Mia cugina: Parte 44

di
genere
incesti

In serata, vado al bar a bere con gli amici. C'è molta gente, troppo caos e la musica house progressive mi sta rompendo i timpani. Paula è seduta alla mia sinistra. Ilaria alla mia destra. Paula sta parlando con un mio amico mentre Ilaria è da tutta la sera che mi mette una mano sul pacco e lo stringe. Io gliela scaccio, ma lei continua imperterrita. Ormai non ha più limiti. Mi tratta come se fossi una cosa sua e solo sua.
Bevo due pinte di birra per un'ora, poi mi alzo, saluto gli amici ed esco dal locale gremito di gente. Persino all'ingresso non si può passare senza sgomitare qua e là. M’incammino lungo il marciapiede affollato e mi siedo a una panchina di fronte alla mia auto. Rumori di tacchi alle mie spalle. Non mi guardo indietro. So già chi sta arrivando.
Ilaria si siede accanto a me. — Hai bevuto un bel po'.
— Non sono dell'umore adatto per parlare — rispondo in po' irritato.
— Non lo sei mai.
— Oggi di più.
— In effetti sei strano. Non hai aperto bocca per tutta la serata. È successo qualcosa?
— No.
Mi ignora. — Immagino di sì. C'entra Sarah?
La guardo. — Prima che ricominci con il tuo atteggiamento aggressivo-passivo, è meglio se…
Incrocia le braccia sui seni. — Sei sempre così sulla difensiva?
Sospiro seccato e mi alzo per andare via.
Lei mi afferra per il polso. — Ehi, non sto facendo niente. Voglio solo parlare. Non posso neanche fare questo?
— Ti ho detto che non è serata, ma tu…
— Allora dimmi cosa c'è che non va?
Allontano il polso dalla sua mano, raggiungo la mia macchina, apro la portiera e salgo a bordo. Ilaria resta seduta sulla panchina, mi fissa. Metto in moto e parto.
Non so dove sto andando. So solo che non voglio stare con nessuno, né sentire nessuno. Penso alla finta ragazza di mio cugino. Chissà se è già atterrata? È quasi mezzanotte, suppongo che sia arrivata già da un pazzo. Mi fermo alla pompa di benzina, spengo il motore e scendo.
Mentre faccio benzina, controllo il cellulare. Nessun messaggio. Non che mi aspettassi sue notizie. In realtà, non sto pensando a Marta. È solo un’amica speciale. Ma a mia cugina. Sto pensando a lei. È Sarah che mi tormenta, il suo viso, il suo corpo, il suo sorriso triste. È lei che mi manca.
Salgo in macchina e accendo il motore. Non parto. Rimango a fissare un punto nel vuoto oltre il parabrezza. Scorgo alcuni rami e alcune foglie scosse dalla brezza estiva nel buio della notte. E non riesco a muovere un dito. Non mi va proprio. Sono così depresso, così stanco mentalmente che vorrei sparire. Chiudo gli occhi, mi rilasso. I pensieri vagano nel mio etere personale. Sarah è l’unica costante. È dappertutto. In ogni anfratto della mia mente appare lei. I suoi occhi, le sue labbra, i suoi abissi.
Un colpo di clacson.
Sobbalzo e mi guardo alle spalle. I fanali di un'auto mi abbaiano. Un uomo mi gesticola dal suo abitacolo mentre la donna seduta affianco gli sta dicendo di calmarsi. Forse ha avuto anche lui una giornata di merda.
Schiaccio l'acceleratore e mi allontano dalla stazione di benzina. Vago per tre quarti d’ora, ripasso più volte dalle stesse strade e alla fine mi fermo nello spiazzo della trattoria punteggiato da poche auto. Non so perché sono qui. Il mio pilota automatico interno mi ci ha condotto. Spengo il motore e osservo l'ingresso. Due uomini sulla cinquantina stanno fumando accanto alle fronde dell’ulivo. Lo stesso posto dove io e mia cugina ci siamo baciati l’altro giorno.
Resto lì per una decina minuti, lo sguardo fisso sempre sull’ingresso. So che non dovrei entrare, che non dovrei andare da lei. Ma non riesco a pensare diversamente. È un chiodo fisso.
Passano altri minuti. Dozzine di minuti. La gente esce dal locale e si avvia alle loro auto. Alcuni mi guardano mentre passano accanto alla mia macchina. Forse si chiedono che cosa stia facendo seduto da solo? Una bambina mette le mani sul finestrino e mi guarda incuriosita per un momento.
La madre la prende per il polso e l’allontana mentre mi lancia un'occhiata strana. — Non dare fastidio al signore.
Signore? Sembro così vecchio? Oppure è solo cortesia? Scuoto la testa. Non m'importa.
Passano altri minuti.
Lo spiazzo è quasi vuoto. Ci sono solo sei macchine. La mia, quella di mia cugina e quelle dello staff della trattoria. Sicuramente una di quelle appartiene al tamarro.
Stringo le dita attorno al manubrio dal nervoso. Ora Sarah è con lui. Forse stanno parlando, oppure stanno facendo altro. Serro la mascella, le mani mi prudono. No, devo calmarmi. Mia cugina non andrebbe mai con lui. È una donna seria. Però ha fatto l’amore con me, con suo cugino. Se l’ha fatto con me, allora… No, devo smetterla di farmi così tante seghe mentali.
Il cameriere tamarro esce dalla trattoria con due donne. Non le conosco, ma so che lavorano in cucina. Le ho viste qualche volta. Sinceramente mi aspettavo che uscisse con Sarah. Lui dice qualcosa e una delle due si mette a ridere mentre si dirigono verso lo spiazzo. La seconda donna li saluta, entra in macchina e si allontana. Passa vicino alla mia auto e mi abbasso di lato per non farmi vedere. Alzo il busto.
Il tamarro e l'altra donna si fermano accanto a un veicolo e si mettono a parlare per un paio di minuti. Lui punta il dito verso la città e le dice qualcosa mentre lei annuisce con un sorriso. Salgono in macchina insieme e se ne vanno.
Allento la presa dal manubrio un po' sollevato. Forse quel tipo ci sta provando con quella là. Dalle espressioni facciali sembrava così. Quindi mia cugina non si sta frequentando con lui?
Sorrido. Apro la portiera ed esco. Mi acciglio turbato. Perché l’ho fatto? È stato un gesto automatico spinto dall'euforia del momento. Sposto gli occhi sul finestrino e osservo il mio viso riflesso sul vetro. 'Sto proprio di merda. Anzi, sembro uno psicopatico. Ho gli occhi spiritati e un po' cerchiati, la faccia sfatta, stressata. Mi metto una mano sul viso e faccio un lungo sospiro frustrato.
— Di nuovo… — dice mia cugina alle mie spalle.
Tolgo la mano dalla faccia, mi volto. — Sarah.
— Che ci fai qui?
— Io…
I suoi occhi si serrano irritati. — Ti ho detto di non venire più.
— Non… non sei uscita con quel tipo?
Lei corruga la fronte confusa. — Chi? Di chi parli?
— Il cameriere nuovo.
— Ah, è perché dovrei uscire con lui?
— Avevi detto che ti piaceva. Pensavo che…
— Sei venuto qui per vedere se sarei uscita con lui dopo il lavoro?
— No… Veramente, io…
— Certo che sei incredibile. Il fatto che lo trovi carino non vuol dire che mi interessi. E se anche fosse, non sono fatti tuoi.
Abbasso lo sguardo un po' a disagio. Non rispondo.
Scuote la testa e mi supera con passo svelto.
La prendo per un braccio. — Aspetta.
Lei lo ritrae in malo modo e mi fissa malissimo. — Non iniziare con la tua solita lagna. Non è giornata.
— Cosa è successo?
Devia il mio sguardo. — Niente. Non è successo niente.
Cala il silenzio per un momento.
— Ti va di mangiare qualcosa? — domando.
— Non ho fame — risponde. Torna a camminare verso la sua auto.
Un pipistrello passa volando sotto la luce del lampione, il rombo dei motori dei veicoli in lontananza.
Le vado dietro. — Un kebab? Ti va?
— Ti ho detto che non ho fame.
— Dai, mangiamo qualcosa insieme. Giuro che non ti rompo con la mia solita “lagna.” Te lo prometto.
Sarah si ferma davanti alla portiera della sua auto, inserisce e gira le chiavi nella toppa e apre la portiera.
Fa per salire, ma mi piazzo davanti. — Solo un kebab o qualcos’altro, ok?
Mi ammazza con gli occhi. — Cos’è che non capisci di quello che ti ho appena detto?!
— Non ci credo che non hai fame — rispondo irritato.
Mi sposta con un braccio. Non ci riesce. — Fammi passare.
— E tu verrai a mangiare con me?
Mi fissa torva. Non risponde.
— È soltanto…
— La smetterai mai di darmi fastidio?
— No.
Sospira frustrata. — Ok, ti seguo con la mia.
Il mio viso si colora. — Verrai davvero?
Mi scansa con un braccio, sale a bordo e chiude la portiera. La blocco con una mano. Mi fissa. — Ti ho detto che verrò.
Ci guardiamo per un momento.
Ritraggo il braccio. Chiude la portiera, guarda in avanti e accende il motore. Non so se crederle o meno, ma perlomeno è ancora qui.
Sposta lo sguardo su di me. — Ti vuoi muovere o no, prima che cambi idea?
Vado alla mia macchina, ci salgo, accendo il motore e mi affianco a lei. Abbasso il finestrino. — Seguimi.
Rotea gli occhi in aria seccata come se le pesasse un casino ciò che sta facendo. Non risponde.
Proseguo lungo lo spiazzo e poi lungo la stradina che conduce alla città fiancheggiata da ulivi e sterpaglie.
Dieci minuti dopo parcheggio davanti a una kebaberia. Fuori, seduti ai tavoli, c'è parecchia gente. La maggior parte sono ragazzi, il profumo di kebab che ammorba l’aria.
Esco dal veicolo mentre Sarah parcheggia poco più avanti. Scende, mi raggiunge ed entriamo insieme nel locale. Ordiniamo due kebab medi, pago per entrambi mentre mi lancia un’occhiataccia e usciamo fuori. I tavoli sono tutti occupati.
Mi guardo intorno. — Sediamoci lì.
Raggiungiamo la panchina di pietra davanti a uno sperone cinto da una balaustra in pietra e ferro e ci sediamo.
— Non mi sono mai seduto qui — dico con un sorriso. — C’è una bella vista. Si vede la città.
— Una parte. Il resto è tutto buio.
Do un morso al kebab. — Buono. Una volta venivo spesso qui. Fanno degli ottimi kebab.
— Non devi parlare per forza.
— Oggi sei proprio acida.
Mi lancia un’occhiataccia e dà un morso al kebab. Non risponde.
— Ok, non parlo.
Mangiamo in silenzio per un po'.
— Non devi pagare anche per me — dice.
— La prossima volta paghi tu.
— Non funzionano questi giochetti mentali con me.
— Quali giochetti?
Manda giù l’ultimo pezzo di kebab e si pulisce le labbra con il fazzoletto di carta. Ha finito prima di me. Aveva proprio fame. — Sono venuta qui perché…
— Perché?
— Avevo fame. Tutto qui.
— Capisco.
Rimaniamo in silenzio per un momento, il chiacchiericcio della gente seduta ai tavoli che fa da sottofondo a quelle delle auto che sfrecciano sotto lo sperone.
Ingoio l'ultimo morso di kebab e appallottolo la carta nelle mani. — Senti…
— Marta è partita, vero? — domanda di getto mia cugina.
Mi acciglio perplesso. — Si, è andata via questa mattina.
— Mio fratello… — Si zittisce. — È ancora in Sardegna. Forse hanno litigato e… — Si ammutolisce di nuovo. — Mi piaceva Marta.
— Anche a me.
Mi guarda stranita. — Non ci hai mai parlato. Come fa a piacerti?
Distolgo lo sguardo, mi passo la carta accartocciata da una mano all’altra. — Beh… Diciamo che… Insomma, sembrava simpatica.
Il suo sguardo si fa ancora più turbato. — Simpatica? Non vi siete mai parlati o sbaglio?
— Qualche parola c'è la siamo scambiata.
— Ah, sì? Non lo sapevo.
Sorrido. — Gelosa?
Il suo volto torna serissimo. — Gelosa? Di Marta? E poi perché dovrei essere gelosa?
Faccio una smorfia divertita per celare il disagio. — Stavo solo scherzando.
Continua a fissarmi come se sospettasse qualcosa. Poi guarda verso la città sottostante. — Visto che ci hai parlato “qualche volta”, sai perché mio fratello e Marta si sono lasciati?
— No, non lo so. Forse non andavamo più d'accordo?
Sarah non risponde.
— Pensi sia successo qualcosa di più serio? — domando.
Si acciglia. — Tipo?
— Non lo so, dimmelo tu.
— E come faccio a saperlo? Con mio fratello ci parlo a malapena.
Annuisco. Non rispondo.
— Forse non è nulla di serio — dice con un lieve sorriso.
Marta non tornerà più, le vorrei dire. — Può darsi.
— Sì, dev’essere così. Tornerà.
Vorrei dirle la verità, ma non posso. Capirebbe tutto. — Ti piace così tanto?
— È una brava ragazza. È stata sempre accanto a mio fratello. E poi lui è… molto particolare.
Sa che è gay? — Particolare?
Sposta gli occhi su di me. — Non è facile starci accanto. Marta sapeva… Insomma, sapeva come prenderlo.
— A me sembra una persona alla mano. Anzi, è molto più socievole di me.
— Sì, questo sì.
Non capisco dove voglia arrivare. Forse non vuole dirmi che lei sa? Pensa che io non sappia che suo fratello è gay? Non si fida abbastanza? Oppure è tutto nella mia testa? — So che è in Sardegna da un po'. Un mese giusto?
— Te l’ha detto Marta?
— Sì.
Il suo sguardo si fa indagatorio. — Quindi non ci hai parlato solo “qualche volta?”
Piego il busto in avanti, guardo la carta accartocciata nelle mia mani. — Che vuoi insinuare?
Mi fissa per un momento. — Niente. Non voglio insinuare niente. È solo che…
— Che?
— È strano.
— Che abbia parlato con Marta?
— Già. Conosco Marta. Non è molto socievole. E non lo sei nemmeno tu. — Fa una smorfia incuriosita. — Mmmh… Di cosa avete parlato? Perché… Non lo so, è strano. Voi due che parlate… Mmmh…
Stringo le dita sulla carta appallottolata e sposto lo sguardo dalla parte opposta dove si trova lei. — Non ricordo… Ricordo soltanto che a un certo punto è uscito fuori il discorso di tuo fratello.
— Uscito fuori, eh?
La guardo in faccia, le dita che si serrano ancora più strette sulla carta. — Ho l'impressione che tu voglia dirmi qualcosa, perciò dimmi quello che mi devi dire. Non girarci intorno.
Non risponde subito, i suoi occhi nei miei. — Non voglio dirti proprio niente.
Annuisco, senza rispondere.
— Tu, invece? — domanda. — Devi dirmi qualcosa?
— No.
— Mmmh… Ok.
Cala il silenzio per un momento, una leggera brezza estiva che sfiora i nostri visi. Diversi colpi di clacson lontani. Alcune risate giungono dai tavoli.
— Toglimi una curiosità — dice mia cugina, lo sguardo in avanti. — Ti sei visto con Marta mentre mio fratello non c’era?
La guardo. Non rispondo.
— Sai della Sardegna, perciò o te l’ha detto lei o tua madre.
Mentire non serve. Anzi, ho l'impressione che abbia capito alcune cose. Non so come abbia fatto, ma sembra proprio di sì. — Me l’ha detto Marta.
— Mmmh… Te l’ha detto lei, quindi...
— Dove vuoi arrivare?
— Ancora con questa domanda. Non sto insinuando niente.
— Dal tuo tono di voce non direi.
Passa lo sguardo su di me e mi fissa come se volesse dirmi qualcosa di molto importante. Guarda l'orario sul cellulare. — Ora vado. — Fa per alzarsi, ma la trattengo per un bacio. Si risiede e mi guarda torva. — Lagna in arrivo?
— Dimmi quello che mi devi dire.
Non risponde subito. — Cosa dovrei dirti?
— Te lo leggo negli occhi che vuoi dirmi qualcosa, quindi parla.
Incrocia le braccia sui seni. — Non ho niente da dirti.
Sbuffo irritato. So già che ha capito qualcosa. Mia cugina è simile a mia madre. È molto acuta e perspicace. — Marte e io…
— Non mi interessa.
— Non tornerà più.
Distoglie lo sguardo verso la balaustra. — Senti…
— Tuo fratello…
Scatta la testa verso di me e mi fulmina con lo sguardo. — Stai zitto!
— So tutto.
— Ti ho detto di stare zitto!
— Dario è gay. Lo so.
I suoi occhi mi scavano dentro, mi uccidono. Si alza e si allontana con passo rigido, nervoso.
Abbasso lo sguardo sulla carta appallottolata nella mia mano. Faccio per lanciarla oltre la balaustra, ma mi blocco. Mi volto alla mia destra e la lancio verso il cestino. La carta sbatte contro il bordo e cade a terra. Mi alzo, la raccolgo e la getto nel cestino. Poi mi avvicino alla balaustra e ci appoggio i gomiti. Il paesaggio notturno è meraviglioso. La città si estende luminosa sotto i miei piedi circondata dal buio delle campagne circostanti. Odore di terra bagnata, di fiori, di kebab.
Rumori di passi.
Mi volto.
La faccia di Sarah si appiccica quasi alla mia, una ventata di balsamo per capelli mi investe in pieno. — Lo hai detto a qualcuno!?
— Cosa?
— Di mio fratello.
— No, perché dovrei?
Mi punta il dito in faccia irata. — Perché tu… tu…
— Io cosa?
Sbuffa e si appoggia coi gomiti alla balaustra, il viso tesissimo. — Mio fratello… Dario… — China la testa. Fa per parlare, ma si zittisce.
— Non ti fidi di me?
Mi lancia uno sguardo. Non risponde.
— Quindi è così… — dico un po' deluso. Certo, me lo aspettavo. Sebbene si parlino poco e niente, lei e suo fratello sono molto legati. E so che quando si tratta di Dario, Sarah può diventare parecchio minacciosa e imprevedibile.
— Non è questo… — risponde con tono piatto, ma che cela del nervosismo.
— Non l’ho detto a nessuno né lo dirò in futuro — sorrido per sdrammatizzare. — Mi conosci. Sono molto discreto.
Mi getta un'occhiataccia. — Chi altri lo sa, oltre te?
— Mia madre.
Pianta lo sguardo su di me sorpresa e preoccupata. — Tua madre!? Come… — I suoi occhi si restringono. — L'hai detto tu?!
— No, certo che no.
— Allora come lo sa?!
— Lo sai com’è fatta. Sa sempre tutto. Nulla sfugge al suo occhio infernale.
Sbarra gli occhi terrorizzata come se fosse emersa una sua grande paura, una mano sulla bocca. — Noi… Sa… sa di noi..? Lei…
— Ehi, non ti agitare. Non sa niente di noi o me lo avrebbe fatto capire.
Mia cugina abbassa lo sguardo nel buio oltre lo sperone. — E se… e se lo sapesse?
— Non lo sa. Non sa niente. Nemmeno un sospetto. Niente di niente.
Rimaniamo in silenzio per un po’, il vento che soffia con più intensità. Alcuni clienti si alzano dai tavoli e vanno via. Due di loro, una coppia, si siede sulla panchina di pietra dove eravamo seduti io e Sarah.
— Se tua madre sa di mio fratello… — dice a bassa voce — allora lo avrà detto a mia madre. — Mi guarda colta da un pensieroso. — Forse l’ha detto anche a Marta! Per questo è andata via!
— No, non…
— Lei gliel'ha detto!
— No, Marta…
— E Dario se n'è andato in Sardegna, perché hanno litigato o…
— Marta l’ha sempre saputo! — dico d’impulso.
Mia cugina impallidisce. — L’ha… sempre…
— Già, l’ha sempre saputo.
— Ma…
Le racconto tutto sulla loro falsa relazione e del perché suo fratello è in Sardegna. Lei impallidisce ancora di più, il suo sguardo si abbassa, si assenta. Gli ultimi clienti del locale vanno via. Una cameriera si mette a pulire i tavoli. Un altro lava per terra davanti all'ingresso. La coppia seduta sulla panchina guarda abbracciata il panorama notturno oltre lo sperone.
— Marta è andata via per un altro motivo — dico.
— Perché è rimasta con… — Si zittisce per un attimo. — Poteva… Mio fratello…
— Ehi, va tutto bene.
Sarah alza gli occhi su di me. — Dario è stato egoista. Come ha potuto… — Si porta una mano sulla fronte. — È stato davvero egoista da parte sua. Marta è una brava ragazza. Non meritava di… di perdere tempo con lui. — Scuote la testa mentre abbassa la mano. — La zia… Tua madre sa tutto?
Annuisco. — Sapeva fin dall'inizio, ma non ha detto niente per via di tua madre.
— Ma perché? Non ha senso. Perché è rimasta in silenzio?
Aggrotto le sopracciglia confuso.— Volevi che dicesse a tua madre che Dario è gay?
— No! Certo che no. Non parlavo di questo. Intendevo della loro relazione.
— Riflettici… Se lo avesse fatto, tua madre avrebbe bombardato mia madre di domande e alla fine, forse, avrebbe scoperto che Dario è…
— Ma ora lo sa — dice. — Voglio dire, Marta le ha detto che si sono lasciati ed è andata via. Non pensi che la prima cosa che farà è andare da tua madre? Chiederle se sa qualcosa? Dopotutto, a tua madre stava molto simpatica Marta.
Abbasso gli occhi per un momento. — Simpatica… Beh, a mia madre non sta simpatico nessuno. È stata buona con lei solo per far vedere quanto è gentile e buona. In realtà, è tutto l'opposto.
Una folata di vento.
Mia cugina sposta una ciocca di capelli dal viso. — Sono sicura che glielo dirà. Tua madre si lascia sempre scappare tutto con mia madre.
— Non lo farà.
— Ne sono più che sicura.
— Allora non la conosci bene.
Sarah si acciglia irrita. — So com’è fatta la zia. Quando mia madre le riempie di domande, alla fine cede.
— Ma non le dirà mai una cosa del genere. Lo sa che non lo sopporterebbe.
Un’altra folata di vento. L’aria sta diventando un po' fredda. I due camerieri si mettono a parlare davanti all'ingresso del locale mentre i due proprietari, marito e moglie, si siedono a un tavolino. Lui fuma una sigaretta. Lei gli parla. La coppia seduta sulla panchina di pietra si alza e va via mano nella mano.
Abbasso lo sguardo verso l’oscurità sotto lo sperone per un momento. Guardo mia cugina. — Dario ha intenzione di dirlo a tua madre
Socchiude leggermente gli occhi. — Dirle… — Si ammutolisce per un attimo. — Come lo sai? Te l’ha detto Marta?
Annuisco. Non rispondo.
— Tu sai troppe cose che io nemmeno so.
Ecco, bomba atomica in arrivo. Non rispondo.
— Dimmi la verità…
Deglutisco, stringo una mano a pugno dal nervoso. Non parlo.
Il suo viso si fa serio. Una maschera di bronzo. — Tu e Marta… Lei ti ha detto tutto. Perché? Perché si è confidata così tanto con te? Dopotutto, la conoscevi appena, no?
Alzo lo sguardo verso la città sottostante, verso i tentacoli di luce. Una moto sfreccia in lontananza. — Beh… abbiamo solo… parlato. E alla fine… Ecco…
Mi afferra un polso, lo stringe un po'. — Cos’è che non mi stai dicendo?!
Abbozzo un sorriso nervoso, poso una mano sulla sua. — Niente. Cosa dovrei dirti?
Mi fissa negli occhi per un po' mentre serro la mascella. — Tommaso…
Eccola la bomba atomica.
Distruzione totale.
Mi conosce così bene che ha già capito tutto dal mio sguardo, dal mio nervosismo. Non rispondo. Mi gratto dietro la testa con un sorriso ancora più teso, più nervoso. — Te l’ho detto…
Serra le dita con forza attorno al mio polso. — Parla!
— Non ho…
Mi strattona. — Ti ho detto di…
Ritraggo la mano. — Smettila!
Mi fissa per un momento, lo sguardo serissimo. La sua voce suona minacciosa. — Che hai combinato con Marta?
Stringo le dita attorno al manico della balaustra. — Ci ho solo parlato.
— Non ti…
— Perché salti subito alle conclusioni?
— Conclusioni?
— Già… Pensi che io…
— Cosa? Cosa penso? Dai, dimmelo.
— Non ti agitare.
— Ti sembro agitata?! — Mi prende la faccia e mi costringe a guardarla. — Guardami! Ti sembro agitata?
Fisso i suoi occhi mezzi spiritati mentre sento le sue mani calde e sudaticce sul viso. — Non è successo niente.
— Tommaso… — risponde con tono accusatorio.
Allontano le sue mani e mi volto verso la città sottostante. Osservo un puntino rosso, una macchina, che si muove tra le luci dei lampioni. — Non ho fatto niente…
— Tu fai sempre qualcosa. Ti conosco.
— Con Marta…
— Ci hai fatto l’amore?
Faccio per rispondere, ma le parole mi muoiono in bocca. Mi acciglio turbato. Ci riprovo. Stesso esito. Perché non riesco a parlare?
Mi sferra un pugno sul braccio. — Lo sapevo!
Il colpo me lo fa quasi addormentare per un momento, mi volto verso di lei. — Oh! Perché…
Mia cugina pianta il viso a un palmo dal mio. — Perché?! Mi domandi perché?! Hai pure la faccia tosta di chiedermi perché?! — Mi spinge. — Sei un porco schifoso! Ecco cosa sei! Un lurido pezzo di merda che non ci ha pensato due volte a…
— Non è come pensi.
— È esattamente come penso!
— Ti sbagli.
Mi spinge di nuovo, gli occhi furibondi, lucidi. — Ti sei fatta la ragazza mio fratello!
— Ma non stavano insieme!
Mi spinge ancora. — Quindi… te la sei fatta davvero?!
Distruzione totale.
Fa per spintonarmi, ma le blocco i polsi. — Ok, ora calmati!
Lei dimena le braccia e mi tira un calcio sulla caviglia. Smorzo un grido di dolore e mollo la presa dai polsi. Mi spinge con tutta la forza nelle braccia. Perdo l'equilibrio, ma mi aggrappo alla balaustra con una mano. Sarah fa per spintonarmi, ma si volta dall’altra parte.
I due proprietari si avvicinano a noi.
— Tutto bene? — domanda la moglie.
Il marito mi tiene d'occhio, la sigaretta tra le labbra, il fumo che gli si arriccia attorno alla faccia.
— Sì… — dice mia cugina girata di spalle.
La moglie mi lancia un’occhiata, poi riguarda Sarah. — Sicura?
— Sì, va tutto va bene. Grazie.
I due camerieri ci stanno guardando da lontano mentre parlottano.
La moglie guarda il marito e tornano verso il locale con un leggero brusio. Stanno parlando.
Appoggio i gomiti sulla balaustra. — Dovresti parlare con Marta.
Nessuna risposta.
Sospiro. — Sentire da me come sono andate le cose… — Mi zittisco. — Chiamala. Ti spiegherà tutto.
Sarah si volta verso di me, gli occhi arrossati dal pianto. — L'avrebbe già fatto, se avesse voluto.
— Non è così semplice.
— Lo è!
Scende il silenzio.
Alle nostre spalle cala la saracinesca della kebaberia. Sento i due proprietari dire qualcosa ai camerieri. Poi il motore di un auto che si accende e si allontana.
— Marta si sentiva sola — dico.
— E tu “giustamente” nei hai approfittato — risponde con tono beffardo e nervoso.
— Non è così.
— È sempre così con te. Basta pensare a Ilaria.
La guardo. — Lei cosa c'entra?
— Siete amici e te la sei fatta!
— L’amavo.
— Certo, l'amavi. Te la sei fatta e ora non la ami più. Un classico!
Sbuffo irritato. — Senti, io e Ilaria…
— Non m'interessa! Stiamo parlando di Marta! Della ragazza di mio fratello che tu…
— Ma non stavano insieme, Cristo Santo!
Mia cugina mi fissa malissimo. — Te ne sei approfittato! Lei non verrebbe mai da te! Sei stato tu a…
— Non ho fatto proprio niente! È stata lei ad avvicinarmi!
Fa una smorfia divertita, il viso stravolto dalla rabbia. — Ah, certo, è stata lei, come no. Conosco Marta. Non farebbe mai una…
— Dario sapeva — dico con foga. — Sapeva tutto!
Il suo volto si spegne, abbassa lo sguardo incredula. — Stai mentendo…
— Marta si sentiva sola. E quando Dario è andato in Sardegna, ha capito che doveva porre fino a tutto questo.
— Ma tu e lei…
— Ne ha parlato con Dario. Lui ha acconsentito. E sai cosa ha detto?
Mia cugina solleva lo sguardo su di me. Non risponde.
— Ha detto che gli stava bene che facesse l’amore con me, che avrebbe preferito me a uno sconosciuto.
Distoglie lo sguardo verso la kebabberia chiusa, poi verso la città sottostante. — No, mio fratello… È impossibile…
— È così. È la verità.
— No…
— Chiamalo, se non mi credi. Chiama entrambi.
Restiamo in silenzio per un po', le folate di vento che smuovono i rami degli alberi sulla piazzetta. Una donna passeggia con un pincher al guinzaglio. Ci guarda di sfuggita e si allontana.
— Senti… — dico. — Marta… Come posso dirlo, lei…
— Ti piace? — chiede con voce piatta.
Mi acciglio perplesso. — Sei tu quella che amo, se è quello che…
— Ti ho fatto una domanda.
— No.
— Ma ci hai fatto l’amore, però.
— Già.
— Lo vedi che sei solo un porco!
— Ok.
— Ok?
Sospiro frustrato e mi massaggio le palpebre con i polpastrelli. — Io e Marta… ci siamo tenuti compagnia. Lei aveva bisogno di… affetto.
Sarah sorride in una smorfia. — Affetto? Quindi, seguendo il tuo ragionamento contorto, se qualcuno ha bisogno di affetto dovrei andarci a letto per consolarlo? Ma ti senti quando parli!?
— Non mi stai capendo…
— Ti ho capito e anche benissimo. Volevi solo fartela! Il resto sono solo scuse.
Sposto lo sguardo su di lei. — Ha senso continuare a parlarne?
— Sì! — risponde di getto. — Per colpa tua non riesco a pensare ad altro! Tu e lei… — Sbuffa esasperata. — Perché?!
— Te l’ho detto il…
— Stai zitto! Mi fai schifo!
Stacco i gomiti da sopra la balaustra. — Finiamola qui per oggi. Ho il cervello a pezzi.
Non risponde.
— Domani chiama entrambi. Forse ti farò meno schifo.
Mia cugina mi guarda, il vento che le scompiglia i capelli. — Anche se quello che mi ha detto è vero… — Si ammutolisce.
La osservo, in attesa che continui. Scuote la testa, le mani piantate sui fianchi. — Al tuo posto non avrei mai fatto una cosa del genere
— Lo so. Tu sei migliore di me.
— Siamo entrambi indecenti.
— No. Qui l’unico…
— Siamo cugini e abbiamo fatto l’amore. Sono sporca e…
— Ehi, non dire così. Non è vero.
Distoglie lo sguardo con un sorriso amaro. — E sai cos’è la cosa divertente?
Mi limito a guardarla.
— Che in tutto questo, con tutto ciò che combini in giro, io… ti amo.
Il mio viso avvampa di un calore ancestrale. Tutto mio il corpo è in fiamme. La faccia mi formicola, le mani mi prudono, il petto brucia e il cuore sta per implodere. — Tu…
Sospira affranta. — Mi fai schifo, ma ti amo.
Guardo i suoi capelli in balia del vento, i rami degli alberi che ondeggiano. — Anch’io ti amo.
Lei abbasso lo sguardo, mi passa accanto col volto indurito e se ne va. Appena raggiunge la sua auto, metto una mano sulla portiera per impedirle di entrare. Mi guarda. — Anche se ti ho detto che ti amo, non vuol…
La bacio. Un bacio pregno di amore, passionale. La spingo col corpo contro la portiera, le mani sul suo viso. Lei si volta, ma la ribacio. Il mio corpo preme contro il suo, il mio pene duro preme sulla sua pancia. Sarah mi ficca la lingua in bocca e mi stringe in un abbraccio, la saliva che sa di Kebab. Ci baciamo per un po', le sue dita che affondano nella mia schiena.
Due moto sfrecciano lungo la strada.
Ci stacchiamo.
Guardo le sue labbra arrossate e sporca di saliva. — Vuoi venire da me?
Si pulisce la labbra. — Anche se ti ho detto che questo è tutto ciò che possiamo fare…
— Fare l’amore con te… Lo so che ti ho detto che mi sarebbe andato bene, ma… La verità è che voglio stare con te per sempre. Vivere insieme e…
Abbassa la sguardo con un sospiro. — Non mi va di litigare.
— Non voglio litigare. Io voglio amarti liberamente.
I suoi occhi si inumidiscono. — Non possiamo. E io… — Solleva lo sguardo su di me. — Vorrei dei figli, un giorno. Un maschio e una femmina. E forse anche un terzo. — Si ammutolisce, sposta lo sguardo di lato. — Con te… Noi… Non possiamo.
— Lo so.
Cala il silenzio.
La stessa donna di prima passa sulla piazzetta con il pincher. È al telefono. Ci lancia un'occhiata e si allontana.
— Però… — dico. — Noi possiamo sempre…
— No. Non funzionerà. Finiremo per litigare. Sempre. E alla fine… ti incolperò per non avere avuto figli
— C’è sempre l'adozione. Possiamo adottarli.
Sarah scuote la testa. — Non funzionerà.
— Ma io…
Lei mi accarezza la mascella, le dita che scivolano sulla mia corta barba. Mi sorride. — Dobbiamo… fare qualcosa.
— Cosa?
— Lasciarci. Porre fine a tutto questo.
— No!
— Ascoltami…
La bacio.
Volta la testa. — Basta.
Le mie labbra baciano il suo collo. — Ti voglio.
— No, smettila.
— Sei l’unica per me. L'unica.
Mi spinge via in modo brusco. — Basta!
— Sarah…
I suoi occhi mi penetrano fin dentro l’anima. — Dobbiamo finirla. Questo tira e molla… Non va bene.
— Per questo dobbiamo…
— Non dobbiamo fare niente.
— Tu mi ami. E io pure. Cosa c'è di male?
— Condividiamo lo stesso sangue! — dice mia cugina irata. — Lo stesso sangue! Siamo cugini!
Le prendo le mani, ma le scaccia via. — Sarah…
— Vuoi continuare così? Vederci per…
— Voglio di più.
— Non accadrà mai.
— Non siamo fratelli. Siamo cugini. Il nostro sangue… Condividiamo il sangue meno della metà. Non è detto che…
Si gira verso la portiera, la apre. — È pericoloso. Troppo pericoloso.
— Possiamo stare insieme. Devi solo volerlo.
— Ci sono troppi problemi…
Le afferro il braccio. — Possiamo affrontarli insieme.
— No…
Afferro anche l’altro, la faccio girare verso di me e la guardo negli occhi. — Insieme. Io e te.
Sarah distoglie lo sguardo. — Stare insieme… vuol dire metterci tutti i parenti contro.
L'immagine di mia madre che mi fissa minacciosa irrompe nei miei pensieri. La scaccio. — Non… non m’importa.
— A me sì. Mia madre… Mio fratello… Mettici pure mio padre. Loro…
La stringo a me, la sua testa che si posa sul mio petto. — Capiranno. Un giorno capiranno.
Lei mette le mani attorno alla mia schiena. — No, non lo faranno.
— Andiamo via. Lasciamoci tutto alle spalle.
— Non è così facile.
— Lo so, ma…
Le sue braccia mi stringono ancora di più, la sua testa affonda nel mio petto in cerca di affetto e consolazione. — Non sono forte come te.
Le accarezzo la testa, le dita che scivolano sui suoi capelli che profumano di balsamo. — Ti sbagli. Tu sei molto più forte di me.
Non risponde.
Rimaniamo così a lungo, il cielo tempestato di stelle. In lontananza, il miagolio di un gatto in calore. Il latrato di un cane. Il rombo di un motore.
Mia cugina si stacca dall'abbraccio, mi fissa negli occhi per un attimo e mi bacia. Un bacio passionale, d’amore. Non ci ha mai messo tutta questa passione. Le sue labbra mi cercano, mi divorano. La sua lingua fa l’amore con la mia. Si stacca da me. — Voglio pensarci. Seriamente.
La guardo con un sorriso da idiota. — Sul serio?
Annuisce, il viso inespressivo.
Non so se crederle o meno, ma voglio farlo. Voglio crederci. Voglio sperare che Sarah scelga me. Scelga noi.
— Andiamo a casa tua — dice. — Ti seguo con la mia auto.
Sbarro gli occhi sorpreso. Sembra troppo bello per essere vero. C'è qualcosa di strano sia nel suo sguardo, che nella sua voce. Qualcosa di indecifrabile. Più la guardo, più mi sembra surreale. Ci penserà davvero? E davvero verrà a casa mia? Davvero ha detto “andiamo a casa tua?” Non me lo sto immaginando?
Mia cugina sala a bordo e si mette la cintura. Raggiungo la mia auto, accendo il motore e guido verso il mio condomino. Dallo specchietto retrovisore interno controllo che sia ancora dietro di me, i suoi fanali che mi abbaiano ogni tanto.
Una decina di minuti dopo entriamo nel mio appartamento. Non fiata. Va in bagno, chiude la porta e si fa una doccia. Io vado in cucina a bere un bicchiere d’acqua mentre guardo fuori dalla finestra la strada deserta, le auto parcheggiate lungo il marciapiede.
Mia cugina esce dal bagno e mi raggiunge con un asciugamano che le copre il busto, i capelli legati in uno chignon. Il suo viso è stranamente più carino, più affascinante. Eppure è sempre la stessa. Faccio per parlare, ma mi supera e apre il frigo. Prende la bottiglia di succo mela e banana, si riempie un bicchiere e lo beve. Non parla. Non sembra che ne abbia l'intenzione.
Vado in bagno, guardo i suoi vestiti gettati sulla lavatrice e mi faccio una doccia. Quando esco, noto il suo reggiseno e le sue mutandine spuntare da sotto i pantaloni. Mi asciugo ed esco dal bagno.
Sarah non è in cucina. È già sdraiata sul letto. Nuda, i suoi seni mi richiamano come il canto di una sirena. Ci fissiamo per un momento. Poi lancio l'asciugamano e salgo sul letto. Ci guardiamo di nuovo per un'attimo.
La bacio, ci ficco la lingua. Lei mi prende per il viso e mi tira verso di sé. Il mio pene durissimo preme contro il suo inguine un po' peloso, i miei genitali sfregano il suo clitoride. Lei ansima mentre mi stringe in un abbraccio, le labbra che si cercano senza pietà. Incurvo un po' il bacino e infilo il mio pene nella sua vagina. È calda e bagnata. Sento il rumore dei suoi liquidi a ogni mio movimento. Le sue dita affondano nella pelle della mia schiena, le sue gambe si chiudono attorno a me.
Mia cugina geme, annaspa, ansima tutto insieme. Sembra che si stia lasciando andare completamente. Per la prima volta. Le sue labbra mi divorano, il suo calore mi fonde con la sua pelle. Non mi lascia spazio. Nessun respiro. Mi desidera come non ha mai fatto prima. Aumento l’andatura dei fianchi. Lento, veloce. Lento, veloce. Il mio uccello sta prendendo fuoco. Non resisto più. Sono troppo eccitato, troppo innamorato.
Le vengo dentro.
Mi svuoto completamente. Il mio corpo si irrigidisce per un momento.
Sarah continua a muoversi sotto di me, le braccia e le gambe serrate attorno alle mie spalle e i miei fianchi. Poi mi spinge di lato sul letto, si mette a cavalcioni su di me mentre continua a baciarmi e mi riabbraccia in una stretta mortale. Non mi molla, i suoi capezzoli pressati contro il mio petto. Sento i suoi liquidi bagnarmi l'inguine, i genitali. Poi si irrigidisce e trema per l'orgasmo. Smette di baciarmi e si abbandona su di me.
Restiamo così per un pezzo, i corpi sudati, le lenzuola bagnate. Fa un caldo infernale, ma non ci stacchiamo. Stiamo bene. Pelle contro pelle, cuore contro cuore. Sento il suo respiro caldo e ansimante, il suo battito del cuore. Sembra che palpita all’unisono col mio.
— Mi piace quando sei dentro di me — bisbiglia Sarah.
Non rispondo. Sento il mio pene nella sua vagina. Fanno l’amore al posto nostro. Ancora e ancora.
— Dormiamo così — continua — mentre sei dentro di me.
Le bacio la testa con amore.
Lei mi guarda, sorride felice.
Il Nirvana, il paradiso, l’universo. Nei suoi occhi c'è l'infinito.

scritto il
2025-09-05
5 7 7
visite
8
voti
valutazione
8.4
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Mia cugina: Parte 43
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.