La pianista (parte 6)
di
Kugher
genere
sadomaso
Il battito cardiaco, già alto per la situazione, salì per entrambi e per motivazioni diverse, quando uscirono dall’appartamento che offriva protezione e sicurezza a quella donna vestita solo da una camicetta lunga, autoreggenti e scarpe nere dal tacco alto.
Per lei l’accelerazione iniziò quando il Padrone si diresse verso la porta impugnando le chiavi, in quanto solo allora comprese ciò che il suo lato esibizionistico avrebbe vissuto nelle forme della costrizione.
Per lui l’accelerazione semplicemente non venne meno, essendo già alta quando la schiava, inginocchiata, gli stava succhiando il cazzo. Restò alta sapendo che l’avrebbe condotta fuori casa verso destinazione nota solo a lui.
Lo eccitava lasciarla nel dubbio, nella mancanza di informazioni, nel metterla di fronte ad una decisione già presa e, evidentemente, programmata, per la quale non avrebbe avuto alcuna possibilità, se non andarsene.
Anche in situazioni particolari, esiste sempre la possibilità di fare una scelta. Quasi sempre le situazioni sono il frutto di una serie continua di scelte.
La prima scelta fu quella di accettare la scommessa. Poi venne il momento della nota sbagliata. Seguì l’accettazione della frustata.
Quando Sophie comprese che l’avrebbe portata fuori verso una destinazione sconosciuta, fece altra scelta, quella di cedere alla magia dell’ignoto, dell’esibizionismo che da sempre l’aveva eccitata.
Il varco della soglia fu un interruttore che Sophie decise di non spegnere, seguendo il Padrone.
Gabriel la condusse tenendola al guinzaglio che le usciva dalla figa, quel filo sottile e quasi invisibile di nylon che si sarebbe visto, forse, mentre camminava ma che, nel buio, sarebbe stato sicuramente nascosto.
Quando lui lo impugnava, sembrava invece che tenesse una mano bassa davanti al sesso di quella giovane donna che lo seguiva standogli vicinissima.
“Dove andiamo?”
Sophie fu stupita dalla sua stessa voce che non riconobbe, priva di incisività e di decisione, tipica di chi cerca di assumere informazioni pur accettando a priori di non riceverne.
Nel momento di lucidità, seppure frastornata e con stomaco, mente e anima ancora sconvolti, comprese cosa aveva fatto Gabriel, individuando la componente esibizionistica che aveva coltivato per averla ai suoi piedi.
Erano mille e uno i pensieri che le si accavallavano in testa, sovrapponendosi e confondendosi in un continuo movimento troppo veloce da poter fermare.
Il pensiero era la frustata che avrebbe denunciato il suo stato.
Il pensiero era il filo che che si vedeva, ma forse no, ma forse in controluce sì, ma forse se lo teneva in mano no, il tutto dipendente dalla volontà del Padrone.
Il pensiero era la camicetta non eccessivamente corta, la scollatura sufficientemente ampia, l’assenza di mutandine che le sembrava sarebbe stata notata da tutti e le autoreggenti il cui bordo sarebbe spettato a lei fare o meno vedere, a seconda della falcata della gamba o del movimento del corpo.
L’eccitazione dell’esibizione si sommò all'eccitazione dell’ignoto.
La poca resistenza era dovuta a quella parte del cervello che non staccava, ma che avrebbe fatto soccombere per scelta stessa del cervello che avrebbe perso la battaglia (mai effettivamente combattuta) con sé stessa.
Il Padrone si diresse verso la sosta taxi.
Furono 300 metri lunghissimi, lungo i quali lui l’aveva sempre tenuta al guinzaglio di nylon collegato al plug nella figa.
Ogni tanto Sophie si sentiva tirare il plug, assicurato all’interno del sesso dalle fettucce di pelle che le avvolgevano la vita.
Sarebbe bastato aprire appena la camicetta perché quelle fettucce potessero essere viste.
Camminando le sembrava che tutti si potessero rendere conto di cosa avesse dentro e dell’assenza delle mutandine, così come dell’assenza della gonna.
Che non avesse il reggiseno era evidente, posto che la camicetta copriva appena dopo il capezzolo.
Era chiaro a tutti quanto fosse vestita o, meglio, svestita.
Il buio forse non lasciava vedere la striscia rossa che dalla scollatura della camicetta si sarebbe potuto ammirare. Forse non lo lasciava vedere. Non sapeva cosa illuminassero i lampioni. Forse sperava si vedesse.
La falcata si allungò quel tanto da far vedere che indossava le autoreggenti.
Si sentiva bagnata. Si sentiva eccitata, si sentiva tenuta al guinzaglio peggio di una cagna, perché questa lo ha al collo, lei lo aveva alla fonte del piacere, di quella parte del suo corpo che sarebbe servita al piacere dell’uomo che quel guinzaglio teneva…o forse anche di altri.
Ma anche questa scelta era stata fatta, così come le altre.
Schiava di uno, forse a disposizione di altri.
Comunque schiava, tenuta al guinzaglio.
Salendo sul taxi, l’uomo si era voltato per vedere i clienti, come è cosa solita.
Lei ebbe modo di allungare più del dovuto la gamba, sicura che l’uomo avrebbe visto ciò che non c’era, con lo sguardo che inizialmente sarebbe stato attratto dalle autoreggenti ma che, subito dopo, sarebbe salito per cercare le mutandine e, sicuramente, avrebbe notato il plug con le fettucce ed il filo del guinzaglio che il Padrone aveva fatto in modo di lasciare, così che si vedesse la sua situazione di schiava, di cagna.
Il suo lato esibizionistico era esploso. Lui l’aveva fatto esplodere controllandolo. Lui l’aveva vista più di quanto lei stessa avrebbe pensato.
“Lascia schiuse le cosce durante tutto il viaggio”.
Il tono dell’ordine era inutilmente alto per lei, utile invece per essere udito dall’autista.
La sua mano si posò sul bordo delle autoreggenti e tenne stretto il guinzaglio che, teso, subiva ogni scossone dell’auto, trasmettendo tensione al plug nella figa.
Per lei l’accelerazione iniziò quando il Padrone si diresse verso la porta impugnando le chiavi, in quanto solo allora comprese ciò che il suo lato esibizionistico avrebbe vissuto nelle forme della costrizione.
Per lui l’accelerazione semplicemente non venne meno, essendo già alta quando la schiava, inginocchiata, gli stava succhiando il cazzo. Restò alta sapendo che l’avrebbe condotta fuori casa verso destinazione nota solo a lui.
Lo eccitava lasciarla nel dubbio, nella mancanza di informazioni, nel metterla di fronte ad una decisione già presa e, evidentemente, programmata, per la quale non avrebbe avuto alcuna possibilità, se non andarsene.
Anche in situazioni particolari, esiste sempre la possibilità di fare una scelta. Quasi sempre le situazioni sono il frutto di una serie continua di scelte.
La prima scelta fu quella di accettare la scommessa. Poi venne il momento della nota sbagliata. Seguì l’accettazione della frustata.
Quando Sophie comprese che l’avrebbe portata fuori verso una destinazione sconosciuta, fece altra scelta, quella di cedere alla magia dell’ignoto, dell’esibizionismo che da sempre l’aveva eccitata.
Il varco della soglia fu un interruttore che Sophie decise di non spegnere, seguendo il Padrone.
Gabriel la condusse tenendola al guinzaglio che le usciva dalla figa, quel filo sottile e quasi invisibile di nylon che si sarebbe visto, forse, mentre camminava ma che, nel buio, sarebbe stato sicuramente nascosto.
Quando lui lo impugnava, sembrava invece che tenesse una mano bassa davanti al sesso di quella giovane donna che lo seguiva standogli vicinissima.
“Dove andiamo?”
Sophie fu stupita dalla sua stessa voce che non riconobbe, priva di incisività e di decisione, tipica di chi cerca di assumere informazioni pur accettando a priori di non riceverne.
Nel momento di lucidità, seppure frastornata e con stomaco, mente e anima ancora sconvolti, comprese cosa aveva fatto Gabriel, individuando la componente esibizionistica che aveva coltivato per averla ai suoi piedi.
Erano mille e uno i pensieri che le si accavallavano in testa, sovrapponendosi e confondendosi in un continuo movimento troppo veloce da poter fermare.
Il pensiero era la frustata che avrebbe denunciato il suo stato.
Il pensiero era il filo che che si vedeva, ma forse no, ma forse in controluce sì, ma forse se lo teneva in mano no, il tutto dipendente dalla volontà del Padrone.
Il pensiero era la camicetta non eccessivamente corta, la scollatura sufficientemente ampia, l’assenza di mutandine che le sembrava sarebbe stata notata da tutti e le autoreggenti il cui bordo sarebbe spettato a lei fare o meno vedere, a seconda della falcata della gamba o del movimento del corpo.
L’eccitazione dell’esibizione si sommò all'eccitazione dell’ignoto.
La poca resistenza era dovuta a quella parte del cervello che non staccava, ma che avrebbe fatto soccombere per scelta stessa del cervello che avrebbe perso la battaglia (mai effettivamente combattuta) con sé stessa.
Il Padrone si diresse verso la sosta taxi.
Furono 300 metri lunghissimi, lungo i quali lui l’aveva sempre tenuta al guinzaglio di nylon collegato al plug nella figa.
Ogni tanto Sophie si sentiva tirare il plug, assicurato all’interno del sesso dalle fettucce di pelle che le avvolgevano la vita.
Sarebbe bastato aprire appena la camicetta perché quelle fettucce potessero essere viste.
Camminando le sembrava che tutti si potessero rendere conto di cosa avesse dentro e dell’assenza delle mutandine, così come dell’assenza della gonna.
Che non avesse il reggiseno era evidente, posto che la camicetta copriva appena dopo il capezzolo.
Era chiaro a tutti quanto fosse vestita o, meglio, svestita.
Il buio forse non lasciava vedere la striscia rossa che dalla scollatura della camicetta si sarebbe potuto ammirare. Forse non lo lasciava vedere. Non sapeva cosa illuminassero i lampioni. Forse sperava si vedesse.
La falcata si allungò quel tanto da far vedere che indossava le autoreggenti.
Si sentiva bagnata. Si sentiva eccitata, si sentiva tenuta al guinzaglio peggio di una cagna, perché questa lo ha al collo, lei lo aveva alla fonte del piacere, di quella parte del suo corpo che sarebbe servita al piacere dell’uomo che quel guinzaglio teneva…o forse anche di altri.
Ma anche questa scelta era stata fatta, così come le altre.
Schiava di uno, forse a disposizione di altri.
Comunque schiava, tenuta al guinzaglio.
Salendo sul taxi, l’uomo si era voltato per vedere i clienti, come è cosa solita.
Lei ebbe modo di allungare più del dovuto la gamba, sicura che l’uomo avrebbe visto ciò che non c’era, con lo sguardo che inizialmente sarebbe stato attratto dalle autoreggenti ma che, subito dopo, sarebbe salito per cercare le mutandine e, sicuramente, avrebbe notato il plug con le fettucce ed il filo del guinzaglio che il Padrone aveva fatto in modo di lasciare, così che si vedesse la sua situazione di schiava, di cagna.
Il suo lato esibizionistico era esploso. Lui l’aveva fatto esplodere controllandolo. Lui l’aveva vista più di quanto lei stessa avrebbe pensato.
“Lascia schiuse le cosce durante tutto il viaggio”.
Il tono dell’ordine era inutilmente alto per lei, utile invece per essere udito dall’autista.
La sua mano si posò sul bordo delle autoreggenti e tenne stretto il guinzaglio che, teso, subiva ogni scossone dell’auto, trasmettendo tensione al plug nella figa.
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