Il porto

di
genere
orge

*** Dichiarazione liberatoria ***
Il presente racconto costituisce un’opera di fantasia. Eventuali riferimenti a persone, fatti, luoghi o circostanze reali sono da ritenersi puramente casuali e non intenzionali.
Tutti i personaggi ivi rappresentati sono da considerarsi maggiorenni e consenzienti in relazione a ogni azione o situazione descritta.
Qualsiasi interpretazione che attribuisca ai contenuti natura fattuale o rispondenza alla realtà è esclusa.
Ogni racconto derivante dalle fantasie è esclusivamente dedicato ad un pubblico adulto.
Questa dichiarazione ha valore per tutti i miei racconti precedenti e futuri.
Inoltre per qualsiasi commento relativo al racconto e fornirmi spunti per nuovi racconti vi prego di scrivere a:
petulka-cz@hotmail.com
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Petra si sentiva già un po' a disagio prima ancora di scendere dal furgone. L'aria del porto era un miscuglio rancido di salse, diesel e umido stagnante, un odore che ti si ficcava nei polmoni e non se ne andava più. Strinse a sé la scatola di cartone contenente i suoi soliti prodotti artigianali, saponi e creme profumate, un mondo di delicatezza e grazia che sembrava completamente fuori luogo in quel dedalo di container arrugginiti, gru gigantesche e uomini che si muovevano come bestie da soma. Erano uomini di ferro, con le mani callose e i muscoli tesi da una vita di lavoro pesante, il volto scavato dal sole e dal vento, gli occhi che la misurarono appena mise piede sul selciato crepato. Erano in nove. Nove paia di occhi che la fissavano, avidi, senza il minimo ritegno. Lei sentì quel brivido freddo che le saliva lungo la schiena, l'istinto primordiale che le urlava di tornarsene indietro, di rinchiudersi nel suo furgoncino colorato e scappare via da quella foresta di cemento e testosterone. Ma era testarda, e dovette fare quella consegna.

Mentre camminava verso l'ufficio della dogana, il gruppo si fece più compatto, bloccandole il passaggio in un vicolo cieco tra due capannoni. L'uomo che era davanti a lei era un gigante, con una pancia da birra e una barba rossa e irsuta che gli copriva metà del viso. Sorrise, mostrando una fila di denti gialli e rotti. "Ehi, bella, dove vai di fretta?" le chiese, la voce roca come la carta vetrata. "Ho una consegna da fare, per favore, lasciatemi passare," rispose Petra, cercando di mantenere la voce ferma mentre il cuore le martellava nel petto. Un altro, più giovane e magro, con gli occhi da piragna, le si avvicinò da dietro e le sfiorò il fondoschiena con una mano sudata. Petra sobbalzò come se l'avessero scossa una scossa elettrica. "Cazzo che culo!! Merita di essere scopato bene," rise, e gli altri si unirono al suo sguaiato risata. Le loro mani iniziarono a toccarla, a cercarla dappertutto, come braci viventi che le lasciavano le bruciature sulla pelle anche attraverso i vestiti. Petra cercava di divincolarsi, di spingerli via, ma era come tentare di fermare la marea. Erano troppi, forti, e il loro odore di sudore e di maschio la stordiva. "No, smettete! Lasciatemi in pace!" gridava, ma la sua voce fu inghiottita dalle loro risate e dai commenti volgari che la riducevano a un pezzo di carne.

Con una forza bruta, la presero e la trascinarono all'interno di un capannone buio, che puzzava di olio e di polvere. La sbatterono a terra, sulla groppa, e prima che potesse reagire, qualcuno le strappò via la maglietta, svelando le sue tette grosse e bianche. "Guardate che cappone!" sbottò uno, e subito due mani afferrate e ruvide si tuffarono su di esse, stringendole, torcendole, facendola gemere di dolore. Un altro le strappò via la gonna e le mutandine, e Petra si sentì nuda, esposta, in preda al terrore più totale. Non era una donna, era un oggetto, un giocattolo da distruggere.

Senza alcun preambolo, il capo, il rosso, le aprì le gambe con una ginocchiata e si infilò dentro di lei con un colpo secco e violento che la fece urlare. Era enorme, rude, e la scopava come se volesse sfondarla dall'interno, sbattendola contro il cemento freddo. Ma non fu solo. Un altro, un omone nero come l'inchiostro, le si accovacciò sulla faccia e le infilò il cazzo in bocca, tutto d'un fiato, fino in gola. Petra soffocò, i suoi occhi lacrimarono mentre il cazzo le colpiva il palato, costringendola a respirare col naso. Poi un terzo le si mise dietro, e Petra sentì un'altra pressione, infernale, sul suo culo. "Prenditi anche questo, troia!" sibilò, e le si infilò il cazzo nel culo con un urlo che soffocò nel membro che aveva in gola. Il dolore fu atroce, come se la spingessero in due. Ma la peggio doveva ancora venire. Sentì altre mani che le manipolavano il corpo, e all'improvviso, mentre il rosso continuava a scoparla nella fica, un altro si posizionò sopra di lei e, con uno sforzo bestiale, riuscì a infilare un secondo cazzo accanto al primo. Petra sentì la sua vagina dilatarsi fino a un limite che non credeva possibile, un dolore che si trasformò in una lacerazione bruciante. Lo stesso accadde al suo culo, dove un secondo cazzo si aggiunse al primo, trasformandole il retto in un inferno di fuoco e di carne. Due cazzi in fica, due in culo, uno in bocca. Le sue mani, che cercavano disperatamente di spingerli via, furono afferrate e guidate verso altri due cazzi duri, costringendola a segarli. L'ultimo dei nove, un tipo basso e grasso, si strusciava tra le sue tette, scopandole lo sterno con la sua erezione, godendo di quella carne bianca e molle.

Era una carneficina. Un'orgia di sesso sporco. Nove corpi che si muovevano su di lei, dentro di lei, usandola come un buco scarico per la loro frustrazione. Le urla di Petra si trasformarono in gemiti sommessi, poi in sussulti inarticolati. Il suo corpo, di fronte a un'aggressione così totalizzante, cominciò a reagire in un modo che la sua mente non riusciva a comprendere. Un caldo strano iniziò a diffondersi dal basso ventre, una scintilla che crebbe fino a diventare un incendio. Il dolore, l'umiliazione, la violenza, tutto si fuse in un'unica, terrificante ondata di piacere. La prima ondata la travolse come un treno. Il suo corpo si arcuò, contrattendosi spasmodicamente, mentre un orgasmo violentissimo la scosse dalle fondamenta. Ma non finì lì. Gli orgasmi iniziarono a succedersi, uno dopo l'altro, sempre più forti, sempre più devastanti. Era una cascata di piacere che la annegava, che la faceva schizzare contro gli scogli della follia. Le sue gambe tremano, il suo ventre si contrasse in crampi violenti, la sua testa sbatté contro il cemento. Sentiva i cazzi che si muovevano dentro di lei, sentiva le loro voci volgari che la insultavano, la chiamavano "troia", "cagna", "bagascia", e ogni parola era una frustata che la spingeva più in alto, verso un climax che le sembrava di morire.

Dopo un'ora che parve un'eternità, sentì le prime contrazioni dei cazzi duri che la penetravano, Il rosso fu il primo. "Ti sto venendo dentro, puttanona!" ringhiò, e Petra sentì un getto bollente inondarle la fica, un'onda di sperma densa e maleodorante. Fu il segnale. Uno dopo l'altro, come una catena di dominò, iniziarono a venire. Quello in bocca le scaricò tutto in gola, costringendola a ingoiare un sapore salmastro e amaro, mentre la sborra le colava dagli angoli delle labbra. Quelli nel culo le riempirono il condotto fino a farlo straripare, sentendo lo sperma colarle giù per le cosce. I due nelle mani la inondarono, schizzandole i seni, la pancia, il viso. L'ultimo, quello tra le tette, la coprì di un'altra ondata di sperma calda. Quando finirono, Petra era un cumulo di carne ferita, coperta da uno strato viscoso e bianco che le incollava i capelli al viso, le gocciolava dai capezzoli, le leccava le gambe. Era immersa in un oceano di sborra.

Ma il suo corpo non si fermò. Gli orgasmi, invece di placarsi, diventarono convulsioni. Fu una scarica epilettica di piacere. Il suo corpo si contorse in archi innaturali, la schiena si sollevò da terra, le sue gambe sbatterono all'impazzata. Urlò, ma non un urlo di dolore, un urlo di puro, incontrollabile orgasmo che la squassò fino alle midolla. Le convulsioni la scuotevano come un sussulto di terremoto, finché, con un ultimo, lungo tremito, ogni suo muscolo si rilasciò. Collassò. Svenne, lasciandola esanime sul pavimento sporco del capannone, con lo sperma che le colava ancora da ogni orifizio, il corpo segnato da dieci violenze e dal suo stesso, devastante piacere.

I porci si rialzarono, si sistemarono i pantaloni, le si pulirono i cazzo sui suoi vestiti laceri. Senza nemmeno guardarla, senza dire una parola, uscirono dal capannone, tornando al loro lavoro, come se non fosse mai accaduto nulla. Lasciandola lì, un mucchio di carne esausta e inondata, immersa nel buio e nel silenzio.
scritto il
2025-12-10
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