Molti molti soldi

Scritto da , il 2022-07-28, genere etero

Ho pomiciato con tre ragazzi, non tutti e tre insieme. Sembravano essersi messi d'accordo tra loro. I primi due avevano qualche anno in più di me: uno mi ha messo le mani sulle tette, l'altro sul culo. Rigorosamente sopra il vestito. Il terzo no, era anche un po' più grande e forse non era più tanto “ragazzo”. La mano me l'ha praticamente subito infilata sotto la gonna mentre mi baciava.

Se me lo avessero raccontato qualche ora prima non ci avrei creduto, o avrei pensato che quelle cose le stavo facendo per scherzo, per ripicca. In realtà, quando quella danza di mani e di lingue è cominciata, ero andata un po' oltre lo scherzo e la ripicca. Diciamo che ero andata un po’ oltre in molti sensi. Il terzo ho lasciato che mi frugasse dentro, sì. Mi ha chiesto sfacciatamente un pompino, l'ho spinto via. Meglio, mi sono spinta via anche se l’ho fatto sorridendo. Via da lui e dal suo dito. Era caruccio, non bellissimo, gli altri due erano pure peggio. Sapevo di essere un oggetto di desiderio e la cosa mi eccitava tantissimo. A quel punto volevo scegliere.

Stamattina ho preso il treno alla stazione di Capalbio. Mi attendeva la festa di Fabiana, a Roma. Mi attendeva soprattutto Gianluca. Li ho conosciuti entrambi qualche sera fa, in un locale. Lui mi aveva fatto una corte educata, ma così serrata da mettermi in imbarazzo davanti a lei. "Sono solo un'amica" mi aveva tranquillizzata Fabiana, che aveva capito. Sono stati loro a riportarmi a casa.

Purtroppo due giorni dopo sono partita per il mare, ma con Gianluca abbiamo continuato a smessaggiarci. DM frequenti, promesse non mantenute di venire a trovarmi ad Ansedonia, foto mie in costume da bagno e outfit da aperitivo sulla spiaggia. "Con chi stai?", "amici", "solo amici?". Non è geloso, macché, ha però una incomprensibile ritrosia a credere che sia sfitta. Le smessaggiate si sono fatte molto presto più incalzanti ed esplicite, si sono spostate a notte fonda. E infine gli ho mandato la risposta a un suo vocale decisamente porno, ascoltato a letto con le earpods: una foto delle mie dita impiastricciate dalla parte più filamentosa di me. Ho dormito benissimo, quella notte, ma solo dopo un altro ditale in cui mi vedevo in piedi, con le mani contro il muro e lui dietro che me la lavorava prima con la lingua e poi con il suo cazzo, così come mi aveva descritto. Mi chiedevo cosa aspettasse ancora.

Ho comunque la netta sensazione che tra Gianluca e Fabiana ci sia qualcosa. In seguito saprò che è vero, ma all'inizio lui è stato piuttosto reticente. So invece che ha una fidanzata che studia a Pavia, su questo è stato chiaro sin da subito.

A me frega less than zero, ho già uno scopamico che tradisce la sua ragazza con me, e quando lui non è disponibile mi concedo degli extra con ragazzi ai quali di certo non vado a chiedere se siano impegnati o meno. Poche settimane fa ho fatto un pompino a un tipo, quando mi ha detto che si era innamorato l’ho mandato affanculo. La sera stessa ho passato un po' di tempo nella macchina di un ragazzo: il nome non me lo ricordo, Marco forse. Ma se ci fossimo scambiati i contatti non l'avrei registrato come Marco-forse ma come "bravo-bravo". Bravo-bravo è stata sicuramente la cosa che gli ho ripetuto più spesso in quel breve lasso di tempo. Per farvi capire: con nessuno di questi c’è la chimica che avverto con Gianluca.

Tasso di ninfomania mentre mi preparavo per andare alla festa: centocinquanta per cento. Scherzo, dai, ninfomania è una parola orribile e non mi piace. Diciamo che al centocinquanta per cento era schizzato il mio tasso di libido. Brusca discesa all'ottanta per cento dopo che Gianluca mi ha informata che non sarebbe passato a prendermi: spesa a parte, non avevo messo in conto di prendere un taxi. Immaginavo il mio ingresso alla festa scortata da lui.

Tasso di libido che crolla a zero quando alla festa ci arrivo davvero. E' in un comprensorio di ville di lusso ciascuna con la sua piscina. Il primo ragazzo che vedo, anche perché è l'unico che cerco, è proprio Gianluca. Purtroppo abbracciato a un'altra che ci metto un decimo di secondo a capire chi è. Impossibile sbagliarsi. Mi saluta, mi presenta, mi porta dalla festeggiata. Le consegno il regalo, un microkini che sognavo per me ma che al mare con i miei non posso indossare. Considerato il contesto, forse un po' troppo cheap come regalo. Con Gianluca mi comporto con una fredda, distaccata cortesia. Lo snobbo scherzando con Fabiana e dicendole che la differenza tra me e lei è tutta lì, tra il compiere gli anni alla fine di luglio e il compierli ad agosto inoltrato: "Credo di non avere mai avuto una festa di compleanno con più di otto persone".

La differenza non è tutta lì. L'ambiente trasuda money money money. Una cosa è la borghesia medio-alta, un'altra sono i soldi veri. Quando vedi certe cose te ne rendi conto, sin dal vialetto dove parcheggiano le macchine. Non è esattamente il tipo di sboccio cui sono abituata: quelli che ti versano da bere hanno la giacca bianca, ti chiedono "desidera signorina?", e i bicchieri non sono di carta.

Quando infine l'occasione lo consente, sono molto ma molto meno cortese con Gianluca: "Cos'è che ti fa dire certe cose ma ti impedisce di dirmi 'non venire'? Me ne rimanevo al mare!". "Scusa, mi sono vergognato, ho fatto una cazzata". Di cosa si sia vergognato, esattamente, non lo capisco né lo capirò mai in seguito. Forse non ha compreso bene che tipo sono, boh. Questo screzio non ci impedirà di ritrovarci in futuro, ma sul momento credo che si prenda uno dei più potenti vaffanculo mai indirizzati a essere umano. Mentre ostento distacco mi volto a guardare la sua fidanzata che parla con Fabiana.

In questo momento un po' mi sta sul cazzo pure lei, Fabiana. Un po' parecchio. Le accollo una responsabilità che non ha. Ma sapete com'è quando siete incazzate... Non so cosa fare. Di istinto, me ne andrei al volo, ma ho paura di sembrare quella che fa le scenate. Non so come spiegarlo, questione di amor proprio, più che altro. E una stupida, infantile, voglia di ripicca. Voglio che Gianluca mi veda. Non per farlo ingelosire, sticazzi, il mio è un atteggiamento tipo vaffanculo-me-la-cavo-anche-da-sola.

Così mi metto addosso il cartello "chi mi si piglia?" e inizio a gironzolare per il giardino. Cambio il tavolo dove mi servo, ne ho presi due di fila e il cameriere mi ha guardata male. Vorrei evitare il tipico "non staremo esagerando, signorina?".

Un gruppo di ragazzi grandi dà il pilotto a un gruppo di ragazze più piccole. Probabilmente si conoscono, chissà. Vorrei partecipare anche io, ne sono attratta. Ma, a parte il fatto che sono più piccola pure delle ragazze, ho l’impressione che queste ultime tendano a farlo rimanere un circolo esclusivo.

Tranne una, molto ridanciana, molto espansiva, anche troppo. Ci becchiamo vicino a uno dei tavoli del buffet. Mi dice il suo nome, che dimentico un minuto dopo, le dico il mio. Inizia a parlare, a fare domande su domande senza attendere risposta. È solo perché sono brilla che le chiedo “scusa, cos’hai preso?”, altrimenti mi sarei fatta i cazzi miei. Penso che si sia sparata un cannone ma di quelli veramente veramente buoni e non mi dispiacerebbe per nulla imitarla. Risponde “Calvin Klein, perché?” come se fosse la cosa più normale del mondo, indicando un tipo con un cenno del capo. Io fino a questo momento non sono mai andata oltre canne e pasticche e quel nome mi mette anche un po’ di paura. Essendo scema, me lo dico da sola, decido di provare. Vado, ma non pensate a un pusher orecchino e tatuaggio, pensate a un esemplare Tres Roma Nord con bermuda khaki e camicia Ralph Lauren d’ordinanza, azzurro scuro e button down. Mocassino sockless obbligatorio.

"Ciao, seeenti... mi hanno detto che hai qualcosa". Ride e sa benissimo chi mi ha detto e cosa, ma fa il finto tonto: "Qualcosa cosa?". "C&K?", ho quasi timore a dirlo. Ridacchia ancora e mi guarda, mi guarda a lungo con il sorrisino stampato in faccia: "No...", risponde scuotendo la testa. "Perché no?". "Daje, regazzì...". La faccia da adolescente a volte può essere un grosso ostacolo, me ne rendo conto. "Guarda che mica vado più a scuola...", insisto. Ride un'altra volta: "T'ho detto no, se vuoi ti do un'altra cosa". "Cosa?". "Vieni". Mi porta dieci passi più in là, lontano dai tavoli. Da una tasca dei bermuda tira fuori due cartoccetti, me li porge sul palmo della mano aperta, faccio per prenderli, richiude di scatto la mano: "Tu che mi dai?". Lo guardo. Essere impunita aiuta, essere una svergognata aiuta, essere ubriaca aiuta: "Beh, dipende dall'effetto che fanno...". Stavolta ride di cuore, rido anche io. Mi passa i cartoccetti come se ci stringessimo la mano: "Sei simpatica regazzì... due alla volta, ma lascia passare qualche ora, eh? E non ci bere litri di roba sopra". "Che sono?". "Fidati... e per il pompino semmai passa dopo ché per ora sto a posto", dice indicando con un cenno del capo proprio la ragazza che mi aveva indirizzata da lui.

E’ un po' come uno sganassone, non me l'aspettavo così greve, mentre chissà perché non mi stupisco più di tanto di quella ragazza. Gli faccio "uh uh... grazie", dicendo a me stessa che devo ricordarmi di non fare MAI un pompino a questo qui. Mi stava simpatico, di colpo lo trovo insopportabile. Mi allontano, mi calo le prime due con mezzo bicchiere di Uliveto. Mi chiedo che roba sia, vado a caccia della mia borsa per depositarci l'altro cartoccetto, torno a gironzolare sperando che qualcuno mi rimorchi e mi faccia ballare. Il primo è un tipo davvero improponibile, ma accetto. Almeno smuoviamo le acque. E' un ragazzo di ventidue anni, un po' grassoccio. Deve essersi dato da fare perché è parecchio sudato. Dopo avere parlato cinque secondi di sé mi fa un interrogatorio da Gestapo. Appena un pezzo dissolve nell'altro – il dj set è perfetto, bisogna dire - lo ringrazio e lo mollo brutalmente. "Scusa ma devo mettermi a cercare un bagno per rinfrescarmi, magari ci si vede dopo". Stronza e impeccabile, bene così. Non sento ancora nulla. Il bagno me lo vado a cercare davvero, ho bisogno di fare pipì e di acqua fresca in faccia e sulle braccia. Passo davanti a due tipi che stanno parlando e bevendo appoggiati a una colonna, uno dei due mi guarda da capo a piedi. Beh, magari questo no, dico a me stessa, ha l'età in cui comincio a chiamare gli uomini "signore". Per la prima volta mi rendo conto che la fauna in giardino andrà dai quattordici ai sessant’anni. E che c’è un sacco di gente, ma proprio tanta.

Al bagno non solo mi rinfresco, mi trucco anche un po’. Poco. Forse mi toglie l’aria da ragazzina. Non esageriamo, che poi è peggio, che poi davvero sembro una sedicenne patetica. Ripasso davanti ai due di prima. Stavolta il tipo mi segue apertamente con lo sguardo. Fa effetto. Mi sento perlustrata con gli occhi, mi sento nuda, SONO nuda. E non solo perché indosso un vestitino che mi lascia la schiena scoperta praticamente fino al sedere. L’avevo scelto immaginando Gianluca che me lo faceva precipitare a terra spostandomi semplicemente le spalline. Fanculo. Adesso invece è un uomo che mi spoglia, anche se solo con lo sguardo. Mai compresa l’espressione “spogliare con lo sguardo” come in questo momento, è come se mi avesse tolto anche il perizoma.

Ebbene sì, fa effetto. Provo il pudore e l’eccitazione di essere squadrata così da un uomo fatto e finito. Anche perché, eh già, comincia a fare effetto pure quello che mi sono calata. All’inizio non te ne rendi conto che sta arrivando, ma non può essere che così. Mi sento incredibilmente tranquilla e molto forte, mi sento molto sicura e bad girl. Tengo la testa alta e passo oltre, un intero immaginario erotico mi scoppia in testa. Ehi, la cicognona bionda dalle cosce sottili e sterminate comincia a sentirsi surriscaldata.

Gianluca è scomparso dai radar, starà facendo con la fidanzata quello che aveva detto di voler fare a me? Fabiana appare e scompare, qualche volta con il suo fidanzato alle costole altre no. Faccio pensieri osceni, immagino orge di compleanno. Il gruppo dei ragazzi grandi e delle ragazze un po’ meno grandi è sempre lì. Non so come funzioni tra loro, ma ho la netta sensazione che al momento siano in zona-punto-morto. La conversazione langue, sento una che fa “ma come ti va de ballà co’ sto caldo?”.

Rispetto a prima, io però sono un’altra persona. “Scusate”, mi siedo su un divanetto facendo finta di sistemare un cinturino dell’infradito. “Mi hanno pestato un piede”, sorrido interrompendo un attimo la messinscena e guardando il gruppo. Beh, ad una prima ricognizione ravvicinata tra i maschi ce ne sono tre o quattro che potrebbero valere il pensiero. Il “ti sei fatta male?” di un ragazzo è un incoraggiante punto di partenza. Il “ti va di bere qualcosa?” di un altro è la conferma che lì ci posso piantare le tende. Invece, il mio “graaazie… se vuoi proprio farmi innamorare… non è che hai una sigaretta?” credo che si trovi nel secondo o terzo capitolo del Manuale della Gatta Morta. Un manuale da usare cum grano salis, sisters, ma a volte è utile.

Ciao, sono Annalisa, sono disponibile. Per me basterebbe questo. O anche: “sono fatta, avete qualche idea divertente?”. Ma per entrare nel circolo non basta, per entrare nel circolo bisogna passare l'esame del chi-sei, chi-conosci-qui, cosa-fai-nella-vita, dove-abiti, che-fanno-i-tuoi. Pago il pedaggio e non lo trovo per nulla fastidioso, anzi. Mi prendo la scena. Alle ragazze, pure un po’ ostentatamente, sembra non fregare un cazzo di me. Qualcuna che pensa “e mò chi è sta puttana?” c’è di sicuro. Tra i ragazzi qualcuno che pensa “questa ha una fame di cetriolo che se la porta via” c’è di sicuro. C'è sempre, a torto o a ragione.

All’improvviso una mano maschile sulla spalla. Qualcosa di più di un contatto di saluto. Mi volto e alzo lo sguardo, “ehi, ciao”, mi esibisco nel mio bianco sorriso a millecinquecento denti. E’ quello che mi ha passato la roba. Come si cambia, eh? Non lo detesto più, tutt’altro. Metto la mia mano sulla sua in segno di gradimento: se è venuto a riscuotere sono pronta. Folata di foja: per un attimo ho proprio voglia di qualcuno che mi infili brutalmente un cazzo in bocca, possibilmente già duro. Per la prima volta nella serata avverto la contrazione forte, la schiusa. Non deve metterlo necessariamente solo in bocca, ok. Lo sguardo che ci scambiamo è abbastanza eloquente. La sua stretta di mano dice “sei pronta?”, la mia dice “sono pronta”.

Una tipa però lo richiama con un vieni-un-attimo. Per quanto ne so potrebbe essere la madre, ma è difficile. La madre avrebbe altissime probabilità di essere mandata affanculo in un momento come questo, invece lui esegue, la segue. Sarà durato tutto meno di dieci secondi, al termine dei quali mi sento euforicamente decollata. Ero pronta a giocare pesante, wow, lo sono ancora. Quelle pasticche sono formidabili, chissà cosa sono. Una ragazza del gruppo ce-l’abbiamo-solo-noi mi osserva, secondo me ha capito tutto.

“Troppo caldo per fare due zompi?”. “Ma no, non fa tutto sto caldo”. Seguo il ragazzo che mi ha invitata saltellando come un grillo, ma se avessi la coda scodinzolerei. Alle mie spalle sento proiettili di odio distillato. Non ballo solo con lui, ne seguono altri, altri ancora torno io stessa ad invitarli. Invito anche le ragazze, per il puro gusto di sfotterle. Per fortuna ricevo solo dei nasalissimi “gnaaa… graaazie…”. Made in Vigna Clara, sono arcisicura. Accetto strette, accetto mani, accetto accenni di pomicio. Pomicio con due tipi mentre ballo due slow. Con il terzo no. Con il terzo ci siamo messi dietro un angolo a fumare. Un eufemismo per dire che ci siamo appartati. Mi ha baciata, mi ha baciata più forte, mi ha messo la mano dentro le mutandine, mi ha detto “sei depilata benissimo”, mi ha messo un dito dentro la fica, mi ha tolto il fiato per un secondo. Gli ho sfiorato il pacco ed era duro. Mi ha chiesto “li sai fare i pompini?”. L’ho rimbalzato, nonostante avessi voglia esattamente di quella sfacciataggine lì. Mi sento troppo bad girl per non sapere che posso trovare di meglio. Uno di quei tre-quattro che ho individuato prima, per esempio.

Sfortunatamente, per un po’ gira malissimo. Capita. L’unico che mentre balliamo mi si mette alle spalle, mi blocca le braccia e (forse, non lo giurerei) mi fa sentire la dotazione sulle chiappe è, purtroppo per lui, out of target. Fa molto il Sean Patrick Thomas della situazione, ma è più uno del tipo “se sulla Terra foste rimasti solo te e Hagrid avrei difficoltà a scegliere”. E invece a questo punto ho anche una certa ansia di scegliere: non vorrei che finisse l’effetto dell’additivo e poi magari mi pigliasse un down micidiale. Che ne so di come funziona quella roba? Così, mentre balliamo, ne pesco uno più che decente, Fabio, e gli dico se mi accompagna per una pausa-reidratazione. Credo di essere stata chiara, no? Mentre cerchiamo qualcosa da bere una voce lo chiama, lui si blocca. Mi blocco anche io, mi volto. Bum. E’ quell’uomo che mi aveva spogliata con lo sguardo, prima. Il ragazzo che è con me fa “ciao zio”, io mi irrigidisco.

Convenevoli, nulla di rilevante. Comincio a pensare che sia stato solo un pretesto per fermarci. Ora che lo guardo da vicino, confermerei sui quaranta. Pantaloni crema, camicia a righine, naturalmente mocassini senza calze, qualche brizzolo. Forse è anche un po’ brillo. Al polso una patacca che più che a indicare l’ora serve a far capire che i soldi gli escono dalle orecchie. I raggi X li so fare anch’io, anche se ammetto che rispetto a lui sono una dilettante. “Chi è questa bella ragazza? Una tua amica?”. Ma chi sono l’ha capito benissimo. A una brava ragazza non metterebbe una mano sulla schiena nuda e poi sul fianco attirandola a sé: “Ti stai divertendo?”. La pressione di quella mano è inequivocabile. Vampata. Quando io e il ragazzo ci allontaniamo la conversazione è: “Mio zio…”. “Giovane!”. “E’ il debosciato della famiglia ahahahah”.

De-bo-scia-to. Prima di adesso penso di averla solo letta questa parola, non lo so. Debosciato. Forse anche adesso mi segue con gli occhi mentre ci allontaniamo, forse mi basterebbe voltare per un istante la testa e il modo lo troverebbe lui. “Dove le porti le donne? Mi fai vedere?”. Quello che mi è passato per il cervello mentre gli sorridevo “arrivederci, buonasera” invece è stato: porco cane, ma perché cazzo non mi trascini in un angolo e mi insegni a vivere?

Tasso di libidine: diecimila per cento, ormai. Penso: qualcosa sta per succedere, qualcosa DEVE succedere. Mi siedo su uno sgabello e dico al mio accompagnatore che sono un po’ stanca e se per favore mi prende lui qualcosa da bere. Quando mi afferra il gomito per chiedermi cosa voglio, il suo tocco non ha nulla, ma proprio nulla, di quello dello zio. Incredibile come le mani possano comunicarti qualcosa.

Ma comunque, non è per questo che lo scarto. Delmo è semplicemente il più tempestivo, il più spiritoso. Forse il più grande del mazzo, forse sulla trentina ma come si fa a dirlo? Camicia di Burlon stranamente sobria e pantaloni morbidi color miele, sneakers bianche YSL. Al polso un braccialetto minimal oro e diamanti, probabilmente veri, che risalta sull’abbronzatura. L'avevo notato, ci avevo anche fatto due chiacchiere a distanza, mi ero pure domandata "ma che cazzo di nome è Delmo?". Beh, è il nome di uno che piomba come un avvoltoio. Il profumo giusto, il sorriso giusto, le parole giuste, il momento giusto: "Mi piacerebbe accompagnarti a casa", "ma io non ho voglia di andare a casa", "perfetto, allora dopo ti accompagno a casa mia", "ahahahahah". Chiacchiere poche, sguardi che dicono molto più delle chiacchiere, contatti limitati a una mano sulla spalla. "Mi sento tutta inzaccherata", per scusarmi e farmi dire il contrario. "Ma no, sei fresca come una rosa". Poi senza preavviso l'annuncio urbi et orbi: "noi andiamo". E la mano che prima stava sulla spalla depositata sulla coscia. Non particolarmente volgare, ma esplicita sì. E anche sfacciatamente pubblica. Comunicazione di servizio: "stanotte questa me la faccio io". Mi volto verso di lui, sostengo il suo sguardo, ci trovo tante cose, quasi tutte promesse da animale. Cosa mi trattenga dal dirgli "perché non mi scopi qui?" non lo so proprio. Ma so che mi servirebbe un Lines ultra. Molto per colpa sua e un po' anche per colpa di una del gruppo ce-l’abbiamo-solo-noi che ha su un vestito da millemila euro. Il fatto che sappia come andrà a finire, che abbia capito, mi fa impazzire, ce l'ha scritto in faccia: "Sei un rimorchio facile, sei una zoccolina da quattro soldi". Tu invece sei una stronza snob di merda e frigida come un Whirlpool ma ci hai preso, amica mia. Il mio tasso di cazzo-me-ne-frega è pari a zero. Voglio fare sesso, voglio venire, non riesco a pensare ad altro che a come potrebbe chiavarmi e farmi venire uno così, uno come Delmo.

Il primo bacio da apnea ce lo diamo mentre siamo a due passi dalla sua macchina. La mano sul culo, “sei fregna”. Io colo. Non lo so se il cabrio su cui montiamo è Bmw, Mercedes, Porsche o che cazzo so io. Non è che non me lo ricordo, non lo so proprio. So però che su una macchina così non ci sono mai salita, io quasi quasi gli chiedo se mi scopa subito, sul sedile. Romba, parte, sembra che abbia più fretta di me. Quando dopo un po' schizza sulla Flaminia lo fa come se fossimo soli al mondo. Sono un mix di eccitazione e paura, evidentemente c'è una parte del mio cervello che non è stata conquistata dalle sostanze di quelle pillole. Sono pervasa dal desiderio, sono tesa per la velocità.

"Perché non rallenti un po'?". "Ahahahah, paura? Tra cinque minuti siamo arrivati". Forse per dimostrarmi che non devo avere paura, più verosimilmente perché è proprio matto, guida con una mano e con l’altra mi abbassa una spallina, mi scopre una tetta, fresco sul capezzolo. Alza, un po' la gonna, mi fruga tra le gambe. Penso: cazzo, così ci schiantiamo. Dico: “no, pensa a guidare”. Penso: non riesco a chiudere le gambe. Dico: “cazzo, fermati”. Quando ritira il dito strisciandolo sul grilletto ho un brivido talmente forte che mi dico “ci siamo". Mi sento ammattita e senza pudore, spero ardentemente che il semaforo di Corso Francia sia rosso e che qualcuno ci affianchi e mi veda. Il semaforo di Corso Francia è rosso, ma ci sono solo luci di macchine lontane. Non si ferma, svolta per Fleming come se nulla fosse. Ansimo, pulso, penso "se mi rimetti un dito dentro strillerò su questa salita".

Una palazzina come questa ha sicuramente dei posti auto all'interno. Se ne frega, parcheggia con le ruote su un marciapiede. Scendo, lo attendo mentre richiude il tettuccio, io non me ne rendo conto ma ho ancora un seno scoperto. Sorride, alza l'orlo con due dita e me lo ricopre con delicatezza, come se ci tenesse a non sfiorarlo nemmeno. I miei capezzoli protestano tirando e cercando di bucare il tessuto. La sua delicatezza si trasforma in una tastata di tette in mezzo alla strada che è il perfetto pendant del gesto con cui prima aveva comunicato al mondo “questa è mia”. Mi aspetto un altro bacio, desidero un altro bacio. Non arriva, fremo per il suo palpeggiamento. Mi indica le scalette, mi cede il passo, mi mette le mani sul culo, stavolta entrambe e direttamente sotto la gonna. Mi blocco, mi artiglia, mi strizza, mi gioca. Dice "ammazza... ammazza regazzì". Per la prima volta lo sento più arrapato che sicuro di se stesso. Ma sorprendentemente diventa quasi dolce: bacio a sfioro sulle labbra e "dimmi quanta voglia hai ora". Ho voglia di vederglielo, ho voglia di assaggiarglielo con la bocca. L'esplosione del mio corpo e del mio cervello travolge dignità e buona educazione: "Te lo succhio, anche qui". Credo di essere così… evidente ai suoi occhi! Che non sono una brava ragazza l'abbiamo già detto, vero? E che sono strafatta?

Bella casa, magari un po' troppo marmo per i miei gusti ma bella casa. Adagio i piedi nudi sul pavimento fresco. Solo l'arredo dell'ingresso vale un occhio. Me ne accorgo perché lui è in pieno slow down, come se dopo che gli ho detto quella cosa avesse tirato con violenza il freno. Ma perché? Ho avuto troppa fretta? Io al contrario non mi sento così, anzi mi stupisco ancora una volta delle pasticche che ho buttato giù: ho addosso tutta la voglia del mondo e sono allegramente priva di qualsiasi inibizione, è vero, ma sono lucida, lucidissima. Molto più lucida di quando bevo, molto più lucida che con le cose che mi calo in disco, quando poi faccio fatica a ricordare per bene. Sono talmente lucida che, adesso che il suo sguardo non dice più "ti faccio la festa" e che le sue mani non mi percorrono più, riesco a impormi di accettare il suo gioco. Anche se, diciamolo, uno spritz a quest'ora non c'entra un cazzo. Saranno le due, due e mezza. "Chi ha stabilito che ci sia un'ora? Almeno è fresco". Ok, una cosa fresca ci sta. "Tanto lo so che non stai cercando di farmi ubriacare, non ce n’è bisogno ahahahah". Ridarella davanti al frigo mentre riempie i bicchieri. Ora m'è presa a ridarella spinta. E' già passato il momento di lucidità? Non proprio, l'educazione è ripristinata. Quella che impone di sorridere e dire "grazie", afferrando il bicchiere che mi porge prima di assentarsi: “Torno subito, vado un attimo in bagno”. Da come ridacchia mi chiedo se non sia quanto meno brillo pure lui.

“Dove sei?”. Le scarpe e la borsa lasciate nel salone dovrebbero dirgli che non mi sono dileguata. Entrambi sappiamo che potrebbe accadere ovunque: sul divano, sul tavolo, sulla poltrona, anche per terra. Ma non è stato difficile trovare la camera da letto, stendermi lì ad aspettarlo. Indecisione: dovrei spogliarmi? Sarebbe da sballo aspettarlo nuda, ma voglio che lo faccia lui, voglio che con le mani mi dica “adesso ti sbrano”, voglio essere sbranata. Le altre due pillole che quel ragazzo mi ha dato le ho ingollate con il primo sorso di spritz. Sarà passato abbastanza tempo? Non credo proprio, chissenefrega. Niente copriletto, solo il fresco delle lenzuola, magnifico. Non è la prima volta che dormo con un ragazzo, ma con Delmo sento che non avremo un futuro. L'unico timore che avverto, molto remoto, è che lui mi metta a posto così bene che potrei rimpiangerlo. Mi rendo conto, sono pensieri da pazza. Ma un po’ mi colpisce il pensiero che questa sarà la prima, consapevole, one-night-stand della mia vita. E su un letto bello comodo, l'aria condizionata e dentro una casa da paura: scopami-stanotte-e-tanti-saluti. Magari anche domattina, va', magari mentre mamma mi manda un messaggio per sapere a che ora deve spedire papà a prendermi alla stazione.

In ogni caso, altro che farsi sbattere in macchina o in un cesso. Mi commento da sola, non vi scomodate: che puttana.

Delmo riappare con il bicchiere in mano e sul viso il sorrisino di chi sa di avere stravinto, però sa come stravincere: “Ti sei già accomodata?”. Sono le cose come quel “già” che mi fanno sbroccare.

"Un po' mi spiace per Andrea", dice stendendosi. Il bicchiere finisce poggiato alla cieca per terra, non ha mai smesso di osservarmi e di sorridere. Il mio sguardo invece è tipo "chi cazzo sarebbe sto Andrea?". "E’ quello che ti ha dato la roba... che ti ha dato?". "Pasticche, non hai visto? Non so cosa siano ma sono fantastiche". "Ahahahah, ha una coscienza, almeno... no, non ho visto, ho visto quando è venuto a cercarti". Non c'è bisogno di chiedere altri chiarimenti, direi. "Chi è quella signora che se l'è portato via?". "Non ho idea, non la conosco". "E perché ti dispiace? Se fossi andata con lui...". "Naaaa, non posso mica essere geloso di un pompino ad Andrea". "Ma magari non sarei qui...". "Ti sarebbe bastato?". "Che ne sai, magari avremmo fatto anche altro". "Non penso, la sua tariffa è un pompino, pagamento dilazionato... solo a quella matta di Piera lo chiede in anticipo ahahahah. Ma non preoccuparti il debito è saldato”.

Lo guardo male, lo guardo con curiosità. Vorrei che mi dicesse tutto ma non sono sicura che mi piaccia quello che dice. Ho anche una sensazione strana, la sensazione che voglia farmi vergognare di ciò che sto facendo. E’ difficile da motivare, ma è netta.

Credo che invece lui colga solo la mia curiosità: "Piera è quella che ti ha fatto conoscere Andrea...". "Ah... e perché lei in anticipo?". "Perché quando è strafatta non sa nemmeno come si chiama, prima invece non ha problemi". "Come fai a dire che Andrea non mi sarebbe bastato?". "Diciamo che ho fatto una scommessa... con me stesso, eh? non con altri". "Mi puntavi?", domando un po' sorpresa ma eccitata dalla rivelazione. "No, all’inizio non ti puntavo... ma a un certo punto sì, è stato chiarissimo: tu eri già su questo letto, solo che non lo sapevi".

Vittima predestinata, scarica di adrenalina. Respiro accelerato, tachicardia, cambiamenti morfologici in progress. Non riesco a trovare una parola di replica che sia una. E anche se la trovassi è tutto da dimostrare che sarei in grado di pronunciarla, in ogni caso lui non me ne lascerebbe il tempo. Mi prende lo spritz dalle mani e lo poggia su una mensolina. Mi stende sul letto e mi porta le braccia all'indietro intrecciando le sue dita con le mie. Torna dolce con un bacio su un occhio e uno poggiato sulle labbra, ma con lui è come stare sulle montagne russe.

"Vediamo la merce", dice. La merce. Come la frutta ai mercati generali o un quarto di bue in macelleria. O come una ragazza che non avrebbe mai la forza di sottrarsi. Merce, appunto. Conosco già la sensazione di essere usata, mi piace. Essere merce ha una parentela molto stretta con l'essere usata, mi piace anche questo. Merce, mercificata, è ok. La sua mano passa sulle gambe, poi su su sopra il vestito. Ricomincio ad ansimare, sono soggiogata da quella mano che imprigiona le mie, è uno stato di subordinazione fisica, prima che mentale. So che ci siamo, mi chiedo solo quando. Aspetto solo quando.

Il più disinvolta possibile: "Allora, la merce merita?". Risponde "mmm... sì, ma c'è di meglio". Scherza, forse non scherza, prende in giro, mi denigra, non capisce come sto, non capisce che faccio la distaccata ma pendo dal suo giudizio. No, anzi, lo sa benissimo. E poi, all'improvviso e senza preavviso, non sono più io a parlare ma la roba che mi sono calata: "Sempre meglio di quelle fregnesecche, no?".

Davvero, non sono io a parlare, non è possibile. Avrei potuto tranquillamente dire cose peggiori, elencare un bestiario intero per descrivere la conventicola delle ce-l’abbiamo-solo-noi, ma questa parola non viene da me, non mi ci riconosco in questa sbroccata da perfetta coatta. Anzi, meglio: da perfetto coatto che hai appena rimbalzato in disco, l’insulto di chi hai respinto: lesbica, frigida, fregnasecca… c’è un intero campionario. Non può che essere colpa di quella roba, è lei che parla per me. Delmo scoppia a ridere, sghignazza proprio per la mia volgarità lasciandomi in balìa dell'eco delle mie parole che si spegne. Prosegue nella sua perlustrazione, mi alza il vestito sin sotto la gola, mi spennella le labbra con la lingua mentre graffia morbidamente la mia pancia. Quando con la mano libera inizia a giocare con un seno e la bocca la porta sull'altro mi trasforma in una generatrice di gemiti, sospiri, miagolii, piccoli contorcimenti. Vorrei tanto mettergli una mano sulla nuca, fermarlo dove sta, dirgli un silenzioso "continua, mi piace, mi piace tanto anche quando mi fai un po' male, mi fai impazzire". Ma anche le sue dita che mi bloccano intrecciate alle mie non sono per nulla spiacevoli, ma proprio per niente, proprio per niente.

Cedo, semplicemente cedo. Non credo che lui si accorga di nulla, anzi penso che sia proprio impossibile che qualcuno si accorga di qualcosa. E' proprio un fatto interno, mio, che avviene nella mia mente e nel mio corpo. E' come se un'onda più forte delle altre avesse slacciato il nodo fatto alla boa e il materassino sul quale sono distesa andasse alla deriva. Andasse pure, succeda pure di tutto. Tipo che mi tolga il vestitino.

Sussurra sulle mie labbra parole che hanno il tono della gentilezza ma dicono tutto il contrario: "A quest'ora una di quelle fregnesecche è in viaggio per farsi inculare dallo zio di Fabio, e penso anche di sapere chi... nulla di sorprendente, eh? ma io la barca a Fiumicino non ce l'ho". Curiosità vorrebbe ancora che domandassi "chi?". Sarebbe anche eccitante saperlo: chi è andata a farsi sbattere da quello? Ma non sono in grado di parlare, la pura verità è questa. "Porto di Fiumicino-Succursale", sulla trasparenza del mio perizoma c'è scritto questo. Quando ci infila la mano dentro non può non accorgersene. Mi accarezza, urgh, mi trafigge.

“Guido me l’aveva detto che ti bagni tanto…”. Stavolta rinuncio a chiedergli chi sia Guido, è tutto chiaro. “Sapevi anche che non sarei andata con lui?”. “Se fossi andata con lui ne sarei rimasto deluso, è un coglione, non è alla tua altezza”. Lo dice muovendo il dito dentro di me, piano. Io non sono più in grado di parlare, so che perderò ogni residua briciola di dignità quando potrò tornare a farlo. Ma prima dovrò subire ancora il suo gioco, che è quello di portarmi in alto e poi precipitarmi giù, ormai l’ho capito.

“Li ho osservati i tuoi limoni con lui e quegli altri due, sai? Si capiva che cercavi di meglio… la figlia del professore che va a caccia alle feste... la ragazzina no-io-il-fidanzato-non-ce-l'ho perché vuole essere la fidanzata di tutti... la biondina sì-ti-faccio-un-pompino quando sente una mano sulla spalla... sei tu, no? dillo che sei tu". Sussurra questo e altro al mio orecchio come se fossero parole di seduzione, mi sditalina e si ferma, mi sditalina e si ferma. "Dillo che sei tu, dillo... cercavi qualcuno in particolare stasera? ti hanno dato buca? Oppure sei venuta pensando 'tanto uno alla fine lo trovo'? dillo...". Il suo dito smette di fottermi, appena esce avverto un vuoto insostenibile e battente. Mi afferra il mento con la mano, posso facilmente sentirci sopra il mio odore. "Dillo...". "Ci godi a parlarmi come a una puttana?". "Magari ci godi anche tu, chi lo sa, la metà di quelle che chiami fregnesecche ci gode...". "E' l'altra metà?". "L'altra metà non vale un cazzo... non il mio, almeno, ma quando ce ne siamo andati ti hanno invidiata, stanne certa. Allora, ci godi o sei timida? Io non ci credo che sei timida...". "Mai stata timida...". "E allora dillo". "Cosa?". "Che stasera eri venuta con le gambe già aperte".

Il suo gioco mi respinge e mi attrae. Ho giocato tante volte anche io, ma mai così: “Sei una troia, sei una bocchinara”, “sì sono una troia e una bocchinara”. Mi eccitavo a sentirmelo dire, poi tutto finiva e si tornava pari, più o meno. Se poi pensavano che ero davvero una troia e una bocchinara sticazzi, per me valeva davvero lo spazio del gioco. Con lui è diverso, è come se dovesse far valere il principio che sono una nullità, che io esista o non esista non è poi così importante. Al di fuori di questa notte e di questo letto, ovviamente. Ma prima e dopo è come se lui volesse rendermi evidente che non valgo un cazzo. Questo mi respinge, anzi mi fa quasi paura. La sua insistenza, la sua determinazione e, diciamolo pure, la sua cattiveria nell’esigere la mia capitolazione, invece, mi attraggono.

E va bene, gli mormoro "sì sono una troia" e sono la prima a sentire di intenderlo esattamente come lo intende lui. Non è più solo il mio corpo ad avere ceduto. Gli monto sopra, lo guardo. "Tu però sei un pervertito...".

Per-ver-ti-to. L'unica volta che ho usato questa parola, che io mi ricordi, è stato poco più di un mese, un mese e mezzo fa, forse due. Quando a essere inculata sono stata io, dal mio scopamico. Allora era un insulto, un rifiuto. Adesso è un invito a conciarmi per le feste.

Via scarpe, calzoni, mutande a pantaloncino. Curioso, quando ci baciavamo in strada gli toccavo il petto e avevo l'urgente desiderio di vedere com’è fatto sotto quella camicia di Burlon. Adesso la camicia è l’unica cosa che gli è rimasta addosso. Mi ribalta, è lui a essere di nuovo sopra. Mi stringe forte la coscia, risale. Pregusto il momento in cui infilerà di nuovo la mano sotto il microintimo. Dovrei mettergli la mia sul cazzo? Lasciarlo fare? Indecisa, rido. Lui non ha fretta, mi gira e mi rigira. Mi palpa, mi tocca, mi strizza. Rotolo sul letto ridacchiando, supplicando nell’attesa, sbavando di desiderio. Girata ancora? Così? Ma perché? Oh, piano però, se avevo lo string me lo rompevi. Che peraltro poteva anche essere una buona idea. Ah ok, capito, vuoi vedere i buchetti, accarezzarli, passare il dito, farmi morire di brividi. "Ti piace qui?", "Nooo", "Qui sì però...", "Aah... ah... ah...". Che dici? Se non mi piaceva stavo qui sul tuo letto a farmi sditalinare? E no, dai, mi giri ancora? Ma che è? Vuoi che mi strappi i capelli implorando? Beh ok, se mi devi togliere le mutandine è ok. "Devi chiudere le cosce, però...", "va bene, ma per stanotte è l'ultima volta ahahahah...".

Lo guardo sollevando il bacino e vedo il suo sorriso ghignante, lo guardo quando me le sfila e lo vedo lanciarle all’indietro in chissà quale iperspazio. Lo guardo e vedo… sì, ok, ve la do sta soddisfazione da arrapati… Lo guardo e vedo il suo cazzo, pronto almeno quanto sono pronta io. Contrasta con il pallore della zona coperta dai pantaloncini da bagno, è più scuro, ha una capocchia gonfia e rossa che minaccia sfracelli e promette paradisi. Lo guardo e all’improvviso, incredibilmente anche se per un solo secondo, vedo tutti loro. Tutti. Tutto il gruppo dei ragazzi e delle ragazze ce-l’abbiamo-solo-noi. Ma vedo soprattutto i ragazzi. Quelli che ci hanno provato, quelli che era inutile che ci provassero, quelli che poteva andargli bene ma sono stati sfortunati. Vedo Fabio, lui sì che poteva essere al posto di Delmo, adesso. Doveva farmelo capire, gli sarebbe bastata la parola giusta, gli sarebbe bastato prendermi per la vita, mettermi una mano sulla schiena nuda come ha fatto lo zio, mettermi una mano sulla gamba come ha fatto Delmo, mettermi una mano sul culo. E’ stato lento e indeciso, non sfortunato.

E forse a essere la fortunata sono io. Sono stata presa non dal più ambito, ma dal più rapace. Mi sembra di sentirlo il commento ironico e fintamente sconsolato dopo che ce ne siamo andati: “E pure questa se l’è battezzata Delmo….”. “E vabbè, dopo ce passa er numero”.

Difficile spiegare perché, ma io lo sento fortissimamente che è andata così. Che questa sera siamo stati tutti personaggi di un film girato tante volte. Un film che può avere tanti epiloghi: un duello su un letto, una corsa alcolica su un maxi suv verso il primo cappuccino e cornetto di Fregene, un after da mezzo coma o da mezzo stupro. Per me è l’esordio sugli schermi, ma per tutti loro è la regola. Mi disturba? No, in fondo non mi disturba. Ho visto il lampo negli occhi di Delmo quando mi ha tirato via il perizoma, ho visto quegli occhi puntati sulla mia vagina in subbuglio. Ce n’erano di belle fiche, mica ero la sola. Di certo sono quella nuova, però. Dai Delmo, che aspetti? Un altro bollino sul cazzo, arricchisci la collezione e domani vantati, denigrami ed esaltami. E’ sempre stata una mia ossessione, ma adesso è più forte di sempre. Il dopo, le conversazioni del giorno dopo. Me le sono sempre immaginate dentro uno spogliatoio. Calcetto, in genere, ma nel loro caso direi più tennis. Le Nike da trecento euro lorde di terra rossa e scalciate via.

“Com’era quella troietta nuova?”. “L’hai detto, ‘na troietta”. “Eh, se vedeva che c’aveva fame”. “Fame? quella ce se magna a tutti e quattro a forza de pompini”. Confidenze maschili, fantasie maschili. O meglio, fantasie di una ragazza sulle fantasie maschili. Buone per masturbarcisi sopra, se vi piace il genere. E a me piace.

Se vi siete fatti l’idea che sia matta non sbagliate, ma mentre vedo Delmo che si prende l’uccello in mano e si appresta a piantarmelo dentro io penso esattamente a questo. Penso al ditale che mi farò immaginando di essere una mosca che vola in quello spogliatoio, che ascolta i loro discorsi, vede i corpi nudi, i muscoli, i cazzi. Mi trasformerò e mi inginocchierò davanti a ognuno di loro, uno dopo l’altro. “Te l’avevo detto che è ‘na bocchinara super”. Mi eccita il fatto che qualcuno possa pensare o parlare così di me: “E’ ‘na zoccola nata, quant’anni ha detto che c’ha?”.

Diciannove tra qualche giorno, ve l’ho detto quando mi avete fatto l’esame ma ve lo ridico. Tanto Delmo non lo ricorda e manco me l’ha più chiesto. Vi impressiona la differenza di età? Mica è tanta, dai, col tempo ho fatto pure peggio.

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