Capitolo 9 matilde
di
servantes
genere
etero
L'indomani, appena sveglio, ripensai a tutto quello che avevo letto.
Ogni parola, ogni pagina dell'agenda sembrava solamente delineare meglio la personalità di Matilde.
Lei era consapevole di vivere la propria sessualità con libertà, pienezza e - soprattutto - autenticità. Ciò che per altri sarebbe trasgressione, per lei era esplorazione. Curiosa, vitale, padrona del proprio corpo e del proprio piacere.
Il suo rapporto con il sesso non era compulsivo né caotico, di questo ne ero sicuro.
Lei adorava e praticava il proprio potere seduttivo. Le piaceva essere guardata, desiderata, e talvolta anche dominata -- ma sempre e solo per sua volontà.
L'esibizionismo non era per lei una forma di squilibrio, ma un modo per sentirsi viva, desiderata, bella, e bella lo era. Lei era femmina dalla testa ai piedi. La scoperta che più mi sconcerta è l'equilibrio che aveva trovato con Gianni. Questo mi era sempre sfuggito. Lui la amava e, anche lei ricambiava, nonostante i suoi atteggiamenti di sufficienza verso di lui.
Gianni era complice, la osserva e la accompagna. Non l'ha mai considerata un suo possesso. La sosteneva, e questo rende ancora più intensa la loro connessione. La possibilità di mostrarsi a lui mentre offre il suo corpo ad altri non è tradimento, ma celebrazione del desiderio. È un gesto di fiducia estrema, un'espressione di libertà condivisa.
Matilde non si sente in colpa. Non si giustifica. Vive. E vive con eleganza, intelligenza, sensualità.
Non era una donna "contro" qualcosa, non era in rivolta, non rivendicava nulla. Quello che non mi tornava era, invece, l'ultima frase.
"Non ero più il centro dell'attenzione."
Non credo fosse poi così importante per lei. Forse per qualcun'altra. Qualcuna che forse si è sentita usurpare la sua posizione.
Arianna? Mentre riflettevo su Arianna e su quel sottile filo d'ombra che sembrava accompagnarla in ogni pagina, il telefono squillò.
Era Lucia.
- Ciao, disse con una voce morbida, quasi carezzevole.
- Come stai?
- Meglio ora che ti sento,» risposi, cercando di nascondere il piacere improvviso che mi aveva dato quella telefonata.
- Ho voglia di vederti,» disse senza esitazioni. «Domani vieni a mangiare da me? Cucino io.
- avrei preferito vederla subito ma non volevo pressarla e quindi dissi:.
- Certo. A che ora devo venire?
- A mezzogiorno va bene?
Esitai un attimo, solo per il gusto di farla aspettare.
Poi risposi:
- Perfetto. Porto il vino.
La sentii sorridere.
- Non troppo pesante, eh. Voglio che il pomeriggio resti lucido.
Ci fu un breve silenzio, quello bello, che non mette a disagio. Poi aggiunsi:
- Ho letto tutto, Lucia. L'agenda. Le feste. Anche... Arianna.
- Ne parliamo domani, disse lei, come se avesse già capito dove stavo andando a parare.
- Va bene, risposi. A domani, allora.
- A domani.
Chiusi la chiamata.
Il giorno seguente, puntuale come promesso, passai in enoteca a prendere il vino. Parcheggia sotto la sua palazzina e salii le scale senza prendere l'ascensore.
Stavo per suonare il campanello e la porta si aprì. Per un attimo mi mancò il fiato.
Si era fatta trovare in lingerie: un completo nero raffinato, reggicalze e tacchi alti. Nessun orpello, solo una bellezza luminosa nella sua naturale sfrontatezza. Restai immobile per un attimo con la bottiglia tra le mani.
Lucia rise maliziosamente:
-- Ti vedo interdetto... non ti piace il pranzetto che ti ho preparato?
Trovai appena le parole:
-- Sì che mi piace... e sono anche affamato.
Lucia si voltò, camminando verso l'interno dell'appartamento, le curve sicure e leggere.
-- E allora serviti. Che aspetti?
Fu un'ora di abbandono, di corpi che si cercavano senza più esitazioni.
Lucia sembrava essersi liberata da un peso invisibile, come se per la prima volta avesse deciso di concedersi al piacere senza riserve, senza strategie, senza pensieri.
Ogni suo gesto era una domanda, e ogni mio tocco una risposta.
Non si risparmiò nulla. E nemmeno io.
Era come se in quella stanza non ci fosse più distinzione tra desiderio e tenerezza, tra il bisogno di sentirsi e quello di conoscersi davvero.
Le parole che ci scambiavamo erano quasi sussurri, ma a volte diventavano risate, mormorii, frasi spezzate dal piacere. Richieste esplicite e grida.
Il tempo sembrò allungarsi, sciogliersi. La luce del giorno filtrava tra le tende, mentre i nostri respiri si confondevano fino a diventare un unico ritmo.
Oggi Lucia mi sembrava femmina fiera del proprio corpo e della propria capacità di dare e ricevere piacere.
C'era qualcosa di feroce nel modo in cui mi guardava, come se volesse imprimere quel momento nella memoria.
Mi fece impazzire davvero.
Alla fine restammo distesi, in silenzio, con il respiro ancora irregolare,
Io, accanto a lei.
Stesi sul letto, le lenzuola stropicciate, le gambe ancora intrecciate.
Lucia mi passò una mano sul petto, lentamente, come a voler prolungare il contatto anche oltre il desiderio.
Poi, senza guardarmi, mi disse a voce bassa:
- Mi è piaciuto molto...
Fece una breve pausa.
- Ma non solo questo -- tutto. Sentirmi così libera. È come se avessi tolto un freno che nemmeno sapevo di avere.
Si voltò verso di me e sorrise, con gli occhi lucidi e sinceri.
- Sai cosa mi piace? Che con te posso scopare, sì -- e chiamarlo per quello che è -- ma senza sentirmi sporca. Mi diverto. Mi fa bene. E non me ne vergogno, anzi.
Lui la guardò, immobile, come se stesse fissando una cosa preziosa e fragile.
- Nemmeno io.
Restammo in silenzio per un pò.
Dissi solo:
- Vuoi vedere che ho trovato la donna della mia vita?
Lucia sollevò appena il viso dal suo petto:
- L'hai trovata.
All'improvviso Lucia trasalì, scattando su come se avesse ricevuto una scarica elettrica.
- Cazzo... le braciole!
Si alzò di colpo, cercando alla cieca i vestiti sparsi per la stanza.
- Braciole?
- Sì, sul fuoco! Dovevano stare a sobbollire per due ore... saranno tre ormai!
Scappo in cucina nuda.
Dio quanto era bella.
- Spero ti piaccia il sapore del carbone! gridò dalla cucina.
- Preferisco mangiare te.
Ogni parola, ogni pagina dell'agenda sembrava solamente delineare meglio la personalità di Matilde.
Lei era consapevole di vivere la propria sessualità con libertà, pienezza e - soprattutto - autenticità. Ciò che per altri sarebbe trasgressione, per lei era esplorazione. Curiosa, vitale, padrona del proprio corpo e del proprio piacere.
Il suo rapporto con il sesso non era compulsivo né caotico, di questo ne ero sicuro.
Lei adorava e praticava il proprio potere seduttivo. Le piaceva essere guardata, desiderata, e talvolta anche dominata -- ma sempre e solo per sua volontà.
L'esibizionismo non era per lei una forma di squilibrio, ma un modo per sentirsi viva, desiderata, bella, e bella lo era. Lei era femmina dalla testa ai piedi. La scoperta che più mi sconcerta è l'equilibrio che aveva trovato con Gianni. Questo mi era sempre sfuggito. Lui la amava e, anche lei ricambiava, nonostante i suoi atteggiamenti di sufficienza verso di lui.
Gianni era complice, la osserva e la accompagna. Non l'ha mai considerata un suo possesso. La sosteneva, e questo rende ancora più intensa la loro connessione. La possibilità di mostrarsi a lui mentre offre il suo corpo ad altri non è tradimento, ma celebrazione del desiderio. È un gesto di fiducia estrema, un'espressione di libertà condivisa.
Matilde non si sente in colpa. Non si giustifica. Vive. E vive con eleganza, intelligenza, sensualità.
Non era una donna "contro" qualcosa, non era in rivolta, non rivendicava nulla. Quello che non mi tornava era, invece, l'ultima frase.
"Non ero più il centro dell'attenzione."
Non credo fosse poi così importante per lei. Forse per qualcun'altra. Qualcuna che forse si è sentita usurpare la sua posizione.
Arianna? Mentre riflettevo su Arianna e su quel sottile filo d'ombra che sembrava accompagnarla in ogni pagina, il telefono squillò.
Era Lucia.
- Ciao, disse con una voce morbida, quasi carezzevole.
- Come stai?
- Meglio ora che ti sento,» risposi, cercando di nascondere il piacere improvviso che mi aveva dato quella telefonata.
- Ho voglia di vederti,» disse senza esitazioni. «Domani vieni a mangiare da me? Cucino io.
- avrei preferito vederla subito ma non volevo pressarla e quindi dissi:.
- Certo. A che ora devo venire?
- A mezzogiorno va bene?
Esitai un attimo, solo per il gusto di farla aspettare.
Poi risposi:
- Perfetto. Porto il vino.
La sentii sorridere.
- Non troppo pesante, eh. Voglio che il pomeriggio resti lucido.
Ci fu un breve silenzio, quello bello, che non mette a disagio. Poi aggiunsi:
- Ho letto tutto, Lucia. L'agenda. Le feste. Anche... Arianna.
- Ne parliamo domani, disse lei, come se avesse già capito dove stavo andando a parare.
- Va bene, risposi. A domani, allora.
- A domani.
Chiusi la chiamata.
Il giorno seguente, puntuale come promesso, passai in enoteca a prendere il vino. Parcheggia sotto la sua palazzina e salii le scale senza prendere l'ascensore.
Stavo per suonare il campanello e la porta si aprì. Per un attimo mi mancò il fiato.
Si era fatta trovare in lingerie: un completo nero raffinato, reggicalze e tacchi alti. Nessun orpello, solo una bellezza luminosa nella sua naturale sfrontatezza. Restai immobile per un attimo con la bottiglia tra le mani.
Lucia rise maliziosamente:
-- Ti vedo interdetto... non ti piace il pranzetto che ti ho preparato?
Trovai appena le parole:
-- Sì che mi piace... e sono anche affamato.
Lucia si voltò, camminando verso l'interno dell'appartamento, le curve sicure e leggere.
-- E allora serviti. Che aspetti?
Fu un'ora di abbandono, di corpi che si cercavano senza più esitazioni.
Lucia sembrava essersi liberata da un peso invisibile, come se per la prima volta avesse deciso di concedersi al piacere senza riserve, senza strategie, senza pensieri.
Ogni suo gesto era una domanda, e ogni mio tocco una risposta.
Non si risparmiò nulla. E nemmeno io.
Era come se in quella stanza non ci fosse più distinzione tra desiderio e tenerezza, tra il bisogno di sentirsi e quello di conoscersi davvero.
Le parole che ci scambiavamo erano quasi sussurri, ma a volte diventavano risate, mormorii, frasi spezzate dal piacere. Richieste esplicite e grida.
Il tempo sembrò allungarsi, sciogliersi. La luce del giorno filtrava tra le tende, mentre i nostri respiri si confondevano fino a diventare un unico ritmo.
Oggi Lucia mi sembrava femmina fiera del proprio corpo e della propria capacità di dare e ricevere piacere.
C'era qualcosa di feroce nel modo in cui mi guardava, come se volesse imprimere quel momento nella memoria.
Mi fece impazzire davvero.
Alla fine restammo distesi, in silenzio, con il respiro ancora irregolare,
Io, accanto a lei.
Stesi sul letto, le lenzuola stropicciate, le gambe ancora intrecciate.
Lucia mi passò una mano sul petto, lentamente, come a voler prolungare il contatto anche oltre il desiderio.
Poi, senza guardarmi, mi disse a voce bassa:
- Mi è piaciuto molto...
Fece una breve pausa.
- Ma non solo questo -- tutto. Sentirmi così libera. È come se avessi tolto un freno che nemmeno sapevo di avere.
Si voltò verso di me e sorrise, con gli occhi lucidi e sinceri.
- Sai cosa mi piace? Che con te posso scopare, sì -- e chiamarlo per quello che è -- ma senza sentirmi sporca. Mi diverto. Mi fa bene. E non me ne vergogno, anzi.
Lui la guardò, immobile, come se stesse fissando una cosa preziosa e fragile.
- Nemmeno io.
Restammo in silenzio per un pò.
Dissi solo:
- Vuoi vedere che ho trovato la donna della mia vita?
Lucia sollevò appena il viso dal suo petto:
- L'hai trovata.
All'improvviso Lucia trasalì, scattando su come se avesse ricevuto una scarica elettrica.
- Cazzo... le braciole!
Si alzò di colpo, cercando alla cieca i vestiti sparsi per la stanza.
- Braciole?
- Sì, sul fuoco! Dovevano stare a sobbollire per due ore... saranno tre ormai!
Scappo in cucina nuda.
Dio quanto era bella.
- Spero ti piaccia il sapore del carbone! gridò dalla cucina.
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