Capitolo 8 matilde

di
genere
feticismo

Il giorno dopo ci vedemmo al bar Riviera sul lungomare.
Bari si stiracchiava lentamente sotto il primo sole, e il Riviera aveva già riempito metà dei tavolini all'aperto.
Lucia indossava occhiali da sole, ma si vedeva che era rilassata.
Aveva ordinato un cappuccino e una sfogliatella. Io un caffè.
- Hai dormito bene?
le chiesi.
- Sì. Ma ho fatto sogni strani.
Sorrise
- Comunque... stamattina mi girava in testa una domanda.
Fece una pausa, mescolando il cappuccino lentamente, quasi con distrazione.
- Ti sei chiesto perché Matilde, pur raccontandoti ogni cosa, non ti abbia mai parlato di Maldarizzi e delle feste particolari?
Mi fermai un attimo. In effetti, quella domanda mi aveva quasi ossessionato, ma non l'avevo mai affrontata davvero.
- Non lo so, forse perché coinvolgeva il marito
risposi
- Matilde era imprevedibile. Una volta ti raccontava i dettagli più intimi e un'altra sembrava sorvolare su cose che forse erano più importanti.
Lucia tolse gli occhiali e mi guardò negli occhi.
- Proprio per questo. Tra tutto quello che ti ha confidato -- storie, avventure, giochi -- come mai non ha mai fatto cenno a lui? A uno con cui ha condiviso varie feste... estreme. Con il marito presente, addirittura. È un buco troppo grosso per essere casuale. Non trovi?
Scossi la testa.
- Pudore? Forse. Ma non verso di me, Lucia. Questo posso garantirlo. Non aveva remore a parlarmi della sua sessualità, anche nei particolari più... crudi. Anzi credo si divertisse ad eccitarmi.
- Allora?
insistette lei, mordendo un pezzo di sfogliatella.
- Forse proprio perché c'era di mezzo il marito. Non so, magari era una zona che teneva più protetta. Un pezzo di vita che... anche con me, preferiva tenere opaco. Forse perché lì non c'era solo libertà, ma un equilibrio delicato.
Lucia annuì, pensierosa.
- Oppure,
disse,
- Maldarizzi non era solo uno dei tanti. Forse c'era qualcosa di più.
- Tu pensi che Maldarizzi possa c'entrare davvero con la sua morte?
Lucia si strinse nelle spalle.
- Non lo so. Ma è l'unico nome che compare in tutte e quattro le feste. Ed è l'unico, finora, che sembra... più presente degli altri. E poi, il marito...
- Il marito?
- È stato a tutte le feste tranne una. E guarda caso, quella sera -- quella che Matilde ha descritto in maniera meno esplicita -- era proprio assente. Poi non siamo ancora sicuri che le feste siano state solo quattro.
Rimasi in silenzio per qualche secondo, poi alzai gli occhi verso di lei.
- Lucia... quando me ne hai parlato, non mi hai letto tutto.
Lei mi guardò, sollevando appena le sopracciglia.
- Intendi dire...?»
- Intendo dire che ti sei trattenuta. Lo so. Non mi hai letto le parti più scabrose. Forse per delicatezza, forse per prudenza. Ma se vogliamo davvero capire cosa è successo, ho bisogno di leggere tutto. Di sapere.
Lucia mi scrutò per un momento, poi rivolse lo sguardo verso il mare.
- Hai ragione,
disse infine.
- Non ti ho letto tutto. Alcune pagine... sono pesanti. E anche molto intime. Certe descrizioni possono confondere, distrarre e poi un pò mi imbarazzava leggertele.
Dopo un attimo di silenzio,
- Va bene. Ti porterò le copie. Le ho tenute per me -- scansioni, fotocopie, tutto messo da parte. Ti darò anche i miei appunti, se vuoi.
- Sì, voglio. Voglio leggere con calma quello che Matilde ha scritto. Le sue parole, i suoi racconti. Magari, qualcosa... qualcosa che è sfuggito può emergere.
Lucia sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia.
- Quando avrai letto tutto, ne riparleremo. A mente lucida. Perché sì... potrebbe esserci qualcosa lì dentro che ancora non abbiamo visto. E se c'è una verità, magari comincia proprio da quelle feste.
La osservai mentre infilava gli occhiali da sole, di nuovo. La sua voce era tornata ferma, professionale.
Aggiunse
- Poi dovremo scavare un pò su questo Maldarizzi.

Nel pomeriggio a casa comincia a leggere quella specie di diario.
Saltai quello che Lucia mi aveva già letto e cominciavo da le frasi omesse.

"Tutti sapevano perché eravamo lì. Ma nessuno aveva fretta.
Il desiderio scorreva nell'aria, silenzioso, insinuandosi tra le parole, nei gesti, negli sguardi che duravano un secondo di troppo.
Prima che la serata prendesse davvero forma, Gianni mi prese per mano e mi portò in una stanza appartata. Mi guardò negli occhi e mi disse che avrebbe rispettato ogni mio desiderio, purché fossi felice. Non voleva vedermi forzata, mai.
Sentii sciogliersi ogni resistenza.
Ero vestita con un'eleganza studiata: un tubino nero che scivolava morbido sul corpo, poco più sopra del ginocchio. Sotto, solo pizzo nero. Una mutandina impalpabile, un reggicalze e calze di seta. Mi sentivo pronta. Libera. Desiderata. Mi piacevo.
Il gioco cominciò dopo che tre coppe di champagne ebbero fatto il loro dovere.
Le signore furono invitate in una stanza attigua a quella che sembrava il palcoscenico, dietro una tenda di velluto. Lì ci fecero spogliare e ci consegnarono un piccolo cartello numerato. Il mio era il quattro.
Stefano apparve dal buio con il suo solito sorriso. Con voce calma e gentile ci spiegò che solo tre di noi sarebbero state scelte dal pubblico per partecipare al gioco della serata. Eravamo in otto. Tutte molto belle, ognuna a modo suo: alcune giovani, altre -- come me -- con l'esperienza incisa sulla pelle.
Avremmo dovuto fare una passerella percorrendo il palcoscenico avanti e indietro e poi eravamo libere di fare quel che volevamo per metterci meglio in mostra.
Alla mia sinistra c'era una ragazza bionda, forse trentenne. Aveva gli occhi chiari e un po' spaventati.
- Oddio, sono terrorizzata
sussurrò.
Le risposi soltanto: «Stai tranquilla. Sei splendida».
Alla mia destra, invece, una donna che benché più grande non poteva passare inosservata: alta, slanciata, con uno sguardo scuro e ipnotico.
- Ciao, sono Arianna
mi disse, con un sorriso sicuro.
- Matilde. Piacere, risposi.
Poi la tenda si aprì.
Cominciò la numero uno, poi la due.
E infine toccò a me.
Attraversai il palcoscenico con sicurezza. Le mie gambe si muovevano sicure, lente. Il rumore dei tacchi sembrava un metronomo. Sentivo i miei polpacci tendersi ad ogni passo e le natiche vibrare fiere. Mi piaceva.
Sentivo occhi addosso che seguivano i miei movimenti. Mi eccitava pensare ai loro sessi eccitati. Li vedevo crescere nelle loro mutande con una sensazione di potere mai provata. Alla fine mi fermai al centro, una mano sul fianco, voltai le spalle al pubblico. Un inchino. Li sentii bisbigliare soddisfatti, un brusio che mi diede una sensazione di onnipotenza. Poi tornai al mio posto.
Fui scelta io e altre due signore.
Nessuna giovane ragazza ne Arianna.
Richiusero la tenda appena rientrate nella stanza a fianco. Fecero uscire le escluse.
Due ragazzetti vestiti da camerieri ci prepararono. Fummo tutte e tre legate su una panca abbastanza alta. Le gambe poggiavano a terra mettendo in mostra i nostri culetti.
Eravamo tutte allineate e di profilo verso il pubblico. Si riaprì il sipario e ci accolse un applauso divertito.
Quando smisero sentimmo la loro esclamazione improvvisa e poi dei passi pesanti. Nessuna di noi tre poteva ancora vedere a chi quella esclamazione era stata rivolta.
Cominciò una musica tribale. Una figura mascherata, possente, quasi irreale si materializzo davanti a noi. Il corpo scolpito, la maschera grottesca che nascondeva ogni umanità ed un pene eretto di dimensioni che non avevo mai visto.
Spaventate cominciammo a divincolarci sulla panca.
Eravamo alla sua mercé.
Per quanto tentassimo di liberarci da quel giogo ogni movimento serviva soltanto a segarci le carni nude. Il satiro cominciò una danza al ritmo di quella musica spettrale.
Il satiro ballava e ballava anche il suo enorme cazzo, prima in basso e poi saltava per sbattere sulla sua pancia.
Si fermò all'improvviso. Lo afferrò con la mano e si avvicinò alle nostre facce immobilizzate. Cominciò da me. Mi schiaffeggiava il viso con il suo enorme pendaglio. All'inizio mi faceva male. Dopo un pò il desiderio di assaggiarlo prese il sopravvento. Cercavo con quei pochi movimenti che riuscivo a fare di afferrarlo con la bocca. Toccarlo con la lingua. Mentre ruotavo la testa avida e affamata incrociai lo sguardo di Gianni.
Avrei voluto gridargli di aiutarmi di liberarmi perché potessi saziarmi.
Fu la mano di quell'ercole mostruoso a soddisfare le mie voglie.
Mi afferrò il mento e infilò il suo sesso tra le mie labbra. Solo il tempo di sentirne il sapore. Lo sfilò per passare alle altre due signore a cui riservò lo stesso trattamento. Giocò così con noi per un pò.
Accese le voglie di noi povere schiave immobilizzate.
Quello che ci fece dopo non voglio nemmeno ricordarlo. Fu meraviglioso però.
Non era più un gioco, né una prova. Era un passaggio. Una consegna.
E mentre tutto accadeva, sentii il mio corpo arrendersi per un bisogno profondo di lasciarsi andare. Quando tutto fu finito ci rivestimmo guardandoci tra di noi. Gianni mi guardava e sorrideva. Io non provai vergogna.

Continuai a leggere

21 maggio
È stata la prima volta senza Gianni.
Non ha voluto accompagnarmi. Ha detto che era stanco. Che aveva da fare. Nessuna discussione, nessuna spiegazione. Solo quel tono neutro che usa quando ha già deciso.
Mi ha colpito, lo ammetto.
Anche quando diceva di non avere voglia, alla fine veniva sempre. E invece no. Questa volta è rimasto a casa.
Ci ho pensato a lungo, durante il tragitto. Mi chiedevo se lo stesse facendo per allontanarsi da questo mondo o solo da me. Mi chiedevo se avesse smesso di volermi vedere "così".
Eppure, appena entrata nella villa, ogni pensiero si è dissolto. Quella casa era carica di attese. Si sentiva. Forse perché quella sera eravamo di meno. O forse perché l'atmosfera era già satura.
Mi hanno accolta come sempre: abbracci, sorrisi complici, mani che indugiano. C'era Stefano, ovviamente. Sempre lui a prendermi per mano per primo. Sempre lui a capire dove voglio andare prima ancora che lo sappia io.
E lì ho capito una cosa che mi ha scossa: non mi mancava Gianni. Anzi. Per la prima volta ho sentito che potevo farlo per me. Non per essere vista, compresa, approvata. Ma per il mio desiderio. Nudo. Autonomo. Vivo.
E' stato meraviglioso, era la loro regina puttana. Ho goduto come non mai. Sono tornata a casa ancora sporca del loro sperma.

7 giugno
Quello che prima vivevo come una trasgressione da recitare, ora mi scorre dentro come un'urgenza naturale.
C'erano volti nuovi, ma con gli stessi sguardi. Quelli che ho imparato a riconoscere: curiosità, eccitazione, desiderio. Lo stesso sguardo che Gianni posa su di me ogni volta che mi guarda "offrirmi" a loro. E il verbo è giusto: offrirmi. Perché è proprio ciò che accade. È lui che mi accompagna, mi prepara, mi conduce... e poi si fa da parte. Gianni ama guardarmi. Non solo mentre vengo legata o sculacciata, ma quando entro nel ruolo, quando mi trasformo. È come se fosse il mio specchio e al tempo stesso il mio pubblico. Gli piace. E io lo so. Lo sento. A volte, nel buio della sala, cerco i suoi occhi per trovare approvazione.
Questa volta Gianni mi ha turbata.
Ha fatto un discorso. Semplice, chiaro, diretto.
"La libertà è una parola che spaventa. Soprattutto quando ha il corpo di una donna. Io ho avuto la fortuna -- sì, la fortuna -- di condividere la mia vita con Matilde. Una donna che ha scelto, ogni giorno, di non mentire mai al proprio desiderio.
Molti di voi la guardano con ammirazione. Qualcuno forse la giudica. Ma io voglio dirvi una cosa: non c'è niente di più bello, per un uomo, che amare una donna che si appartiene.
E stasera... stasera ho deciso che non mi limiterò a guardare.
Stasera voglio onorare la sua bellezza... insieme a voi."
Mi ha guardata. Mi ha sfiorata. Mi ha spogliata, lentamente.
Mi ha legata.
Poi mi ha lasciata lì nelle mani di due ragazzi che hanno fatto di me quello che volevano ed io ho ricambiato.
Arianna era vicino a Gianni mentre io mi divertivo e divertivo.
L'ho vista parlare con Gianni e commentare.
Ad un certo punto si è inginocchiata sollevandosi il vestito, ha tirato fuori il sesso di Gianni masturbandolo.
Lo ha fatto con una lentezza assoluta.
E Gianni... non l'ha fermata.
Era come se quell'intimità fosse già stata prevista, approvata.
Non mi aspettavo quella mano. Ma ho capito tutto in un secondo.
Non ero più il centro dell'attenzione.

Smisi di leggere. Avrei dovuto parlare con Lucia. Lo farò domani.
scritto il
2025-10-31
9 1
visite
1
voti
valutazione
8
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Capitolo 7 matilde

racconto sucessivo

Capitolo 9 matilde
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.