Capitolo 13 matilde

di
genere
etero

Sandro stava ancora versandole il caffè della colazione, quando arrivò la mail tanto attesa.
L. aveva scritto.
La prossima festa era stata fissata: si sarebbe tenuta tra due sabati, nelle campagne di Giovinazzo. Nessun indirizzo completo, solo un link con le coordinate da inserire in Google Map. In allegato, un PDF con l’invito.
Un foglio bianco con uno stemma stampato in alto a destra, al centro soltanto un numero seriale: GL2323.
Nessun nome, nessun riferimento. Quello sarebbe bastato — scriveva L. — per accedere alla villa.
Lei e l’eventuale “accompagnatore o accompagnatrice di cui si fida ciecamente”.
Il messaggio proseguiva, essenziale:
“Con il codice GL2323 potrai entrare senza problemi. L’ingresso è riservato. È d’obbligo abito scuro per gli uomini e scarpe con tacco 12 per le signore.
Potrete indossare le maschere scelte non appena parcheggiata l’auto.
Nessun obbligo, nessuna forzatura: siete liberi di osservare, partecipare, restare in disparte.
La festa inizierà alle ore 22:00.
Ti consigliamo di essere puntuale. Divertiti.”
Lucia lesse due volte, in silenzio. Poi passò il telefono a Sandro.
Si guardarono. Nessuno dei due parlò subito.
Ma dentro entrambi, lo sapevano: non era più soltanto un’indagine.
Era una discesa consapevole, forse pericolosa, ma scelta.
E mancavano solo dieci giorni.
«Finalmente avrò l’occasione di rimettere il mio smoking,» disse Sandro, alzando il sopracciglio con un sorriso complice, mentre le passava il telefono con l’invito ancora aperto. «Mi sembrerà di tornare al matrimonio di mia cugina… ma con un finale decisamente più interessante.»
Lucia rise. «Allora anch’io ho un conto in sospeso con il mio armadio.»
Si alzò, andò verso la camera da letto e aprì l’anta scorrevole dell’armadio. Frugò per qualche istante, poi ne uscì con un abito nero appeso a una gruccia. Lo mostrò con un gesto lento, quasi teatrale.
Era un vestito lungo, elegantissimo, in un tessuto leggero e fluido. Lo scollo era profondo ma non volgare, la linea aderente quanto bastava per esaltare le sue curve. Ma ciò che davvero colpiva era lo spacco vertiginoso che partiva appena sotto il fianco, aprendosi con una diagonale audace lungo tutta la gamba.
«Non l’ho mai messo,» disse, quasi con un’ombra di esitazione nella voce. «Ogni volta che ci ho provato, mi guardavo allo specchio e… mi sembrava di esagerare. Pensavo che fosse troppo. Troppo scoperto. Troppo audace. Troppo… da donna sicura di sé.»
Sandro si avvicinò lentamente, le prese la gruccia dalle mani e fece scivolare una carezza lungo il tessuto.
«Non è troppo,» disse piano. «È perfetto. E tu sei perfetta per questo vestito.»
Lei lo guardò, per un istante in silenzio. Poi sorrise. Non con timidezza, ma con una consapevolezza nuova.
«Forse è arrivato il momento di smettere di aver paura di essere quella donna.»
Si voltò, portò l’abito in bagno per appenderlo in bella vista, quasi a lasciarlo lì come promessa. Quando tornò da lui, aveva negli occhi una luce diversa.
«E poi, con un tacco 12, mi sentirò alta e inarrestabile. Pronta a entrare in un altro mondo.»
Sandro le si avvicinò. «Tu, Lucia Brandi, sei già entrata. Solo che adesso… ti stai concedendo il lusso di starci bene.»
Lei rise, ma non rispose. E in quel silenzio carico di attesa, la festa sembrava già cominciata.
Il pomeriggio del giorno prima della festa, Sandro si presentò a casa di Lucia con un sacchetto di carta elegante tra le mani e lo sguardo complice. Lei aveva appena finito di sistemarsi i capelli — era stata dal parrucchiere quella mattina — e un leggero profumo di fresco la seguiva mentre lo accoglieva sulla soglia.
«Sei splendida,» le disse, senza troppi preamboli.
Lucia sorrise, soddisfatta. I capelli raccolti in una piega morbida le scoprivano il viso, accentuando lo sguardo e quella sua bellezza piena e consapevole che lui trovava irresistibile.
«E tu che mi hai portato?» chiese, notando il sacchetto.
«I travestimenti per il gran ballo,» rispose, sollevando leggermente il pacchetto con un’espressione teatrale. «Maschere veneziane. Quelle vere.»
Sedettero sul divano e, con un misto di curiosità e complicità, aprirono il sacchetto. Sandro tirò fuori per prima la maschera destinata a Lucia: un capolavoro artigianale, contornata da piume lunghissime e leggere, dai colori vivaci — il rosso porpora, il blu elettrico, un tocco di verde smeraldo — disposte in modo armonioso e scenografico. Copriva il volto fino al labbro superiore, lasciando intravedere la linea della bocca.
«Con un rossetto rosso scarlatto farai perdere la testa a chiunque,» mormorò, porgendogliela con una certa reverenza.
Lei la prese e se la sistemò con grazia, poi si voltò lentamente verso di lui. L’effetto fu immediato: sensualità, mistero, eleganza. Lui rimase in silenzio, come se l’avesse vista per la prima volta.
Poi toccò a lui. La sua era bianca, liscia, semplice. Ma aveva qualcosa di inquietante, quasi ipnotico: ricordava certe figure del teatro classico, un po’ fantasma, un po’ demone. Copriva il volto fino alla bocca, lasciando scoperti solo il mento e una parte della mascella.

«Sembri un assassino raffinato,» commentò Lucia ridendo, mentre lui se la sistemava sul viso.
«Perfetto per la festa, no?»
Si guardarono per qualche istante attraverso quelle maschere. Un gioco. Ma anche una prova. Quel travestimento anticipava un’altra soglia. Eppure, in quell’attimo sospeso, scoppiarono a ridere entrambi. Una risata sincera, liberatoria.
Lucia si tolse la maschera e si appoggiò con la testa sulla sua spalla. «Siamo davvero pronti?»
Sandro le accarezzò la guancia, piano.
«No. Ma non è questo il bello?»
Dormirono poco, e male. Nonostante si fossero amati con passione — un modo per sciogliere la tensione, per restare ancorati l’uno all’altra prima del salto nel buio — il sonno fu leggero, spezzato da pensieri, immagini, aspettative.
Lucia si girava nel letto, a occhi aperti nel buio, ascoltando il respiro di Sandro che si faceva più lento. Sentiva un’agitazione sottile attraversarle il corpo, ma non era solo ansia. Era eccitazione. Una parte di lei, la più nascosta, la più affamata, non vedeva l’ora che arrivasse il momento. Non sapeva esattamente cosa l’aspettasse — quali gesti, quali sguardi, quali confini avrebbe dovuto (o potuto) attraversare — ma il pensiero di immergersi in quell’ambiente la stuzzicava. Non doveva dimostrare nulla a nessuno, nemmeno a Sandro. Ma a sé stessa sì. Voleva sapere come avrebbe reagito il suo corpo, la sua mente, il suo desiderio.
Accanto a lei, anche Sandro era sveglio. Fingeva di dormire, ma gli occhi erano spalancati nel buio. Pensava a Matilde, alle pagine della sua agenda, ai racconti di quelle notti vissute al limite, tra piacere e spettacolo. Avrebbe visto anche lui corpi nudi che si offrivano alla vista, giochi di dominazione, sottomissione, libertà? E Lucia? Come si sarebbe mossa in quel mondo?
La desiderava. Ma era inevitabile chiedersi se sarebbe riuscito a vederla in quel contesto senza provare gelosia. Avrebbe saputo distinguere tra il desiderio condiviso e la perdita di qualcosa di intimo?
E se Lucia si fosse sentita attratta da quella libertà? Se quella notte avesse risvegliato in lei qualcosa che poi lui non sarebbe più riuscito a contenere, a comprendere?
Si voltò verso di lei, trovandola sveglia. Non si dissero nulla. Solo uno sguardo, lungo e profondo, nel buio.
Lucia sorrise appena. «Non riesci a dormire?»
«No. Tu?»
«No.»
Si strinsero, senza bisogno di parole. C’erano domande sospese tra loro, ma non era ancora il momento di porle. Quella notte era come una vigilia: piena di promesse, di incognite, di eccitazione.
Lucia chiuse gli occhi, appoggiando la fronte sul petto di Sandro. Aveva il cuore che batteva più forte del normale. Ma non aveva paura. Solo desiderio di capire. E di scoprire.
scritto il
2025-11-02
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