Mia cugina: Parte 46
di
Catartico
genere
incesti
Sono seduto al penultimo posto del bus. C'è poca gente. Perlopiù pendolari. C'è chi ascolta musica dalle cuffiette e chi scrolla il cellulare. Altri guardano fuori dal finestrino. Il rumore del motore è l’unico suono che interrompe il silenzio.
È da parecchio che non prendevo il bus. Avevo dimenticato la sensazione di stare seduto a fissare il mondo che scorre fuori dal finestrino. È qualcosa di introspettivo, di catartico. Senti il silenzio, lo assapori, lo gusti. Ma senti anche la disperazione. Tutto ciò che si annida dentro. Qualsiasi cosa. Sgorga mentre osservi il tuo riflesso nel vetro. E ti ritrovi a pensare, a riflettere su ogni cosa che reputi importante. La tua mente vaga senza controllo, senza destinazione. E il più delle volte sei fottuto.
Il bus si ferma.
Scendo e mi incammino verso la mia auto. È l'unica parcheggiata nel piazzale davanti il grattacielo della compagnia di Ilaria. Se ne sta sola e triste nel buio della notte, il riflesso della mezzaluna fra le nuvole sul parabrezza. Apro la portiera e salgo a bordo. Non metto in moto. Fisso un uomo e una donna mano nella mano dall’altra parte della strada. I loro sguardi si cercano, i sorrisi parlano. Evitano una pozzanghera e girano l'angolo.
Metto in moto, accendo la radio e parto. Ho voglia di ascoltare un po' di musica o qualcuno che parli. Lascio il piazzale e mi immetto sulla strada. Lo speaker parla di una nuova canzone, ma non lo ascolto. Ho solo bisogno di un disturbo di fondo. Qualcosa per non sentire il silenzio, il vuoto che mi ghermisce.
Mi fermo al semaforo rosso.
Sposto lo sguardo sulle vetrine di un negozio di abbigliamento. Manichini vestiti con abiti femminili autunnali, le pose innaturali. Due ragazze si fermano a guardare. Una indica un lungo vestito a fiori. L'altra quello nero.
Scatta il verde.
Parto.
Ho la sensazione che il mondo mi stia letteralmente divorando. Pezzo dopo pezzo. E non posso fare altro che guardare. Sono io a desiderare tutto questo? Oppure è la vita che ci prova gusto a schiacciarmi? Quanto di tutto ciò è reale?
Dopo un po' arrivo davanti al mio condominio. Parcheggio e salgo al mio appartamento. Mi butto sul divano e contemplo il soffitto, un braccio sulla fronte. Ore fa l’aria profumava di Sarah. I suoi passi calpestavano questo pavimento. Le sue labbra erano sulle mie. Tutto era meraviglioso, colorato. Ora c'è solo la penombra e la luce del lampione che entra dalla finestra.
Il vuoto. Assoluto.
La bambina che abita accanto si mette a strillare, a correre. Sorrido e mi stendo sul fianco quasi in posizione fetale. I suoi passi, le sue risate danno colore all’oscurità. Non mi fanno sentire solo.
Il cellulare squilla.
Sobbalzo. Lo prendo dalla tasca, guardo lo schermo. È Ilaria. — Sì?
— Ho parlato con mio nonno.
— E?
Sbuffa seccata. — Ti ha dato un mese.
Sbarro gli occhi sorpreso, mi metto a sedere sul divano. — Un mese? Davvero?
— Già, un mese.
— Ma… Voglio dire, non hai detto che…
— Caterina Savona si è tirata fuori.
Il mio volto si incupisce un po'. — Cosa?! Perché?
— Non era tenuta a darci delle spiegazioni, ma immagino sia per sua figlia. Non ha più motivo di starti addosso.
Abbasso gli occhi sul basso tavolino. — Tuo nonno…
— Ti ha dato un mese. Prendilo come un regalo per aver curato gli interessi di Caterina Savona e aver portato grossi profitti alla compagnia.
Mi passo una mano sul viso un po’ ansioso. — Tu… ne hai parlato tu? Voglio dire, del mese di…
— Certo che ne ho parlato io. Gli ho suggerito di darti un mese. E l’ha fatto, senza battere ciglio.
— Ah…
Un breve silenzio, la bambina che strilla e corre oltre la parete del soggiorno.
— Non ringraziarmi — dice. — Non serve. Ora chiudo. — Riaggancia.
Fisso lo schermo nero del cellulare del tutto interdetto. Perché Ilaria mi ha fatto un regalo simile? Non è da lei. E poi un mese? Davvero? Ha detto davvero un mese? Passerò 31 giorni con Sarah?
Scatto in piedi con un sorriso da ebete, il viso arrossato. Tutta la depressione e il vuoto di prima si sono volatilizzati. Ho il petto in fiamme, lo stomaco sottosopra. Faccio avanti e indietro per il soggiorno tra le grida infantili della bambina dell'appartamento accanto. Non riesco a stare fermo. Sono troppo felice. Mi sento come un ragazzino con la sua prima cotta.
Mi fermo, scrollo la rubrica del cellulare e pigio il nome Sarah cugina. Il mio pollice esita, il mio sorriso svanisce appena. Che sto facendo? Devo calmarmi. Sono troppo eccitato. E ho la brutta sensazione che andrò a schiantarmi dritto contro un muro con un atteggiamento simile.
Faccio dei respiri profondi, mi siedo sul divano e guardo il mio riflesso distante sullo schermo spento della TV. Sembro proprio un coglione. La mia sagoma sogghigna, mi sta giudicando. Distolgo lo sguardo verso la finestra per un momento. Mi alzo e mi affaccio. L’aria odora di benzina, di catrame appena spalmato sulla strada. Osservo proprio quella lunga scia nera che si allunga su un asfalto più chiaro.
La bambina smette di gridare.
Sollevo lo sguardo verso il cielo tempestato di stelle. Resto così per un po'. Una macchina sfreccia lungo la strada, seguita da una moto. Poi la neo coppia di sposini al piano di sotto comincia a litigare. Urla flebili, accuse dirette. Lei lo accusa di aver un amante. Lui pure. Le urla salgono di intensità. Lei sbraita come una forsennata. Lui si ammutolisce. Poi il silenzio. E dopo un po, dei gemiti. Stanno facendo l’amore. Un classico. Il sesso post-litigata ha sempre qualcosa di indefinito, di violento. Ogni briciola di rabbia viene riversata sessualmente sul compagno. Tutto si appiana tramite orgasmi, ma è solo un cessate il fuoco. Un inganno di madre natura. La guerra ricomincerà a breve e il sesso sarà la tavola dei negoziati.
Il vissero tutti felici e contenti non esiste. E se esiste, è fatto a su misura. Per pochi. Per l'èlite.
Un’ora dopo sono al bar, seduto al mio solito posto. Mi sono già scolato due birre e vado per la terza. Tutto intorno, la gente ride, scherza, parla. Anche i miei amici. La musica house è assordante. Un ritmo ipnotico, infinito, fastidioso.
Mi alzo, mi faccio largo tra la folla e vado in bagno. Appena faccio per lavarmi la faccia sudata, un uomo e una donna escono ridendo da uno dei tre box. Non mi guardano. Tirano dritto e vanno via.
Mi asciugo il viso con la carta mani, esco dal bagno e torno al mio posto. Paula è lì. La guardo un po' confuso. Aveva detto che non sarebbe venuta.
Mi siedo. — Ehi… — Non mi sente. La musica è troppo alta. Le tocco il braccio. — Ehi.
Mi lancia un'occhiata spenta su di me, alza il mento per salutarmi.
Sta di merda.
Mi avvicino. — Tutto bene?
— Voglio solo bere — risponde mentre fa ruotare la birra nel bicchiere.
— Che succede?
Mi ignora, oppure non mi ha sentito.
Avvicino il viso al suo. — Che succede?
— Niente.
La guardo per un momento. Poi bevo la mia terza birra, gli occhi sul tavolo. Penso a Sarah. Non ho avuto il coraggio di chiamarla per dirle del mese di permesso. Sicuramente ne sarà felice. Allora perché non ho avuto il fegato di chiamarla?
I miei amici si mettono a parlare di un video virale su tik tok. Due cinesi che ballano in modo buffo su una scogliera. Il primo muovo il bacino come se stesse facendo la danza del ventre. Il secondo è piegato in avanti con le mani a terra.
Finisco la birra e mi alzo. — Io vado.
Mi salutano in modo distratto.
Poso una mano sulla spalla di Paula. — Ci vediamo in ufficio.
Lei alza una mano per salutarmi. Persino alzarla sembra costarle una gran fatica. — Sì, ‘notte.
Niente "Au revoir”, il suo classico saluto. Mi volto e mi faccio largo tra la gente. Fuori, c'è un ammasso di persone. Ilaria è tra loro. È in compagnia di un’amica e un ragazzo. Forse è il suo fidanzato. Il braccio di lui le cinge i fianchi, la tira a sé con un sorriso. Lei ricambia un po' imbarazzata. Ilaria sorride mentre i suoi occhi vagano nella mia direzione. I nostri sguardi si incrociano per un momento. Alzo una mano per salutarla. Lei si volta dall’altra parte e parla con i due.
Sembra che sia incazzata con me per via di Sarah. Ma allora perché ha detto a suo nonno di darmi un mese di permesso? Proprio non la capisco.
Torno a camminare lungo il marciapiede. Pesco il cellulare dalla tasca dei pantaloni, scorro la rubrica e mi fermo su Sarah cugina. Esito. Di nuovo. È una bella notizia, dopotutto? Allora perché non la chiamo?
Arrivo davanti alla mia auto, poggio un braccio sul tettuccio e guardo dall’altra parte della strada. Non c'è nessuno. La luce di una finestra al primo piano. Una sagoma che si sposta dietro le tende. Un ragazzo esce dal portone di una casa, chiude a chiave e si allontana, gli occhi piantati sul cellulare.
Apro la portiera della macchina e salgo a bordo. Colpi sul finestrino. Mi volto.
Il viso di Paula appare dietro il vetro. — Ehi… Dammi un passaggio — biascica.
Le faccio segno di salire con un cenno della testa, ma lei ci sta già andando. Non perde mai tempo. Apre la portiera, si siede e mi guarda. Il suo sguardo è un buco nero. È evidente che è successo qualcosa. — Fai il giro largo. Voglio dormire un po'...
Mi acciglio perplesso. — Mi hai preso per un taxi?
Sbuffa mentre scaccia l’aria con una mano, si gira un po' verso il finestrino e appoggia la testa sul poggiatesta.
Continuo a guardarla. — Puzzi di alcol.
— Senti chi parla…
— Non è da te bere così tanto e da sola poi.
— Voglio dormire. Non parlare.
Un momento di silenzio.
Un auto ci passa accanto e si allontana. Il ragazzo di prima torna indietro con una ragazza. Sembrano freddi, distanti. Non sembra la sua ragazza. Apre il portone e ci spariscono dietro.
Metto in moto. — Senti…
Solleva una mano per farmi tacere, la faccia affondata nell’incavo del gomito.
Ingrano la prima, parto.
La strada è un po' trafficata. All'angolo della via hanno inaugurato un nuovo pub. Più grande e più luminoso di quello in cui vado. E c'è anche molta più gente. Il chiacchiericcio si fa più pesante quando ci passo vicino.
Svolto a destra e guido verso l'appartamento di Paula nella zona ricca della città. Le getto uno sguardo. — Sei venuta senza la tua auto?
— Hmm… — risponde tra il sonno e la veglia.
— Vuoi dirmi cosa è successo?
— Piantala… Lasciami dormire…
— Ti sei vista con Ettore, per caso?
Silenzio.
— Ehi…
Mi tira un ceffone alla cieca, colpisce il lato del mio sedile. — Che rottura…
— Ti sei vista con lui, quindi…
Scatta la testa verso di me, gli occhi sanguigni. — Ti ho detto di… — Si zittisce, le guance arrossate per l’alcol. Sbuffa esasperata. — Perché non mi lasci dormire e basta?
— Perché di solito mi rompi le palle e mi prendi per il culo.
— Era meglio se tornavo a piedi…
Mi fermo al semaforo rosso. — Quindi sei venuta senz'auto?
Si rivolta verso il finestrino, posa la testa sul vetro. Non risponde.
— Ehi… So già che ti sei visto con lui. L’ho capito.
— Quindi? Vuoi consolarmi per poi scoparmi?
Le lancio un'occhiata perplesso. — Che cazzo dici…
— Non sono affari tuoi, comunque. E non ho bisogno di nessuna spalla su cui piangere.
— Non intendevo…
— Ti ho sholo chieshto uno shtramaledettho passagghio — biascica forte. — Accompaghnami a casha. E non parlare.
È proprio andata. Non credo abbia senso continuare a parlare.
Apro la porta del suo appartamento con la sua scheda magnetica mentre la sorreggo su di me con un braccio come una bambina e la porto nella camera da letto. La getto sul materasso, il viso sfatto, quasi pallido. E già tanto che non mi abbia vomitato in macchina. Le tolgo le scarpe, metto le sue gambe sul letto e la osservo per un momento. Che diavolo è successo per ridurre una menefreghista come lei in questo stato? Ha scoperto che Ettore è fidanzato? Sposato con figli? O peggio, è morto?
Scuoto la testa. Non ha senso pensarci. Non so nemmeno perché mi interessi così tanto. Forse ha ragione nel dire che ho la sindrome del cavaliere. Abbozzo un sorriso divertito e mi mi dirigo verso la porta.
— Grashie... — dice in un rantolo di voce.
Mi volto a guardarla per un attimo mentre si gira sul fianco. Vado via.
Entro in macchina e metto in moto. L’abitacolo odora di acqua di colonia e alcool. Sposto lo sguardo sul sedile accanto. Immagino Paula lì, la testa sul finestrino. Credo che mi stia affezionando come amico a quella bisbetica. Al liceo non avevamo tutta queste confidenza, sebbene la difendessi dallo stronzo del suo ex e dagli altri che la prendevano in giro. Il mio forte senso di giustizia mi ha sempre portato a strafare, a prendere tutto sul personale.
Il mio cellulare trilla. Lo prendo dalla tasca della giacca e guardo l’anteprima del messaggio sullo schermo. È Ilaria.
“Sei andato a spassartela con Paula? Sei serio? È Sarah?”
“L'ho accompagnata a casa. Era ubriaca. Ora sto tornando a casa.”
Attendo una risposta, gli occhi che vagano fuori dal parabrezza. C'è un silenzio tombale. Sento persino il mio respiro.
Il trillo irrompe come uno sparo.
“Certo, e dovrei crederci?
“Non crederci, allora.”
“Se non sei con lei, allora vieni da me. Sono ancora al Destiny.”
“Sono stanco.”
“Dopo avertela fatta, mi pare logico 😡😡🤬”
“Pensala come vuoi.”
“Lo dico a Sarah? 🤔”
Mi acciglio irritato. “Che fai? Passi alle minacce, ora?!”
“Ti aspetto ☺️🤗”
Stringo una mano a pugno dal nervoso. Quelle faccine. Quelle maledette faccine del cazzo a presa per il culo. Digito velocemente. “Diglielo pure! Non mi frega niente. Sarah capirà.” Il mio pollice esita un attimo. Cancello tutto, impreco tra i denti.
Cazzo!
Fermo la macchina accanto al marciapiede. Il Destiny è poco più in là. L'ingresso si è svuotato un po'. Una ragazza sta vomitando accanto agli scalini di un palazzo mentre l’amica le regge i capelli. Un gruppo di ragazzi alticci si prende a spintoni tra risate e grida.
Incrocio lo sguardo di Ilaria. Sta camminando verso di me. Apre la portiera e sale a bordo.
La guardo seccato. — Sono qui. Contenta?
Annusa l'aria quasi con disgusto e apre il finestrino. — C’è un cattivo odore.
— Perché volevi vedermi?
— Come perché? Non possiamo stare insieme?
— Prima non mi hai neanche salutato. Pensavo fossi arrabbiata.
Volta la testa fuori dal finestrino. — Solo un po’.
— Perché hai detto a tuo nonno di darmi un mese?
Silenzio.
— Hai rinunciato a me?
Mi guarda con un sorriso storto. — Come se avessi delle pretese…
— Non è così?
— No.
— Allora perché… — Sbuffo esasperato. — Lascia stare. Con te è come parlare a un muro.
— Idem.
Altro silenzio.
— L’hai solo accompagnata? — chiede Ilaria, senza voltarsi.
— Paula? Sì. Mi ha chiesto un passaggio.
— Mmmh…
La guardo. — Mmmh cosa?
— Niente.
— Pensi che ci abbia fatto sesso?
— Beh…
— Sei proprio fissata.
Pianta gli occhi su di me seria. — Non è quello che fai sempre? Ti scopi chiunque!
— Non ho fatto proprio niente. E poi perché stiamo parlando di questo?
Mi fissa per un momento. Volta la testa fuori dal finestrino. Non risponde.
Un furgone passa lungo la strada. Dall’altra parte del marciapiede, due gatti camminano uno accanto all’altro, i loro peli che si sfiorano. Un vociare concitato giunge dal Destiny.
— Perché hai detto a tuo nonno di…
— La pianti?!
— Dimmi perché e la pianto.
— Non ti serve conoscere il motivo.
— Invece sì. Non è da te fare… — Mi ammutolisco, giro lo sguardo oltre il parabrezza. La ragazza che ha vomitato sta camminando accanto alla sua amica. Barcollano, ma si tengono in equilibrio a vicenda. — Senti, io… Voglio dire…
— Non lo sai neanche tu cosa vuoi dire.
Serro gli occhi infastidito. — Dimmi il perché.
— Ancora?!
— Che ti costa dirmelo?
Ilaria incrocia le braccia sui seni. — La ami così tanto?
— Non cambiare discorso.
Mi guarda, lo sguardo deciso. — Rispondi!
— Se io rispondo, tu mi dici il…
Si mette una mano in faccia con un sospiro frustrato. — Certo che sei pesante.
— Detto da te è un complimento.
Mi fissa male. — Immagino che sia un sì. Non che la cosa mi sorprenda più. Ne sono successo così tante che credo di essermi abituata, ormai.
Un breve silenzio.
I due gatti sul marciapiede iniziano a strusciarsi a vicenda accanto a un cespuglio. Un ragazzo con lo zaino ci passa vicino mentre sorride loro.
Sposto lo sguardo su di lei. — Vuoi dirmi…
Sbuffa, gli occhi alzati in aria. — Ok, basta. Te lo dico. — Sospira esasperata. — Ti ho dato un mese perché, come tuo superiore, penso che te lo meriti. Hai portato alla compagnia molti profitti. E ora che Caterina Savona ha trasferito i suoi investimenti altrove, ho bisogno di capire dove ricollocarti.
— Ricollocarmi?
I suoi occhi sono puro ghiaccio. — I clienti che avevi prima di Caterina Savona sono passati ad altri consulenti. Perciò, non sono più disponibili. Ora dobbiamo trovarti qualcosa al tuo livello.
— Un cliente grosso come…
— Gia, come lei. Ma attualmente non ce ne sono.
Mi acciglio confuso. — Quindi?
— Quindi ti fai un mese in Grecia. E quando torni, avremo trovato qualcosa per te.
— Non capisco…
— Non c'è niente da capire.
— Non sei gelosa?
Non risponde subito. Mi fissa fredda. — Perché dovrei esserlo?
— Non lo so… Voglio dire, tu… Noi…
— Sei scemo o fai la parte?!
— Che vuoi dire?
— Che stai cercando di fare?
Corrugo la fronte perplesso. — Non me la bevo che tu… Insomma, hai in mente qualcosa, vero?
Il suo viso si contrae irritato. — Mi credi così subdola?
— Beh… Hai sempre qualcosa in mente. E questo mese di perme…
— Certo che sei proprio stronzo! Io ti do un mese per spassartela con Sarah e tu la prima cosa che pensi è che sto pianificando qualcosa!?
— È solo che… Mi pare strano. Non è da te. Non mi avresti mai dato…
Avvicina il viso accaldato al mio, gli occhi serrati. — Te l’ho già detto e te lo ripeto per l’ultima volta. Sono il tuo capo. E in questo momento ti sto parlando come tale. Ti ho dato un mese perché te lo sei meritato. Lo stesso pensa mia nonno, quindi piantala con le tue paranoie!
Distolgo lo sguardo e poggio la nuca sul poggiatesta, gli occhi fuori dal finestrino.
L’ingresso del bar Destiny si è svuotato quasi del tutto. Il barista è fuori a fumare una sigaretta mentre parla con una donna. Due miei amici escono dal locale e si allontanano.
— Sto cercando di mettermi l’anima in pace con te — dice Ilaria, la voce piatta.
Non rispondo. Non chiedo.
Passa lo sguardo fuori dal finestrino. — Sembra che tu abbia perso la testa per quella là e io non posso farci niente.
— La amo.
— Una volta amavi anche me.
— Tu mi ami ancora?
Sbuffa. — Che domanda stupida…
Restiamo in silenzio per un po'.
Mi guarda. — Sai, ho sempre la sensazione che tu mi ami ancora e che tra noi non finirà mai.
Mi limito a guardarla.
— Il nostro rapporto è sempre stato strano — dice, il tono caldo. — Non era solo sesso, c’era anche altro. E c'è ancora. Riesco a sentirlo. Non so se sia amore nel senso comune della parola, ma c'è. E sono sicura che anche tu lo senti.
Non rispondo.
Intreccia le mani sul grembo, il miagolio di uno dei due gatti là fuori. — Per questo sono sicura che tu non andrai mai via da me come io non andrò mai via da te. Siamo legati. Proviamo le stesse cose l’uno per l’altra. Amore? Affetto o… Qualunque cosa sia è reale. Su questo non ci piove.
Abbasso lo sguardo sul manubrio. — Mi hai fatto venire qui per dirmi questo?
Abbozza un mezzo sorriso d’affetto. — No, perché tutto questo lo sai già. Ti sto solo confermando quello che pensi anche tu.
Ed è così. Lo penso davvero. Una parte di me lo sa benissimo. Anche Marta me l’ha detto. Sto solo cercando di allontanare Ilaria da me. — Non credi sia sbagliato?
Alza un sopracciglio perplessa. — Perché dovrebbe?
— Rimarremo in un limbo. Nel nostro limbo. Non andremo mai avanti. Non ci creeremo una famiglia o…
— Vuoi una famiglia?
— Non sto dicendo questo.
— È quello che hai detto.
— Quello che voglio dire…
— Con Sarah non ti sarà possibile. Intendo, la famiglia. Avete lo stesso sangue.
Mi rabbuio. — Non stiamo parlando di lei, ma… — La guardo. — Noi… io e te… Se rimaniamo così… Se tu rimani così non ti staccherai mai da me.
Sbuffa seccata. — Non ricominciare con i tuoi soliti discorsi snervanti. Tutto quello che c'è tra noi non cambierà mai. Siamo legati. E non m’importa se ora ti sei fissata con tua cugina. Prima o poi tornerai da me. — Si porta le mani sul cuore. — Me lo sento. E anche tu lo sai.
Non rispondo. Sposto lo sguardo ancora una volta fuori dal finestrino. Sono confuso. Troppo confuso.
Il barista è rientrato dentro. La donna con cui parlava si sta abbracciando con un’altra.
La mano di Ilaria stringe la mia. Mi volto, la guardo sorpreso. Lei sorride. — Ora ti sto solo aspettando.
Stacco la mano dalla sua. — Aspettando? Ti auguri che tra me e Sarah…
— Non mi auguro niente. Ho solo detto che ti sto aspettando.
— Però…
— Ehi… — Mi posa un dito sulla labbra, la mano sul mio pene, lo stringe. — Si sta alzando, eh.
Allontano la sua mano. — Sapevo che avresti fatto così. Ti piace perderti in parole quando il fine ultimo è sempre il medesimo.
— A te non dispiace, però.
— Che c'entra questo? Stavamo parlando di…
— Abbiamo finito di parlare.
Non rispondo subito, il pene che pulsa sotto i box. — Quindi? Ora te ne vai?
I suoi occhi si restringono. — Mi stai cacciando?
— Ti sembra che ti stia cacciando?
— Non lo so, dimmelo tu.
Distolgo lo sguardo oltre il parabrezza. — Lascia stare.
Mi stringe di nuovo l'uccello. — Ehi… sparirai per un mese, perciò il minimo che puoi fare…
Scaccio la sua mano, ma lei la rimette di nuovo. La guardo. — Piantala! Sembri una ninfomane.
— Oh, scusami tanto se ho voglia di farlo con te. E il tuo coso qui sembra gradire.
Prendo la sua mano e la allontano. — Perché finisci sempre per fare l’amore con me?
— E me lo chiedi anche?
— Sì, te lo sto chiedendo.
Mi fissa malissimo. — Sai che c'è? Vattene da lei! — urla, il viso arrossato per la rabbia. — Sparisci in Grecia e spero che il tuo aereo precipiti e che muoia solo tu!
— Ehi!
Mi molla uno schiaffo in faccia. Un colpo rapido, diretto alla guancia. Non l’ho nemmeno visto arrivare. — Vaffanculo! — urla.
Poso la mano sulla guancia arrossata. — Che cazzo ti prende!?
— Sei uno stronzo!
— Oh, ma che hai?
Apre la portiera, mette un tacco fuori. Ci ripensa, la richiude. Mi fissa torva. — Facciamo l'amore. Adesso!
Il mio inguine prende fuoco, il mio pene pulsa eccitato. — Tu sei tutta matta…
Scatta il viso verso di me, mi afferra il pene dentro i pantaloni e mi bacia.
Volto la testa, la spingo debolmente via. — Ehi!
Mi afferra i lati della bocca con le dita e mi bacia, infila la lingua.
Faccio per allontanarla, ma le braccia non collaborano. Ilaria mi tira giù la patta dei pantaloni, tira fuori il mio pene e se lo mette in bocca. Sento la sua lingua sul mio glande, lo schiocco della saliva. Sollevo leggermente i fianchi contro le sue labbra, le metto una mano sui capelli e la spingo giù. Il mio uccello affonda nella sua bocca, le sue labbra toccano il mio inguine. Poi solleva la testa, il mio pene scivola via. Mi guarda per un attimo con il fiatone e mi bacia mentre mi sega con una mano.
Colpi al finestrino.
Sbianco in viso, mi volto.
È un nostro amico, quello che si era messo con Paula. I suoi occhi cadono sul mio pene, la mano di Ilaria stretta attorno. Un sorriso divertito si allarga sul volto del mio amico. — Cazzo, sapevo che c'era qualcosa fra voi due… — dice con voce impastata.
Ilaria molla la presa dal mio pene, si asciuga le labbra con il dorso della mano, gli occhi iniettati di rabbia. Fa per dire qualcosa, ma si blocca.
Rimetto il pene duro nei box, alzo la zip dei pantaloni. Abbasso il finestrino. — Che ci fai ancora qui?
Il mio amico sorride come un idiota, ci punta il dito ancora più divertito di prima. Ride. — Continuate pure.
— Sparisci, cretino! — grida Ilaria.
Lui scoppia in una grassa risata, indietreggia per un lungo tratto come se non riuscisse a fermarsi e crolla di spalle a terra
— Ma che cazzo… — dico turbato.
— È ubriaco? — domanda Ilaria.
Usciamo dalla macchina e lo raggiungiamo. È disteso sul marciapiede con un sorriso da idiota sul volto arrossato, braccia e gambe spalancate, gli occhi fissi al cielo. Sembra del tutto assente.
— Stai bene? — chiedo.
Mi guarda come se stesse guardando qualcosa oltre di me. — Oh, non ci crederai mai… Sai cosa ho visto? Ho visto Tommaso e Ilaria insieme… — Scoppia a ridere. — Lei gli stava facendo un pompino in macchina. — Ridacchia divertito.
Ilaria gli sferra un calcio sulla gamba, impreca tra i denti.
Lui è troppo ubriaco per sentire qualcosa. Solleva un dito al cielo mentre ride. — Quella stella assomiglia a Paula… Nah, è molto più bella di quella stronza. — Ridacchia. — Sì, molto più bella.
Gli afferro la mano. — Dai, alzati in piedi.
Lui la scaccia, si gira su un fianco. — Ho sonno. ‘Notte.
Ilaria gli molla un calcio nel culo. — Alzati, idiota!
Il nostro amico grida per il dolore, scatta in piedi, barcolla e si cappotta in un cespuglio con un sorriso. Scoppia a ridere.
Guardo Ilaria. — Lo accompagno a casa.
— Vengo anch’io.
— Non serve.
I suoi occhi sono come le porte dell’inferno. — Insisto!
— Non hai la macchina qui?
— No.
Mi acciglio perplesso. — Sei venuta a piedi?
— Con amici.
— Quei due con cui ti ho vista?
Annuisce.
Il mio amico, ancora sottosopra nel cespuglio, inizia a canticchiare un motivetto dance di successo, le braccia che vagano nell’aria a seguire il ritmo.
Scuoto la testa, lo afferro per un braccio e lo rimetto in piedi. — Aggrappati a me.
Lui mi guarda con un sorriso. Poi guardo Ilaria. — Ehi, ti ho visto fare un pompino a Tommaso. Eri tu?
Ilaria sbuffa irritata, gli occhi al cielo. — Tommaso è accanto a te, idiota!
Il nostro amico scatta gli occhi verso di me come colpito da una folgorazione. — Ah, Tommy. Amico mio. — La voce impastata. — Perché non sei venuto stasera? Sai cosa ho visto? Ho visto Tommaso che si faceva fare un…
Ilaria gli tira un pugno sul braccio. — Se non la pianti ti ammazzo!
Lui la guarda assente, un sorriso sulle labbra. Non ha sentito minimamente il colpo. Ma domani lo sentirà e come. — Ehi, c'è anche Ilaria. Sai prima…
Lei fa per tirargli un pugno in faccia, ma lo allontano in tempo. Lo porta alla mia macchina e lo faccio stendere sui sedili posteriori. Poi salgo al posto di guida. Ilaria accanto.
— Sento puzza di sperma — dice il nostro amico con un ghigno, un dito alzato a sfiorare il tettuccio.
Ilaria si volta di scatto verso di lui. — Se non la pianti, giuro che stanotte ti ammazzo davvero.
Lui la ignora mentre canticchia il motivetto di prima.
Accendo il motore. Parto.
Lei mi guarda. — Sai dove abita?
— Sì.
— Non ha cambiato casa?
— Sì, ma è sempre in quella zona.
Il braccio del nostro amico cade a peso morto su di lui. Comincia a russare. Guido per un pezzo fino al semaforo rosso.
— Non abbiamo ancora finito — dice Ilaria quasi in un sussurro.
Le lancio uno sguardo. Non rispondo.
— Hai capito? — domanda, gli occhi torvi.
Mi gratto dietro la testa. — Non è che… Voglio dire, mi hai fatto solo…
Alza una mano per colpirmi il mezzo alle gambe. Lo copro con una mano a una velocità supersonica. Lei l’abbassa, un sorriso dipinto sul viso. — Non abbiamo finito. Tu non hai finito.
— Lo sai che mi stai ricattando, vero?
— Non è un ricatto.
Scatta il verde.
Parto. — Mi stai obbligando. Anzi, minacciando.
— Non ho…
Il nostro amico borbotta qualcosa nel sonno, si gira un po' dall’altra parte, ci dà le spalle.
— Ne parliamo dopo — dice lei, la voce piatta e minacciosa.
Apro la porta dell’appartamento del mio amico e lo trascino sul divano. Vive in un piccolo condominio alla periferia della città. Al terzo piano. L’intera casa è sottosopra. Piatti sporchi in cucina. Vestiti sul divano e sul pavimento. Un PC portatile lasciato acceso vicino alla finestra aperta. Sullo schermo, l’immagine di una ragazza in intimo su Instagram.
Il mio amico mi sorride, gli occhi socchiusi, la voce impastata. — Ehi, dov’è la mia dolce Paula?
— Scordati di quella là.
La sua espressione si indurisce. — Mi vendicherò. La farò soffrire…
— Volta pagina. Anzi, mettiti a dormire.
— Sto già dormendo.
— Stai parlando con me.
Si acciglia turbato e perplesso. — Ah…
— Hai bevuto parecchio.
— Non sto sognando?
— No. Adesso dormi.
Sbarra gli occhi. Cerca di rimettersi in piedi, ma non ce la fa. Resta sospeso con il busto tra il cuscino del divano e me. Crolla di spalle. — Tu e Ilaria…
— Cosa?
— Ti ha fatto un pompino.
Ancora con ‘sta storia. — Che pompino? Di che parli?
— Vi ho visto in macchina. Tu e lei…
— Te lo sei sognato.
— No, lo ricordo bene — biascica forte. — Vi ho visto litigare. Poi lei… ha abbassato la testa e… — Sorride divertito. — Così mi sono avvicinato e ho visto che ti stava succhiando il…
— Ehi! — dico in tono grave. — Non è successo proprio niente tra me e lei. È vero che stavamo litigando, ma non mi ha fatto nessun pompino. Te lo sei sognato.
Mi guarda dubbioso, gli occhi proiettati altrove. Forse a quel momento. — Eppure…
— Non è che ti sei fissato con Ilaria?
Spalanca gli occhi inorridito, la voce ancora più impastata. — Ma che disci? Ilaria non mi piasce propriho. Ma per niente.
— Ora mettiti a dormire. Sei così ubriaco da confondere i sogni con la realtà.
Si gira sul fianco, lo sguardo perplesso. — È strano, però…
— Ora vado. ‘Notte.
Non risponde.
Salgo in macchina.
Ilaria mi guarda, le braccia consorte. — Andiamo da me.
Metto in moto. — Neanche in tempo di salire che già mi stai addosso.
— Guida.
— Cos’è?! Ora mi dai pure gli ordini?
— Ma piantala.
Ingrano la prima, parto. — Ti accompagno e me ne vado.
Mi fulmina con lo sguardo. — Provaci e ti ammazzo.
— Quindi mi stai minacciando? Avevo ragione.
Sbuffa seccata. — È il minimo che tu possa fare.
Rallento dietro un furgone. — Per cosa?
— Per ciò che ti ho fatto prima e per tutto quanto.
Le lancio un'occhiata. — Ok, va bene. Ricambio il… favore. Ma solo quello. E lo farò anche a metà come tu…
Alza una mano a pugno nella mia direzione, il viso stravolto dalla rabbia. — Giuro… Quando fai così, ti vorrei ammazzare veramente. E non sto scherzando, Tommà. Mi fai salire il sangue al cervello.
No, non sta scherzando. Per niente. Riconosco quello sguardo assassino. Vuole farmi a pezzi sul serio. E poi mi ha chiamato per nome.
Ilaria abbassa il pugno, intreccia le mani sul grembo.
Restiamo in silenzio per un po '.
— Non è tradimento — dice, la voce fredda.
Svolto a destra. — Cosa?
— Sarah. Non la stai tradendo. Non state insieme, no?
Questa sua calma improvvisa mi fa rabbrividire. — No, ma… Diciamo che… c'è qualcosa.
Mi incenerisce con lo sguardo. — Non state insieme. Punto e basta!
Mi limito a lanciarle un’occhiata. Se rispondessi, mi salterebbe alla gola come una iena famelica.
Altro silenzio. Meno breve.
— Il tuo ex — dico.
Lei si volta guardinga. — Il mio ex? Cosa?
— Ti vedi ancora con lui.
— Non lo sai? Si è sposato con una del Liechtenstein. Una tipa piena di soldi come lui.
— Ah, non lo sapevo.
— Mi pare si chiami Ivanova qualcosa. È russa. Suo padre è un oligarca russo, mi pare.
— Matrimonio di convenienza?
— Non lo so. Non m’importa.
Mi fermo a un incrocio a T. Una volante dei carabinieri è ferma accanto al marciapiede. Un carabiniere alza la paletta, fa segno al furgone davanti a noi di accostare. Questo si ferma poco più avanti.
Svolto a sinistra. — Comunque non ti ha dato fastidio? Il fatto che si sia sposato.
Mi guarda apatica. — Perché dovrebbe?
— Beh, sei stato con lui. Non ricordo per quanto, ma… Voglio dire, dopo che vi siete lasciati… Tu e lui… Sai…
— Gesù… — dice in una smorfia divertita. — Che sei un bambino? Non sai dire che abbiamo continuato a scopare?
Non rispondo. Rallento per far attraversare un uomo e una donna con un cane al guinzaglio. Dietro di loro, un ragazzo e una ragazza sfrecciano sul monopattino elettrico. Lei si tiene stretta a lui da dietro.
Ilaria incrocia le braccia sui seni. — Come ti ho già spiegato, era solo sesso.
— Lo so.
— Tu e tua cugina, invece? — dice, la voce un po' acida. — Immagino che ci date dentro alla grande.
— Non proprio.
Mi molla uno schiaffetto sul braccio. — Non scordiamoci Paula.
— Oh, che cazzo fai!? Sto guidando!
— Tu e quella stronza…
— Sei sua amica e la chiami stronza?
— Perché è una stronza. Non sei d’accordo con me?
Beh, ha ragione. Paula sa essere molto stronza, ma mi sono un po' ricreduto ultimamente. — A volte.
— Come a volte? È sempre stronza. Ventiquattrore su ventiquattro. Sette giorni su sette. Persino al liceo era una stronza.
Imbocco la strada che porta alla villa di Ilaria. Auto di lusso lungo i marciapiedi. Vialetti alberati. Palazzi dall’architettura sofisticata e moderna. L’aria stessa odora di soldi. — Senti, perché…
— Anche per lei io sono una stronza.
— Se non la sopporti, perché lavora nella tua compagnia?
— Perché è brava.
Mi gratto il mento. — Comunque non vedo tutto questo odio tra di voi.
— Tu non vedi parecchie cose.
— Ti sbagli.
— Sai perfettamente che ho ragione. Ci odiamo. Punto.
— Se lo dici tu.
— Sì, lo dico io.
Guido per tre minuti. Poi mi fermo davanti al cancello della villa di Ilaria. La guardo. — Ci vediamo domani.
Il suo sguardo è una pallottola firmata col mio nome. — Perché continui a fare così?!
— Fare così come?
— A fingere di non voler fare l’amore con me. È evidente che lo vuoi. E sinceramente è snervante.
Distolgo lo sguardo. Non rispondo.
— Lasciala pure qui e vieni dentro — dice mentre apre la portiera.
Spengo il motore, esco, la seguo oltre il cancello e poi lungo il vialetto costeggiato di alberi e cespugli. Lei lancia un’occhiata alle sue spalle verso di me, mi sorride.
Entriamo nella sua casa dalle pareti di vetro, il profumo di pulito che aleggia nell'aria.
Ilaria mi indica il divano con la mano mentre si dirige in bagno. Mi siedo sul divano del soggiorno. Poi sento il rumore dell'acqua della doccia. Dovrei essere inamovibile riguardo al fare sesso con Ilaria, ma non ci riesco. Non riesco a mettere dei limiti. Lo stesso accade con Paula. Ma lì la cosa sembra essersi sistemata. Ora ha in testa Ettore, il suo ex. E credo che sia anche la ragione per cui stava di merda stasera.
Osservo un quadro macchiato di colori. È strano, non saprei come descriverlo. C'era quando sono venuto qui l’altra volta? Non mi ricordo. Faccio vagare lo sguardo intorno. Chissà com'è vivere qui? Il mio appartamento in confronto è un buco con gli angoli del soffitto sporchi di umidità. E poi è grande quanto questo soggiorno. Anzi, credo sia anche un po' più piccolo.
Ilaria mi raggiunge con una vestaglia da notte, la voce fredda. — Ti aspetto in camera.
Faccio per rispondere, ma va via. Mi alzo e vado in bagno. È immacolato. Tutto pulito. Tutto al suo posto. L'ambiente profuma di limone. Cerco con lo sguardo i vestiti e l’intimo di Ilaria, ma non lo trovo. Penso abbia messo tutto in lavatrice. Mi svesto, mi faccio una doccia, mi asciugo con l'asciugamano ed esco dal bagno. Quando entro nella camera da letto, Ilaria è stesa sul fianco. Nuda. Il mio occhio cade sulle sue tette, sulle sue aureole rosate. Poi in mezzo alla cosce chiuse, alla sua forma a V.
Lei mi fissa con uno sguardo apatico. Non sembra che voglia fare l’amore con me. Per niente. Non è che vuole uccidermi? Magari ha un coltello sotto il cuscino. — Vieni qui.
La raggiungo e mi stendo accanto a lei, il mio pene durissimo. Ilaria mi spinge sul materasso, prende in mano il mio uccello e comincia a segarmi mentre mi fissa negli occhi col suo sguardo glaciale. Continua così per un po. Forse minuti.
Le vengo in mano. Due schizzi arrivano sul suo seno sinistro. La guardo. Non dico nulla. Non so che dire. Più la guardo, più mi aspetto che mi accoltelli da un momento all’altro.
Toglie la mano dal mio pene, prende un fazzoletto da sopra il comodino, si pulisce la mano e sale con i piedi sul letto. Osservo la sua vagina umida, le sue grandi labbra larghe. Si siede sul mio petto, mi sbatte la vagina davanti al naso, mi prende per i capelli e mi spiaccica la faccia sulla sua passera.
Comincio a leccarla. Un po' le grandi labbra, un po' il clitoride. Ogni tanto ficco la lingua dentro, la muovo in senso orario e antiorario. Ilaria ansima, affonda le dita ancora di più nei miei capelli, muove il bacino verso il mio viso. Poi inizio anche a baciarla, a succhiarla. Lei si contorce su di me, mi si siede proprio in faccia. Fatico a respirare, ma non mi fermo.
I liquidi di Ilaria mi inondano il viso, la bocca. Volto il viso bagnato dall'altra parte. Lei si piega in avanti, appoggia la mani sul cuscino mentre i suoi fianchi fremono. Si alza, si gira dall'altra parte e prende il bocca il mio pene mentre mi sbatte la sua vagina davanti agli occhi. Non ho mai fatto una 69.
Comincio a leccare, a baciare, a succhiare di nuovo mentre lei mi succhia l’uccello. Non so per quanto tempo facciamo così, ma sembra infinito. Poi il suo bacino inizia a fremere, si irrigidisce, tira fuori il pene dalla bocca. Altri rivoli d’acqua mi bagnano il viso. Giro il viso dell'altra parte. Lei si accascia sul letto, mi dà le spalle.
Restiamo così per un po'.
Ho ancora l’uccello duro. Osservo il suo sedere, le sue spalle, i suoi capelli. Allungo una mano verso il suo fianco, ma la ritraggo. Fisso il soffitto, l’ombra dei rami di un albero che si muovono per il vento.
Ilaria si volta, mi guarda inespressiva per un attimo. Poi si mette a cavalcioni su di me, guida il mio pene nella sua vagina senza le mani e comincia a muovere i fianchi. La sua vagina è più bollente del solito. Non come quella di Paula. Ma quasi. Sento i suoi liquidi appiccicarsi al mio inguine, un rumore vischioso, acquoso. China il busto su di me e mi bacia con la lingua. Un bacio passionale, amorevole, ma anche sessuale. Mi stringe i lati della bocca con le dita e mi bacia la lingua. Mi acciglio un po' perplesso. Non l’ha mai fatto prima.
Continua così finché mi bacia il mento, il collo e poi di nuovo sulle labbra. Questa volta è un bacio di puro affetto. I suoi fianchi iniziano a muoversi più velocemente. Il rumore vischioso dei suoi liquidi risuona tutt'attorno. È eccitante. La ingabbio a me con le braccia e comincio a tartassare la sua vagina di colpi secchi, veloci. Lei si stringe a me, mi abbraccia la testa mentre ansima.
Le vengo dentro. Poca cosa. Mollo la presa dalle sue spalle e lascio cadere le braccia ai lati. Lei si blocca per un attimo, riprende fiato. Poi ricomincia a muoversi su di me mentre mi bacia la fronte e il viso. Il suo bacino aumenta di intensità, i suoi liquidi diventano più appiccicosi. Si blocca, freme per un momento e si abbandona su di me a peso morto, i fianchi che si contraggono per l'orgasmo.
Un lungo silenzio fatto di respiri, i rami che grattano sul vetro dell’ampia finestra.
Mi accarezza il viso con una mano, il viso sepolto sul cuscino girato dalla parte opposta. — Volevo che tu mi prendessi con la forza, ma…
Non rispondo, gli occhi fissi sull’ombra dei rami sul soffitto che sembrano dita scheletriche. La fuori, il vento ulula.
— Tu entravi in camera come un ladro o come uno stalker ossessionato da me e mi prendevi da dietro con la forza.
Mi acciglio turbato. Non fiato. Sono fantasie sessuali. Tutti ne hanno una o più di una. E poi io non dovrei nemmeno permettermi di giudicare. Ho fatto l’amore con mia cugina. Vale più di ogni fantasia sessuale. Più di ogni deviazione.
Si volta verso di me e mi bacia il collo, le dita che continuano a sfiorare il mio viso. — Questa fantasia… Mi eccito solo a pensarci. — Prende la mia mano, la porta sulla sua vagina e si sfrega il clitoride. Ansima. — Non ti eccita prendermi con la forza? Non ti eccita obbligarmi a fare l’amore con te? A dominarmi?
Il mio pene pulsa, la guardo negli occhi eccitato da morire. Ci fissiamo per un momento, il suono vischioso della sua vagina risuona nella camera.
Sorride maliziosa. Ha capito.
Mi alzo e la metto a pancia in giù sul materasso in malo modo, una mano schiacciata sulla sua testa. Il suo viso affondato quasi del tutto nel cuscino. Afferro il mio pene e lo metto per un momento nella sua vagina bagnata per lubrificarlo, lo tiro fuori e lo guido piano nel suo sedere. Ilaria si lascia scappare un gemito, le sue dita che stringono il copriletto. Cerca di alzare il sedere, ma non ci riesce. La mia mano sulla sua spalla la tiene piantata sul materasso mentre comincio a muovere i fianchi. I suoi gemiti si perdono soffocati nel cuscino. Cerca di muoversi, di liberarsi, di gridare, ma è tutta scena.
Mi avvicino al suo orecchio, la voce minacciosa. — Dove pensi di andare?
Si lascia scappare un gemito eccitato. Tenta di incurvare di nuovo il sedere, ma non ci riesce. Cerca di voltarsi, ma la mia mano sulla sua testa la tiene ferma. — Lasciami andare! Mi stai facendo male! Basta, ti prego…
Si è messa persino a recitare. La tiro debolmente per i capelli, il suo viso arrossato emerge dal cuscino. Le bacio la guancia mentre aumento di intensità i colpi sul suo sedere. — Stai zitta, o ti ammazzo, troia!
Il suo corpo sussulta da un piacere improvviso, animalesco. Non so come fa, ma mi afferra per la nuca e riesce a girare la testa un tanto per infilarmi la lingua in bocca. È puro sesso. Mette l’altra mano sul mio fondoschiena per spingerlo a sé.
Continuiamo a baciarci per un po’. Poi pianto la sua testa nel cuscino con una mano, glielo affondo dentro. Lei si dimena brutalmente, cerca di alzarsi come se non riuscissi a respirare. La tengo ferma per un momento. Poi le tiro su la testa per i capelli in modo brusco. Ilaria tira un grosso respiro, il viso rossissimo, gli occhi gonfi, scioccati. Prende fiato.
Avvicino le labbra al suo orecchio. — Fai la brava o ti ammazzo, puttana!
Continua a recuperare fiato, gli occhi fissi sul cuscino. Non risponde. Anzi, mi accorgo solo adesso che il suo corpo sta tremando. E che attorno ai suoi fianchi si è formata una larga chiazza di acqua. È pipì.
Se l’è fatta sotto.
Mollo di colpo la presa dai suoi capelli e tiro fuori il mio pene dal suo sedere. Sono spaventata, scioccato. Tutto insieme. Ho esagerato. Non riesco a spiccicare una parola. Pensavo le piacesse.
Ilaria si mette seduta sul materasso, gli occhi bassi, sbarrati, vacui, le spalle che fanno su e giù per il fiatone. Resta così per un momento. Poi sposta lo sguardo sulla chiazza di pipì, li chiude come se si stesse vergognando. Li riapre un momento dopo e li pianta su di me.
Distolgo lo sguardo per la vergogna. — Io…
Ilaria si sdraia sul materasso e allarga le gambe. La sua vagina è così bagnata che sembra grondare acqua. Mi fissa come a voler continuare. Non mi muovo. La sua doppia reazione mi ha destabilizzato, ma al mio pene non importa. È duro come acciaio. Le sue mani mi afferrano per le braccia e mi tirano a sé, i suoi occhi ancora rossi e gonfi mi guardano. Mi sorride. Prende le mani e se le mette al collo. Stringe. Poi avvicina l’ano al mio uccello e cerca di metterselo dentro. Non ci riesce. Ci riprova, spinge. Niente. Alza gli occhi eccitati su di me.
Non so bene cosa fare. Sono ancora turbato. Ma al mio corpo non importa. Agisce da solo. Fa tutto lui. Le mie mani si staccano dal collo, le afferrano i fianchi e la spingono verso il mio inguine. Il mio pene scivola un po' a fatica nel suo sedere. Lei si lascia scappare un gridolino. Dolore, eccitamento. Non so più la differenza.
Si avvinghia a me, le braccia attorno al collo, le gambe incrociate intorno al mio bacino. Il mio uccello si infila dentro il suo sedere fino alla radice. Facciamo sesso da seduti per un po'. Poi Ilaria mi tira su di sé, si porta le mie mani sul collo e stringe. Forte. Fortissimo. Il suo viso si gonfia, diventa rossissimo, gli occhi due palle da golf.
Mi acciglio confuso, preoccupato. Faccio per ritirarle, ma lei rinvigorisce la presa. Le tiro indietro, la fisso, smetto di muovermi. — Ma che cazzo stai facendo…?
Il suo viso si tramuta in un demone, lo sguardo come l’abisso. — Soffocami, stronzo!
Resto interdetto. Non rispondo.
Mi prende le mani e se le porta alla gola. — Stringi! Soffocami! Fallo!
Le mie dita eseguono a posto mio. Si serrano attorno al suo piccolo collo, affondano nella sua pelle. Mi sorride mentre muove i fianchi contro il mio pene. Il viso le diventa violaceo, una vene emerge in mezzo alla fronte, gli occhi lucidi, iniettati di sangue. Poi comincia a contorcersi, a dimenarsi come una forsennata. La bocca si spalanca, cerca l’aria. Boccheggia mentre le sue unghie affondano nella pelle delle mie mani fino a ferirmi. Non sento nessun dolore. Non sento niente. Fisso il mio sangue attorno alle sue unghie. Poi la fisso negli occhi.
Paura. Terrore.
Non c'è altro.
La sto ammazzando.
Voglio fermarmi. Ma il mio corpo non reagisce. Ha una sua volontà. Le dita non mollano, non le sento nemmeno. Non sento nemmeno il mio pene che penetra con forza nel suo sedere. Sono prigioniero del mio corpo.
Le mani di Ilaria si afflosciano sulle mie, i suoi occhi si fanno vacui. Smette di dimenarsi, resta immobile.
Stacco le mani stravolto in viso, cado giù dal letto, mi rialzo, la fisso per un attimo con il corpo in fiamme. Comincio a tremare, a sentire freddo, la pelle come il ghiaccio. — Ilaria…
Silenzio.
La camera è un anfratto dell’inferno. Buia, gelida, inquietante. Persino il vento ha smesso di ululare, i rami di grattare il vetro della finestra. E lei se ne sta immobile sul materasso come uno spettro.
Mi avvicino, allungo una mano tremante verso il suo viso. Noto il dorso della mano sanguinante, la ritraggo. Cosa ho fatto? Perché? Fottuto coglione, che cazzo hai fatto!?
Il panico si insinua nella mente, i sensi di colpa cercano di affossarmi. Mi chino su Ilaria, le prendo il viso, la scuoto. Niente. La scuoto più volte. Ci insisto. Nessuna reazione. I suoi occhi rimangono aperti, vacui.
È morta? L’ho uccisa? Che cazzo ho fatto!?
Metto le labbra sulle sue, le tappo il naso e ci soffio dentro. Una, due, quattro, otto, dieci volte. Niente.
L'ho uccisa. L’ho ammazzata.
Incrocio le mani sul suo petto, spingo più volte mentre comincio a piangere a dirotto come un bambino. Un pianto isterico, disperato. Continuo per un minuto, poi mi accascio accanto a lei.
L’ho uccisa. Ho ucciso Ilaria.
L'abbraccio, le bacio la testa, il viso, le labbra. E mentre la bacio, ho l’impressione di sentire un flebile respiro uscire dal suo naso. Mi metto seduto sul letto, la testa tra le mani.
L’ho ammazzata. Non volevo, ma l’ho fatto. Perché? Perché non mi sono fermato!? Che cazzo ho che non va!?
Un sibilo. Un gemito.
Mi volto di scatto. — Ilaria! Ilaria!
Lei tossisce, si porta una mano sul collo arrossato mentre i suoi occhi ruotano verso di me.
Poggio una mano sulla sua, l’altra sul suo braccio. Il mio viso riprende colore, speranza. Tutto quanto. — Stai… stai bene?
Tossisce, i suoi occhi nei miei. Intreccia debolmente le dita con le mie e mi accenna un lieve sorriso. — Sì… — dice con un filo di voce.
— Pensavo… — balbetto — pensavo di averti uccisa. Io… — Bacio la sua mano con foga. — Scusa, non volevo. Io…
Lei mi abbraccia mentre tossisce un po'. Mi accarezza la testa. — Va tutto bene…
— Ti ho quasi uccisa… Non me lo perdonerò mai.
— L’ho voluto io… E anche se suonerà strano, mi sono eccitata da morire.
Mi stacco un po' dal suo abbraccio, la guardo negli occhi ancora gonfi e iniettati di sangue. — Cosa?
Ilaria sorride. — Ho avuto paura, alla fine. Non riuscivo più a respirare e tu avevi quell'espressione…
— Quale espressione?
— Vuoto... I tuoi occhi erano vuoti.
Abbasso lo sguardo. Non rispondo. La scena delle mie mani attorno al suo collo mi si palesa davanti come un quadro dell'orrore.
— È colpa mia… — dice lei. — Ho esagerato.
— No, è colpa mia, invece. Sono io ad aver esagerato, eppure… — Sollevo lo sguardo su di lei. — Non riuscivo a fermarmi. Non avevo il controllo del corpo… Non…
Mi abbraccia di nuovo. — Ehi, ci siamo spinti un po' oltre, ma… — Mi dà un bacio sul collo — mi è piaciuto. Non quando sono svenuta, ma mi è piaciuto…
Non rispondo. Come fa a parlare così? L’ho quasi ammazzata.
Mi tira debolmente sul letto e si mette a cavalcioni su di me, le gambe lungo i miei fianchi. Tossisce un po' per lo sforzo, si massaggia la gola arrossata e mi mette le mani attorno al collo. — Vuoi provare?
— Vuoi soffocarmi? — chiedo turbato e sorpreso.
— Sì, ma non lo trovo eccitante.
— Allora perché…
— Voglio che tu provi cosa ho provato io…
Non rispondo. Mi sembra giusto. Sta ricambiando il favore.
Le sue dita si stringono attorno al mio collo. Una presa debole. Troppo debole. E lei lo sa. Tossisce con violenza, molla la presa.
— Ehi… — dico preoccupato — non sforzarti…
Il suo sguardo si ferma sulla chiazza di pipì sul copriletto, smette di tossire. — È normale che voglio che tu mi soffochi di nuovo?
No, non penso sia normale. Non dopo essere quasi morta. — Non lo so.
Mi guarda. — Me la sono fatta addosso…
Non rispondo.
Sfiora il copriletto bagnato con una mano. Con l'altra, il suo collo. — Sento ancora le tue mani… e il tuo… — adocchia il mio pene. — Sono eccitata…
Ma che l’è prende? La sua reazione è surreale, anormale. — Ti fa male il collo?
— Un po'... Anche il sedere…
— Non è meglio se andiamo al pronto soccorso?
— No — risponde secca. Tossisce un po'. — Se ci andiamo, come minimo tu passerai dei guai.
— Possiamo spiegare tutto. È stato solo un incidente.
— Mi hai quasi uccisa.
Già, ti ho quasi uccisa. Non rispondo.
— Starò bene — dice, la voce graffiata. — Domani andrò dal mio medico per un controllo. Non farà domande.
Sospiro un po' sollevato. — Che ne dici se resto qui per stanotte? Voglio dire, per…
— Credi che morirò nel sonno?
Può morire nel sonno? Nuova paura sbloccata. — Beh, io…
— Sto bene. Mi fa male solo la gola e mi gira un po' la testa.
Sollevo il busto, le nostre gambe si incrociano. Siamo seduti sul letto, ci guardiamo. — Resto qui.
Mi bacia, tossisce un po' nella mia bocca.
Mi stacco dalle sue labbra. — Non ti sforzare.
Corruga la fronte irritata. — Piantala. Sto bene.
— Non…
Mi ribacia, si stringe a me per un paio di minuti mentre ogni tanto tossisce. Poi prende le mie mani e se le porta al collo arrossato con un gemito di dolore. Poi mette le sue sulla mia gola.
La guardo stranito. — Che stai cercando di fare?
— Soffochiamoci a vicenda mentre facciamo l'amore come prima.
Non sono eccitato per niente. E il mio pene è in letargo per la vergogna. Ritraggo le mani. — Sei impazzita?! Sei quasi morta!
— Allora lo faccio io a te — dice. Stringe il mio collo. La stretta è di nuovo debole. Molla la presa, tossisce in modo violento.
— Ehi, basta! Smettila, ok?!
— Voglio farlo? Voglio soffocarti!
— Ma che cazzo ti prende?
Mi stringe di nuovo il collo. Altra tosse. Violenta.
Alzo il busto e prendo il suo viso tra le mani. — Ehi, che ti prende?
Mi guarda, gli occhi arrossati. Scoppia a piangere. — Non lo so… Non lo so…
L’abbraccio, appoggio la sua testa sul mio petto. — Ehi, va tutto bene…
— Non so cosa mi stia prendendo… Sono così… eccitata… Sto prendendo fuoco… — Mi guarda, gli occhi spiritati, supplichevoli. — Voglio che tu mi soffochi e mi prenda come prima… Ti prego, fallo! Fammi sentire… Fammi sentire il terrore… Ti prego!
La guardo sconvolto.
Lei mi bacia il viso, le labbra, il collo quasi disperata. Sembra una tossica in preda all’astinenza. — Ti prego… fallo. Voglio che tu abbia la mia vita tra le tue mani…
— Ehi… Basta! Smettila!
Continua a baciarmi in modo ossessivo. — Non ci riesco. Sono troppo eccitata… — Prende la mia mano e se la porta sulla sua vagina. È fradicia. La muove sul clitoride. — Ti prego, fallo per me…
Allontano la mano e mi alzo dal letto. — Basta così! Sei ancora sotto shock. Non sei tu a parlare, ma…
Scatta in piedi, gli occhi accesi, gonfi, rossi. — Sono io! Sempre io a… — Barcolla, lo sguardo socchiuso. Cade in avanti.
La prendo prima che crolli di faccia sul pavimento. — Ehi! Ilaria! Ehi!
È svenuta? O è morta?
Mi si gela il sangue nelle vene. Metto un dito sotto il naso. Respira. Tiro un sospiro di sollievo, l’adagio sul letto e la guardo in viso. Poi il mio occhio cade sul suo collo rosso, distolgo lo sguardo con un vuoto allo stomaco. Non mi perdonerò mai.
Vado in bagno, mi lavo la faccia e mi guardo allo specchio. Ho il viso stravolto, lo sguardo stanco, esaurito. Abbasso gli occhi sul lavabo, le gocce di acqua che scivolano sulla ceramica. Tiro un lungo sospiro, mi passo una mano sul viso e ritorno in camera. Ilaria è ancora nella posizione in cui l'ho messa. Non si è mossa di un millimetro. Mi avvicino un po' e metto un dito sotto il suo naso. Respira. Rilasso le spalle e mi siedo accanto, gli occhi sul suo viso.
L'ho quasi uccisa.
È da parecchio che non prendevo il bus. Avevo dimenticato la sensazione di stare seduto a fissare il mondo che scorre fuori dal finestrino. È qualcosa di introspettivo, di catartico. Senti il silenzio, lo assapori, lo gusti. Ma senti anche la disperazione. Tutto ciò che si annida dentro. Qualsiasi cosa. Sgorga mentre osservi il tuo riflesso nel vetro. E ti ritrovi a pensare, a riflettere su ogni cosa che reputi importante. La tua mente vaga senza controllo, senza destinazione. E il più delle volte sei fottuto.
Il bus si ferma.
Scendo e mi incammino verso la mia auto. È l'unica parcheggiata nel piazzale davanti il grattacielo della compagnia di Ilaria. Se ne sta sola e triste nel buio della notte, il riflesso della mezzaluna fra le nuvole sul parabrezza. Apro la portiera e salgo a bordo. Non metto in moto. Fisso un uomo e una donna mano nella mano dall’altra parte della strada. I loro sguardi si cercano, i sorrisi parlano. Evitano una pozzanghera e girano l'angolo.
Metto in moto, accendo la radio e parto. Ho voglia di ascoltare un po' di musica o qualcuno che parli. Lascio il piazzale e mi immetto sulla strada. Lo speaker parla di una nuova canzone, ma non lo ascolto. Ho solo bisogno di un disturbo di fondo. Qualcosa per non sentire il silenzio, il vuoto che mi ghermisce.
Mi fermo al semaforo rosso.
Sposto lo sguardo sulle vetrine di un negozio di abbigliamento. Manichini vestiti con abiti femminili autunnali, le pose innaturali. Due ragazze si fermano a guardare. Una indica un lungo vestito a fiori. L'altra quello nero.
Scatta il verde.
Parto.
Ho la sensazione che il mondo mi stia letteralmente divorando. Pezzo dopo pezzo. E non posso fare altro che guardare. Sono io a desiderare tutto questo? Oppure è la vita che ci prova gusto a schiacciarmi? Quanto di tutto ciò è reale?
Dopo un po' arrivo davanti al mio condominio. Parcheggio e salgo al mio appartamento. Mi butto sul divano e contemplo il soffitto, un braccio sulla fronte. Ore fa l’aria profumava di Sarah. I suoi passi calpestavano questo pavimento. Le sue labbra erano sulle mie. Tutto era meraviglioso, colorato. Ora c'è solo la penombra e la luce del lampione che entra dalla finestra.
Il vuoto. Assoluto.
La bambina che abita accanto si mette a strillare, a correre. Sorrido e mi stendo sul fianco quasi in posizione fetale. I suoi passi, le sue risate danno colore all’oscurità. Non mi fanno sentire solo.
Il cellulare squilla.
Sobbalzo. Lo prendo dalla tasca, guardo lo schermo. È Ilaria. — Sì?
— Ho parlato con mio nonno.
— E?
Sbuffa seccata. — Ti ha dato un mese.
Sbarro gli occhi sorpreso, mi metto a sedere sul divano. — Un mese? Davvero?
— Già, un mese.
— Ma… Voglio dire, non hai detto che…
— Caterina Savona si è tirata fuori.
Il mio volto si incupisce un po'. — Cosa?! Perché?
— Non era tenuta a darci delle spiegazioni, ma immagino sia per sua figlia. Non ha più motivo di starti addosso.
Abbasso gli occhi sul basso tavolino. — Tuo nonno…
— Ti ha dato un mese. Prendilo come un regalo per aver curato gli interessi di Caterina Savona e aver portato grossi profitti alla compagnia.
Mi passo una mano sul viso un po’ ansioso. — Tu… ne hai parlato tu? Voglio dire, del mese di…
— Certo che ne ho parlato io. Gli ho suggerito di darti un mese. E l’ha fatto, senza battere ciglio.
— Ah…
Un breve silenzio, la bambina che strilla e corre oltre la parete del soggiorno.
— Non ringraziarmi — dice. — Non serve. Ora chiudo. — Riaggancia.
Fisso lo schermo nero del cellulare del tutto interdetto. Perché Ilaria mi ha fatto un regalo simile? Non è da lei. E poi un mese? Davvero? Ha detto davvero un mese? Passerò 31 giorni con Sarah?
Scatto in piedi con un sorriso da ebete, il viso arrossato. Tutta la depressione e il vuoto di prima si sono volatilizzati. Ho il petto in fiamme, lo stomaco sottosopra. Faccio avanti e indietro per il soggiorno tra le grida infantili della bambina dell'appartamento accanto. Non riesco a stare fermo. Sono troppo felice. Mi sento come un ragazzino con la sua prima cotta.
Mi fermo, scrollo la rubrica del cellulare e pigio il nome Sarah cugina. Il mio pollice esita, il mio sorriso svanisce appena. Che sto facendo? Devo calmarmi. Sono troppo eccitato. E ho la brutta sensazione che andrò a schiantarmi dritto contro un muro con un atteggiamento simile.
Faccio dei respiri profondi, mi siedo sul divano e guardo il mio riflesso distante sullo schermo spento della TV. Sembro proprio un coglione. La mia sagoma sogghigna, mi sta giudicando. Distolgo lo sguardo verso la finestra per un momento. Mi alzo e mi affaccio. L’aria odora di benzina, di catrame appena spalmato sulla strada. Osservo proprio quella lunga scia nera che si allunga su un asfalto più chiaro.
La bambina smette di gridare.
Sollevo lo sguardo verso il cielo tempestato di stelle. Resto così per un po'. Una macchina sfreccia lungo la strada, seguita da una moto. Poi la neo coppia di sposini al piano di sotto comincia a litigare. Urla flebili, accuse dirette. Lei lo accusa di aver un amante. Lui pure. Le urla salgono di intensità. Lei sbraita come una forsennata. Lui si ammutolisce. Poi il silenzio. E dopo un po, dei gemiti. Stanno facendo l’amore. Un classico. Il sesso post-litigata ha sempre qualcosa di indefinito, di violento. Ogni briciola di rabbia viene riversata sessualmente sul compagno. Tutto si appiana tramite orgasmi, ma è solo un cessate il fuoco. Un inganno di madre natura. La guerra ricomincerà a breve e il sesso sarà la tavola dei negoziati.
Il vissero tutti felici e contenti non esiste. E se esiste, è fatto a su misura. Per pochi. Per l'èlite.
Un’ora dopo sono al bar, seduto al mio solito posto. Mi sono già scolato due birre e vado per la terza. Tutto intorno, la gente ride, scherza, parla. Anche i miei amici. La musica house è assordante. Un ritmo ipnotico, infinito, fastidioso.
Mi alzo, mi faccio largo tra la folla e vado in bagno. Appena faccio per lavarmi la faccia sudata, un uomo e una donna escono ridendo da uno dei tre box. Non mi guardano. Tirano dritto e vanno via.
Mi asciugo il viso con la carta mani, esco dal bagno e torno al mio posto. Paula è lì. La guardo un po' confuso. Aveva detto che non sarebbe venuta.
Mi siedo. — Ehi… — Non mi sente. La musica è troppo alta. Le tocco il braccio. — Ehi.
Mi lancia un'occhiata spenta su di me, alza il mento per salutarmi.
Sta di merda.
Mi avvicino. — Tutto bene?
— Voglio solo bere — risponde mentre fa ruotare la birra nel bicchiere.
— Che succede?
Mi ignora, oppure non mi ha sentito.
Avvicino il viso al suo. — Che succede?
— Niente.
La guardo per un momento. Poi bevo la mia terza birra, gli occhi sul tavolo. Penso a Sarah. Non ho avuto il coraggio di chiamarla per dirle del mese di permesso. Sicuramente ne sarà felice. Allora perché non ho avuto il fegato di chiamarla?
I miei amici si mettono a parlare di un video virale su tik tok. Due cinesi che ballano in modo buffo su una scogliera. Il primo muovo il bacino come se stesse facendo la danza del ventre. Il secondo è piegato in avanti con le mani a terra.
Finisco la birra e mi alzo. — Io vado.
Mi salutano in modo distratto.
Poso una mano sulla spalla di Paula. — Ci vediamo in ufficio.
Lei alza una mano per salutarmi. Persino alzarla sembra costarle una gran fatica. — Sì, ‘notte.
Niente "Au revoir”, il suo classico saluto. Mi volto e mi faccio largo tra la gente. Fuori, c'è un ammasso di persone. Ilaria è tra loro. È in compagnia di un’amica e un ragazzo. Forse è il suo fidanzato. Il braccio di lui le cinge i fianchi, la tira a sé con un sorriso. Lei ricambia un po' imbarazzata. Ilaria sorride mentre i suoi occhi vagano nella mia direzione. I nostri sguardi si incrociano per un momento. Alzo una mano per salutarla. Lei si volta dall’altra parte e parla con i due.
Sembra che sia incazzata con me per via di Sarah. Ma allora perché ha detto a suo nonno di darmi un mese di permesso? Proprio non la capisco.
Torno a camminare lungo il marciapiede. Pesco il cellulare dalla tasca dei pantaloni, scorro la rubrica e mi fermo su Sarah cugina. Esito. Di nuovo. È una bella notizia, dopotutto? Allora perché non la chiamo?
Arrivo davanti alla mia auto, poggio un braccio sul tettuccio e guardo dall’altra parte della strada. Non c'è nessuno. La luce di una finestra al primo piano. Una sagoma che si sposta dietro le tende. Un ragazzo esce dal portone di una casa, chiude a chiave e si allontana, gli occhi piantati sul cellulare.
Apro la portiera della macchina e salgo a bordo. Colpi sul finestrino. Mi volto.
Il viso di Paula appare dietro il vetro. — Ehi… Dammi un passaggio — biascica.
Le faccio segno di salire con un cenno della testa, ma lei ci sta già andando. Non perde mai tempo. Apre la portiera, si siede e mi guarda. Il suo sguardo è un buco nero. È evidente che è successo qualcosa. — Fai il giro largo. Voglio dormire un po'...
Mi acciglio perplesso. — Mi hai preso per un taxi?
Sbuffa mentre scaccia l’aria con una mano, si gira un po' verso il finestrino e appoggia la testa sul poggiatesta.
Continuo a guardarla. — Puzzi di alcol.
— Senti chi parla…
— Non è da te bere così tanto e da sola poi.
— Voglio dormire. Non parlare.
Un momento di silenzio.
Un auto ci passa accanto e si allontana. Il ragazzo di prima torna indietro con una ragazza. Sembrano freddi, distanti. Non sembra la sua ragazza. Apre il portone e ci spariscono dietro.
Metto in moto. — Senti…
Solleva una mano per farmi tacere, la faccia affondata nell’incavo del gomito.
Ingrano la prima, parto.
La strada è un po' trafficata. All'angolo della via hanno inaugurato un nuovo pub. Più grande e più luminoso di quello in cui vado. E c'è anche molta più gente. Il chiacchiericcio si fa più pesante quando ci passo vicino.
Svolto a destra e guido verso l'appartamento di Paula nella zona ricca della città. Le getto uno sguardo. — Sei venuta senza la tua auto?
— Hmm… — risponde tra il sonno e la veglia.
— Vuoi dirmi cosa è successo?
— Piantala… Lasciami dormire…
— Ti sei vista con Ettore, per caso?
Silenzio.
— Ehi…
Mi tira un ceffone alla cieca, colpisce il lato del mio sedile. — Che rottura…
— Ti sei vista con lui, quindi…
Scatta la testa verso di me, gli occhi sanguigni. — Ti ho detto di… — Si zittisce, le guance arrossate per l’alcol. Sbuffa esasperata. — Perché non mi lasci dormire e basta?
— Perché di solito mi rompi le palle e mi prendi per il culo.
— Era meglio se tornavo a piedi…
Mi fermo al semaforo rosso. — Quindi sei venuta senz'auto?
Si rivolta verso il finestrino, posa la testa sul vetro. Non risponde.
— Ehi… So già che ti sei visto con lui. L’ho capito.
— Quindi? Vuoi consolarmi per poi scoparmi?
Le lancio un'occhiata perplesso. — Che cazzo dici…
— Non sono affari tuoi, comunque. E non ho bisogno di nessuna spalla su cui piangere.
— Non intendevo…
— Ti ho sholo chieshto uno shtramaledettho passagghio — biascica forte. — Accompaghnami a casha. E non parlare.
È proprio andata. Non credo abbia senso continuare a parlare.
Apro la porta del suo appartamento con la sua scheda magnetica mentre la sorreggo su di me con un braccio come una bambina e la porto nella camera da letto. La getto sul materasso, il viso sfatto, quasi pallido. E già tanto che non mi abbia vomitato in macchina. Le tolgo le scarpe, metto le sue gambe sul letto e la osservo per un momento. Che diavolo è successo per ridurre una menefreghista come lei in questo stato? Ha scoperto che Ettore è fidanzato? Sposato con figli? O peggio, è morto?
Scuoto la testa. Non ha senso pensarci. Non so nemmeno perché mi interessi così tanto. Forse ha ragione nel dire che ho la sindrome del cavaliere. Abbozzo un sorriso divertito e mi mi dirigo verso la porta.
— Grashie... — dice in un rantolo di voce.
Mi volto a guardarla per un attimo mentre si gira sul fianco. Vado via.
Entro in macchina e metto in moto. L’abitacolo odora di acqua di colonia e alcool. Sposto lo sguardo sul sedile accanto. Immagino Paula lì, la testa sul finestrino. Credo che mi stia affezionando come amico a quella bisbetica. Al liceo non avevamo tutta queste confidenza, sebbene la difendessi dallo stronzo del suo ex e dagli altri che la prendevano in giro. Il mio forte senso di giustizia mi ha sempre portato a strafare, a prendere tutto sul personale.
Il mio cellulare trilla. Lo prendo dalla tasca della giacca e guardo l’anteprima del messaggio sullo schermo. È Ilaria.
“Sei andato a spassartela con Paula? Sei serio? È Sarah?”
“L'ho accompagnata a casa. Era ubriaca. Ora sto tornando a casa.”
Attendo una risposta, gli occhi che vagano fuori dal parabrezza. C'è un silenzio tombale. Sento persino il mio respiro.
Il trillo irrompe come uno sparo.
“Certo, e dovrei crederci?
“Non crederci, allora.”
“Se non sei con lei, allora vieni da me. Sono ancora al Destiny.”
“Sono stanco.”
“Dopo avertela fatta, mi pare logico 😡😡🤬”
“Pensala come vuoi.”
“Lo dico a Sarah? 🤔”
Mi acciglio irritato. “Che fai? Passi alle minacce, ora?!”
“Ti aspetto ☺️🤗”
Stringo una mano a pugno dal nervoso. Quelle faccine. Quelle maledette faccine del cazzo a presa per il culo. Digito velocemente. “Diglielo pure! Non mi frega niente. Sarah capirà.” Il mio pollice esita un attimo. Cancello tutto, impreco tra i denti.
Cazzo!
Fermo la macchina accanto al marciapiede. Il Destiny è poco più in là. L'ingresso si è svuotato un po'. Una ragazza sta vomitando accanto agli scalini di un palazzo mentre l’amica le regge i capelli. Un gruppo di ragazzi alticci si prende a spintoni tra risate e grida.
Incrocio lo sguardo di Ilaria. Sta camminando verso di me. Apre la portiera e sale a bordo.
La guardo seccato. — Sono qui. Contenta?
Annusa l'aria quasi con disgusto e apre il finestrino. — C’è un cattivo odore.
— Perché volevi vedermi?
— Come perché? Non possiamo stare insieme?
— Prima non mi hai neanche salutato. Pensavo fossi arrabbiata.
Volta la testa fuori dal finestrino. — Solo un po’.
— Perché hai detto a tuo nonno di darmi un mese?
Silenzio.
— Hai rinunciato a me?
Mi guarda con un sorriso storto. — Come se avessi delle pretese…
— Non è così?
— No.
— Allora perché… — Sbuffo esasperato. — Lascia stare. Con te è come parlare a un muro.
— Idem.
Altro silenzio.
— L’hai solo accompagnata? — chiede Ilaria, senza voltarsi.
— Paula? Sì. Mi ha chiesto un passaggio.
— Mmmh…
La guardo. — Mmmh cosa?
— Niente.
— Pensi che ci abbia fatto sesso?
— Beh…
— Sei proprio fissata.
Pianta gli occhi su di me seria. — Non è quello che fai sempre? Ti scopi chiunque!
— Non ho fatto proprio niente. E poi perché stiamo parlando di questo?
Mi fissa per un momento. Volta la testa fuori dal finestrino. Non risponde.
Un furgone passa lungo la strada. Dall’altra parte del marciapiede, due gatti camminano uno accanto all’altro, i loro peli che si sfiorano. Un vociare concitato giunge dal Destiny.
— Perché hai detto a tuo nonno di…
— La pianti?!
— Dimmi perché e la pianto.
— Non ti serve conoscere il motivo.
— Invece sì. Non è da te fare… — Mi ammutolisco, giro lo sguardo oltre il parabrezza. La ragazza che ha vomitato sta camminando accanto alla sua amica. Barcollano, ma si tengono in equilibrio a vicenda. — Senti, io… Voglio dire…
— Non lo sai neanche tu cosa vuoi dire.
Serro gli occhi infastidito. — Dimmi il perché.
— Ancora?!
— Che ti costa dirmelo?
Ilaria incrocia le braccia sui seni. — La ami così tanto?
— Non cambiare discorso.
Mi guarda, lo sguardo deciso. — Rispondi!
— Se io rispondo, tu mi dici il…
Si mette una mano in faccia con un sospiro frustrato. — Certo che sei pesante.
— Detto da te è un complimento.
Mi fissa male. — Immagino che sia un sì. Non che la cosa mi sorprenda più. Ne sono successo così tante che credo di essermi abituata, ormai.
Un breve silenzio.
I due gatti sul marciapiede iniziano a strusciarsi a vicenda accanto a un cespuglio. Un ragazzo con lo zaino ci passa vicino mentre sorride loro.
Sposto lo sguardo su di lei. — Vuoi dirmi…
Sbuffa, gli occhi alzati in aria. — Ok, basta. Te lo dico. — Sospira esasperata. — Ti ho dato un mese perché, come tuo superiore, penso che te lo meriti. Hai portato alla compagnia molti profitti. E ora che Caterina Savona ha trasferito i suoi investimenti altrove, ho bisogno di capire dove ricollocarti.
— Ricollocarmi?
I suoi occhi sono puro ghiaccio. — I clienti che avevi prima di Caterina Savona sono passati ad altri consulenti. Perciò, non sono più disponibili. Ora dobbiamo trovarti qualcosa al tuo livello.
— Un cliente grosso come…
— Gia, come lei. Ma attualmente non ce ne sono.
Mi acciglio confuso. — Quindi?
— Quindi ti fai un mese in Grecia. E quando torni, avremo trovato qualcosa per te.
— Non capisco…
— Non c'è niente da capire.
— Non sei gelosa?
Non risponde subito. Mi fissa fredda. — Perché dovrei esserlo?
— Non lo so… Voglio dire, tu… Noi…
— Sei scemo o fai la parte?!
— Che vuoi dire?
— Che stai cercando di fare?
Corrugo la fronte perplesso. — Non me la bevo che tu… Insomma, hai in mente qualcosa, vero?
Il suo viso si contrae irritato. — Mi credi così subdola?
— Beh… Hai sempre qualcosa in mente. E questo mese di perme…
— Certo che sei proprio stronzo! Io ti do un mese per spassartela con Sarah e tu la prima cosa che pensi è che sto pianificando qualcosa!?
— È solo che… Mi pare strano. Non è da te. Non mi avresti mai dato…
Avvicina il viso accaldato al mio, gli occhi serrati. — Te l’ho già detto e te lo ripeto per l’ultima volta. Sono il tuo capo. E in questo momento ti sto parlando come tale. Ti ho dato un mese perché te lo sei meritato. Lo stesso pensa mia nonno, quindi piantala con le tue paranoie!
Distolgo lo sguardo e poggio la nuca sul poggiatesta, gli occhi fuori dal finestrino.
L’ingresso del bar Destiny si è svuotato quasi del tutto. Il barista è fuori a fumare una sigaretta mentre parla con una donna. Due miei amici escono dal locale e si allontanano.
— Sto cercando di mettermi l’anima in pace con te — dice Ilaria, la voce piatta.
Non rispondo. Non chiedo.
Passa lo sguardo fuori dal finestrino. — Sembra che tu abbia perso la testa per quella là e io non posso farci niente.
— La amo.
— Una volta amavi anche me.
— Tu mi ami ancora?
Sbuffa. — Che domanda stupida…
Restiamo in silenzio per un po'.
Mi guarda. — Sai, ho sempre la sensazione che tu mi ami ancora e che tra noi non finirà mai.
Mi limito a guardarla.
— Il nostro rapporto è sempre stato strano — dice, il tono caldo. — Non era solo sesso, c’era anche altro. E c'è ancora. Riesco a sentirlo. Non so se sia amore nel senso comune della parola, ma c'è. E sono sicura che anche tu lo senti.
Non rispondo.
Intreccia le mani sul grembo, il miagolio di uno dei due gatti là fuori. — Per questo sono sicura che tu non andrai mai via da me come io non andrò mai via da te. Siamo legati. Proviamo le stesse cose l’uno per l’altra. Amore? Affetto o… Qualunque cosa sia è reale. Su questo non ci piove.
Abbasso lo sguardo sul manubrio. — Mi hai fatto venire qui per dirmi questo?
Abbozza un mezzo sorriso d’affetto. — No, perché tutto questo lo sai già. Ti sto solo confermando quello che pensi anche tu.
Ed è così. Lo penso davvero. Una parte di me lo sa benissimo. Anche Marta me l’ha detto. Sto solo cercando di allontanare Ilaria da me. — Non credi sia sbagliato?
Alza un sopracciglio perplessa. — Perché dovrebbe?
— Rimarremo in un limbo. Nel nostro limbo. Non andremo mai avanti. Non ci creeremo una famiglia o…
— Vuoi una famiglia?
— Non sto dicendo questo.
— È quello che hai detto.
— Quello che voglio dire…
— Con Sarah non ti sarà possibile. Intendo, la famiglia. Avete lo stesso sangue.
Mi rabbuio. — Non stiamo parlando di lei, ma… — La guardo. — Noi… io e te… Se rimaniamo così… Se tu rimani così non ti staccherai mai da me.
Sbuffa seccata. — Non ricominciare con i tuoi soliti discorsi snervanti. Tutto quello che c'è tra noi non cambierà mai. Siamo legati. E non m’importa se ora ti sei fissata con tua cugina. Prima o poi tornerai da me. — Si porta le mani sul cuore. — Me lo sento. E anche tu lo sai.
Non rispondo. Sposto lo sguardo ancora una volta fuori dal finestrino. Sono confuso. Troppo confuso.
Il barista è rientrato dentro. La donna con cui parlava si sta abbracciando con un’altra.
La mano di Ilaria stringe la mia. Mi volto, la guardo sorpreso. Lei sorride. — Ora ti sto solo aspettando.
Stacco la mano dalla sua. — Aspettando? Ti auguri che tra me e Sarah…
— Non mi auguro niente. Ho solo detto che ti sto aspettando.
— Però…
— Ehi… — Mi posa un dito sulla labbra, la mano sul mio pene, lo stringe. — Si sta alzando, eh.
Allontano la sua mano. — Sapevo che avresti fatto così. Ti piace perderti in parole quando il fine ultimo è sempre il medesimo.
— A te non dispiace, però.
— Che c'entra questo? Stavamo parlando di…
— Abbiamo finito di parlare.
Non rispondo subito, il pene che pulsa sotto i box. — Quindi? Ora te ne vai?
I suoi occhi si restringono. — Mi stai cacciando?
— Ti sembra che ti stia cacciando?
— Non lo so, dimmelo tu.
Distolgo lo sguardo oltre il parabrezza. — Lascia stare.
Mi stringe di nuovo l'uccello. — Ehi… sparirai per un mese, perciò il minimo che puoi fare…
Scaccio la sua mano, ma lei la rimette di nuovo. La guardo. — Piantala! Sembri una ninfomane.
— Oh, scusami tanto se ho voglia di farlo con te. E il tuo coso qui sembra gradire.
Prendo la sua mano e la allontano. — Perché finisci sempre per fare l’amore con me?
— E me lo chiedi anche?
— Sì, te lo sto chiedendo.
Mi fissa malissimo. — Sai che c'è? Vattene da lei! — urla, il viso arrossato per la rabbia. — Sparisci in Grecia e spero che il tuo aereo precipiti e che muoia solo tu!
— Ehi!
Mi molla uno schiaffo in faccia. Un colpo rapido, diretto alla guancia. Non l’ho nemmeno visto arrivare. — Vaffanculo! — urla.
Poso la mano sulla guancia arrossata. — Che cazzo ti prende!?
— Sei uno stronzo!
— Oh, ma che hai?
Apre la portiera, mette un tacco fuori. Ci ripensa, la richiude. Mi fissa torva. — Facciamo l'amore. Adesso!
Il mio inguine prende fuoco, il mio pene pulsa eccitato. — Tu sei tutta matta…
Scatta il viso verso di me, mi afferra il pene dentro i pantaloni e mi bacia.
Volto la testa, la spingo debolmente via. — Ehi!
Mi afferra i lati della bocca con le dita e mi bacia, infila la lingua.
Faccio per allontanarla, ma le braccia non collaborano. Ilaria mi tira giù la patta dei pantaloni, tira fuori il mio pene e se lo mette in bocca. Sento la sua lingua sul mio glande, lo schiocco della saliva. Sollevo leggermente i fianchi contro le sue labbra, le metto una mano sui capelli e la spingo giù. Il mio uccello affonda nella sua bocca, le sue labbra toccano il mio inguine. Poi solleva la testa, il mio pene scivola via. Mi guarda per un attimo con il fiatone e mi bacia mentre mi sega con una mano.
Colpi al finestrino.
Sbianco in viso, mi volto.
È un nostro amico, quello che si era messo con Paula. I suoi occhi cadono sul mio pene, la mano di Ilaria stretta attorno. Un sorriso divertito si allarga sul volto del mio amico. — Cazzo, sapevo che c'era qualcosa fra voi due… — dice con voce impastata.
Ilaria molla la presa dal mio pene, si asciuga le labbra con il dorso della mano, gli occhi iniettati di rabbia. Fa per dire qualcosa, ma si blocca.
Rimetto il pene duro nei box, alzo la zip dei pantaloni. Abbasso il finestrino. — Che ci fai ancora qui?
Il mio amico sorride come un idiota, ci punta il dito ancora più divertito di prima. Ride. — Continuate pure.
— Sparisci, cretino! — grida Ilaria.
Lui scoppia in una grassa risata, indietreggia per un lungo tratto come se non riuscisse a fermarsi e crolla di spalle a terra
— Ma che cazzo… — dico turbato.
— È ubriaco? — domanda Ilaria.
Usciamo dalla macchina e lo raggiungiamo. È disteso sul marciapiede con un sorriso da idiota sul volto arrossato, braccia e gambe spalancate, gli occhi fissi al cielo. Sembra del tutto assente.
— Stai bene? — chiedo.
Mi guarda come se stesse guardando qualcosa oltre di me. — Oh, non ci crederai mai… Sai cosa ho visto? Ho visto Tommaso e Ilaria insieme… — Scoppia a ridere. — Lei gli stava facendo un pompino in macchina. — Ridacchia divertito.
Ilaria gli sferra un calcio sulla gamba, impreca tra i denti.
Lui è troppo ubriaco per sentire qualcosa. Solleva un dito al cielo mentre ride. — Quella stella assomiglia a Paula… Nah, è molto più bella di quella stronza. — Ridacchia. — Sì, molto più bella.
Gli afferro la mano. — Dai, alzati in piedi.
Lui la scaccia, si gira su un fianco. — Ho sonno. ‘Notte.
Ilaria gli molla un calcio nel culo. — Alzati, idiota!
Il nostro amico grida per il dolore, scatta in piedi, barcolla e si cappotta in un cespuglio con un sorriso. Scoppia a ridere.
Guardo Ilaria. — Lo accompagno a casa.
— Vengo anch’io.
— Non serve.
I suoi occhi sono come le porte dell’inferno. — Insisto!
— Non hai la macchina qui?
— No.
Mi acciglio perplesso. — Sei venuta a piedi?
— Con amici.
— Quei due con cui ti ho vista?
Annuisce.
Il mio amico, ancora sottosopra nel cespuglio, inizia a canticchiare un motivetto dance di successo, le braccia che vagano nell’aria a seguire il ritmo.
Scuoto la testa, lo afferro per un braccio e lo rimetto in piedi. — Aggrappati a me.
Lui mi guarda con un sorriso. Poi guardo Ilaria. — Ehi, ti ho visto fare un pompino a Tommaso. Eri tu?
Ilaria sbuffa irritata, gli occhi al cielo. — Tommaso è accanto a te, idiota!
Il nostro amico scatta gli occhi verso di me come colpito da una folgorazione. — Ah, Tommy. Amico mio. — La voce impastata. — Perché non sei venuto stasera? Sai cosa ho visto? Ho visto Tommaso che si faceva fare un…
Ilaria gli tira un pugno sul braccio. — Se non la pianti ti ammazzo!
Lui la guarda assente, un sorriso sulle labbra. Non ha sentito minimamente il colpo. Ma domani lo sentirà e come. — Ehi, c'è anche Ilaria. Sai prima…
Lei fa per tirargli un pugno in faccia, ma lo allontano in tempo. Lo porta alla mia macchina e lo faccio stendere sui sedili posteriori. Poi salgo al posto di guida. Ilaria accanto.
— Sento puzza di sperma — dice il nostro amico con un ghigno, un dito alzato a sfiorare il tettuccio.
Ilaria si volta di scatto verso di lui. — Se non la pianti, giuro che stanotte ti ammazzo davvero.
Lui la ignora mentre canticchia il motivetto di prima.
Accendo il motore. Parto.
Lei mi guarda. — Sai dove abita?
— Sì.
— Non ha cambiato casa?
— Sì, ma è sempre in quella zona.
Il braccio del nostro amico cade a peso morto su di lui. Comincia a russare. Guido per un pezzo fino al semaforo rosso.
— Non abbiamo ancora finito — dice Ilaria quasi in un sussurro.
Le lancio uno sguardo. Non rispondo.
— Hai capito? — domanda, gli occhi torvi.
Mi gratto dietro la testa. — Non è che… Voglio dire, mi hai fatto solo…
Alza una mano per colpirmi il mezzo alle gambe. Lo copro con una mano a una velocità supersonica. Lei l’abbassa, un sorriso dipinto sul viso. — Non abbiamo finito. Tu non hai finito.
— Lo sai che mi stai ricattando, vero?
— Non è un ricatto.
Scatta il verde.
Parto. — Mi stai obbligando. Anzi, minacciando.
— Non ho…
Il nostro amico borbotta qualcosa nel sonno, si gira un po' dall’altra parte, ci dà le spalle.
— Ne parliamo dopo — dice lei, la voce piatta e minacciosa.
Apro la porta dell’appartamento del mio amico e lo trascino sul divano. Vive in un piccolo condominio alla periferia della città. Al terzo piano. L’intera casa è sottosopra. Piatti sporchi in cucina. Vestiti sul divano e sul pavimento. Un PC portatile lasciato acceso vicino alla finestra aperta. Sullo schermo, l’immagine di una ragazza in intimo su Instagram.
Il mio amico mi sorride, gli occhi socchiusi, la voce impastata. — Ehi, dov’è la mia dolce Paula?
— Scordati di quella là.
La sua espressione si indurisce. — Mi vendicherò. La farò soffrire…
— Volta pagina. Anzi, mettiti a dormire.
— Sto già dormendo.
— Stai parlando con me.
Si acciglia turbato e perplesso. — Ah…
— Hai bevuto parecchio.
— Non sto sognando?
— No. Adesso dormi.
Sbarra gli occhi. Cerca di rimettersi in piedi, ma non ce la fa. Resta sospeso con il busto tra il cuscino del divano e me. Crolla di spalle. — Tu e Ilaria…
— Cosa?
— Ti ha fatto un pompino.
Ancora con ‘sta storia. — Che pompino? Di che parli?
— Vi ho visto in macchina. Tu e lei…
— Te lo sei sognato.
— No, lo ricordo bene — biascica forte. — Vi ho visto litigare. Poi lei… ha abbassato la testa e… — Sorride divertito. — Così mi sono avvicinato e ho visto che ti stava succhiando il…
— Ehi! — dico in tono grave. — Non è successo proprio niente tra me e lei. È vero che stavamo litigando, ma non mi ha fatto nessun pompino. Te lo sei sognato.
Mi guarda dubbioso, gli occhi proiettati altrove. Forse a quel momento. — Eppure…
— Non è che ti sei fissato con Ilaria?
Spalanca gli occhi inorridito, la voce ancora più impastata. — Ma che disci? Ilaria non mi piasce propriho. Ma per niente.
— Ora mettiti a dormire. Sei così ubriaco da confondere i sogni con la realtà.
Si gira sul fianco, lo sguardo perplesso. — È strano, però…
— Ora vado. ‘Notte.
Non risponde.
Salgo in macchina.
Ilaria mi guarda, le braccia consorte. — Andiamo da me.
Metto in moto. — Neanche in tempo di salire che già mi stai addosso.
— Guida.
— Cos’è?! Ora mi dai pure gli ordini?
— Ma piantala.
Ingrano la prima, parto. — Ti accompagno e me ne vado.
Mi fulmina con lo sguardo. — Provaci e ti ammazzo.
— Quindi mi stai minacciando? Avevo ragione.
Sbuffa seccata. — È il minimo che tu possa fare.
Rallento dietro un furgone. — Per cosa?
— Per ciò che ti ho fatto prima e per tutto quanto.
Le lancio un'occhiata. — Ok, va bene. Ricambio il… favore. Ma solo quello. E lo farò anche a metà come tu…
Alza una mano a pugno nella mia direzione, il viso stravolto dalla rabbia. — Giuro… Quando fai così, ti vorrei ammazzare veramente. E non sto scherzando, Tommà. Mi fai salire il sangue al cervello.
No, non sta scherzando. Per niente. Riconosco quello sguardo assassino. Vuole farmi a pezzi sul serio. E poi mi ha chiamato per nome.
Ilaria abbassa il pugno, intreccia le mani sul grembo.
Restiamo in silenzio per un po '.
— Non è tradimento — dice, la voce fredda.
Svolto a destra. — Cosa?
— Sarah. Non la stai tradendo. Non state insieme, no?
Questa sua calma improvvisa mi fa rabbrividire. — No, ma… Diciamo che… c'è qualcosa.
Mi incenerisce con lo sguardo. — Non state insieme. Punto e basta!
Mi limito a lanciarle un’occhiata. Se rispondessi, mi salterebbe alla gola come una iena famelica.
Altro silenzio. Meno breve.
— Il tuo ex — dico.
Lei si volta guardinga. — Il mio ex? Cosa?
— Ti vedi ancora con lui.
— Non lo sai? Si è sposato con una del Liechtenstein. Una tipa piena di soldi come lui.
— Ah, non lo sapevo.
— Mi pare si chiami Ivanova qualcosa. È russa. Suo padre è un oligarca russo, mi pare.
— Matrimonio di convenienza?
— Non lo so. Non m’importa.
Mi fermo a un incrocio a T. Una volante dei carabinieri è ferma accanto al marciapiede. Un carabiniere alza la paletta, fa segno al furgone davanti a noi di accostare. Questo si ferma poco più avanti.
Svolto a sinistra. — Comunque non ti ha dato fastidio? Il fatto che si sia sposato.
Mi guarda apatica. — Perché dovrebbe?
— Beh, sei stato con lui. Non ricordo per quanto, ma… Voglio dire, dopo che vi siete lasciati… Tu e lui… Sai…
— Gesù… — dice in una smorfia divertita. — Che sei un bambino? Non sai dire che abbiamo continuato a scopare?
Non rispondo. Rallento per far attraversare un uomo e una donna con un cane al guinzaglio. Dietro di loro, un ragazzo e una ragazza sfrecciano sul monopattino elettrico. Lei si tiene stretta a lui da dietro.
Ilaria incrocia le braccia sui seni. — Come ti ho già spiegato, era solo sesso.
— Lo so.
— Tu e tua cugina, invece? — dice, la voce un po' acida. — Immagino che ci date dentro alla grande.
— Non proprio.
Mi molla uno schiaffetto sul braccio. — Non scordiamoci Paula.
— Oh, che cazzo fai!? Sto guidando!
— Tu e quella stronza…
— Sei sua amica e la chiami stronza?
— Perché è una stronza. Non sei d’accordo con me?
Beh, ha ragione. Paula sa essere molto stronza, ma mi sono un po' ricreduto ultimamente. — A volte.
— Come a volte? È sempre stronza. Ventiquattrore su ventiquattro. Sette giorni su sette. Persino al liceo era una stronza.
Imbocco la strada che porta alla villa di Ilaria. Auto di lusso lungo i marciapiedi. Vialetti alberati. Palazzi dall’architettura sofisticata e moderna. L’aria stessa odora di soldi. — Senti, perché…
— Anche per lei io sono una stronza.
— Se non la sopporti, perché lavora nella tua compagnia?
— Perché è brava.
Mi gratto il mento. — Comunque non vedo tutto questo odio tra di voi.
— Tu non vedi parecchie cose.
— Ti sbagli.
— Sai perfettamente che ho ragione. Ci odiamo. Punto.
— Se lo dici tu.
— Sì, lo dico io.
Guido per tre minuti. Poi mi fermo davanti al cancello della villa di Ilaria. La guardo. — Ci vediamo domani.
Il suo sguardo è una pallottola firmata col mio nome. — Perché continui a fare così?!
— Fare così come?
— A fingere di non voler fare l’amore con me. È evidente che lo vuoi. E sinceramente è snervante.
Distolgo lo sguardo. Non rispondo.
— Lasciala pure qui e vieni dentro — dice mentre apre la portiera.
Spengo il motore, esco, la seguo oltre il cancello e poi lungo il vialetto costeggiato di alberi e cespugli. Lei lancia un’occhiata alle sue spalle verso di me, mi sorride.
Entriamo nella sua casa dalle pareti di vetro, il profumo di pulito che aleggia nell'aria.
Ilaria mi indica il divano con la mano mentre si dirige in bagno. Mi siedo sul divano del soggiorno. Poi sento il rumore dell'acqua della doccia. Dovrei essere inamovibile riguardo al fare sesso con Ilaria, ma non ci riesco. Non riesco a mettere dei limiti. Lo stesso accade con Paula. Ma lì la cosa sembra essersi sistemata. Ora ha in testa Ettore, il suo ex. E credo che sia anche la ragione per cui stava di merda stasera.
Osservo un quadro macchiato di colori. È strano, non saprei come descriverlo. C'era quando sono venuto qui l’altra volta? Non mi ricordo. Faccio vagare lo sguardo intorno. Chissà com'è vivere qui? Il mio appartamento in confronto è un buco con gli angoli del soffitto sporchi di umidità. E poi è grande quanto questo soggiorno. Anzi, credo sia anche un po' più piccolo.
Ilaria mi raggiunge con una vestaglia da notte, la voce fredda. — Ti aspetto in camera.
Faccio per rispondere, ma va via. Mi alzo e vado in bagno. È immacolato. Tutto pulito. Tutto al suo posto. L'ambiente profuma di limone. Cerco con lo sguardo i vestiti e l’intimo di Ilaria, ma non lo trovo. Penso abbia messo tutto in lavatrice. Mi svesto, mi faccio una doccia, mi asciugo con l'asciugamano ed esco dal bagno. Quando entro nella camera da letto, Ilaria è stesa sul fianco. Nuda. Il mio occhio cade sulle sue tette, sulle sue aureole rosate. Poi in mezzo alla cosce chiuse, alla sua forma a V.
Lei mi fissa con uno sguardo apatico. Non sembra che voglia fare l’amore con me. Per niente. Non è che vuole uccidermi? Magari ha un coltello sotto il cuscino. — Vieni qui.
La raggiungo e mi stendo accanto a lei, il mio pene durissimo. Ilaria mi spinge sul materasso, prende in mano il mio uccello e comincia a segarmi mentre mi fissa negli occhi col suo sguardo glaciale. Continua così per un po. Forse minuti.
Le vengo in mano. Due schizzi arrivano sul suo seno sinistro. La guardo. Non dico nulla. Non so che dire. Più la guardo, più mi aspetto che mi accoltelli da un momento all’altro.
Toglie la mano dal mio pene, prende un fazzoletto da sopra il comodino, si pulisce la mano e sale con i piedi sul letto. Osservo la sua vagina umida, le sue grandi labbra larghe. Si siede sul mio petto, mi sbatte la vagina davanti al naso, mi prende per i capelli e mi spiaccica la faccia sulla sua passera.
Comincio a leccarla. Un po' le grandi labbra, un po' il clitoride. Ogni tanto ficco la lingua dentro, la muovo in senso orario e antiorario. Ilaria ansima, affonda le dita ancora di più nei miei capelli, muove il bacino verso il mio viso. Poi inizio anche a baciarla, a succhiarla. Lei si contorce su di me, mi si siede proprio in faccia. Fatico a respirare, ma non mi fermo.
I liquidi di Ilaria mi inondano il viso, la bocca. Volto il viso bagnato dall'altra parte. Lei si piega in avanti, appoggia la mani sul cuscino mentre i suoi fianchi fremono. Si alza, si gira dall'altra parte e prende il bocca il mio pene mentre mi sbatte la sua vagina davanti agli occhi. Non ho mai fatto una 69.
Comincio a leccare, a baciare, a succhiare di nuovo mentre lei mi succhia l’uccello. Non so per quanto tempo facciamo così, ma sembra infinito. Poi il suo bacino inizia a fremere, si irrigidisce, tira fuori il pene dalla bocca. Altri rivoli d’acqua mi bagnano il viso. Giro il viso dell'altra parte. Lei si accascia sul letto, mi dà le spalle.
Restiamo così per un po'.
Ho ancora l’uccello duro. Osservo il suo sedere, le sue spalle, i suoi capelli. Allungo una mano verso il suo fianco, ma la ritraggo. Fisso il soffitto, l’ombra dei rami di un albero che si muovono per il vento.
Ilaria si volta, mi guarda inespressiva per un attimo. Poi si mette a cavalcioni su di me, guida il mio pene nella sua vagina senza le mani e comincia a muovere i fianchi. La sua vagina è più bollente del solito. Non come quella di Paula. Ma quasi. Sento i suoi liquidi appiccicarsi al mio inguine, un rumore vischioso, acquoso. China il busto su di me e mi bacia con la lingua. Un bacio passionale, amorevole, ma anche sessuale. Mi stringe i lati della bocca con le dita e mi bacia la lingua. Mi acciglio un po' perplesso. Non l’ha mai fatto prima.
Continua così finché mi bacia il mento, il collo e poi di nuovo sulle labbra. Questa volta è un bacio di puro affetto. I suoi fianchi iniziano a muoversi più velocemente. Il rumore vischioso dei suoi liquidi risuona tutt'attorno. È eccitante. La ingabbio a me con le braccia e comincio a tartassare la sua vagina di colpi secchi, veloci. Lei si stringe a me, mi abbraccia la testa mentre ansima.
Le vengo dentro. Poca cosa. Mollo la presa dalle sue spalle e lascio cadere le braccia ai lati. Lei si blocca per un attimo, riprende fiato. Poi ricomincia a muoversi su di me mentre mi bacia la fronte e il viso. Il suo bacino aumenta di intensità, i suoi liquidi diventano più appiccicosi. Si blocca, freme per un momento e si abbandona su di me a peso morto, i fianchi che si contraggono per l'orgasmo.
Un lungo silenzio fatto di respiri, i rami che grattano sul vetro dell’ampia finestra.
Mi accarezza il viso con una mano, il viso sepolto sul cuscino girato dalla parte opposta. — Volevo che tu mi prendessi con la forza, ma…
Non rispondo, gli occhi fissi sull’ombra dei rami sul soffitto che sembrano dita scheletriche. La fuori, il vento ulula.
— Tu entravi in camera come un ladro o come uno stalker ossessionato da me e mi prendevi da dietro con la forza.
Mi acciglio turbato. Non fiato. Sono fantasie sessuali. Tutti ne hanno una o più di una. E poi io non dovrei nemmeno permettermi di giudicare. Ho fatto l’amore con mia cugina. Vale più di ogni fantasia sessuale. Più di ogni deviazione.
Si volta verso di me e mi bacia il collo, le dita che continuano a sfiorare il mio viso. — Questa fantasia… Mi eccito solo a pensarci. — Prende la mia mano, la porta sulla sua vagina e si sfrega il clitoride. Ansima. — Non ti eccita prendermi con la forza? Non ti eccita obbligarmi a fare l’amore con te? A dominarmi?
Il mio pene pulsa, la guardo negli occhi eccitato da morire. Ci fissiamo per un momento, il suono vischioso della sua vagina risuona nella camera.
Sorride maliziosa. Ha capito.
Mi alzo e la metto a pancia in giù sul materasso in malo modo, una mano schiacciata sulla sua testa. Il suo viso affondato quasi del tutto nel cuscino. Afferro il mio pene e lo metto per un momento nella sua vagina bagnata per lubrificarlo, lo tiro fuori e lo guido piano nel suo sedere. Ilaria si lascia scappare un gemito, le sue dita che stringono il copriletto. Cerca di alzare il sedere, ma non ci riesce. La mia mano sulla sua spalla la tiene piantata sul materasso mentre comincio a muovere i fianchi. I suoi gemiti si perdono soffocati nel cuscino. Cerca di muoversi, di liberarsi, di gridare, ma è tutta scena.
Mi avvicino al suo orecchio, la voce minacciosa. — Dove pensi di andare?
Si lascia scappare un gemito eccitato. Tenta di incurvare di nuovo il sedere, ma non ci riesce. Cerca di voltarsi, ma la mia mano sulla sua testa la tiene ferma. — Lasciami andare! Mi stai facendo male! Basta, ti prego…
Si è messa persino a recitare. La tiro debolmente per i capelli, il suo viso arrossato emerge dal cuscino. Le bacio la guancia mentre aumento di intensità i colpi sul suo sedere. — Stai zitta, o ti ammazzo, troia!
Il suo corpo sussulta da un piacere improvviso, animalesco. Non so come fa, ma mi afferra per la nuca e riesce a girare la testa un tanto per infilarmi la lingua in bocca. È puro sesso. Mette l’altra mano sul mio fondoschiena per spingerlo a sé.
Continuiamo a baciarci per un po’. Poi pianto la sua testa nel cuscino con una mano, glielo affondo dentro. Lei si dimena brutalmente, cerca di alzarsi come se non riuscissi a respirare. La tengo ferma per un momento. Poi le tiro su la testa per i capelli in modo brusco. Ilaria tira un grosso respiro, il viso rossissimo, gli occhi gonfi, scioccati. Prende fiato.
Avvicino le labbra al suo orecchio. — Fai la brava o ti ammazzo, puttana!
Continua a recuperare fiato, gli occhi fissi sul cuscino. Non risponde. Anzi, mi accorgo solo adesso che il suo corpo sta tremando. E che attorno ai suoi fianchi si è formata una larga chiazza di acqua. È pipì.
Se l’è fatta sotto.
Mollo di colpo la presa dai suoi capelli e tiro fuori il mio pene dal suo sedere. Sono spaventata, scioccato. Tutto insieme. Ho esagerato. Non riesco a spiccicare una parola. Pensavo le piacesse.
Ilaria si mette seduta sul materasso, gli occhi bassi, sbarrati, vacui, le spalle che fanno su e giù per il fiatone. Resta così per un momento. Poi sposta lo sguardo sulla chiazza di pipì, li chiude come se si stesse vergognando. Li riapre un momento dopo e li pianta su di me.
Distolgo lo sguardo per la vergogna. — Io…
Ilaria si sdraia sul materasso e allarga le gambe. La sua vagina è così bagnata che sembra grondare acqua. Mi fissa come a voler continuare. Non mi muovo. La sua doppia reazione mi ha destabilizzato, ma al mio pene non importa. È duro come acciaio. Le sue mani mi afferrano per le braccia e mi tirano a sé, i suoi occhi ancora rossi e gonfi mi guardano. Mi sorride. Prende le mani e se le mette al collo. Stringe. Poi avvicina l’ano al mio uccello e cerca di metterselo dentro. Non ci riesce. Ci riprova, spinge. Niente. Alza gli occhi eccitati su di me.
Non so bene cosa fare. Sono ancora turbato. Ma al mio corpo non importa. Agisce da solo. Fa tutto lui. Le mie mani si staccano dal collo, le afferrano i fianchi e la spingono verso il mio inguine. Il mio pene scivola un po' a fatica nel suo sedere. Lei si lascia scappare un gridolino. Dolore, eccitamento. Non so più la differenza.
Si avvinghia a me, le braccia attorno al collo, le gambe incrociate intorno al mio bacino. Il mio uccello si infila dentro il suo sedere fino alla radice. Facciamo sesso da seduti per un po'. Poi Ilaria mi tira su di sé, si porta le mie mani sul collo e stringe. Forte. Fortissimo. Il suo viso si gonfia, diventa rossissimo, gli occhi due palle da golf.
Mi acciglio confuso, preoccupato. Faccio per ritirarle, ma lei rinvigorisce la presa. Le tiro indietro, la fisso, smetto di muovermi. — Ma che cazzo stai facendo…?
Il suo viso si tramuta in un demone, lo sguardo come l’abisso. — Soffocami, stronzo!
Resto interdetto. Non rispondo.
Mi prende le mani e se le porta alla gola. — Stringi! Soffocami! Fallo!
Le mie dita eseguono a posto mio. Si serrano attorno al suo piccolo collo, affondano nella sua pelle. Mi sorride mentre muove i fianchi contro il mio pene. Il viso le diventa violaceo, una vene emerge in mezzo alla fronte, gli occhi lucidi, iniettati di sangue. Poi comincia a contorcersi, a dimenarsi come una forsennata. La bocca si spalanca, cerca l’aria. Boccheggia mentre le sue unghie affondano nella pelle delle mie mani fino a ferirmi. Non sento nessun dolore. Non sento niente. Fisso il mio sangue attorno alle sue unghie. Poi la fisso negli occhi.
Paura. Terrore.
Non c'è altro.
La sto ammazzando.
Voglio fermarmi. Ma il mio corpo non reagisce. Ha una sua volontà. Le dita non mollano, non le sento nemmeno. Non sento nemmeno il mio pene che penetra con forza nel suo sedere. Sono prigioniero del mio corpo.
Le mani di Ilaria si afflosciano sulle mie, i suoi occhi si fanno vacui. Smette di dimenarsi, resta immobile.
Stacco le mani stravolto in viso, cado giù dal letto, mi rialzo, la fisso per un attimo con il corpo in fiamme. Comincio a tremare, a sentire freddo, la pelle come il ghiaccio. — Ilaria…
Silenzio.
La camera è un anfratto dell’inferno. Buia, gelida, inquietante. Persino il vento ha smesso di ululare, i rami di grattare il vetro della finestra. E lei se ne sta immobile sul materasso come uno spettro.
Mi avvicino, allungo una mano tremante verso il suo viso. Noto il dorso della mano sanguinante, la ritraggo. Cosa ho fatto? Perché? Fottuto coglione, che cazzo hai fatto!?
Il panico si insinua nella mente, i sensi di colpa cercano di affossarmi. Mi chino su Ilaria, le prendo il viso, la scuoto. Niente. La scuoto più volte. Ci insisto. Nessuna reazione. I suoi occhi rimangono aperti, vacui.
È morta? L’ho uccisa? Che cazzo ho fatto!?
Metto le labbra sulle sue, le tappo il naso e ci soffio dentro. Una, due, quattro, otto, dieci volte. Niente.
L'ho uccisa. L’ho ammazzata.
Incrocio le mani sul suo petto, spingo più volte mentre comincio a piangere a dirotto come un bambino. Un pianto isterico, disperato. Continuo per un minuto, poi mi accascio accanto a lei.
L’ho uccisa. Ho ucciso Ilaria.
L'abbraccio, le bacio la testa, il viso, le labbra. E mentre la bacio, ho l’impressione di sentire un flebile respiro uscire dal suo naso. Mi metto seduto sul letto, la testa tra le mani.
L’ho ammazzata. Non volevo, ma l’ho fatto. Perché? Perché non mi sono fermato!? Che cazzo ho che non va!?
Un sibilo. Un gemito.
Mi volto di scatto. — Ilaria! Ilaria!
Lei tossisce, si porta una mano sul collo arrossato mentre i suoi occhi ruotano verso di me.
Poggio una mano sulla sua, l’altra sul suo braccio. Il mio viso riprende colore, speranza. Tutto quanto. — Stai… stai bene?
Tossisce, i suoi occhi nei miei. Intreccia debolmente le dita con le mie e mi accenna un lieve sorriso. — Sì… — dice con un filo di voce.
— Pensavo… — balbetto — pensavo di averti uccisa. Io… — Bacio la sua mano con foga. — Scusa, non volevo. Io…
Lei mi abbraccia mentre tossisce un po'. Mi accarezza la testa. — Va tutto bene…
— Ti ho quasi uccisa… Non me lo perdonerò mai.
— L’ho voluto io… E anche se suonerà strano, mi sono eccitata da morire.
Mi stacco un po' dal suo abbraccio, la guardo negli occhi ancora gonfi e iniettati di sangue. — Cosa?
Ilaria sorride. — Ho avuto paura, alla fine. Non riuscivo più a respirare e tu avevi quell'espressione…
— Quale espressione?
— Vuoto... I tuoi occhi erano vuoti.
Abbasso lo sguardo. Non rispondo. La scena delle mie mani attorno al suo collo mi si palesa davanti come un quadro dell'orrore.
— È colpa mia… — dice lei. — Ho esagerato.
— No, è colpa mia, invece. Sono io ad aver esagerato, eppure… — Sollevo lo sguardo su di lei. — Non riuscivo a fermarmi. Non avevo il controllo del corpo… Non…
Mi abbraccia di nuovo. — Ehi, ci siamo spinti un po' oltre, ma… — Mi dà un bacio sul collo — mi è piaciuto. Non quando sono svenuta, ma mi è piaciuto…
Non rispondo. Come fa a parlare così? L’ho quasi ammazzata.
Mi tira debolmente sul letto e si mette a cavalcioni su di me, le gambe lungo i miei fianchi. Tossisce un po' per lo sforzo, si massaggia la gola arrossata e mi mette le mani attorno al collo. — Vuoi provare?
— Vuoi soffocarmi? — chiedo turbato e sorpreso.
— Sì, ma non lo trovo eccitante.
— Allora perché…
— Voglio che tu provi cosa ho provato io…
Non rispondo. Mi sembra giusto. Sta ricambiando il favore.
Le sue dita si stringono attorno al mio collo. Una presa debole. Troppo debole. E lei lo sa. Tossisce con violenza, molla la presa.
— Ehi… — dico preoccupato — non sforzarti…
Il suo sguardo si ferma sulla chiazza di pipì sul copriletto, smette di tossire. — È normale che voglio che tu mi soffochi di nuovo?
No, non penso sia normale. Non dopo essere quasi morta. — Non lo so.
Mi guarda. — Me la sono fatta addosso…
Non rispondo.
Sfiora il copriletto bagnato con una mano. Con l'altra, il suo collo. — Sento ancora le tue mani… e il tuo… — adocchia il mio pene. — Sono eccitata…
Ma che l’è prende? La sua reazione è surreale, anormale. — Ti fa male il collo?
— Un po'... Anche il sedere…
— Non è meglio se andiamo al pronto soccorso?
— No — risponde secca. Tossisce un po'. — Se ci andiamo, come minimo tu passerai dei guai.
— Possiamo spiegare tutto. È stato solo un incidente.
— Mi hai quasi uccisa.
Già, ti ho quasi uccisa. Non rispondo.
— Starò bene — dice, la voce graffiata. — Domani andrò dal mio medico per un controllo. Non farà domande.
Sospiro un po' sollevato. — Che ne dici se resto qui per stanotte? Voglio dire, per…
— Credi che morirò nel sonno?
Può morire nel sonno? Nuova paura sbloccata. — Beh, io…
— Sto bene. Mi fa male solo la gola e mi gira un po' la testa.
Sollevo il busto, le nostre gambe si incrociano. Siamo seduti sul letto, ci guardiamo. — Resto qui.
Mi bacia, tossisce un po' nella mia bocca.
Mi stacco dalle sue labbra. — Non ti sforzare.
Corruga la fronte irritata. — Piantala. Sto bene.
— Non…
Mi ribacia, si stringe a me per un paio di minuti mentre ogni tanto tossisce. Poi prende le mie mani e se le porta al collo arrossato con un gemito di dolore. Poi mette le sue sulla mia gola.
La guardo stranito. — Che stai cercando di fare?
— Soffochiamoci a vicenda mentre facciamo l'amore come prima.
Non sono eccitato per niente. E il mio pene è in letargo per la vergogna. Ritraggo le mani. — Sei impazzita?! Sei quasi morta!
— Allora lo faccio io a te — dice. Stringe il mio collo. La stretta è di nuovo debole. Molla la presa, tossisce in modo violento.
— Ehi, basta! Smettila, ok?!
— Voglio farlo? Voglio soffocarti!
— Ma che cazzo ti prende?
Mi stringe di nuovo il collo. Altra tosse. Violenta.
Alzo il busto e prendo il suo viso tra le mani. — Ehi, che ti prende?
Mi guarda, gli occhi arrossati. Scoppia a piangere. — Non lo so… Non lo so…
L’abbraccio, appoggio la sua testa sul mio petto. — Ehi, va tutto bene…
— Non so cosa mi stia prendendo… Sono così… eccitata… Sto prendendo fuoco… — Mi guarda, gli occhi spiritati, supplichevoli. — Voglio che tu mi soffochi e mi prenda come prima… Ti prego, fallo! Fammi sentire… Fammi sentire il terrore… Ti prego!
La guardo sconvolto.
Lei mi bacia il viso, le labbra, il collo quasi disperata. Sembra una tossica in preda all’astinenza. — Ti prego… fallo. Voglio che tu abbia la mia vita tra le tue mani…
— Ehi… Basta! Smettila!
Continua a baciarmi in modo ossessivo. — Non ci riesco. Sono troppo eccitata… — Prende la mia mano e se la porta sulla sua vagina. È fradicia. La muove sul clitoride. — Ti prego, fallo per me…
Allontano la mano e mi alzo dal letto. — Basta così! Sei ancora sotto shock. Non sei tu a parlare, ma…
Scatta in piedi, gli occhi accesi, gonfi, rossi. — Sono io! Sempre io a… — Barcolla, lo sguardo socchiuso. Cade in avanti.
La prendo prima che crolli di faccia sul pavimento. — Ehi! Ilaria! Ehi!
È svenuta? O è morta?
Mi si gela il sangue nelle vene. Metto un dito sotto il naso. Respira. Tiro un sospiro di sollievo, l’adagio sul letto e la guardo in viso. Poi il mio occhio cade sul suo collo rosso, distolgo lo sguardo con un vuoto allo stomaco. Non mi perdonerò mai.
Vado in bagno, mi lavo la faccia e mi guardo allo specchio. Ho il viso stravolto, lo sguardo stanco, esaurito. Abbasso gli occhi sul lavabo, le gocce di acqua che scivolano sulla ceramica. Tiro un lungo sospiro, mi passo una mano sul viso e ritorno in camera. Ilaria è ancora nella posizione in cui l'ho messa. Non si è mossa di un millimetro. Mi avvicino un po' e metto un dito sotto il suo naso. Respira. Rilasso le spalle e mi siedo accanto, gli occhi sul suo viso.
L'ho quasi uccisa.
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