La pianista (parte 5)
di
Kugher
genere
sadomaso
Gabriel si godette il lavoro della bocca e della lingua di colei che definiva “la pianista”, senza volerle riconoscere un nome, primissimo passo verso un rapporto che da anni rifuggiva, per rifugiarsi in rapidi incontri sessuali.
Con la bocca la schiava avvolgeva bene il cazzo e lo accarezzava delicatamente con la lingua. Per come era possibile, la donna cercava il suo sguardo, senza però far sì che il tentativo andasse ad incidere sul lavoro.
L’uomo, nello specchio alle spalle della donna inginocchiata, vedeva il segno rosso del frustino che le attraversava la schiena nuda e che sperava avrebbe resistito a lungo. Diversamente le avrebbe dato un'altra frustata, sicuramente più forte.
Quando l’aveva colpita, la donna si era gettata in avanti, come scossa da un colpo che, avendolo atteso con ansia, fu liberatorio. L’attesa aveva amplificato il dolore che, comunque, doveva essere stato notevole.
L’uomo aveva sentito una scossa al cazzo nel vederla piegata su sé stessa, a protezione della parte non colpita, quasi volesse nascondersi ma senza fuggire, restando immobile, ancora bendata, senza sapere se sarebbe arrivata un'altra frustata, forse aspettata, senz’altro temuta.
Mentre era ancora con la fronte a terra, scossa dal dolore, le aveva messo un piede sulla testa, osservando il disegno della sua opera, costituito da un'unica striscia rossa su quella lavagna delicata.
Aveva smesso di schiacciarle la testa sul pavimento solo per farla alzare in ginocchio e farselo prendere in bocca.
Gabriel provava piacere ad osservare nello specchio la testa della schiava che si muoveva per succhiarglielo.
Gli era sempre piaciuto tenere il cazzo in una bocca femminile, ma non era certo il momento di terminare i giochi, i suoi, almeno.
Le strinse i capelli biondi nella mano destra e le spinse la bocca verso il pube, così da arrivare col cazzo in fondo alla gola. Lo eccitava troppo vedere la difficoltà nella schiava, il tentativo di trattenere i conati o di avere accesso alla possibilità di respirare.
Le tenne il capo premuto per un tempo che ritenne utile e poi le tirò indietro la testa.
Cazzo quanto era bella inginocchiata, segnata dal suo frustino, spettinata quel tanto da darle un qualcosa di selvaggio, ancora provata.
L’aveva desiderata a lungo e da subito l’aveva eccitato quando, con quell’esibizionismo che lo aveva accattivato, suonava in abbigliamento sexy.
Col piede appoggiato sulla spalla la spinse delicatamente a terra, luogo ove la donna cadde con docilità, guardandolo con quegli occhi che lui già desiderava bassi, sempre a terra.
Le pose una scarpa sul collo e schiacciò quel tanto da provare piacere nel respiro reso difficoltoso.
Premette maggiormente prima di togliere il piede e liberarla per consentirle di essere schiava in altri modi.
Le diede l’ordine di stendersi sul tavolino basso tra i divani, dal quale aveva tolto le cornici delle fotografie che lo ritraevano solo lui negli ultimi viaggi.
La donna si stese in modo da mostrare il ventre sul quale Gabriel si sedette cavalcioni, avendo il viso verso la figa.
“Apri bene le cosce”.
Le mise in bocca un plug per farglielo lubrificare e anticiparle la penetrazione con l’oggetto.
Lo infilò nel sesso e lo mosse per farlo bagnare bene con i suoi umori. Restò seduto sul ventre apprezzando la fatica che la schiava stava facendo per reggerlo.
Tolse il plug dalla figa e se lo mise in bocca per sentire il sapore di quella donna che tanto lo aveva tormentato nei suoi sogni erotici quando la immaginava suonare ornata di catene.
Le aveva lanciato quella scommessa sicuro che non l’avrebbe colta o, se lo avesse fatto, aveva sperato che, attratta dall’esperienza proposta, avrebbe volontariamente commesso un errore.
Quando si accorse che appositamente aveva sbagliato la nota, si sentì il cazzo diventare duro.
Infilò nuovamente l’oggetto nella figa e lo legò con fettuccine di pelle facendole passare intorno alla vita per assicurarsi che non sarebbe uscito.
Attaccato al plug c’era un filo di nylon, resistente e quasi invisibile.
Si alzò dalla comoda seduta e tirò il filo.
“Alzati”.
Una volta in piedi, la donna si accorse che quello era un guinzaglio, praticamente invisibile.
Le fece indossare la camicetta lunga che aveva quando era arrivata, ma senza nulla sotto.
Allacciata, si intuiva che non aveva reggiseno. Il bordo dell’indumento scendeva dalle spalle e copriva giusto il capezzolo.
“Infila autoreggenti e scarpe”.
Gabriel si sedette in poltrona per assistere alla vestizione (se questa avesse potuto essere essere la definizione corretta).
Si era imposto di non compiere più atti sessuali prima di uscire, ma le buone intenzioni a volte servono solo per porre una barriera al desiderio in modo che si accumuli e, facendo pressione, rompa gli argini per far scorrere l’eccitazione.
Si alzò per prendere in mano il filo di nylon che usciva dalla figa e, tirandolo, si diresse nuovamente verso la poltrona sulla quale si sedette facendosi seguire.
Il guinzaglio sa essere ottima forma di comunicazione, così, tirato verso il basso, fece inginocchiare la schiava tra le sue gambe che dovette nuovamente prendere in bocca quel cazzo che era uscito già duro dai pantaloni, lasciando pensare che era rimasto in quelle condizioni da quando era stato ritirato poco prima.
Con la bocca la schiava avvolgeva bene il cazzo e lo accarezzava delicatamente con la lingua. Per come era possibile, la donna cercava il suo sguardo, senza però far sì che il tentativo andasse ad incidere sul lavoro.
L’uomo, nello specchio alle spalle della donna inginocchiata, vedeva il segno rosso del frustino che le attraversava la schiena nuda e che sperava avrebbe resistito a lungo. Diversamente le avrebbe dato un'altra frustata, sicuramente più forte.
Quando l’aveva colpita, la donna si era gettata in avanti, come scossa da un colpo che, avendolo atteso con ansia, fu liberatorio. L’attesa aveva amplificato il dolore che, comunque, doveva essere stato notevole.
L’uomo aveva sentito una scossa al cazzo nel vederla piegata su sé stessa, a protezione della parte non colpita, quasi volesse nascondersi ma senza fuggire, restando immobile, ancora bendata, senza sapere se sarebbe arrivata un'altra frustata, forse aspettata, senz’altro temuta.
Mentre era ancora con la fronte a terra, scossa dal dolore, le aveva messo un piede sulla testa, osservando il disegno della sua opera, costituito da un'unica striscia rossa su quella lavagna delicata.
Aveva smesso di schiacciarle la testa sul pavimento solo per farla alzare in ginocchio e farselo prendere in bocca.
Gabriel provava piacere ad osservare nello specchio la testa della schiava che si muoveva per succhiarglielo.
Gli era sempre piaciuto tenere il cazzo in una bocca femminile, ma non era certo il momento di terminare i giochi, i suoi, almeno.
Le strinse i capelli biondi nella mano destra e le spinse la bocca verso il pube, così da arrivare col cazzo in fondo alla gola. Lo eccitava troppo vedere la difficoltà nella schiava, il tentativo di trattenere i conati o di avere accesso alla possibilità di respirare.
Le tenne il capo premuto per un tempo che ritenne utile e poi le tirò indietro la testa.
Cazzo quanto era bella inginocchiata, segnata dal suo frustino, spettinata quel tanto da darle un qualcosa di selvaggio, ancora provata.
L’aveva desiderata a lungo e da subito l’aveva eccitato quando, con quell’esibizionismo che lo aveva accattivato, suonava in abbigliamento sexy.
Col piede appoggiato sulla spalla la spinse delicatamente a terra, luogo ove la donna cadde con docilità, guardandolo con quegli occhi che lui già desiderava bassi, sempre a terra.
Le pose una scarpa sul collo e schiacciò quel tanto da provare piacere nel respiro reso difficoltoso.
Premette maggiormente prima di togliere il piede e liberarla per consentirle di essere schiava in altri modi.
Le diede l’ordine di stendersi sul tavolino basso tra i divani, dal quale aveva tolto le cornici delle fotografie che lo ritraevano solo lui negli ultimi viaggi.
La donna si stese in modo da mostrare il ventre sul quale Gabriel si sedette cavalcioni, avendo il viso verso la figa.
“Apri bene le cosce”.
Le mise in bocca un plug per farglielo lubrificare e anticiparle la penetrazione con l’oggetto.
Lo infilò nel sesso e lo mosse per farlo bagnare bene con i suoi umori. Restò seduto sul ventre apprezzando la fatica che la schiava stava facendo per reggerlo.
Tolse il plug dalla figa e se lo mise in bocca per sentire il sapore di quella donna che tanto lo aveva tormentato nei suoi sogni erotici quando la immaginava suonare ornata di catene.
Le aveva lanciato quella scommessa sicuro che non l’avrebbe colta o, se lo avesse fatto, aveva sperato che, attratta dall’esperienza proposta, avrebbe volontariamente commesso un errore.
Quando si accorse che appositamente aveva sbagliato la nota, si sentì il cazzo diventare duro.
Infilò nuovamente l’oggetto nella figa e lo legò con fettuccine di pelle facendole passare intorno alla vita per assicurarsi che non sarebbe uscito.
Attaccato al plug c’era un filo di nylon, resistente e quasi invisibile.
Si alzò dalla comoda seduta e tirò il filo.
“Alzati”.
Una volta in piedi, la donna si accorse che quello era un guinzaglio, praticamente invisibile.
Le fece indossare la camicetta lunga che aveva quando era arrivata, ma senza nulla sotto.
Allacciata, si intuiva che non aveva reggiseno. Il bordo dell’indumento scendeva dalle spalle e copriva giusto il capezzolo.
“Infila autoreggenti e scarpe”.
Gabriel si sedette in poltrona per assistere alla vestizione (se questa avesse potuto essere essere la definizione corretta).
Si era imposto di non compiere più atti sessuali prima di uscire, ma le buone intenzioni a volte servono solo per porre una barriera al desiderio in modo che si accumuli e, facendo pressione, rompa gli argini per far scorrere l’eccitazione.
Si alzò per prendere in mano il filo di nylon che usciva dalla figa e, tirandolo, si diresse nuovamente verso la poltrona sulla quale si sedette facendosi seguire.
Il guinzaglio sa essere ottima forma di comunicazione, così, tirato verso il basso, fece inginocchiare la schiava tra le sue gambe che dovette nuovamente prendere in bocca quel cazzo che era uscito già duro dai pantaloni, lasciando pensare che era rimasto in quelle condizioni da quando era stato ritirato poco prima.
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