Mia cugina: Parte 42
di
Catartico
genere
incesti
Cinque giorni dopo parcheggio l’auto davanti al mio condominio, scendo e m’incammino lungo il marciapiede punteggiato da sparuti passanti. Ho passato gli ultimi giorni a lavorare come un matto. La sera non andavo nemmeno al bar con i miei amici. Ero troppo stanco. Ma perlomeno né Paula né Ilaria mi hanno tartassato. Anzi, mi hanno ignorato del tutto. Meglio così, ero e sono troppo stressato.
Arrivo davanti al portone dell'edificio e sussulto.
— Ehi — dice la mia ex assistente seduta su un gradino con un sorriso che non promette niente di buono. Come sempre.
— Che ci… che ci fai qui? Non eri negli Stati Uniti?
Si alza. — Sono di passaggio. Partirò di nuovo dopo domani.
— Capisco.
Mi fissa. Non parla.
— Allora… — dico. — Beh, ci vediamo.
Mi afferra per un braccio e mi sorride in modo infantile. — Posso salire da te?
— Sei qui per questo, no?
Serra gli occhi contrariata. — Ehi! Chi pensi che sia? Una sgualdrina?
Mi acciglio turbato. Che cazzo le prende? Perché tutt’a un tratto è diventata così puritana. — Ok, ho capito.
Mi stringe il braccio e alza la mano sinistra, un anello luccica sull’anulare. — Sono fidanzata.
— Con… con il canadese?
— Sì, ed è molto meglio di te. Su ogni cosa.
— Ottimo. Ora vado.
Mi trattiene ancora per il braccio. — Ehi! Non puoi lasciarmi qui e andartene.
Ritraggo il braccio dalla sua mano in modo brusco. — Senti, dimmi perché sei qui? Non girarci intorno.
— Perché ti comporti così?
— Così come?
Una donna ci passa accanto mentre ci sorride imbarazzata ed entra nel condominio.
— Non sei contento di vedermi? — mi domanda la mia ex assistente.
— È passato solo un mese. E poi perché dovrei essere conten…
Il suo viso si contrae arrabbiato. — Perché tra noi c'è qualcosa. C’è sempre stato qualcosa. Non puoi negarlo.
Sta sparando parole a caso? — Non c'è mai stato niente. E poi ti ricordo… — lancio uno sguardo al suo anello — che sei fidanzata. Quindi perché dire che…
Sbuffa seccata. — Sto parlando di noi. Non di me e… — Sbuffa di nuovo. — Qui ci siamo solo noi, quindi…
— Quindi niente. Non c'è niente. E non succederà niente.
Incrocia le braccia sui seni nervosa. — Continui a darmi della sgualdrina.
— Non… — Getto le mani all’aria esasperato. — Lascia stare. Fai buon viaggio.
Mi prende per un braccio. — Tu vuoi fare l’amore con me, ma io sono fidanzata.
Ma che cazzo sta dicendo? — Non voglio fare proprio niente.
Affonda le dita nel mio braccio. — Non mentire!
Allontano il braccio dalla sua presa. — Stai facendo tutto tu. — Mi volto e varco il portone.
Lei mi segue. — Lo so che vuoi fare l’amore con me. Te lo leggo negli occhi.
Mi fermo davanti all'ascensore, mi volto verso di lei. — Senti, io non voglio fare proprio niente, quindi vattene.
Spalanca gli occhi con finta incredulità. — Ora mi stai pure cacciando. E perché? Perché non voglio farlo.
— Ma ti senti quando parli? Io non ti ho chiesto e detto proprio niente. Stai facendo tutto tu. E ora vattene.
Le doppie porte dell'ascensore si aprono. La mia ex assistente si fionda dentro.
— Che stai facendo? — chiedo spazientito.
— Salgo da te.
— Non mi pare di aver acconsentito, da quel che ricordo.
— Non ho bisogno del tuo consenso.
— Ah, no? Quindi puoi venire qui come ti pare e piace?
Annuisce con aria altezzosa. — Esatto!
— Smettila di scherzare e togliti dai piedi. Mi stai dando sui nervi.
Gli occhi della mia ex assistente ardono di pura violenza. — Come, scusa?
La prendo per un braccio e la tiro fuori dall’ascensore.
— Ehi! — dice ad alta voce. — Come ti permetti!? — La trascino verso l’ingresso mentre punta i piedi per terra. — Lasciami stare!
Libero la presa dal suo braccio, il viso serio. — Non costringermi a chiamare tua madre.
La mia ex assistente abbozza un sorriso compiaciuto. — Mia madre? Lei non ha più alcun potere su di me. — Mi mostra il suo anello. — Da quando le ho detto che mi sono fidanzata con James, mi ha lasciata in pace. Anzi, è al settimo cielo. È fiera della sua "piccola bambina.” Finalmente si sta accasando con un uomo ricco e influente come James. — Mi scruta sprezzante e schifata dalla testa ai piedi. — Non con uno come te. Uno straccione. Un misero sfigato senza un soldo bucato che…
— Hai finito di sparare stronzate? — chiedo del tutto disinteressato
— Ti dà fastidio?
— Oh, guarda, sono così infastidito. Si vede?
— Non nasconderlo. Lo so che è così.
— Sì, hai ragione. È proprio così.
Corruga le sopracciglia irritata. — Non sei buono a niente. Fai schifo!
— Certo, come dici tu — rispondo. Mi volto e torno verso l’ascensore.
Lei mi supera e ci entra.
— Di nuovo? — dico spazientito.
Incrocia le braccia, volta la testa dall’altra parte. Non risponde.
— Devo tirarti fuori di nuovo da lì?
Mi guarda torva. — Se lo fai, mi metto a gridare.
Allungo una mano, ma lei mima un urlo. Sospiro. — Cosa vuoi da me, a parte dirmi insulti che non pensi?
— Li penso, invece.
— Ok. Ora dimmi che vuoi?
Un anziano ingobbito entra nell’edificio e si ferma davanti all'ascensore. Ci guarda con un sorriso bonario. — A che piano andate?
La mia ex assistente esce dall’ascensore. — Prego, vada pure. Prendiamo il prossimo.
L’anziano sorride, entra nell’ascensore e le doppie porte si chiudono.
Lei mi guarda. — Non sei cambiato per niente.
— Nemmeno tu. E poi ti ricordo che è passato un mese. La gente non cambia in così poco tempo.
Alza le labbra sprezzante. — Tu non cambierai mai. Rimarrai sempre così.
— Vale anche per te.
— Io sono cambiata, invece. — Mi mette sotto il naso l’anello. — Mi sono fidanzata. Non sono più quella di un tempo.
Sorrido in una smorfia divertita. — Se fosse così, non saresti qui.
Mi fissa male per un attimo. — Sono cambiata!
— Non gridare.
— Grido quanto vo…
Tappo la sua bocca con una mano. — Smettila.
Scaccia la mia mano. — Non osare toccarmi!
Roteo gli occhi in aria seccato e pigio il bottone per chiamare l’ascensore. Non rispondo, nemmeno la guardo.
Lei mi fissa finché le doppie porte dell’ascensore si aprono. Fa per entrare, ma la fermo per un braccio e la guardo serio negli occhi. La mia ex assistente ricambia, mi sfida. Non intende distogliere lo sguardo per prima. Non molla.
Le doppie porte si richiudono.
Lei sposta lo sguardo e cala una mano in mezzo per farle riaprire. Entro nell’ascensore. Lei pure. Ci guardiamo di nuovo per un po'. Non intendo schiacciare il bottone per salire al mio piano finché non se ne va. Ma non lo fa. Anzi, pigia il tasto per il mio piano. Le doppie porte si chiudono, l’ascensore comincia a salire.
Sospiro esasperato. — Sei proprio immatura.
— Senti chi parla.
Mi sembra il clone giovane di Ilaria. Sono simili. E pensare che quando l’ho conosciuta non era per niente così. — Perché vuoi salire da me?
Corruccia la fronte con disappunto. — Non farti strane idee.
— Sei tu quella che se l'è sta facendo.
Sbuffa irritata, incrocia le braccia. — Non sto facendo proprio niente.
Non rispondo. Sono stufo di parlare. In questi giorni non faccio altro che litigare. Mi sto esaurendo.
Le doppie porte si aprono, usciamo dall'ascensore e attraversiamo il corridoio. Dalla finestra in fondo al corridoio scorgo un lampo nel cielo. Forse tra poco pioverà.
Apro la porta ed entro nel mio appartamento. La mia ex assistente si guarda in giro con un grosso sorriso stampato in faccia. Sfiora lo schienale della poltrona con un dito e si lascia cadere di schiena sul divano con un sospiro allegro.
Mi acciglio confuso. — Ti rende così felice?
— Cosa? — domanda mentre allunga le ossa per sgranchirle.
— Essere qui. Sembri una bambina a Disneyland.
Pianta gli occhi su di me. — Non sono una bambina e non sono affatto felice.
— A me sembra proprio di sì.
— Finiscila di fare supposizioni inutili.
Non rispondo. Vado in cucina e bevo un bicchiere d'acqua. Mi volto e me la ritrovo davanti. La cosa non mi sorprende affatto. — Che c'è?
Serra gli occhi inacidita. — Non mi offri niente?
— Prima dimmi perché sei qui.
Sposta lo sguardo con uno sbuffo imbronciato. — Non posso venire a trovare un amico?
— Amico?
— Perché non siamo amici?
Certo, come no. Poso il bicchiere vuoto sul ripiano. — Vuoi un succo?
Apre il frigo da sola e ci guarda dentro.
— Oh, fai come se fossi a casa tua — dico un po' irritato.
Sorride in modo infantile. — Grazie. — Prende la bottiglia di succo ACE, lo versa in un bicchiere e beve un sorso. Fa una smorfia. — Da quanto è aperto?
— Qualche giorno.
— Non ha un buon sapore.
— È ancora buono.
Va al lavello e ci versa dentro il succo.
Le strappo la bottiglia di mano. — Ma che fai!?
— Fa schifo — dice stizzita.
— Non fa schifo.
— Allora bevilo.
Bevo una lunga sorsata. — È ancora buono, te l’ho detto.
Alza una mano in aria. — Sì, certo.
Pulisco con un tovagliolo di carta la bottiglia di succo sporca ai lati e la rimetto nel frigo. — Sei troppo viziata.
Si siede al tavolo e accavalla le gambe. — Ho il palato fine.
— Sono i soldi, non il palato.
— Mi stai dipingendo come una ragazzina viziata che non dà valore a niente.
Butto il tovagliolo sporco nel cestino. — Sembra che sia proprio così. E poi finalmente hai ammesso di essere una ragazzina.
— Non sono una ragazzina!
Scuoto la testa. Non rispondo. Tanto è inutile. E poi mi sono rotto le palle.
Rimaniamo in silenzio per un momento. Due bambine strillano e si rincorrono nell'appartamento accanto. La sera fanno sempre così e mi piace sentirle. Rallegrano la mia atmosfera deprimente. Danno colore all'oscurità in cui vivo.
— Vado a farmi una doccia — dico.
La mia ex assistente guizza gli occhi. Non risponde.
— Se non hai altro da dire, puoi andartene. La strada la sai.
Sbuffa in una smorfia divertita. — Quale strada? Non che ci sia molta strada da fare qui. Anzi, per nulla.
— Da quando sei così sarcastica? — chiedo con voce piatta. — Quel tuo anello al dito ti ha rimbambita? Non fai altro che denigrarmi.
Si porta una mano sulla bocca con finto dispiacere. — Oh, ti sei offeso? Poveretto…
Cazzo, perché è diventata tutt’a un tratto come Paula? È un mix vivente tra Ilaria e Paula. — Devo cacciarti fuori?
Incrocia le braccia. — Sto bene dove sono.
— Ancora devi dirmi perché sei qui?
— Te l’ho già detto…
— Certo, per trovare un amico.
Gioca con l’anello al dito. — Non devi andare a farti una doccia?
— Cos’è? Mi vuoi seguire?
Mi fissa seria per un attimo. Mi mostra l'anello. — Pensi soltanto a quello.
— Sei qui per questo, no? Non girarci intorno.
Scatta in piedi in un impeto di rabbia, il viso paonazzo. — Non sono qui per questo. Io… Tu… Abbiamo condiviso qualcosa di speciale insieme. Volevo solo… volevo solo vederti per l'ultima volta… — Trattiene le lacrime, i suoi occhi si arrossano. — Volevo… Il tuo appartamento… Volevo rivederlo. Noi qui… — Si risiede, lo sguardo puntato verso la finestra. — Sei stato speciale per me… Magari per te sono stata solo una delle tante, ma per me… tu eri speciale. Non ho mai provato dei sentimenti così forti per qualcuno. Quando sono partita, ero a pezzi. Non facevo che pensare a te tutto il giorno. Ma ho resistito…
Cala il silenzio per un momento, le due bambine che continuano a strillare e rincorrersi nell’appartamento accanto.
La mia ex assistente si asciuga gli occhi con le dita. — Poi ho incontrato James… Lui ti assomiglia per certi versi, ma lo so che non sei tu. Non è capace di essere profondo e acuto come te. Lui è più estroverso, più egocentrico e… — sposta gli occhi rossi su di me — molto più bello e ricco di te. A mia madre piace. Ha già organizzato tutta la nostra vita nei minimi dettagli, ma… — Si zittisce per un attimo, i suoi occhi che vagano di nuovo verso la finestra. — Ti insulto perché non posso averti, perciò… non posso fare altro. Voglio allontanarti, odiarti, ma non ci riesco. — Mi guarda. — Ma se ci fosse quella minima possibilità, io lascerei tutto e verrai a vivere da te. Lo farei. Farei qualsiasi cosa, ma… — Si ammutolisce, si toglie l’anello dal dito e lo posa sul tavolo. Mi fissa negli occhi. — Sono qui anche per…
Distolgo lo sguardo. Non parlo.
Restiamo in silenzio a lungo mentre là fuori un tuono rimbomba lontano. Comincia a piovere a dirotto, la pioggia che batte sulla finestra.
— Vado a farmi la doccia — dico, senza guardarla. Esco dalla cucina.
È il capitolo finale. Fine dei giochi. L’ho percepito dalle sue parole, dal suo sguardo. Non ci rivedremo più. E per concluderlo, verrà da me un’ultima volta.
Entro in bagno, mi spoglio e mi metto nella doccia. Quando apro l’acqua del soffione, la porta si apre e si richiude. Mi volto.
La mia ex assistente mi sta fissando, gli occhi lucidi. Si sveste e si infila nella doccia con me. Ci guardiamo per un momento mentre l'acqua scorre sui nostri corpi. Mi afferra entrambe le mani per un attimo, poi mi abbraccia. Sento i suoi capezzoli turgidi sul mio petto un po' peloso.
Restiamo così per un minuto. Nessuno dei due dice una parola. Non serve. I nostri corpi si stanno già parlando. Il nostro calore sta già facendo l'amore.
Lei solleva lo sguardo su di me. — Ti amo… — Mi mette un dito sul labbro, si inginocchia e si mette in bocca il mio pene, senza l'aiuto delle mani.
Gemo dal piacere mentre i sensi di colpa si fanno largo tra i miei pensieri. Non dovrei farlo. È fidanzata. E poi vuole dimenticarmi. Tutto questo le farà solo del male. E se invece l’aiutasse a dimenticarmi? Se fosse l’unico modo? La consapevolezza che poi non ci sarà più niente? Oppure è solo la mia mente contorta che cerca di giustificarsi?
Questa sarà la sua ultima volta.
La nostra ultima volta.
La sua bocca affonda in profondità nel mio uccello, la sua lingua che ruota tutt'attorno. Afferra la sua testa e la tengo ferma mentre muovo i fianchi dentro e fuori la sua bocca. Lei mi fissa, il rumore della saliva attutito dal getto d’acqua della doccia.
Sto per venire.
Lo tiro fuori e mi trattengo. La mia ex assistente continua a fissarmi. Prende il mano il mio pene e comincia segarmi mentre mi lecca la punta del glande.
Le vengo in faccia quasi subito.
Lei abbozza un sorrisetto, si alza in piedi e si lava lo sperma con l’acqua. Calo una mano nella sua vagina, medio e anulare dentro, il palmo sul clitoride. Comincio a masturbarla mentre lei ansima e ci fissiamo negli occhi intensamente. Poi mi bacia con lingua. Un bacio passionale, puro amore. I sensi di colpa tornano a ghermirmi. Non si bacia una persona in questo modo, se non la ami. Tutto il suo corpo freme dalla voglia di possedermi.
Prende il mio uccello e lo guida frontalmente nella sua vagina. Ci scivola dentro come olio sul pavimento. Ansima al mio orecchio mentre mi stringe in un forte abbraccio. Alzo una sua gamba con una mano e comincia a muovere i fianchi. Prima lentamente, poi più velocemente. La mia ex assistente mi bacia il collo, la spalla, la mascella e le labbra. I suoi baci sono pieni di affetto, non hanno niente di sessuale. Con me sta facendo l’amore, non sesso.
Aumento l'andatura dei colpi. Lei geme e si aggrappa a me, le dita che affondano nelle mie spalle. Inizia a tremare finché si irrigidisce e mi bacia con la lingua mentre le sue gambe fremono per l'orgasmo. Continua a baciarmi, i suoi fianchi che si muovono contro i miei. Sento il rumore vischioso dei suoi liquidi mentre l'acqua del soffione ci scivola addosso.
Tiro fuori il pene e le vengo sulla pancia.
Lei mi guarda. — Perché non mi sei venuto dentro come le altre volte?
— Sono maturato.
— Maturato? Che risposta è?
— Beh, non si sa mai. Tutte le volte… Insomma, hai capito. Non è sicuro.
Raccoglie il mio sperma con il dito e lo lecca. Sorride. — Hai ancora lo stesso sapore.
Mi acciglio stranito. — Oh, ok…
— Prendi il bagno schiuma.
— Perché?
— Voglio lavarti.
— Ma no, non devi…
Mi fulmina con lo sguardo. — Prendilo!
— Ok… — rispondo. Lo prendo e glielo passo.
La mia ex assistente me lo spalma sulla schiena, sul petto, sull’addome, sulle cosce e poi in mezzo alla gambe. Mi lava per un minuto, poi prende in mano il mio pene e comincia a segarmi mentre mi palpa i genitali con un sorriso. Lo fa per un po’ finché mi sciacqua l'uccello e se lo mette in bocca. Lo succhia come se lo stesse gustando, i suoi occhi sollevati nei miei.
Metto le mani sulla sua testa e affondo il pene. Comincio a scoparmi la sua faccia mentre la sua saliva schiocca. Lei posa le mani sul mio bacino e continua a guardarmi.
Vengo nella sua bocca e lo tiro fuori.
La mia ex assistente inghiotte. — Un po' acquoso…
— Beh…
— Signor Valeriano, posso farle un’ultima richiesta?
Mi acciglio turbato. Perché improvvisamente mi sta parlando in modo formale? Che succede? — Sì.
— Lei non mi ha mai amata, giusto?
— Perché mi stai parlando così?
— Risponda, la prego.
La osservo ancora più stranito, l’acqua che le corre lungo i seni. — No.
— Perché ha fatto l’amore con me, se non mi ama?
— Perché faccio schifo.
Aggrotta la fronte pensierosa. — Lei non fa schifo, signor Valeriano. Per quello che vale, mi ha resa felice. E la ringrazio.
Non riesco a prendere la situazione seriamente per come mi parla. — Perché mi stai parlando così? Stai bene?
— Le ho detto che è un uomo orribile, che è povero, che… Signor Valeriano, voglio dirle addio nel modo in cui ci siamo conosciuti. Lei ha creduto in me. Mi ha dato un lavoro, mi ha fatto crescere. Non dimenticherò mai queste… sensazioni. Anche quelle dolorose.
Come fa a mettersi a parlare seriamente mentre siamo nudi in doccia. Non è proprio il luogo e il momento adatto, ma parliamo della mia ex assistente. Niente ha un senso se c'è lei di mezzo. — Beh… non so cosa dire.
China leggermente la testa. — Le chiedo scuse per le male parole di poco prima. Ma lei già sapeva che non le pensavo. — Solleva la testa. — Sa, non so se amerò un altro uomo come ho amato lei. Non so se proverò le stesse sensazioni, le stesse emozioni, ma… mi auguro di sì. Voglio pensare che James sia quell'uomo.
— Me lo auguro anch’io — dico.
— Può fare un’ultima cosa per me?
— Certo.
Mette le mani sulla mia testa, mi fa inginocchiare e si mette la mia faccia davanti alla sua vagina mentre se la lava per bene con il bagnoschiuma. — Mi faccia godere per l’ultima volta, signor Valeriano.
Passo la lingua sulle sue grandi labbra. Lei ansima e affonda le dita nei miei capelli mentre inarca il bacino verso la mia bocca. Lecco i bordi, l'interno e il clitoride per un pezzo, una mano stretta nella sua, l’altra a palpare il seno. Mi spiaccica la faccia sulla sua passera, rivoli d’acqua scendono ai lati della mia bocca. Poi inizia a muovere i fianchi sul mio viso mentre ansima sempre di più, la sua vagina che striscia sulla mia lingua e sulle mie labbra.
Si irrigidisce di colpo e inizia a tremare per l'orgasmo.
Mi squirta in faccia. Letteralmente.
Allontano il viso lordo dei suoi liquidi. — Avevi una cisterna nascosta là dentro?
La mia ex assistente non fa caso alle mie parole. Si accascia esausta davanti a me e mi abbraccia, gli occhi soddisfatti. — Signor Valeriano… Grazie di cuore… — Mi stringe con tutta la sua forza. Una stretta che non ha bisogno di parole. Si stacca da me e inizia a lavarsi.
Lo faccio anch'io.
Dopo la doccia, l'accompagno verso l'ingresso del condominio. Mentre scendiamo con l'ascensore, non ci parliamo. Anzi, non ci siamo parlati per tutto il tempo. Le doppie porte dell'ascensore si aprono e ci avviamo verso il portone, i passi che risuonano lungo le pareti. Mi fermo e apro il portone. Fuori, il cielo notturno si è schiarito.
La mia ex assistente mi fissa come se volesse imprimersi il mio volto nei minimi dettagli. Poi mi abbraccia, mi stringe con forza. Un abbraccio che dice più di quanto vorrebbe.
Un epilogo.
Un addio.
Fa' buon viaggio, Vittoria. Ti auguro il meglio.
Arrivo davanti al portone dell'edificio e sussulto.
— Ehi — dice la mia ex assistente seduta su un gradino con un sorriso che non promette niente di buono. Come sempre.
— Che ci… che ci fai qui? Non eri negli Stati Uniti?
Si alza. — Sono di passaggio. Partirò di nuovo dopo domani.
— Capisco.
Mi fissa. Non parla.
— Allora… — dico. — Beh, ci vediamo.
Mi afferra per un braccio e mi sorride in modo infantile. — Posso salire da te?
— Sei qui per questo, no?
Serra gli occhi contrariata. — Ehi! Chi pensi che sia? Una sgualdrina?
Mi acciglio turbato. Che cazzo le prende? Perché tutt’a un tratto è diventata così puritana. — Ok, ho capito.
Mi stringe il braccio e alza la mano sinistra, un anello luccica sull’anulare. — Sono fidanzata.
— Con… con il canadese?
— Sì, ed è molto meglio di te. Su ogni cosa.
— Ottimo. Ora vado.
Mi trattiene ancora per il braccio. — Ehi! Non puoi lasciarmi qui e andartene.
Ritraggo il braccio dalla sua mano in modo brusco. — Senti, dimmi perché sei qui? Non girarci intorno.
— Perché ti comporti così?
— Così come?
Una donna ci passa accanto mentre ci sorride imbarazzata ed entra nel condominio.
— Non sei contento di vedermi? — mi domanda la mia ex assistente.
— È passato solo un mese. E poi perché dovrei essere conten…
Il suo viso si contrae arrabbiato. — Perché tra noi c'è qualcosa. C’è sempre stato qualcosa. Non puoi negarlo.
Sta sparando parole a caso? — Non c'è mai stato niente. E poi ti ricordo… — lancio uno sguardo al suo anello — che sei fidanzata. Quindi perché dire che…
Sbuffa seccata. — Sto parlando di noi. Non di me e… — Sbuffa di nuovo. — Qui ci siamo solo noi, quindi…
— Quindi niente. Non c'è niente. E non succederà niente.
Incrocia le braccia sui seni nervosa. — Continui a darmi della sgualdrina.
— Non… — Getto le mani all’aria esasperato. — Lascia stare. Fai buon viaggio.
Mi prende per un braccio. — Tu vuoi fare l’amore con me, ma io sono fidanzata.
Ma che cazzo sta dicendo? — Non voglio fare proprio niente.
Affonda le dita nel mio braccio. — Non mentire!
Allontano il braccio dalla sua presa. — Stai facendo tutto tu. — Mi volto e varco il portone.
Lei mi segue. — Lo so che vuoi fare l’amore con me. Te lo leggo negli occhi.
Mi fermo davanti all'ascensore, mi volto verso di lei. — Senti, io non voglio fare proprio niente, quindi vattene.
Spalanca gli occhi con finta incredulità. — Ora mi stai pure cacciando. E perché? Perché non voglio farlo.
— Ma ti senti quando parli? Io non ti ho chiesto e detto proprio niente. Stai facendo tutto tu. E ora vattene.
Le doppie porte dell'ascensore si aprono. La mia ex assistente si fionda dentro.
— Che stai facendo? — chiedo spazientito.
— Salgo da te.
— Non mi pare di aver acconsentito, da quel che ricordo.
— Non ho bisogno del tuo consenso.
— Ah, no? Quindi puoi venire qui come ti pare e piace?
Annuisce con aria altezzosa. — Esatto!
— Smettila di scherzare e togliti dai piedi. Mi stai dando sui nervi.
Gli occhi della mia ex assistente ardono di pura violenza. — Come, scusa?
La prendo per un braccio e la tiro fuori dall’ascensore.
— Ehi! — dice ad alta voce. — Come ti permetti!? — La trascino verso l’ingresso mentre punta i piedi per terra. — Lasciami stare!
Libero la presa dal suo braccio, il viso serio. — Non costringermi a chiamare tua madre.
La mia ex assistente abbozza un sorriso compiaciuto. — Mia madre? Lei non ha più alcun potere su di me. — Mi mostra il suo anello. — Da quando le ho detto che mi sono fidanzata con James, mi ha lasciata in pace. Anzi, è al settimo cielo. È fiera della sua "piccola bambina.” Finalmente si sta accasando con un uomo ricco e influente come James. — Mi scruta sprezzante e schifata dalla testa ai piedi. — Non con uno come te. Uno straccione. Un misero sfigato senza un soldo bucato che…
— Hai finito di sparare stronzate? — chiedo del tutto disinteressato
— Ti dà fastidio?
— Oh, guarda, sono così infastidito. Si vede?
— Non nasconderlo. Lo so che è così.
— Sì, hai ragione. È proprio così.
Corruga le sopracciglia irritata. — Non sei buono a niente. Fai schifo!
— Certo, come dici tu — rispondo. Mi volto e torno verso l’ascensore.
Lei mi supera e ci entra.
— Di nuovo? — dico spazientito.
Incrocia le braccia, volta la testa dall’altra parte. Non risponde.
— Devo tirarti fuori di nuovo da lì?
Mi guarda torva. — Se lo fai, mi metto a gridare.
Allungo una mano, ma lei mima un urlo. Sospiro. — Cosa vuoi da me, a parte dirmi insulti che non pensi?
— Li penso, invece.
— Ok. Ora dimmi che vuoi?
Un anziano ingobbito entra nell’edificio e si ferma davanti all'ascensore. Ci guarda con un sorriso bonario. — A che piano andate?
La mia ex assistente esce dall’ascensore. — Prego, vada pure. Prendiamo il prossimo.
L’anziano sorride, entra nell’ascensore e le doppie porte si chiudono.
Lei mi guarda. — Non sei cambiato per niente.
— Nemmeno tu. E poi ti ricordo che è passato un mese. La gente non cambia in così poco tempo.
Alza le labbra sprezzante. — Tu non cambierai mai. Rimarrai sempre così.
— Vale anche per te.
— Io sono cambiata, invece. — Mi mette sotto il naso l’anello. — Mi sono fidanzata. Non sono più quella di un tempo.
Sorrido in una smorfia divertita. — Se fosse così, non saresti qui.
Mi fissa male per un attimo. — Sono cambiata!
— Non gridare.
— Grido quanto vo…
Tappo la sua bocca con una mano. — Smettila.
Scaccia la mia mano. — Non osare toccarmi!
Roteo gli occhi in aria seccato e pigio il bottone per chiamare l’ascensore. Non rispondo, nemmeno la guardo.
Lei mi fissa finché le doppie porte dell’ascensore si aprono. Fa per entrare, ma la fermo per un braccio e la guardo serio negli occhi. La mia ex assistente ricambia, mi sfida. Non intende distogliere lo sguardo per prima. Non molla.
Le doppie porte si richiudono.
Lei sposta lo sguardo e cala una mano in mezzo per farle riaprire. Entro nell’ascensore. Lei pure. Ci guardiamo di nuovo per un po'. Non intendo schiacciare il bottone per salire al mio piano finché non se ne va. Ma non lo fa. Anzi, pigia il tasto per il mio piano. Le doppie porte si chiudono, l’ascensore comincia a salire.
Sospiro esasperato. — Sei proprio immatura.
— Senti chi parla.
Mi sembra il clone giovane di Ilaria. Sono simili. E pensare che quando l’ho conosciuta non era per niente così. — Perché vuoi salire da me?
Corruccia la fronte con disappunto. — Non farti strane idee.
— Sei tu quella che se l'è sta facendo.
Sbuffa irritata, incrocia le braccia. — Non sto facendo proprio niente.
Non rispondo. Sono stufo di parlare. In questi giorni non faccio altro che litigare. Mi sto esaurendo.
Le doppie porte si aprono, usciamo dall'ascensore e attraversiamo il corridoio. Dalla finestra in fondo al corridoio scorgo un lampo nel cielo. Forse tra poco pioverà.
Apro la porta ed entro nel mio appartamento. La mia ex assistente si guarda in giro con un grosso sorriso stampato in faccia. Sfiora lo schienale della poltrona con un dito e si lascia cadere di schiena sul divano con un sospiro allegro.
Mi acciglio confuso. — Ti rende così felice?
— Cosa? — domanda mentre allunga le ossa per sgranchirle.
— Essere qui. Sembri una bambina a Disneyland.
Pianta gli occhi su di me. — Non sono una bambina e non sono affatto felice.
— A me sembra proprio di sì.
— Finiscila di fare supposizioni inutili.
Non rispondo. Vado in cucina e bevo un bicchiere d'acqua. Mi volto e me la ritrovo davanti. La cosa non mi sorprende affatto. — Che c'è?
Serra gli occhi inacidita. — Non mi offri niente?
— Prima dimmi perché sei qui.
Sposta lo sguardo con uno sbuffo imbronciato. — Non posso venire a trovare un amico?
— Amico?
— Perché non siamo amici?
Certo, come no. Poso il bicchiere vuoto sul ripiano. — Vuoi un succo?
Apre il frigo da sola e ci guarda dentro.
— Oh, fai come se fossi a casa tua — dico un po' irritato.
Sorride in modo infantile. — Grazie. — Prende la bottiglia di succo ACE, lo versa in un bicchiere e beve un sorso. Fa una smorfia. — Da quanto è aperto?
— Qualche giorno.
— Non ha un buon sapore.
— È ancora buono.
Va al lavello e ci versa dentro il succo.
Le strappo la bottiglia di mano. — Ma che fai!?
— Fa schifo — dice stizzita.
— Non fa schifo.
— Allora bevilo.
Bevo una lunga sorsata. — È ancora buono, te l’ho detto.
Alza una mano in aria. — Sì, certo.
Pulisco con un tovagliolo di carta la bottiglia di succo sporca ai lati e la rimetto nel frigo. — Sei troppo viziata.
Si siede al tavolo e accavalla le gambe. — Ho il palato fine.
— Sono i soldi, non il palato.
— Mi stai dipingendo come una ragazzina viziata che non dà valore a niente.
Butto il tovagliolo sporco nel cestino. — Sembra che sia proprio così. E poi finalmente hai ammesso di essere una ragazzina.
— Non sono una ragazzina!
Scuoto la testa. Non rispondo. Tanto è inutile. E poi mi sono rotto le palle.
Rimaniamo in silenzio per un momento. Due bambine strillano e si rincorrono nell'appartamento accanto. La sera fanno sempre così e mi piace sentirle. Rallegrano la mia atmosfera deprimente. Danno colore all'oscurità in cui vivo.
— Vado a farmi una doccia — dico.
La mia ex assistente guizza gli occhi. Non risponde.
— Se non hai altro da dire, puoi andartene. La strada la sai.
Sbuffa in una smorfia divertita. — Quale strada? Non che ci sia molta strada da fare qui. Anzi, per nulla.
— Da quando sei così sarcastica? — chiedo con voce piatta. — Quel tuo anello al dito ti ha rimbambita? Non fai altro che denigrarmi.
Si porta una mano sulla bocca con finto dispiacere. — Oh, ti sei offeso? Poveretto…
Cazzo, perché è diventata tutt’a un tratto come Paula? È un mix vivente tra Ilaria e Paula. — Devo cacciarti fuori?
Incrocia le braccia. — Sto bene dove sono.
— Ancora devi dirmi perché sei qui?
— Te l’ho già detto…
— Certo, per trovare un amico.
Gioca con l’anello al dito. — Non devi andare a farti una doccia?
— Cos’è? Mi vuoi seguire?
Mi fissa seria per un attimo. Mi mostra l'anello. — Pensi soltanto a quello.
— Sei qui per questo, no? Non girarci intorno.
Scatta in piedi in un impeto di rabbia, il viso paonazzo. — Non sono qui per questo. Io… Tu… Abbiamo condiviso qualcosa di speciale insieme. Volevo solo… volevo solo vederti per l'ultima volta… — Trattiene le lacrime, i suoi occhi si arrossano. — Volevo… Il tuo appartamento… Volevo rivederlo. Noi qui… — Si risiede, lo sguardo puntato verso la finestra. — Sei stato speciale per me… Magari per te sono stata solo una delle tante, ma per me… tu eri speciale. Non ho mai provato dei sentimenti così forti per qualcuno. Quando sono partita, ero a pezzi. Non facevo che pensare a te tutto il giorno. Ma ho resistito…
Cala il silenzio per un momento, le due bambine che continuano a strillare e rincorrersi nell’appartamento accanto.
La mia ex assistente si asciuga gli occhi con le dita. — Poi ho incontrato James… Lui ti assomiglia per certi versi, ma lo so che non sei tu. Non è capace di essere profondo e acuto come te. Lui è più estroverso, più egocentrico e… — sposta gli occhi rossi su di me — molto più bello e ricco di te. A mia madre piace. Ha già organizzato tutta la nostra vita nei minimi dettagli, ma… — Si zittisce per un attimo, i suoi occhi che vagano di nuovo verso la finestra. — Ti insulto perché non posso averti, perciò… non posso fare altro. Voglio allontanarti, odiarti, ma non ci riesco. — Mi guarda. — Ma se ci fosse quella minima possibilità, io lascerei tutto e verrai a vivere da te. Lo farei. Farei qualsiasi cosa, ma… — Si ammutolisce, si toglie l’anello dal dito e lo posa sul tavolo. Mi fissa negli occhi. — Sono qui anche per…
Distolgo lo sguardo. Non parlo.
Restiamo in silenzio a lungo mentre là fuori un tuono rimbomba lontano. Comincia a piovere a dirotto, la pioggia che batte sulla finestra.
— Vado a farmi la doccia — dico, senza guardarla. Esco dalla cucina.
È il capitolo finale. Fine dei giochi. L’ho percepito dalle sue parole, dal suo sguardo. Non ci rivedremo più. E per concluderlo, verrà da me un’ultima volta.
Entro in bagno, mi spoglio e mi metto nella doccia. Quando apro l’acqua del soffione, la porta si apre e si richiude. Mi volto.
La mia ex assistente mi sta fissando, gli occhi lucidi. Si sveste e si infila nella doccia con me. Ci guardiamo per un momento mentre l'acqua scorre sui nostri corpi. Mi afferra entrambe le mani per un attimo, poi mi abbraccia. Sento i suoi capezzoli turgidi sul mio petto un po' peloso.
Restiamo così per un minuto. Nessuno dei due dice una parola. Non serve. I nostri corpi si stanno già parlando. Il nostro calore sta già facendo l'amore.
Lei solleva lo sguardo su di me. — Ti amo… — Mi mette un dito sul labbro, si inginocchia e si mette in bocca il mio pene, senza l'aiuto delle mani.
Gemo dal piacere mentre i sensi di colpa si fanno largo tra i miei pensieri. Non dovrei farlo. È fidanzata. E poi vuole dimenticarmi. Tutto questo le farà solo del male. E se invece l’aiutasse a dimenticarmi? Se fosse l’unico modo? La consapevolezza che poi non ci sarà più niente? Oppure è solo la mia mente contorta che cerca di giustificarsi?
Questa sarà la sua ultima volta.
La nostra ultima volta.
La sua bocca affonda in profondità nel mio uccello, la sua lingua che ruota tutt'attorno. Afferra la sua testa e la tengo ferma mentre muovo i fianchi dentro e fuori la sua bocca. Lei mi fissa, il rumore della saliva attutito dal getto d’acqua della doccia.
Sto per venire.
Lo tiro fuori e mi trattengo. La mia ex assistente continua a fissarmi. Prende il mano il mio pene e comincia segarmi mentre mi lecca la punta del glande.
Le vengo in faccia quasi subito.
Lei abbozza un sorrisetto, si alza in piedi e si lava lo sperma con l’acqua. Calo una mano nella sua vagina, medio e anulare dentro, il palmo sul clitoride. Comincio a masturbarla mentre lei ansima e ci fissiamo negli occhi intensamente. Poi mi bacia con lingua. Un bacio passionale, puro amore. I sensi di colpa tornano a ghermirmi. Non si bacia una persona in questo modo, se non la ami. Tutto il suo corpo freme dalla voglia di possedermi.
Prende il mio uccello e lo guida frontalmente nella sua vagina. Ci scivola dentro come olio sul pavimento. Ansima al mio orecchio mentre mi stringe in un forte abbraccio. Alzo una sua gamba con una mano e comincia a muovere i fianchi. Prima lentamente, poi più velocemente. La mia ex assistente mi bacia il collo, la spalla, la mascella e le labbra. I suoi baci sono pieni di affetto, non hanno niente di sessuale. Con me sta facendo l’amore, non sesso.
Aumento l'andatura dei colpi. Lei geme e si aggrappa a me, le dita che affondano nelle mie spalle. Inizia a tremare finché si irrigidisce e mi bacia con la lingua mentre le sue gambe fremono per l'orgasmo. Continua a baciarmi, i suoi fianchi che si muovono contro i miei. Sento il rumore vischioso dei suoi liquidi mentre l'acqua del soffione ci scivola addosso.
Tiro fuori il pene e le vengo sulla pancia.
Lei mi guarda. — Perché non mi sei venuto dentro come le altre volte?
— Sono maturato.
— Maturato? Che risposta è?
— Beh, non si sa mai. Tutte le volte… Insomma, hai capito. Non è sicuro.
Raccoglie il mio sperma con il dito e lo lecca. Sorride. — Hai ancora lo stesso sapore.
Mi acciglio stranito. — Oh, ok…
— Prendi il bagno schiuma.
— Perché?
— Voglio lavarti.
— Ma no, non devi…
Mi fulmina con lo sguardo. — Prendilo!
— Ok… — rispondo. Lo prendo e glielo passo.
La mia ex assistente me lo spalma sulla schiena, sul petto, sull’addome, sulle cosce e poi in mezzo alla gambe. Mi lava per un minuto, poi prende in mano il mio pene e comincia a segarmi mentre mi palpa i genitali con un sorriso. Lo fa per un po’ finché mi sciacqua l'uccello e se lo mette in bocca. Lo succhia come se lo stesse gustando, i suoi occhi sollevati nei miei.
Metto le mani sulla sua testa e affondo il pene. Comincio a scoparmi la sua faccia mentre la sua saliva schiocca. Lei posa le mani sul mio bacino e continua a guardarmi.
Vengo nella sua bocca e lo tiro fuori.
La mia ex assistente inghiotte. — Un po' acquoso…
— Beh…
— Signor Valeriano, posso farle un’ultima richiesta?
Mi acciglio turbato. Perché improvvisamente mi sta parlando in modo formale? Che succede? — Sì.
— Lei non mi ha mai amata, giusto?
— Perché mi stai parlando così?
— Risponda, la prego.
La osservo ancora più stranito, l’acqua che le corre lungo i seni. — No.
— Perché ha fatto l’amore con me, se non mi ama?
— Perché faccio schifo.
Aggrotta la fronte pensierosa. — Lei non fa schifo, signor Valeriano. Per quello che vale, mi ha resa felice. E la ringrazio.
Non riesco a prendere la situazione seriamente per come mi parla. — Perché mi stai parlando così? Stai bene?
— Le ho detto che è un uomo orribile, che è povero, che… Signor Valeriano, voglio dirle addio nel modo in cui ci siamo conosciuti. Lei ha creduto in me. Mi ha dato un lavoro, mi ha fatto crescere. Non dimenticherò mai queste… sensazioni. Anche quelle dolorose.
Come fa a mettersi a parlare seriamente mentre siamo nudi in doccia. Non è proprio il luogo e il momento adatto, ma parliamo della mia ex assistente. Niente ha un senso se c'è lei di mezzo. — Beh… non so cosa dire.
China leggermente la testa. — Le chiedo scuse per le male parole di poco prima. Ma lei già sapeva che non le pensavo. — Solleva la testa. — Sa, non so se amerò un altro uomo come ho amato lei. Non so se proverò le stesse sensazioni, le stesse emozioni, ma… mi auguro di sì. Voglio pensare che James sia quell'uomo.
— Me lo auguro anch’io — dico.
— Può fare un’ultima cosa per me?
— Certo.
Mette le mani sulla mia testa, mi fa inginocchiare e si mette la mia faccia davanti alla sua vagina mentre se la lava per bene con il bagnoschiuma. — Mi faccia godere per l’ultima volta, signor Valeriano.
Passo la lingua sulle sue grandi labbra. Lei ansima e affonda le dita nei miei capelli mentre inarca il bacino verso la mia bocca. Lecco i bordi, l'interno e il clitoride per un pezzo, una mano stretta nella sua, l’altra a palpare il seno. Mi spiaccica la faccia sulla sua passera, rivoli d’acqua scendono ai lati della mia bocca. Poi inizia a muovere i fianchi sul mio viso mentre ansima sempre di più, la sua vagina che striscia sulla mia lingua e sulle mie labbra.
Si irrigidisce di colpo e inizia a tremare per l'orgasmo.
Mi squirta in faccia. Letteralmente.
Allontano il viso lordo dei suoi liquidi. — Avevi una cisterna nascosta là dentro?
La mia ex assistente non fa caso alle mie parole. Si accascia esausta davanti a me e mi abbraccia, gli occhi soddisfatti. — Signor Valeriano… Grazie di cuore… — Mi stringe con tutta la sua forza. Una stretta che non ha bisogno di parole. Si stacca da me e inizia a lavarsi.
Lo faccio anch'io.
Dopo la doccia, l'accompagno verso l'ingresso del condominio. Mentre scendiamo con l'ascensore, non ci parliamo. Anzi, non ci siamo parlati per tutto il tempo. Le doppie porte dell'ascensore si aprono e ci avviamo verso il portone, i passi che risuonano lungo le pareti. Mi fermo e apro il portone. Fuori, il cielo notturno si è schiarito.
La mia ex assistente mi fissa come se volesse imprimersi il mio volto nei minimi dettagli. Poi mi abbraccia, mi stringe con forza. Un abbraccio che dice più di quanto vorrebbe.
Un epilogo.
Un addio.
Fa' buon viaggio, Vittoria. Ti auguro il meglio.
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