Shopping al centro commerciale - cap.4
di
Petulka
genere
orge
La pace fu un'illusione che durò il tempo di un respiro. Mentre Petra si trascinava via dal parcheggio, un abbagliante la accecò. Un furgone bianco, senza insegne, si era fermato a pochi metri da lei. Due uomini scesero. Non erano operai, non erano tossici. Erano puliti, silenziosi, con gli occhi freddi e vuoti di chi ha visto troppe cose e non ne sente più nessuna. Indossavano tute nere e guanti di lattice.
"Signorina Petra, crediamo?" disse uno dei due, con una voce calma e senza inflessioni. Non le chiesero se stesse bene. Non la guardarono con disgusto o desiderio. La guardarono come un campione da prelevare.
Prima che lei potesse reagire, le furono addosso. La afferrarono con una forza che non lasciava scampo. Le infilarono un cappuccio in testa e la sollevarono di peso, gettandola sul pavimento freddo del furgone come un sacco della spazzatura. La portarono via, nel silenzio totale della notte.
Quando le tolsero il cappuccio, non era più in un luogo sporco o abbandonato. Era in una stanza bianca. Sterilizzata. Le pareti erano di piastrelle bianche, il pavimento di linoleum bianco, il metallo del lettino su cui era sdraiata era freddo e bianco. L'odore era di disinfettante, un odore chimico che le bruciava le narici. Era legata a quel lettino da cinghie di pelle strette ai polsi e alle caviglie. Era completamente immobile, aperta, esposta.
Una porta si aprì. Entrò una donna. Alta, snella, con un camice bianco impeccabile e degli occhiali da vista che le davano un'aria intellettuale e crudele. I suoi capelli erano raccolti in uno chignon severo. Dietro di lei, i due uomini in tuta nera.
"Signorina Petra," disse la donna, la sua voce era un sibilo di seta e veleno. "Sono la Dottoressa Aris. Lei è un caso... affascinante. Una donna di classe, sposata, che si abbandona a un degrado così completo. La sua psiche è un campo di battaglia tra il desiderio di annientamento e il bisogno di essere dominata. Noi siamo qui per aiutarla a trovare un equilibrio."
Petra la guardò con terrore. "Chi siete? Cosa volete?" balbettò, con la voce tremolante.
"Noi siamo i curatori," rispose la Dottoressa Aris, avvicinandosi al lettino. "E la cura, mia cara, è il dolore. Il dolore puro, metodico, scientifico. Dobbiamo spingerla oltre il suo limite, fino a quando il suo corpo e la sua mente non saranno più suoi, ma un terreno di gioco per noi."
Con un cenno, uno degli uomini le infilò un morso in bocca. Non era di pelle, ma di metallo freddo, con una leva che le allargava la mascella, tenendola aperta in una posizione innaturale e dolorosa. Non poteva né chiudere la bocca né parlare.
La Dottoressa Aris indossò un paio di guanti bianchi, facendoli schioccare con calma. Prese uno strumento dal carrello: un sondino metallico, lungo e sottile, con una sfera all'estremità. "Prima, la pulizia," disse, e con un movimento preciso, lo infilò nel suo uretra. Petra urlò contro il morso, un suono strozzato e disperato. La donna lo spinse più a fondo, poi iniziò a ruotarlo, grattandola dall'interno. "Vede? Il suo corpo è un contenitore. Dobbiamo svuotarlo completamente."
Poi prese un altro oggetto. Un grande dildo di vetro, trasparente e gelido. "Ora, la stimolazione," continuò la dottoressa, come se stesse tenendo una conferenza. Lo infilò nella sua figa con una violenza clinica. Il vetro freddo la trafisse, ma la dottoressa non si fermò. Lo spinse fino in fondo, fino a toccare la cervice. Poi lo ruotò, premendo in punti che Petra non sapeva di avere.
Il dolore era immenso, ma con il dolore, l'umiliazione, qualcosa di perverso iniziò a germogliare. Il suo corpo, torturato, iniziò a reagire. La dottoressa se ne accorse. "Ah... eccola. La risposta fisiologica. Il suo corpo tradisce la sua mente. Vuole essere distrutta."
Mentre la dottoressa lavorava sulla sua figa, uno degli uomini si avvicinò. Non si tolse i pantaloni. Si limitò di tirare fuori il cazzo, già duro, e di infilarglielo nel culo, senza alcuna preparazione. Era un cazzo enorme, un arnese di carne che la lacerò. Petra si contorse, le cinghia le segnarono la pelle, ma era inutile.
Era piena. Un sondino nell'uretra, un dildo di vetro nella figa, un cazzo nel culo. La dottoressa Aris prese un ultimo strumento: una piccola frusta elettrica. "E ora... la sintesi," sussurrò, e con un movimento rapido, le diede una scossa sul clito.
Petra esplose. Fu un orgasmo che non aveva nulla di umano. Il suo corpo si drizzò contro le cinghie, gli occhi le si rivoltarono indietro. Un urlo primordiale le uscì dalla gola, bloccato dal morso metallico. Dalla sua figa, stritolata dal vetro, partì un getto di squirt così violento da colpire il soffitto bianco. Era un'esplosione di liquido, un'onda che la inondò e che le tolse il fiato.
La dottoressa Aris la guardò con un interesse quasi scientifico. "Fascinante. La soglia del dolore si fonde con quella del piacere per creare una reazione a catena incontrollabile." Poi, con un altro cenno, l'uomo che la sodomizzata le scaricò dentro tutto il suo sperma, un getto caldo e violento che la riempì.
Quando tutto finì, la lasciarono lì. Sul lettino bianco, fradicia di sudore, sperma, squirt e disinfettante. Le cinghie le avevano lasciato dei segni rossi sulla pelle. La dottoressa Aris si tolse i guanti e li gettò in un contenitore.
"Sessione conclusa per oggi," disse, rivolgendosi ai suoi assistenti. "Domani procederemo con la terapia d'urto audio-visiva. La sua mente è ancora troppo forte. Dobbiamo spezzarla del tutto."
Petra era un guscio vuoto. Non sentiva più il dolore, non sentiva più la vergogna. C'era solo il bianco. Il bianco sterile della stanza, che ora era il suo unico mondo. Aveva trovato i suoi nuovi padroni. E sapeva che non l'avrebbero mai più lasciata andare.
"Signorina Petra, crediamo?" disse uno dei due, con una voce calma e senza inflessioni. Non le chiesero se stesse bene. Non la guardarono con disgusto o desiderio. La guardarono come un campione da prelevare.
Prima che lei potesse reagire, le furono addosso. La afferrarono con una forza che non lasciava scampo. Le infilarono un cappuccio in testa e la sollevarono di peso, gettandola sul pavimento freddo del furgone come un sacco della spazzatura. La portarono via, nel silenzio totale della notte.
Quando le tolsero il cappuccio, non era più in un luogo sporco o abbandonato. Era in una stanza bianca. Sterilizzata. Le pareti erano di piastrelle bianche, il pavimento di linoleum bianco, il metallo del lettino su cui era sdraiata era freddo e bianco. L'odore era di disinfettante, un odore chimico che le bruciava le narici. Era legata a quel lettino da cinghie di pelle strette ai polsi e alle caviglie. Era completamente immobile, aperta, esposta.
Una porta si aprì. Entrò una donna. Alta, snella, con un camice bianco impeccabile e degli occhiali da vista che le davano un'aria intellettuale e crudele. I suoi capelli erano raccolti in uno chignon severo. Dietro di lei, i due uomini in tuta nera.
"Signorina Petra," disse la donna, la sua voce era un sibilo di seta e veleno. "Sono la Dottoressa Aris. Lei è un caso... affascinante. Una donna di classe, sposata, che si abbandona a un degrado così completo. La sua psiche è un campo di battaglia tra il desiderio di annientamento e il bisogno di essere dominata. Noi siamo qui per aiutarla a trovare un equilibrio."
Petra la guardò con terrore. "Chi siete? Cosa volete?" balbettò, con la voce tremolante.
"Noi siamo i curatori," rispose la Dottoressa Aris, avvicinandosi al lettino. "E la cura, mia cara, è il dolore. Il dolore puro, metodico, scientifico. Dobbiamo spingerla oltre il suo limite, fino a quando il suo corpo e la sua mente non saranno più suoi, ma un terreno di gioco per noi."
Con un cenno, uno degli uomini le infilò un morso in bocca. Non era di pelle, ma di metallo freddo, con una leva che le allargava la mascella, tenendola aperta in una posizione innaturale e dolorosa. Non poteva né chiudere la bocca né parlare.
La Dottoressa Aris indossò un paio di guanti bianchi, facendoli schioccare con calma. Prese uno strumento dal carrello: un sondino metallico, lungo e sottile, con una sfera all'estremità. "Prima, la pulizia," disse, e con un movimento preciso, lo infilò nel suo uretra. Petra urlò contro il morso, un suono strozzato e disperato. La donna lo spinse più a fondo, poi iniziò a ruotarlo, grattandola dall'interno. "Vede? Il suo corpo è un contenitore. Dobbiamo svuotarlo completamente."
Poi prese un altro oggetto. Un grande dildo di vetro, trasparente e gelido. "Ora, la stimolazione," continuò la dottoressa, come se stesse tenendo una conferenza. Lo infilò nella sua figa con una violenza clinica. Il vetro freddo la trafisse, ma la dottoressa non si fermò. Lo spinse fino in fondo, fino a toccare la cervice. Poi lo ruotò, premendo in punti che Petra non sapeva di avere.
Il dolore era immenso, ma con il dolore, l'umiliazione, qualcosa di perverso iniziò a germogliare. Il suo corpo, torturato, iniziò a reagire. La dottoressa se ne accorse. "Ah... eccola. La risposta fisiologica. Il suo corpo tradisce la sua mente. Vuole essere distrutta."
Mentre la dottoressa lavorava sulla sua figa, uno degli uomini si avvicinò. Non si tolse i pantaloni. Si limitò di tirare fuori il cazzo, già duro, e di infilarglielo nel culo, senza alcuna preparazione. Era un cazzo enorme, un arnese di carne che la lacerò. Petra si contorse, le cinghia le segnarono la pelle, ma era inutile.
Era piena. Un sondino nell'uretra, un dildo di vetro nella figa, un cazzo nel culo. La dottoressa Aris prese un ultimo strumento: una piccola frusta elettrica. "E ora... la sintesi," sussurrò, e con un movimento rapido, le diede una scossa sul clito.
Petra esplose. Fu un orgasmo che non aveva nulla di umano. Il suo corpo si drizzò contro le cinghie, gli occhi le si rivoltarono indietro. Un urlo primordiale le uscì dalla gola, bloccato dal morso metallico. Dalla sua figa, stritolata dal vetro, partì un getto di squirt così violento da colpire il soffitto bianco. Era un'esplosione di liquido, un'onda che la inondò e che le tolse il fiato.
La dottoressa Aris la guardò con un interesse quasi scientifico. "Fascinante. La soglia del dolore si fonde con quella del piacere per creare una reazione a catena incontrollabile." Poi, con un altro cenno, l'uomo che la sodomizzata le scaricò dentro tutto il suo sperma, un getto caldo e violento che la riempì.
Quando tutto finì, la lasciarono lì. Sul lettino bianco, fradicia di sudore, sperma, squirt e disinfettante. Le cinghie le avevano lasciato dei segni rossi sulla pelle. La dottoressa Aris si tolse i guanti e li gettò in un contenitore.
"Sessione conclusa per oggi," disse, rivolgendosi ai suoi assistenti. "Domani procederemo con la terapia d'urto audio-visiva. La sua mente è ancora troppo forte. Dobbiamo spezzarla del tutto."
Petra era un guscio vuoto. Non sentiva più il dolore, non sentiva più la vergogna. C'era solo il bianco. Il bianco sterile della stanza, che ora era il suo unico mondo. Aveva trovato i suoi nuovi padroni. E sapeva che non l'avrebbero mai più lasciata andare.
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