhi incazzati. — Cosa!?
— Hai sentito.
— Non accadrà mai.
La bacio con passione e la spingo col corpo verso il muretto mentre lei finge di divincolarsi da me. La sollevo per il sedere e la faccio sedere sopra la pietra. Mi abbasso pantaloni e mutande, il mio pene s'impenna durissimo. Non ce la faccio più.
Sarah abbassa lo sguardo sul mio uccello e mi spintona in modo violento. Distoglie lo sguardo. — Che stai facendo!? Rivestiti.
Prendo la sua mano e me la metto attorno al mio uccello. È freddissima, ma piacevole. Lei fa una smorfia di finto disgusto, la mano stretta sul mio pene. Comincio a segarmi con la sua mano, i suoi occhi fissi nei miei. Mi avvicino per baciarla in bocca, ma volta la testa in una smorfia.
Mollo la presa dalla sua mano. Lei continua da sola a segarmi per un minuto. Poi accarezzo il suo viso con un dito e bacio il suo collo mentre il suo respiro si fa più corto e la sua mano si stringe ancora di più sul mio pene. Bacio la sua mascella, la sua guancia e poi le labbra. Lei mi caccia la lingua in bocca quasi subito.
È il via libera.
Sbottono la sua camicia mentre limoniamo come due adolescenti arrapati e palpo un suo seno sotto il reggiseno. Meraviglioso! Avevo dimenticato quanto fossero morbide e lisce le sue tette.
Sarah mi stringe a sé con un braccio mentre il mio pene sbatte contro il suo addome e continua a segarmi.
La faccio alzare dal muretto e le abbasso in tutta fretta pantaloni e mutandine. Si è rasata là sotto, la sua vagina è quasi glabra. Mi chino per leccarla, ma mi blocca.
— No — dice, le labbra arrossate.
— Perché?
— Ero al lavoro. Non ho potuto lavarmi.
— Che importa.
— No.
Mi chino ugualmente e massaggio il suo clitoride con le dita. Mia cugina geme e mi mette una mano sulla testa con una smorfia. Avvicino le labbra.
— No… — dice.
— So già che sapore hai.
Mi allontana il viso con la mano. — No, non farlo.
Sposto la sua mano dalla mia testa e affondo labbra e lingua nella sua vagina. Mia cugina sussulta dal piacere, appoggia a malapena il sedere sul muretto e allarga le cosce, le mani piantate sulla pietra. Comincio leccare le grandi labbra e il suo clitoride. Ha un sapore salato. Molto salato. Sa di sapone intimo alla menta con un retrogusto di pesce. Non direi proprio di pesce, ma qualcosa di simile. Ma l'odore e il sapore di menta è molto più intenso. Mi piace.
Affonda le sue dita nei miei capelli, spinge il mio viso sulla sua vagina mentre ansima. Quando le sue cosce iniziano a fremere, allontano la lingua.
Lei smette di gemere e mi fissa torva. Ci fissiamo per un attimo. Poi mi prende la testa e me la spiaccica sulla sua vagina mentre chiude le cosce attorno alla mia faccia. Le mie orecchie si tappano. L’odore di menta si fa ancora più forte, mi pervade le narici. Mi manca quasi il respiro. Bacio il suo clitoride e lo lecco per un po' mentre le sue cosce strusciano contro le mie guance.
Poi mi fa alzare e mi stringe in un abbraccio così forte da togliere il fiato. Ricomincia a piangere. Accarezzo la sua testa mentre il mio pene pulsa eccitato come se dovesse implodere. Sarah solleva lo sguardo lucido su di me. Fa per dire qualcosa, ma si ferma e appoggia di nuovo la testa sul mio petto.
— Ehi… — dico.
Non risponde.
— Anche se mi respingi, anche se mi cacci, io verrò sempre da te.
Altro silenzio.
— Non voglio lasciarti andare. Non voglio perderti.
Il vento, che sfiora i nostri visi, trasporta l’odore della terra e i suoni della città.
Bacio la sua testa con affetto. — Per me sei importante… Non immagini nemmeno quanto.
Lei serra ancora di più le braccia attorno alle mie spalle. Nessuna parola.
Poso il mento sulla sua testa. — Sei sempre nei miei pensieri. Notte e giorno. Non c'è un momento della giornata in cui non mi domando, “Chissà cosa sta facendo, Sarah?” “Chissà cosa ha mangiato?”
Mia cugina si stacca da me e mi guarda negli occhi, il viso arrossato per le lacrime. — Smettila…
— Ti amo.
Distoglie lo sguardo. — Ti ho detto di…
La bacio.
Lei mi stringe di nuovo, mi infila la lingua in bocca. Il mio uccello duro preme contro il suo addome. Calo una mano sul suo clitoride e lo accarezzo per un po' mentre con l’altra palpo i suoi seni. Sarah prende in mano il mio pene e mi sega per un momento.
Allargo le sue gambe frontalmente e faccio scivolare il mio uccello nella sua vagina. È un forno. È così calda che rischio di venire subito, ma mi trattengo. Lei mi stringe a sé, mi ingabbia. Incrocia le braccia attorno alle mie spalle e le gambe attorno ai miei fianchi. Inizio a martellare la sua vagina con il bacino. Colpi secchi, veloci. Mia cugina ansima dal piacere. Il rumore vischioso dei suoi liquidi si confonde con quello del vento tra le foglie e dei motori dei veicoli lontani.
Mi bacia con la lingua mentre tengo ferma la sua testa con una mano sulla nuca. Rallento l’andatura dei colpi per un momento. Poi ricomincio più intensamente finché mia cugina comincia a tremare, a irrigidirsi per l’orgasmo.
Tiro fuori il mio pene e vengo sulla sua pancia. Dalla sua vagina cola dello sperma assieme ai suoi liquidi. Non mi sono accorto di essere venuto anche dentro.
Serah osserva il mio liquido sul suo addome. Prendo dei fazzoletti dai pantaloni e li do. Lei si pulisce la pancia e la vagina. Poi si rimette mutandine e pantaloni.
Mi rivesto e ci guardiamo mentre tutt'attorno i grilli iniziano a cantare. Sono rimasti in silenzio per tutto il tempo e ora sembrano voler parlare al nostro posto.
Porto una mano dietro la testa imbarazzato. — È stato…
— …un altro errore — risponde lei.
— No! Non intendevo questo.
— Lo so cosa intendevi.
— Per me…
— Questo è il massimo che possiamo aspirare insieme.
— Possiamo fare anche altro — dico.
Si pulisce i pantaloni dalla polvere. — Devo tornare. Si staranno chiedendo dove sia finita.
— Il tuo turno è terminato già da un po'.
— Non posso andarmene senza avvisare.
— Allora ti accompagno.
— No.
Mi acciglio frustrato. — Perché?
— Perché mi fai ripetere sempre le stesse cose? Non ti stanchi?
— Abbiamo appena finito di fare l’amore e…
Sbuffa e si allontana con passo sostenuto, il rumore della terra sotto le sue scarpe.
Le vado dietro. — Aspetta!
— Non parlare! Mi stai dando sui nervi.
— Ma voglio che…
Si ferma di colpo a guardarmi infuriata. — Giuro che se non la finisci… Io…
Sorrido affettuoso. — Mi va bene quello che mi hai detto.
Si acciglia confusa. — Cosa?
— Che il massimo a cui possiamo aspirare è fare l’amore.
Sposta gli occhi attorno a me, senza guardare nulla di preciso. — Penso che mi sia spiegata male. Quello che…
— A me va bene così. Finché ti avrò accanto, il resto non m’importa.
Rimane in silenzio per un manciata di secondi. Poi si gira e ricomincia a camminare.
Non la seguo. La osservo allontanarsi nel buio mentre i grilli raccontano al vento storie che mai conoscerò.
Comincia a piovigginare, il parabrezza che si punteggia di gocce. Guardo l'orario sul cellulare, le venti e quarantaquattro. Sono qui dalle otto, dovrei andarmene. Tanto non ho il fegato di andare da lei. Ma resto lì e si fanno le nove.
Smette di piovigginare.
Il cameriere nuovo esce sul retro e si accende una sigaretta. Mia cugina lo raggiunge poco dopo. Si mettono a parlare mentre stringo le dita sul manubrio per la gelosia. Lei ridacchia a quello che dice. Lui gesticola e parla in modo molto disinteressato. Penso che a Sarah piaccia. Oppure è sempre così con gli altri? Non lo so. Con me è sempre triste e depressa.
Lei gli tocca il braccio e lo spinge in modo affettuoso mentre ride. Gli piace, poco ma sicuro. Distolgo lo sguardo e sospiro. Un lungo sospiro pesante che uccide ogni sentimento positivo.
Vorrei mettere in moto e andare via, ma non lo faccio. Mi vedrebbe e riconoscerebbe l'auto. Sollevo lo sguardo su di loro e aspetto. Parlano ancora un paio di minuti, poi rientrano in modo giocoso mentre lei tiene le mani ferme sulle sue spalle come se lo stesse guidando dentro.
Il sangue mi sale in testa, la faccia mi formicola, le dita si stringono sul manubrio fino a far diventare le nocche bianche. Ho lo stomaco sottosopra, le labbra secche. Sono così incazzato che potrei fare un massacro. Ma che posso fare? Niente, ecco cosa. Non posso fare proprio niente.
Un cazzo di niente.
Esco dalla macchina in un impeto di rabbia e gelosia e mi dirigo a passo sostenuto verso la trattoria, il profumo di terra bagnata che aleggia nell'aria. Ci entro, ma mi fermo tre passi dopo. Che cazzo sto facendo? Non è da me essere così impulsivo. Ma voglio parlarle, solo questo. Di cosa? Non lo so, di qualunque cosa. Non m'importa.
Alla reception non c'è nessuno. Supero la porta ed entro nella sala. Odore di carne cotta. Una manciata di famiglie e tre coppie sedute ai tavoli. Il nuovo cameriere si ferma a pulire un tavolo. Sarah lo sta osservando accanto alla doppia porta della cucina. La guardo per un momento. Non so se sia così presa da lui da fissarlo, oppure se lo sta solo supervisionando. Lui prende i piatti sporchi e si dirige verso la cucina. Sarah gli sorride mentre le passa accanto. Poi incrocia il mio sguardo e il suo sorriso svanisce come le foglie nelle giornate ventose di autunno.
Abbasso istintivamente lo sguardo sulle mie scarpe, sposto il peso da un piede all’altro del tutto a disagio. Rabbia e gelosia si sono volatilizzati di colpo.
Mia cugina si dirige verso di me mentre sorride ai clienti seduti ai tavoli e mi raggiunge un po' accigliata. — Che ci fai qui?
— Volevo parlarti.
Rotea gli occhi in aria seccata, mi prende per un braccio e mi porta fuori dalla trattoria, all'ingresso. Allontana la mano. — Cosa ti ho detto? Smettila di…
— Non ce la faccio…
— Allora forzati.
— Non capisci…
— Sei tu a non capire — dice stizzita. — Non voglio più vederti. E non voglio che vieni qui, se non è strettamente necessario.
Fa per andarsene, ma la trattengo per un braccio. — Aspetta!
Fissa torva la mia mano stretta sul suo braccio, poi alza lo sguardo su di me. Mi sta uccidendo con gli occhi.
Mollo la presa e distolgo lo sguardo. — Ti piace quel tipo?
Aggrotta la fronte perplessa. — Quale tipo?
— Il cameriere. Quello nuovo.
Non risponde subito. — Stai cercando di cambiare discorso?
Mi liscio il viso sconfortato. — Quindi ti piace.
— È solo un collega. E poi non devo dare conto a te.
Sollevo lo sguardo su di lei. — Allora è finita? Tra noi…?
— Non è mai iniziata.
— Non hai mai voluto.
— E lo sai perché.
Un breve silenzio.
Il chiacchiericcio dei clienti giunge dall'interno. Risate, rumori di sedie che grattano sul pavimento.
— Se non fossimo cugini, — dico — saresti stata con me?
Sbuffa irritata. — Di nuovo con questa domanda…
— Saresti stata con me?
Scuote la testa con disappunto. — Vuoi dirmi che senso ha parlarne?
— Saresti stata?
Scaccia l'aria con una mano. — Ah, sto perdendo solo tempo. — Si volta per rientrare.
La fermo di nuovo per un braccio. — Rispondi, prima.
Mi guarda male. — Tra noi non ci potrà mai essere niente. Te l’ho già detto una volta e te lo…
Prendo il suo viso tra le mani e la bacio in bocca. Lei mi respinge debolmente. Continuo a baciarla mentre la spingo con il corpo lontano dall’ingresso e sbatte le spalle contro il muro ombreggiato dalle fronde di un albero.
Sarah mi spintona via e mi fissa di traverso. — Sei impazzito?
— Ti voglio.
— Non fare il ragazzino arrapato.
Avvicino il viso al suo. — Sono serio. Voglio solo te.
Mia cugina fa una smorfia divertita. — Piantala di comportarti come un idiota. Non mi piace. Per niente.
Fa per andarsene, ma le blocco il passaggio con un braccio. — Lo so che provi le stesse cose per me.
— Ti ho detto di smetterla! — urla.
— Che importa che siamo cugini?
Tenta ancora una volta di andarsene, ma blocco anche l’altro passaggio con un braccio. Il mio corpo preme contro il suo, il mio viso rasenta il suo.
Lei abbassa lo sguardo. — Fammi passare…
Avvicino le labbra al suo collo e lo bacio. — No.
— Smettila…
— Sai che non lo farò.
— Devo tornare al lavoro.
Bacio la sua mascella. — Tra un po' stacchi.
Lei si lascia scappare un gemito di piacere, ma rinsavisce subito. Mi spinge via con forza e ci fissiamo intensamente per un po'.
Mi avvicino di nuovo, i miei occhi nei suoi. — Non ti lascerò andare.
Si stringe al muro, lo sguardo basso. — Smettila…
Sollevo il suo mento con un dito e la bacia sulle labbra. Lentamente, poi con più gusto. Lei batte i pugni sul mio petto finché mi attornia il collo con le braccia. Il mio pene duro preme contro il suo inguine
Sarah sposta la testa di lato. — No, no, non posso… È sbagliato.
La faccio voltare e la bacio di nuovo. Un bacio spinto, passionale. La lingua scivola nella sua bocca, si attorciglia con la sua.
Una coppia giovane esce dall’ingresso. Lancio loro un'occhiata. Non ci hanno visto. Le foglie sui rami ci nascondono da occhi indiscreti.
Mia cugina mi spintona ancora una volta, si gira dall’altra parte per non farsi vedere e si pulisce le labbra con la manica della camicia. — Adesso basta…
— Non ci hanno visti — dico.
Si volta verso di me, gli occhi decisi e rassegnati allo stesso tempo. — Non c'è futuro, lo capisci?! Non possiamo stare insieme, quindi smettila di…
Tappo la sua bocca con una mano e la fisso negli occhi. Lei ricambia un po' nel panico dal mio gesto.
Una famiglia esce dall’ingresso mentre chiacchiera. Sei bambini scendono le scale in tutta fretta e si rincorrono tra le auto, le loro madri che gridano alle loro spalle.
Sarah continua a guardarmi finché sposta gli occhi a sinistra. Seguo il suo sguardo.
Il cameriere nuovo è sull’uscio. Si guarda intorno per un momento e si accende una sigaretta.
Mia cugina mi osserva di nuovo totalmente nel panico, il suo respiro accelera. Tolgo la mano dalla sua bocca. Lei sposta lo sguardo di nuovo sul cameriere e poi su di me.
— Non puoi vederci — dico.
Mi rimprovera con gli occhi.
La bacio sul collo. Lei mi spinge via in modo poco credibile, il suo sguardo va di nuovo a lui. Volto la sua testa e la bacio in bocca. Fa per spingermi una seconda volta, ma non ci mette neanche la forza. Continuo a baciarla mentre tengo sott’occhio quel tizio.
Sarah è mia, mia soltanto.
La stringo a me e la bacio con più trasporto. Lei si lascia andare del tutto.
Il cameriere nuovo butta la cicca nel posacenere sopra il cestino e rientra.
Mi stacco dal bacio e guardo Sarah. Ha le labbra arrossate, gli occhi lucidi e trasognati. — Voglio fare l’amore con te.
Lei trasale. — Non…
La prendo per mano e scendiamo gli scalini mentre Sarah si guarda alle spalle preoccupata di essere vista. Facciamo il giro dell'edificio, poi la conduco per un po' lungo il sentiero che costeggiano i filari d’uva.
— Dove mi stai portando? — domanda.
Mi fermo. — In macchina si sta scomodi.
Ritrae la mano dalla mia in modo scorbutico. — Chi ti dice che voglio far…
La bacio con passione, la lingua sulla sua. La prendo in braccio e la faccio sedere su un muretto.
Mi spinge. — No! Basta! — Faccio per ribaciarla, ma spinge di nuovo. — Ti ho detto basta!
— Ti voglio!
Scende dal muretto con gli occhi lucidi, si volta dall’altra parte. Tutto l'eccitamento svanisce di colpo, abbasso lo sguardo.
Ed ecco che arrivano i sensi di colpa.
Restiamo in silenzio per un momento che sembra un'eternità, la luna che sbircia dalle nuvole.
Sarah si volta verso di me infuriata. — Dici di amarmi, ma non mi rispetti per niente!
— Io…
Mi spintona, gli occhi rossi dalla lacrime. — Perché continui a tormentarmi?! Perché non mi lasci in pace!? Perché!? — Mi sferra pugni sul petto. — Perché mi fai questo!? Perché!?
— Perché…
I suoi pugni si fanno più deboli fino a fermarsi sul mio petto. La stringo a me in un abbraccio. Lei tenta di divincolarsi, senza troppa convinzione. Metto una mano sulla sua testa, avvicino il viso al mio petto. Sarah scoppia in un pianto sommesso per un attimo, poi diventa quasi isterico.
Non so cosa fare. Ogni volta finisce allo stesso modo. Ogni volta la faccio piangere. Ma che ci posso fare? La amo. Non riesco a lasciarla andare. Non ci riesco proprio. Sono uno stronzo egoista del cazzo, lo so. Sono lo schifo fatto persona.
Sarah si stacca da me e mi guarda con gli occhi arrossati e lucidi. — Sei contento…?
— Contento?
— Che mi hai fatto piangere.
— Certo che no.
— Allora perché continui a torturarmi?
— Lo sai perché.
Si asciuga il viso con la manica della camicia. — Sono stanca…
— Anch’io.
— Allora non venire più a cercarmi.
— Lo sai che è impossibile.
Il suo sguardo si fa brutale. — Lasciami in pace!
Prendo una sua mano, ma la ritrae in malo modo. L’afferro di nuovo, la stringo. — Ascoltami…
Mi spinge con violenza. — Basta! Smettila!
L’abbraccio di nuovo. Lei ricomincia a piangere, la testa sul mio petto. Siamo bloccati in un loop e non riusciamo a uscirne. Più le parlo, più peggioro la situazione.
Devo lasciarla andare? No, impossibile. Mai e poi mai.
Mia cugina smette di piangere.
Restiamo abbracciati in silenzio per un lungo momento, il vento che soffia e ulula tra i rami degli ulivi. I rumori della città giungono forti e deboli a seconda dell'intensità dei venti.
Sarah si stacca da me, ma la stringo e la bacio sulla fronte. — Ti amo — bisbiglio.
Nessuna risposta.
— Voglio prendermi cura di te.
Alza la testa di scatto e mi spintona con forza, gli occhi incazzati. — Cosa!?
— Hai sentito.
— Non accadrà mai.
La bacio con passione e la spingo col corpo verso il muretto mentre lei finge di divincolarsi da me. La sollevo per il sedere e la faccio sedere sopra la pietra. Mi abbasso pantaloni e mutande, il mio pene s'impenna durissimo. Non ce la faccio più.
Sarah abbassa lo sguardo sul mio uccello e mi spintona in modo violento. Distoglie lo sguardo. — Che stai facendo!? Rivestiti.
Prendo la sua mano e me la metto attorno al mio uccello. È freddissima, ma piacevole. Lei fa una smorfia di finto disgusto, la mano stretta sul mio pene. Comincio a segarmi con la sua mano, i suoi occhi fissi nei miei. Mi avvicino per baciarla in bocca, ma volta la testa in una smorfia.
Mollo la presa dalla sua mano. Lei continua da sola a segarmi per un minuto. Poi accarezzo il suo viso con un dito e bacio il suo collo mentre il suo respiro si fa più corto e la sua mano si stringe ancora di più sul mio pene. Bacio la sua mascella, la sua guancia e poi le labbra. Lei mi caccia la lingua in bocca quasi subito.
È il via libera.
Sbottono la sua camicia mentre limoniamo come due adolescenti arrapati e palpo un suo seno sotto il reggiseno. Meraviglioso! Avevo dimenticato quanto fossero morbide e lisce le sue tette.
Sarah mi stringe a sé con un braccio mentre il mio pene sbatte contro il suo addome e continua a segarmi.
La faccio alzare dal muretto e le abbasso in tutta fretta pantaloni e mutandine. Si è rasata là sotto, la sua vagina è quasi glabra. Mi chino per leccarla, ma mi blocca.
— No — dice, le labbra arrossate.
— Perché?
— Ero al lavoro. Non ho potuto lavarmi.
— Che importa.
— No.
Mi chino ugualmente e massaggio il suo clitoride con le dita. Mia cugina geme e mi mette una mano sulla testa con una smorfia. Avvicino le labbra.
— No… — dice.
— So già che sapore hai.
Mi allontana il viso con la mano. — No, non farlo.
Sposto la sua mano dalla mia testa e affondo labbra e lingua nella sua vagina. Mia cugina sussulta dal piacere, appoggia a malapena il sedere sul muretto e allarga le cosce, le mani piantate sulla pietra. Comincio leccare le grandi labbra e il suo clitoride. Ha un sapore salato. Molto salato. Sa di sapone intimo alla menta con un retrogusto di pesce. Non direi proprio di pesce, ma qualcosa di simile. Ma l'odore e il sapore di menta è molto più intenso. Mi piace.
Affonda le sue dita nei miei capelli, spinge il mio viso sulla sua vagina mentre ansima. Quando le sue cosce iniziano a fremere, allontano la lingua.
Lei smette di gemere e mi fissa torva. Ci fissiamo per un attimo. Poi mi prende la testa e me la spiaccica sulla sua vagina mentre chiude le cosce attorno alla mia faccia. Le mie orecchie si tappano. L’odore di menta si fa ancora più forte, mi pervade le narici. Mi manca quasi il respiro. Bacio il suo clitoride e lo lecco per un po' mentre le sue cosce strusciano contro le mie guance.
Poi mi fa alzare e mi stringe in un abbraccio così forte da togliere il fiato. Ricomincia a piangere. Accarezzo la sua testa mentre il mio pene pulsa eccitato come se dovesse implodere. Sarah solleva lo sguardo lucido su di me. Fa per dire qualcosa, ma si ferma e appoggia di nuovo la testa sul mio petto.
— Ehi… — dico.
Non risponde.
— Anche se mi respingi, anche se mi cacci, io verrò sempre da te.
Altro silenzio.
— Non voglio lasciarti andare. Non voglio perderti.
Il vento, che sfiora i nostri visi, trasporta l’odore della terra e i suoni della città.
Bacio la sua testa con affetto. — Per me sei importante… Non immagini nemmeno quanto.
Lei serra ancora di più le braccia attorno alle mie spalle. Nessuna parola.
Poso il mento sulla sua testa. — Sei sempre nei miei pensieri. Notte e giorno. Non c'è un momento della giornata in cui non mi domando, “Chissà cosa sta facendo, Sarah?” “Chissà cosa ha mangiato?”
Mia cugina si stacca da me e mi guarda negli occhi, il viso arrossato per le lacrime. — Smettila…
— Ti amo.
Distoglie lo sguardo. — Ti ho detto di…
La bacio.
Lei mi stringe di nuovo, mi infila la lingua in bocca. Il mio uccello duro preme contro il suo addome. Calo una mano sul suo clitoride e lo accarezzo per un po' mentre con l’altra palpo i suoi seni. Sarah prende in mano il mio pene e mi sega per un momento.
Allargo le sue gambe frontalmente e faccio scivolare il mio uccello nella sua vagina. È un forno. È così calda che rischio di venire subito, ma mi trattengo. Lei mi stringe a sé, mi ingabbia. Incrocia le braccia attorno alle mie spalle e le gambe attorno ai miei fianchi. Inizio a martellare la sua vagina con il bacino. Colpi secchi, veloci. Mia cugina ansima dal piacere. Il rumore vischioso dei suoi liquidi si confonde con quello del vento tra le foglie e dei motori dei veicoli lontani.
Mi bacia con la lingua mentre tengo ferma la sua testa con una mano sulla nuca. Rallento l’andatura dei colpi per un momento. Poi ricomincio più intensamente finché mia cugina comincia a tremare, a irrigidirsi per l’orgasmo.
Tiro fuori il mio pene e vengo sulla sua pancia. Dalla sua vagina cola dello sperma assieme ai suoi liquidi. Non mi sono accorto di essere venuto anche dentro.
Serah osserva il mio liquido sul suo addome. Prendo dei fazzoletti dai pantaloni e li do. Lei si pulisce la pancia e la vagina. Poi si rimette mutandine e pantaloni.
Mi rivesto e ci guardiamo mentre tutt'attorno i grilli iniziano a cantare. Sono rimasti in silenzio per tutto il tempo e ora sembrano voler parlare al nostro posto.
Porto una mano dietro la testa imbarazzato. — È stato…
— …un altro errore — risponde lei.
— No! Non intendevo questo.
— Lo so cosa intendevi.
— Per me…
— Questo è il massimo che possiamo aspirare insieme.
— Possiamo fare anche altro — dico.
Si pulisce i pantaloni dalla polvere. — Devo tornare. Si staranno chiedendo dove sia finita.
— Il tuo turno è terminato già da un po'.
— Non posso andarmene senza avvisare.
— Allora ti accompagno.
— No.
Mi acciglio frustrato. — Perché?
— Perché mi fai ripetere sempre le stesse cose? Non ti stanchi?
— Abbiamo appena finito di fare l’amore e…
Sbuffa e si allontana con passo sostenuto, il rumore della terra sotto le sue scarpe.
Le vado dietro. — Aspetta!
— Non parlare! Mi stai dando sui nervi.
— Ma voglio che…
Si ferma di colpo a guardarmi infuriata. — Giuro che se non la finisci… Io…
Sorrido affettuoso. — Mi va bene quello che mi hai detto.
Si acciglia confusa. — Cosa?
— Che il massimo a cui possiamo aspirare è fare l’amore.
Sposta gli occhi attorno a me, senza guardare nulla di preciso. — Penso che mi sia spiegata male. Quello che…
— A me va bene così. Finché ti avrò accanto, il resto non m’importa.
Rimane in silenzio per un manciata di secondi. Poi si gira e ricomincia a camminare.
Non la seguo. La osservo allontanarsi nel buio mentre i grilli raccontano al vento storie che mai conoscerò.
3
4
voti
voti
valutazione
6.5
6.5
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Mia cugina: Parte 38racconto sucessivo
Mia cugina: Parte 40
Commenti dei lettori al racconto erotico