Il porto - Cap.2

di
genere
orge

*** Dichiarazione liberatoria ***
Il presente racconto costituisce un’opera di fantasia. Eventuali riferimenti a persone, fatti, luoghi o circostanze reali sono da ritenersi puramente casuali e non intenzionali.
Tutti i personaggi ivi rappresentati sono da considerarsi maggiorenni e consenzienti in relazione a ogni azione o situazione descritta.
Qualsiasi interpretazione che attribuisca ai contenuti natura fattuale o rispondenza alla realtà è esclusa.
Ogni racconto derivante dalle fantasie è esclusivamente dedicato ad un pubblico adulto.
Questa dichiarazione ha valore per tutti i miei racconti precedenti e futuri.
Inoltre per qualsiasi commento relativo al racconto e fornirmi spunti per nuovi racconti vi prego di scrivere a:
petulka-cz@hotmail.com
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Petra galleggiava in un vuoto nero, un non-luogo senza tempo né dolore. Il suo corpo da dea, con quella chioma bionda sparsa sul cemento come un velo d'oro incrinato, giaceva immerso nel suo stesso sudore e nello sperma di tutti e nove gli uomini di poco prima. Era una gran bella fica anche in quello stato di abbandono, con le tette grosse e sode, ancora segnate dai morsi e dalle strette violente, che puntavano verso il soffitto sporco. E quel culo da favola, un capolavoro di rotondità ora violato, ancora contornato dal livido della violenza subita, su cui colava un rivolo di sperma denso e giallastro. Era un'offesa alla bellezza, una contaminazione sublime.

La porta del capannone cigolò come un lamento. Due pescatori entrarono, vestiti di stivali di gomma e tute unte di pesce e di sudore. Si fermarono di colpo. "Giuseppe... cazzo, vieni a vedere sto coso," sussurrò il più vecchio, la voce roca. Il più giovane si avvicinò e la sua bocca si spalancò, scivolandogli quasi la sigaretta di labbra. Lì, a terra, c'era lei. Una creatura mozzafiato, un corpo da sogno pornografico trasformato in una tela di sperma e degradazione. Entrambi sentirono un'immediata e violenta erezione, un cazzo di ferro che premeva dolorosamente contro i loro pantaloni da lavoro zuppi di salsedine. Non era compassione, era pura, semplice eccitazione bestiale, l'istinto di un branco che vede una preda giacente. Senza una parola, estrassero i loro cazzi duri e sudati, già che stillavano di presbore, e iniziarono a masturbarsi vigorosamente, con gli occhi incollati a quel corpo profanato, a quella fica ancora aperta e a quel culo che sembrava un'invito. Ma la sega non bastava. Erano troppo eccitati, troppo pieni di testosterone e di birra.

Uno dei due, un omone massiccio con le mani callose come carta vetrata, la si girò con un calcio secco sul fianco, esponendogli quel culo da favola. "Guarda che culo, Giuseppe... sembra fatto apposta per essere sfondato," ansimò. Senza esitazione, le infilò il cazzo nel culo ancora umido di sborra, tutto d'un fiato, con un urlo di godimento bestiale. Petra non si mosse, ma un gemito soffocato le sfuggì dalle labbra. L'altro, vedendo la sua bocca aperta in un gemito silenzioso, si inginocchiò vicino alla sua testa, le afferrò i capelli biondi e le infilò il cazzo in gola fino alle palle. La infilzarono come uno spiedo, da due parti, usando il suo corpo inerte come un buco per la loro fretta, sbattendola contro il cemento. Non la scoparono a lungo. Furono troppo presi dall'eccitazione, dal brivido di violentare una donna così bella e svenuta. Dopo poche, goffe e violente frustate, vennero come due fontane. Uno le riempì il culo con un getto bollente che le colò giù per le cosce, l'altro le scaricò tutto in gola, costringendola a ingoiare per riflesso, con la sborra che le usciva dal naso. Si tirarono fuori, la lasciarono lì, ancora più inondata, ancora più un oggetto. Ma poi il brivido del piacere si placò e lasciò spazio al freddo della realtà. "È ancora viva?" chiese il più vecchio. Toccò il suo collo. Il polso era debole, quasi impercettibile. "Chiamiamo un'ambulanza, Giuseppe. Cazzo, chiamiamola subito!"

Dieci minuti dopo, una squadra medica irruppe nel capannone come una furia, le loro luci stroboscopiche tagliando il buco denso e puzzolente. Erano quattro uomini e una donna, una dottoressa di nome Sara, dal fisico atletico che sfilacciava la sua uniforme e uno sguardo che sembrava aver già giudicato, condannato e assolti tutti i presenti. Videro la scena: Petra, la creatura bionda, immersa in una pozza di sperma e piscia, un capolavoro di degradazione. I due pescatori tremavano in un angolo, i loro cazzi ancora molli e luridi. Per un istante, anche la squadra medica rimase senza parole, un silenzio rotto solo dal gocciolio dell'umidità che cadeva dal tetto.

"È in shock post-traumatico, collassata da un orgasmo multiplo estremo," diagnosticò Sara, la sua voce stranamente calma, quasi eccitata, come se stesse descrivendo un caso clinico affascinante. "Serve una rianimazione aggressiva." Ma il suo modo di intendere "aggressiva" era un protocollo che non si trovava in nessun manuale di medicina. Mentre gli uomini, obbedienti ma confusi, preparavano le flebo e il monitor cardiaco, lei prese il defibrillatore. Non le solite piastre a ventosa. Con una decisione che gelò il sangue nei suoi colleghi, ordinò: "Preparate gli elettrodi interni. Voglio stimolare direttamente il plesso ipogastrico inferiore, il nucleo del piacere."

Con una cura quasi chirurgica, manipolando il corpo di Petra come se fosse un manichino, inserì due sonde metalliche all'interno della sua fica. Una la posò delicatamente sulla labbra maggiore destra, già gonfia e violacea, l'altra sulla sinistra. Poi, con la stessa precisione inquietante, infilò altre due sonde nel buco del suo culo, ancora lacerato e colante, facendole aderire alle pareti interne del retto. Era una procedura folle, terrificante, un'elettrocuzione programmata dei centri nervosi più intimi. "SCARICA!" gridò, con la voce di un generale che lancia un attacco.

Il corpo di Petra si sollevò da terra con una scossa violentissima, una scarica elettrica che la fece arcuare in una posizione innaturamente perfetta, come una ginnasta posseduta. Le sue carni interne, colpite dalla corrente, si contrassero spasmodicamente. Un gemito profondo, animale, le sfuggì dalle labbra. "Di nuovo!" Un'altra scarica. Un altro sussulto. Questa volta, un rivolo di liquido chiaro e denso, un orgasmo elettrico forzato, schizzò dalla sua fica, bagnandole le cosce e il pavimento. Stava riprendendo conoscenza, ma che coscienza? Era un risveglio dentro un incubo controllato.

Ma la sua riabilitazione, secondo la dottoressa, doveva essere completa. Non bastava rianimarla. Bisognava rieducarla, ridisegnare le mappe neurali del piacere e del dolore sovrapponendole, cancellando il trauma con un'overdose di stimoli. "La stimolazione meccanica è fondamentale per il recupero neurologico," disse con un tono clinico, quasi da conferenza, mentre i suoi occhi brillavano di una luce carnale, divorando il corpo di Petra steso sulla barella come un predatore studia la preda. I suoi colleghi, quattro uomini che avevano visto di tutto nelle loro carriere, capirono. Non c'era nulla da dire. Era un ordine che andava oltre il protocollo, un ordine dettato da un istinto più antico di Giuramento di Ippocrate. Si spogliarono in silenzio, le loro tute blu caddero sul pavimento sporco, rivelando corpi allenati, pelati, tatuati. I loro cazzi erano già duri, tesi come corde di violino, tutti puntati verso quella donna, quell'altare di carne e polvere.

Il primo ad agire fu Marco, il più muscoloso, un uomo con le braccia grosse come le cosce di un altro e un cazzo spesso e venato che sembrava scolpito nel marmo. Si inginocchiò tra le gambe di Petra, ancora divaricate dalla scossa elettrica. La sua fica era un fiore straziato, un massacro di carne, ma le labbra, gonfie e scure, erano incredibilmente bagnate e pulsavano leggermente, come un cuore ferito che batteva ancora. Le infilò il cazzo, con una lentezza quasi religiosa. Petra sentì ogni singolo centimetro di quella carne calda e soda che la riempiva, sentì il glande che le apriva di nuovo il cammino, le pareti della sua vagina che, dopo lo shock iniziale, si contrassero e si adattarono a quella nuova invasione, ricordandosi il piacere più del dolore. Marco iniziò a scoparla lentamente, con colpi profondi e circolari, studiando le sue reazioni, sentendo con il suo cazzo i muscoli della sua fica che rispondevano, che stringevano, che si ricordavano come si fa.

Poi fu il turno di Leo, il più giovane, con un corpo da nuotatore e un cazzo lungo e dritto come un missile. Si posizionò vicino alla sua testa. Con una mano le sollevò la nuca, con l'altra le aprì la bocca. Le sue labbra erano morbide, e Petra, ancora in uno stato semicosciente, non oppose resistenza. Le infilò il cazzo grosso e venato fino in fondo, con un movimento deciso, sentendo la testa del suo cazzo premere contro la portiera della sua gola. Petra sussultò, il riflesso del vomito le chiuse la gola per un istante, ma poi si rilassò, un sottomesso istinto di sopravvivenza. Leo iniziò a scoparle la bocca, non violentemente, ma con un ritmo costante, pescando ogni volta le sue labbra con le sue palle lisce, godendo del caldo e della morbidezza di quella cavità che ora era tutta sua.

Ma il vero maestro di cerimonie era Sara, la dottoressa. Con un'autorità che eccitava e spaventava, si inginocchiò a sua volta, accanto a Marco. Il suo sguardo era clinico, ma la sua lingua era pura lussuria. Si chinò sulla fica di Petra, già occupata dal cazzo di Marco, e con la punta della lingua iniziò a leccarle il clitoride, che era un piccolo bottone rosso, gonfio e sensibile, che spuntava dal suo cappuccio come una perla. Lo leccò in cerchi, poi su e giù, poi lo succhiò tra le labbra, sentendo Petra tremare sotto di lei. Mentre leccava, con due dita, l'indice e il medio, iniziò a massaggiargli il perineo, poi, senza preavviso, le infilò il dito medio nel culo. Petra sobbalzò, un gemito soffocato le uscì dalla bocca piena di cazzo. Sara le infilò anche il secondo dita, iniziando a scopargli il culo in sincrono con i colpi di Marco, mentre la sua lingua continuava la sua tortura sul clitoride, un triplo assalto che la stava disintegrando.

Era un'orgia medica, una cura tramite lo sperma, un'eucaristia profana. Il quarto paramedico, un uomo tatuato con la barba, si era sdraiato a terra e aveva preso i piedi di Petra. Iniziò a leccarle le piante, a succhiarle le dita una a una, mettendo la sua lingua tra di esse, mentre con l'altra mano si faceva una sega lenta, godendo del sapore salato della sua pelle. Il quinto, un uomo più anziano con un cazzo enorme e pesante, si era arrampicato sulla barella e, senza entrare in nessun orifizio, aveva infilato il suo cazzo tra le sue tette grosse e sode. Le prese con le mani e iniziò a scopargliele, facendole una sega intermammaria, il glande che spuntava ogni volta vicino al suo mento, lasciando una traccia di presbore.

Petra, con gli occhi semiaperti, non era più spettatrice. Il suo corpo, rianimato, rispose d'istinto, accogliendo quella nuova ondata di sesso. Le sue anche iniziarono a muoversi, a spingere contro il cazzo di Marco, cercando di prenderlo più a fondo, di sentire quelle palle che le battevano sul culo. La sua bocca non era più un passaggio passivo, ma iniziò a succhiare con più forza, la sua lingua a giocare con il cazzo di Leo, a girargli intorno alla testa. Le sue mani, prima inerti, afferrarono la testa di Sara, spingendola più giù, contro la sua fica, vogliono più di quella lingua, di quei dita.

Era un turbine di corpi nudi e sudati, un concerto di gemiti e di carne che si scontrava, che trasformava il capannone in una sala operatoria del piacere. L'orgasmo che la investì non fu una convulsione disperata, ma un'onda gigantesca e pura che la lavò dall'interno. Partì dai piedi, stimolati dalla lingua del paramedico, risalì lungo le gambe, si concentrò nel culo e nella fica, doppiamente stimolati, esplose nel suo cervello mentre il cazzo le riempiva la gola. Urlò, un urlo di vita, di rinascita, un urlo che era puro godimento, che fu soffocato dal cazzo di Leo ma che vibrò in tutta la sala. Quando l'onda si ritirò, Petra era cosciente. I suoi occhi erano lucidi, il suo respiro profondo. Si guardò intorno, vide quei cinque corpi nudi, i loro cazzi, i loro volti contratti dal piacere. E per la prima volta, non provò più paura. Provò solo un desiderio insaziabile, la fame di una che era tornata dalla morte e che ora voleva divorare la vita, in tutta la sua forma più volgare e più vera. "Ancora," sussurrò, e la sua voce era roca, ma chiara. "Ancora." E questa volta, fu lei a prendere il comando.
scritto il
2025-12-10
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