Mia cugina: Parte 40
di
Catartico
genere
incesti
Una settimana dopo, sono nel mio ufficio, la testa china sui documenti d'investimento di Caterina Savona. Ha ampliato il suo portfolio finanziario e ora vuole investire nel settore immobiliare. A quanto pare, investire nel campo videoludico non le piace, sebbene abbia generato un grande profitto. Ho cercato di persuaderla, ma quei suoi occhi neri mi hanno messo in soggezione. E poi, se devo essere sincero, si sa muovere nel mondo della finanza. Conosce tutti i meccanismi di mercato, quando comprare e vendere. Ma soprattutto ha lungimiranza e intuito, due fattori importantissimi e spesso sottovalutati.
Alla fine, ho fatto come mi ha ordinato. Ho spostato l'intero portfolio finanziario nel settore immobiliare. Mi domando a cosa gli servo, se fa tutto di testa sua? E lo sa fare così bene che mi fa dubitare anche delle mie stesse capacità.
Bussano alla porta.
Alzo gli occhi. — Sì?
Federica entra. Il suo sguardo è migliorato. Ora non sembra più triste. — La riunione delle tre è stata posticipata a domani.
— Al solito orario?
— La vicepresidente Neri non me l’ha ancora detto.
— Allora tienimi aggiornato.
Federica annuisce e se ne va. La porta si chiude.
Prendo il whisky dal cassetto della scrivania, mi riempio due dita di Whisky e mi alzo. È da un mese che non bevo. Quando è stata l'ultima volta? Non mi ricordo. Me ne sono solo dimenticato. Dimenticare... Se solo funzionasse anche così con Sarah. Invece è sempre nei miei pensieri. Anzi, ora anche più di prima.
Tracanno il Whisky.
Poso il bicchiere, mi rimetto seduto alla scrivania e inizio a leggere il piano d'investimento che ho scritto in questo mese. So già che farà una brutta fine. Ilaria lo accetterà come sempre e Caterina Savona lo cestinerà alla prima riga letta. Non so perché mi sbatto tanto a crearne uno. Un foglio bianco andrebbe più che bene, visto la fine che farà.
Verso l’una, esco dal mio ufficio e mi dirigo al distributore per prendere qualcosa da mangiare. I cubicoli sono tutti vuoti. La maggior parte dei dipendenti va a mangiare fuori dall'edificio. McDonald's, Burger king, bar. Credo di essere l'unico che mangia roba scadente dal distributore. Ormai mi ci sono fatto l’abitudine ai sandwich e tramezzini che sanno di plastica.
Prendo un tramezzino dal distributore e mi dirigo verso la terrazza, i passi che fanno eco nel corridoio deserto. Esco, mi siedo sulla panca e scarto il tramezzino. Il cielo, una tela azzurra. Ci do un morso mentre guardo il punto in cui spesso vedo Ilaria scopare con il suo ex. Riesco persino a vedere mentalmente il suo sguardo, ora. I loro corpi che si muovono, i loro gemiti di piacere.
— Solo soletto anche questa volta — dice Paula, alle mie spalle.
Mi volto, mentre lei si siede accanto. — Che ci fa qui?
— Volevo vedere il panorama.
— Sì, il panorama...
— E poi qui si sta così bene. C’è una bella aria. E fa freschetto.
Do un altro morso al tramezzino, lo mastico, lo mando giù. — Perché sei qui?
Arriccia le labbra con finto disappunto. — Quanto sei diffidente...
— La tua presenza ha sempre un motivo. Ormai ho imparato a capirlo.
— Non voglio proprio niente.
— Certo...
Si alza, appoggia i gomiti al parapetto della terrazza e guarda giù, i capelli mossi dal vento. — Hai la luna storta, oggi?
Ingoio l’ultimo pezzo di tramezzino. Non rispondo.
Paula mi lancia un'occhiata. — Perché pensi che ho sempre secondi fini?
— Tutte le volte che mi hai... come dire, avvicinato, lo hai fatto per qualcosa.
— Ah, sì? E cosa? Sentiamo.
— Sesso.
Fa una smorfia, divertita. — Beh, non posso negarlo, ma... non sempre è così.
— È sempre stato così, fin dall'inizio.
Paula si volta verso di me, i gomiti e le spalle appoggiati sulla balaustra. — Sei troppo egocentrico. Pensi che io ruoti attorno a te?
— Non ho detto questo.
— Ma è implicito.
— No.
Alza un angolo della bocca in un sorriso, mellifluo. — Comunque...
— Cosa?
— Niente. Non stavo dicendo niente.
Scuoto la testa un poco, irritato. — Perché sei qui?
Sorride con fare infantile e si gira a guardare giù in strada. Un aereo di linea solca il cielo azzurro, lasciandosi una scia bianca alle spalle. Batte le dita sul parapetto. — Hai presente l’ex di Ilaria?
— Sì.
— È venuto fuori che è il figlio di Massimo Gallo.
Mi acciglio, sorpreso. — Il magnate immobiliare?
Si volta a guardarmi con un sorriso, beffardo. — Già, proprio lui. Non lo trovi divertente?
— In che senso?
— La nostra amichetta Ilaria è già straricca. Se si sposasse con lui, diventerebbe miliardaria.
Mi acciglio, perplesso. — Quindi?
Mi si avvicina. — Davvero non ci arrivi? Conosci Ilaria meglio di me, dopotutto.
Sbuffo, seccato. — Parla chiaramente.
Si siede accanto a me e accavalla le gambe. Il mio occhio cade sulle sue cosce. Lei lo nota, sorride. — Ti facevo più perspicace.
— Ti decidi a parlare?
— Quanta arroganza — dice con una smorfia.
Mi alzo per andare via.
Paula mi afferra per un polso. — Sei troppo su di giri oggi, eh?
Ritraggo la mano, in modo brusco. — Dimmi quello che mi devi dire o me ne vado.
Accavalla di nuovo le gambe. Ma questa volta lo fa lentamente, così da farmi scorgere le mutandine. Mi lancia un sorriso, malizioso.
Distolgo lo sguardo. — Cos'è? Ti stai mettendo a giocare con me?
— Mi piace provocarti.
La ignoro. — Riguardo a Ilaria... Cosa mi stavi dicendo?
Volta la testa dall’altra parte, annoiata. — Ah, beh... Sai, solite cose da ricchi.
— Cioè?
— Si sta tenendo stretto quell'idiota tra le sue gambe per unire i due patrimoni.
— Ma che stai dicendo!?
Mi guarda con un sorrisetto. — Sei sorpreso? Davvero? — Ridacchia. — Pensavo lo sapessi. Secondo te per quale motivo ci faceva l’amore?
Corrugo la fronte, turbato. Non rispondo.
Paula scuote la testa, divertita. — Credevi che lo amasse? Oh, santo cielo. A quanto pare la conosco meglio di te.
— Anche se fosse, non m'interessa — dico, il tono piatto. — Sono fatti suoi. È la sua vita.
Inclina la testa di lato, guardinga, serra gli occhi. — Ma non c'era qualcosa tra te e lei?
Non rispondo.
— Beh, — continua — i suoi genitori non ti accetteranno mai. Il tuo conto in banca non è...
— Meglio rientrare — dico per zittirla. So già che i suoi genitori non mi accetteranno mai. Era uno dei motivi per cui inizialmente non volevo mettermi con lei. E poi ha una famiglia sfascista, tossica, disfunzionale.
Guarda l’ora sul cellulare, si alza. — C'è ancora un po' di tempo. Che ne dici di sfogare un po' di tensione?
— Lo vedi? Alla fine arrivi sempre lì. Sesso.
Fa una smorfia, annoiata. — Ti lamenti troppo.
— Beh...
— Anche la nostra amichetta si diverte qui. Perché non possiamo farlo anche noi?
Scuoto la testa e mi dirigo verso la porta. Paula mi ferma per un braccio, mi fa voltare e mi spinge in una rientranza nel muro.
Mi fissa negli occhi, le mani strette sulla mia giacca. — Perché ogni volta mi costringi a saltarti addosso?
Tolgo le sue mani da me. — E tu perché pensi solo al sesso quando mi vedi?
Mi afferra di nuovo per la giacca, avvicina il viso al mio. — Per te, non è così?
— No, certo che no.
Fa una risatina. — Divertente. Davvero divertente. — Torna di colpo seria. — Non ti credo. Neanche un po'. — Serra una mano sul mio pene già duro, dietro i pantaloni. — Oh, beh, guarda un po' qui. A quanto pare ho ragione. Con me le tue bugie non funzionano.
La stringo a me con un braccio. Lei sussulta sorpresa. Avvicino le labbra al suo orecchio. — Allora assumiti la responsabilità.
Lei stringe ancora di più il mio uccello con un sorriso malizioso e si abbassa sui talloni. Mi allenta la cintura, mi sbottona i pantaloni e mi li tira giù insieme ai boxer. Il mio pene s'impenna davanti alla sua faccia. Lo prende in mano e comincia a masturbarmi mentre mi lecca e bacia la punta del mio uccello.
Metto una mano sulla sua testa e la avvicino al mio pene. La sua bocca ci affonda in profondità, tocca le sue tonsille. Inizia a succhiarlo, per un po', il rumore della saliva che accompagna il sibilo del vento.
Sto per venire. Lo tiro fuori. Mi trattengo.
Paula mi guarda, confusa, le labbra arrossate, sbavate. — Perché lo hai...
La faccio alzare e la metto faccia al muro. Paula trasale, eccitata. Le abbasso pantaloni e mutandine griffate e lecco la sua vagina da dietro. Lei ansima, inclina il sedere contro il mio viso. Ci mollo uno schiaffo. Lei geme, si gira verso di me. Tento di farla voltare faccia al muro, ma mi afferra per i capelli e mi spiccica il viso sulla sua vagina. Comincio a leccare e baciare il suo clitoride duro. Il mio viso si bagna dei sui fluidi che continuano a scendere, senza sosta. Mi affonda ancora di più il viso contro la sua vagina dalle labbra gonfie. Fatico a respirare. La sua passera sa di sapone intimo e di ammorbidente. Continuo a leccarla, per un po'. Mi viene quasi in bocca.
Sposto la testa.
Paula trema, si irrigidisce per l'orgasmo, gli occhi tirati all'indietro. Poi le gambe cedono, crolla all'indietro. La prendo al volo. Il suo viso è infiammato, gli occhi sfatti. Un sorriso soddisfatta sulle labbra.
— Tutto bene? — chiedo.
— Sì...
— Non è che stai male, no?
Scuote la testa, si rimette in piedi e mette le mani contro il muro, il sedere alzato verso di me. Mi fissa non fiata. I suoi occhi mi parlano. So cosa vuole.
La afferro per i fianchi e lo infilo dentro, senza mani. Il mio uccello scivola nella sua vagina, come sapone tra le mani bagnate. È talmente calda che vengo all'istante. Non riesco nemmeno a tirarlo fuori. Con Paula succede sempre così. Ormai ho smesso persino di chiedermi perché.
Mi abbasso sulla sua schiena, il petto sulla sue spalle, e la colpisco con i fianchi mentre continuo a venirla dentro. E vengo tantissimo.
Lei mi fissa, inespressiva, con la coda dell'occhio. — Ma solo con me fai così?
Annuisco, imbarazzato. Lo tiro fuori, lo sperma che cola dalla sua vagina lungo l’interno coscia.
Scuote la testa, si guarda giù. — Hai qualcosa per pulirmi?
Prendo alcuni fazzoletti dai pantaloni e glieli do. Paula si pulisce e mette di nuovo le mani contro il muro. Mi fissa. È una richiesta. Un ordine.
Pulisco il pene dai residui di sperma con il fazzoletto e lo rimetto di nuovo dentro. Di nuovo quel calore, ma non mi fa effetto. Non come prima. Stringo le mani sui suoi fianchi e inizio a martellare la sua vagina. Colpo veloci, decisi. Lei ansima. Serro un braccio attorno al suo corpo per stringerla a me, una mano sul suo clitoride gonfio. Lo massaggio con le dita. I suoi gemiti si fanno più intensi. Volta la testa, mi bacia.
Sposto la bocca. — Niente baci.
— Non rompere! E baciami...
La ignoro.
Lei mi afferra per la nuca e mi ficca la lingua in bocca, sbatte contro la mia. Sento i suoi liquidi caldi e appiccicosi scendere lungo il mio pene e sui miei genitali. Il movimento del mio uccello nella sua vagina produce un suono vischioso, acquoso.
— Sembra che non ci sia nessuno — dice una voce femminile.
— Qui non c'è mai nessuno — risponde una seconda voce femminile.
Mi fermo di colpo, mi guardo alle spalle. Due dipendenti si appoggiano con i gomiti alla balaustra.
— Che fai?! — domanda Paula, stizzita. — Continua.
— Ci sono...
— Continua.
— Ma non...
— Non possono vederci qui.
— Ma noi vediamo loro.
Paula, sbuffa, inizia a muovere il sedere contro il mio pene.
— No, aspetta — dico.
Lei continua a muoverlo mentre smorza dei gemiti.
Anch'io sto muovendo i fianchi, senza accorgermene. Sposto lo sguardo sulle due dipendenti mentre aumento un po' l'intensità. È eccitante, devo ammetterlo. Paula mi prende il viso con una mano e mi bacia in bocca mentre è girata di spalle, la lingua sulla mia.
— Cos’è questo rumore? — domanda la seconda dipendente.
— Quale rumore?
— Non lo senti?
— No, cosa?
— Ma io sì.
— Non sento niente.
La seconda voce si volta, si guarda intorno. — Eppure lo sento. Sono tipo dei colpi...
— Colpi?
— Sì, tipo qualcosa che sbatte.
La prima dipendente si guarda intorno anche lei. — Forse proviene da dentro.
— No, sembra vicino. E poi c'è anche un altro rumore... Qualcosa come... Sembra acqua, non so.
— Ma come fai a sentirlo? Io non sento niente.
Gli occhi della seconda dipendente si piantano verso di noi. Mi paralizzo all'istante, gli occhi sgranati.
Paula smette di baciarmi, apre gli occhi, mi osserva. Segue il mio sguardo. — Non possono vederci. È troppo buio, qui.
Le sue parole non mi confortano per niente.
La seconda dipendente sta ancora guardando nella nostra direzione. — Ora non lo sento più.
— No? — chiede la prima dipendente.
Punta il dito nella nostra direzione. — Sono sicura che veniva da laggiù.
Ora stanno guardando verso di noi.
— Laggiù? — domanda la prima dipendente. — Non vedo niente. È tutto buio.
— Forse c'è qualcuno lì.
— Un uccello?
— Non lo so.
— Andiamo a vedere.
Il mio corpo si gela, il mio pene si affloscia un po'. Paula si gira, mi abbraccia e si mette il mio uccello in mezzo alle cosce chiuse. Inizia a muovere il bacino con un sorriso sfatto.
La guardoz turbato. — Che stai facendo? — bisbiglio.
Si mette un dito sul naso per dirmi di stare zitto.
Le due dipendenti sono ancora lì, non si muovono.
— Dai, lascia stare — dice la prima dipendente. — Forse è solo un uccello. Sicuramente è già volato via.
— Io non ho visto volare niente.
— Rientriamo.
— Andiamo a vedere.
— Lascia perdere.
La seconda dipendente si avvicina verso di noi. Faccio per spostarmi da Paula e rivestirmi, ma lei non si schioda. Anzi, mi stringe in un abbraccio strettissimo, la sua vagina bagnata e gonfia e le sue cosce che sfregano attorno al mio pene.
Sto per venire.
La seconda dipendente si ferma a tre passi dalla rientranza nel muro. Osserva. Come diavolo fa a non vederci? È così buio? Eppure, il sole pomeridiano è ancora alto nel cielo.
Paula mi tappa la bocca con una mano. Vengo in mezzo alle sue cosce e sulle sue grandi labbra macchiate da una patina bianca.
— Sto rientrando — dice la prima dipendente.
L’altra le getta un'occhiata, guarda di nuovo verso di noi e segue la sua amica. Spariscono all'interno.
Tiro un sospiro di sollievo mentre abbasso la testa. — Per un soffio...
Paula si stacca da me, prende dei fazzoletti dai miei pantaloni e si pulisce. — Accidenti a te, mi hai sporcato le mutandine... Sono firmate! Sai quanto costano?!
— Scusa... Te ne compro altre.
Sbuffa, acida. — Lascia stare.
Mi rimetto pantaloni e boxer, lo sguardo puntato nel punto in cui si trovava la seconda dipendente. Giro lo gli occhi su Paula. — Ce l'hai con me?
Si riveste. — No.
— Senti...
Mi saluta con un sorriso, mellifluo, come se avesse finito ciò che doveva fare e ora non servissi più. — Au revoir.
Le guardo il sedere mentre si allontana e sparisce dietro la porta della terrazza. Il mio stomaco brontola. Rutto. Ho digerito il tramezzino. Di solito ci metto secoli.
Alla fine, ho fatto come mi ha ordinato. Ho spostato l'intero portfolio finanziario nel settore immobiliare. Mi domando a cosa gli servo, se fa tutto di testa sua? E lo sa fare così bene che mi fa dubitare anche delle mie stesse capacità.
Bussano alla porta.
Alzo gli occhi. — Sì?
Federica entra. Il suo sguardo è migliorato. Ora non sembra più triste. — La riunione delle tre è stata posticipata a domani.
— Al solito orario?
— La vicepresidente Neri non me l’ha ancora detto.
— Allora tienimi aggiornato.
Federica annuisce e se ne va. La porta si chiude.
Prendo il whisky dal cassetto della scrivania, mi riempio due dita di Whisky e mi alzo. È da un mese che non bevo. Quando è stata l'ultima volta? Non mi ricordo. Me ne sono solo dimenticato. Dimenticare... Se solo funzionasse anche così con Sarah. Invece è sempre nei miei pensieri. Anzi, ora anche più di prima.
Tracanno il Whisky.
Poso il bicchiere, mi rimetto seduto alla scrivania e inizio a leggere il piano d'investimento che ho scritto in questo mese. So già che farà una brutta fine. Ilaria lo accetterà come sempre e Caterina Savona lo cestinerà alla prima riga letta. Non so perché mi sbatto tanto a crearne uno. Un foglio bianco andrebbe più che bene, visto la fine che farà.
Verso l’una, esco dal mio ufficio e mi dirigo al distributore per prendere qualcosa da mangiare. I cubicoli sono tutti vuoti. La maggior parte dei dipendenti va a mangiare fuori dall'edificio. McDonald's, Burger king, bar. Credo di essere l'unico che mangia roba scadente dal distributore. Ormai mi ci sono fatto l’abitudine ai sandwich e tramezzini che sanno di plastica.
Prendo un tramezzino dal distributore e mi dirigo verso la terrazza, i passi che fanno eco nel corridoio deserto. Esco, mi siedo sulla panca e scarto il tramezzino. Il cielo, una tela azzurra. Ci do un morso mentre guardo il punto in cui spesso vedo Ilaria scopare con il suo ex. Riesco persino a vedere mentalmente il suo sguardo, ora. I loro corpi che si muovono, i loro gemiti di piacere.
— Solo soletto anche questa volta — dice Paula, alle mie spalle.
Mi volto, mentre lei si siede accanto. — Che ci fa qui?
— Volevo vedere il panorama.
— Sì, il panorama...
— E poi qui si sta così bene. C’è una bella aria. E fa freschetto.
Do un altro morso al tramezzino, lo mastico, lo mando giù. — Perché sei qui?
Arriccia le labbra con finto disappunto. — Quanto sei diffidente...
— La tua presenza ha sempre un motivo. Ormai ho imparato a capirlo.
— Non voglio proprio niente.
— Certo...
Si alza, appoggia i gomiti al parapetto della terrazza e guarda giù, i capelli mossi dal vento. — Hai la luna storta, oggi?
Ingoio l’ultimo pezzo di tramezzino. Non rispondo.
Paula mi lancia un'occhiata. — Perché pensi che ho sempre secondi fini?
— Tutte le volte che mi hai... come dire, avvicinato, lo hai fatto per qualcosa.
— Ah, sì? E cosa? Sentiamo.
— Sesso.
Fa una smorfia, divertita. — Beh, non posso negarlo, ma... non sempre è così.
— È sempre stato così, fin dall'inizio.
Paula si volta verso di me, i gomiti e le spalle appoggiati sulla balaustra. — Sei troppo egocentrico. Pensi che io ruoti attorno a te?
— Non ho detto questo.
— Ma è implicito.
— No.
Alza un angolo della bocca in un sorriso, mellifluo. — Comunque...
— Cosa?
— Niente. Non stavo dicendo niente.
Scuoto la testa un poco, irritato. — Perché sei qui?
Sorride con fare infantile e si gira a guardare giù in strada. Un aereo di linea solca il cielo azzurro, lasciandosi una scia bianca alle spalle. Batte le dita sul parapetto. — Hai presente l’ex di Ilaria?
— Sì.
— È venuto fuori che è il figlio di Massimo Gallo.
Mi acciglio, sorpreso. — Il magnate immobiliare?
Si volta a guardarmi con un sorriso, beffardo. — Già, proprio lui. Non lo trovi divertente?
— In che senso?
— La nostra amichetta Ilaria è già straricca. Se si sposasse con lui, diventerebbe miliardaria.
Mi acciglio, perplesso. — Quindi?
Mi si avvicina. — Davvero non ci arrivi? Conosci Ilaria meglio di me, dopotutto.
Sbuffo, seccato. — Parla chiaramente.
Si siede accanto a me e accavalla le gambe. Il mio occhio cade sulle sue cosce. Lei lo nota, sorride. — Ti facevo più perspicace.
— Ti decidi a parlare?
— Quanta arroganza — dice con una smorfia.
Mi alzo per andare via.
Paula mi afferra per un polso. — Sei troppo su di giri oggi, eh?
Ritraggo la mano, in modo brusco. — Dimmi quello che mi devi dire o me ne vado.
Accavalla di nuovo le gambe. Ma questa volta lo fa lentamente, così da farmi scorgere le mutandine. Mi lancia un sorriso, malizioso.
Distolgo lo sguardo. — Cos'è? Ti stai mettendo a giocare con me?
— Mi piace provocarti.
La ignoro. — Riguardo a Ilaria... Cosa mi stavi dicendo?
Volta la testa dall’altra parte, annoiata. — Ah, beh... Sai, solite cose da ricchi.
— Cioè?
— Si sta tenendo stretto quell'idiota tra le sue gambe per unire i due patrimoni.
— Ma che stai dicendo!?
Mi guarda con un sorrisetto. — Sei sorpreso? Davvero? — Ridacchia. — Pensavo lo sapessi. Secondo te per quale motivo ci faceva l’amore?
Corrugo la fronte, turbato. Non rispondo.
Paula scuote la testa, divertita. — Credevi che lo amasse? Oh, santo cielo. A quanto pare la conosco meglio di te.
— Anche se fosse, non m'interessa — dico, il tono piatto. — Sono fatti suoi. È la sua vita.
Inclina la testa di lato, guardinga, serra gli occhi. — Ma non c'era qualcosa tra te e lei?
Non rispondo.
— Beh, — continua — i suoi genitori non ti accetteranno mai. Il tuo conto in banca non è...
— Meglio rientrare — dico per zittirla. So già che i suoi genitori non mi accetteranno mai. Era uno dei motivi per cui inizialmente non volevo mettermi con lei. E poi ha una famiglia sfascista, tossica, disfunzionale.
Guarda l’ora sul cellulare, si alza. — C'è ancora un po' di tempo. Che ne dici di sfogare un po' di tensione?
— Lo vedi? Alla fine arrivi sempre lì. Sesso.
Fa una smorfia, annoiata. — Ti lamenti troppo.
— Beh...
— Anche la nostra amichetta si diverte qui. Perché non possiamo farlo anche noi?
Scuoto la testa e mi dirigo verso la porta. Paula mi ferma per un braccio, mi fa voltare e mi spinge in una rientranza nel muro.
Mi fissa negli occhi, le mani strette sulla mia giacca. — Perché ogni volta mi costringi a saltarti addosso?
Tolgo le sue mani da me. — E tu perché pensi solo al sesso quando mi vedi?
Mi afferra di nuovo per la giacca, avvicina il viso al mio. — Per te, non è così?
— No, certo che no.
Fa una risatina. — Divertente. Davvero divertente. — Torna di colpo seria. — Non ti credo. Neanche un po'. — Serra una mano sul mio pene già duro, dietro i pantaloni. — Oh, beh, guarda un po' qui. A quanto pare ho ragione. Con me le tue bugie non funzionano.
La stringo a me con un braccio. Lei sussulta sorpresa. Avvicino le labbra al suo orecchio. — Allora assumiti la responsabilità.
Lei stringe ancora di più il mio uccello con un sorriso malizioso e si abbassa sui talloni. Mi allenta la cintura, mi sbottona i pantaloni e mi li tira giù insieme ai boxer. Il mio pene s'impenna davanti alla sua faccia. Lo prende in mano e comincia a masturbarmi mentre mi lecca e bacia la punta del mio uccello.
Metto una mano sulla sua testa e la avvicino al mio pene. La sua bocca ci affonda in profondità, tocca le sue tonsille. Inizia a succhiarlo, per un po', il rumore della saliva che accompagna il sibilo del vento.
Sto per venire. Lo tiro fuori. Mi trattengo.
Paula mi guarda, confusa, le labbra arrossate, sbavate. — Perché lo hai...
La faccio alzare e la metto faccia al muro. Paula trasale, eccitata. Le abbasso pantaloni e mutandine griffate e lecco la sua vagina da dietro. Lei ansima, inclina il sedere contro il mio viso. Ci mollo uno schiaffo. Lei geme, si gira verso di me. Tento di farla voltare faccia al muro, ma mi afferra per i capelli e mi spiccica il viso sulla sua vagina. Comincio a leccare e baciare il suo clitoride duro. Il mio viso si bagna dei sui fluidi che continuano a scendere, senza sosta. Mi affonda ancora di più il viso contro la sua vagina dalle labbra gonfie. Fatico a respirare. La sua passera sa di sapone intimo e di ammorbidente. Continuo a leccarla, per un po'. Mi viene quasi in bocca.
Sposto la testa.
Paula trema, si irrigidisce per l'orgasmo, gli occhi tirati all'indietro. Poi le gambe cedono, crolla all'indietro. La prendo al volo. Il suo viso è infiammato, gli occhi sfatti. Un sorriso soddisfatta sulle labbra.
— Tutto bene? — chiedo.
— Sì...
— Non è che stai male, no?
Scuote la testa, si rimette in piedi e mette le mani contro il muro, il sedere alzato verso di me. Mi fissa non fiata. I suoi occhi mi parlano. So cosa vuole.
La afferro per i fianchi e lo infilo dentro, senza mani. Il mio uccello scivola nella sua vagina, come sapone tra le mani bagnate. È talmente calda che vengo all'istante. Non riesco nemmeno a tirarlo fuori. Con Paula succede sempre così. Ormai ho smesso persino di chiedermi perché.
Mi abbasso sulla sua schiena, il petto sulla sue spalle, e la colpisco con i fianchi mentre continuo a venirla dentro. E vengo tantissimo.
Lei mi fissa, inespressiva, con la coda dell'occhio. — Ma solo con me fai così?
Annuisco, imbarazzato. Lo tiro fuori, lo sperma che cola dalla sua vagina lungo l’interno coscia.
Scuote la testa, si guarda giù. — Hai qualcosa per pulirmi?
Prendo alcuni fazzoletti dai pantaloni e glieli do. Paula si pulisce e mette di nuovo le mani contro il muro. Mi fissa. È una richiesta. Un ordine.
Pulisco il pene dai residui di sperma con il fazzoletto e lo rimetto di nuovo dentro. Di nuovo quel calore, ma non mi fa effetto. Non come prima. Stringo le mani sui suoi fianchi e inizio a martellare la sua vagina. Colpo veloci, decisi. Lei ansima. Serro un braccio attorno al suo corpo per stringerla a me, una mano sul suo clitoride gonfio. Lo massaggio con le dita. I suoi gemiti si fanno più intensi. Volta la testa, mi bacia.
Sposto la bocca. — Niente baci.
— Non rompere! E baciami...
La ignoro.
Lei mi afferra per la nuca e mi ficca la lingua in bocca, sbatte contro la mia. Sento i suoi liquidi caldi e appiccicosi scendere lungo il mio pene e sui miei genitali. Il movimento del mio uccello nella sua vagina produce un suono vischioso, acquoso.
— Sembra che non ci sia nessuno — dice una voce femminile.
— Qui non c'è mai nessuno — risponde una seconda voce femminile.
Mi fermo di colpo, mi guardo alle spalle. Due dipendenti si appoggiano con i gomiti alla balaustra.
— Che fai?! — domanda Paula, stizzita. — Continua.
— Ci sono...
— Continua.
— Ma non...
— Non possono vederci qui.
— Ma noi vediamo loro.
Paula, sbuffa, inizia a muovere il sedere contro il mio pene.
— No, aspetta — dico.
Lei continua a muoverlo mentre smorza dei gemiti.
Anch'io sto muovendo i fianchi, senza accorgermene. Sposto lo sguardo sulle due dipendenti mentre aumento un po' l'intensità. È eccitante, devo ammetterlo. Paula mi prende il viso con una mano e mi bacia in bocca mentre è girata di spalle, la lingua sulla mia.
— Cos’è questo rumore? — domanda la seconda dipendente.
— Quale rumore?
— Non lo senti?
— No, cosa?
— Ma io sì.
— Non sento niente.
La seconda voce si volta, si guarda intorno. — Eppure lo sento. Sono tipo dei colpi...
— Colpi?
— Sì, tipo qualcosa che sbatte.
La prima dipendente si guarda intorno anche lei. — Forse proviene da dentro.
— No, sembra vicino. E poi c'è anche un altro rumore... Qualcosa come... Sembra acqua, non so.
— Ma come fai a sentirlo? Io non sento niente.
Gli occhi della seconda dipendente si piantano verso di noi. Mi paralizzo all'istante, gli occhi sgranati.
Paula smette di baciarmi, apre gli occhi, mi osserva. Segue il mio sguardo. — Non possono vederci. È troppo buio, qui.
Le sue parole non mi confortano per niente.
La seconda dipendente sta ancora guardando nella nostra direzione. — Ora non lo sento più.
— No? — chiede la prima dipendente.
Punta il dito nella nostra direzione. — Sono sicura che veniva da laggiù.
Ora stanno guardando verso di noi.
— Laggiù? — domanda la prima dipendente. — Non vedo niente. È tutto buio.
— Forse c'è qualcuno lì.
— Un uccello?
— Non lo so.
— Andiamo a vedere.
Il mio corpo si gela, il mio pene si affloscia un po'. Paula si gira, mi abbraccia e si mette il mio uccello in mezzo alle cosce chiuse. Inizia a muovere il bacino con un sorriso sfatto.
La guardoz turbato. — Che stai facendo? — bisbiglio.
Si mette un dito sul naso per dirmi di stare zitto.
Le due dipendenti sono ancora lì, non si muovono.
— Dai, lascia stare — dice la prima dipendente. — Forse è solo un uccello. Sicuramente è già volato via.
— Io non ho visto volare niente.
— Rientriamo.
— Andiamo a vedere.
— Lascia perdere.
La seconda dipendente si avvicina verso di noi. Faccio per spostarmi da Paula e rivestirmi, ma lei non si schioda. Anzi, mi stringe in un abbraccio strettissimo, la sua vagina bagnata e gonfia e le sue cosce che sfregano attorno al mio pene.
Sto per venire.
La seconda dipendente si ferma a tre passi dalla rientranza nel muro. Osserva. Come diavolo fa a non vederci? È così buio? Eppure, il sole pomeridiano è ancora alto nel cielo.
Paula mi tappa la bocca con una mano. Vengo in mezzo alle sue cosce e sulle sue grandi labbra macchiate da una patina bianca.
— Sto rientrando — dice la prima dipendente.
L’altra le getta un'occhiata, guarda di nuovo verso di noi e segue la sua amica. Spariscono all'interno.
Tiro un sospiro di sollievo mentre abbasso la testa. — Per un soffio...
Paula si stacca da me, prende dei fazzoletti dai miei pantaloni e si pulisce. — Accidenti a te, mi hai sporcato le mutandine... Sono firmate! Sai quanto costano?!
— Scusa... Te ne compro altre.
Sbuffa, acida. — Lascia stare.
Mi rimetto pantaloni e boxer, lo sguardo puntato nel punto in cui si trovava la seconda dipendente. Giro lo gli occhi su Paula. — Ce l'hai con me?
Si riveste. — No.
— Senti...
Mi saluta con un sorriso, mellifluo, come se avesse finito ciò che doveva fare e ora non servissi più. — Au revoir.
Le guardo il sedere mentre si allontana e sparisce dietro la porta della terrazza. Il mio stomaco brontola. Rutto. Ho digerito il tramezzino. Di solito ci metto secoli.
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