Sulla pelle di Eva Capitolo VIi

di
genere
confessioni

Mi risvegliai qualche ora dopo. Fu un movimento ritmico, insistente, a strapparmi ai sogni. Realizzai che sdraiarmi accanto a Michele, mezza nuda, non era stata una scelta saggia. Ma forse lo avevo voluto. Forse, in quel gesto, c’era stata una forma di resa. Stavo stesa su un fianco, con le ginocchia rannicchiate al petto ,sentii il suo corpo contro il mio, il suo sesso affondare nel mio in un ritmo crescente, il suo desiderio che mi cercava senza parole. Provai a staccarmi, ma senza convinzione. Non ne ebbi la forza. O forse mi mancò la volontà.
Ero ancora aperta, lubrificata, ancora sensibile dalla notte passata con Philippe, e quello gli facilitava il compito, la sua missione di conquista e controllo. Mi teneva stretta sotto il peso del suo corpo, intrappolata, come se temesse che quel momento potesse dissolversi. Il suo ritmo era urgente, quasi disperato, un intenso dentro e fuori senza pause , come se volesse trattenermi, possedermi prima che potessi svanire.
Non lo fermai. Ma non lo accolsi, non partecipai al suo godimento.
Qualcosa di nuovo si era acceso dentro di me, qualcosa che era rimasto sopito e che ora reclamava il suo posto nella mia vita.
Rimasi lì, immobile, sospesa tra vergogna e desiderio, tra il bisogno di essere vista e quello di sparire. Di essere usata, e anche di usare.
Di vivere il duplice ruolo di succube e carnefice.
In quel conflitto, ancora una volta, riconobbi la mia verità, la mia natura, ero il corpo che provocava, ma anche quello che subiva. E forse, in quel momento, non c’era differenza.
Nel prendermi, Michele cercava di dichiarare un possesso che non aveva mai avuto, che io non gli avevo mai concesso, o ceduto, ne mai sarebbe accaduto.
Mi concesse un attimo di pausa per raccogliere dei miei slip dal letto e annusarli, mi voltai a guardarlo e lui quando si rese conto che ero sveglia non si fermò anzi, mi fece cambiare posizione. Non ebbe il coraggio di guardarmi negli occhi. Preferì restare dietro di me, facendomi gattonare a quattro zampe sul letto matrimoniale di suo fratello. E in quel gesto , che aveva il sapore della profanazione , continuò a usare il mio corpo, ormai completamente disponibile ,aperto.
Continuò a lungo quasi per tutta la mattina, senza mai staccarsi da me, variando di poco le posizioni che mi faceva assumere tutte pensate per sottomettermi per umiliarmi, il letto divenne un ring, dove confrontarsi contro di me contro la frustrazione che aveva accumulato nel tempo ,le lenzuola sotto di noi si impregnarono di umori e liquidi, diventando un pantano di passione.
Famelico, inarrestabile, come se temesse che al ritorno di Aldo tutto quello gli sarebbe stato negato ,e con quella paura si prese tutto quello che poteva anche quello che non avevo mai concesso a suo fratello, mio marito, il mio ano.
Fu in esso che raggiunse il suo limite ultimo e come a firmare una dichiarazione, un atto di possesso, sparse sulla mia schiena, sulle mie natiche tra il solco che le divideva e su ciò che c’era nel mezzo, tutto quello che gli restava da offrire.
Rimanemmo in silenzi, Michele rimase a guardarmi a lungo, mentre io restavo inerte, disfatta e sconfitta sul letto, poi a testimonianza di quella sua vittoria, scattò delle foto con il suo smartphone ,non potei far altro che sperare che non le avrebbe mostrate a suo fratello, ma il timore reverenziale che aveva nei confronti di Aldo anche se aver approfittato della moglie dichiarava altro, mi rassicurava che sarebbe stato un cimelio solo per lui.
Mi lasciò sola, abbandonata sul letto. Sentivo ancora il suo corpo contro il mio, il suo seme che mi colava addosso. E fu allora, in maniera inattesa, che l’orgasmo mi raggiunse. Quando sembrava che non ci fosse più nulla a provocarlo, venne a farmi visita.
Non fu un grido. Fu un silenzio che mi attraversò. Il mio corpo si tese, si chiuse, poi si aprì di colpo , come un respiro trattenuto troppo a lungo. Sentii le gambe tremare, il ventre contrarsi, il cuore battere in gola. Non fui io a decidere. Fu lui, il mio corpo, a prendersi tutto.
Il piacere mi attraversò in onde, e ogni onda portò via un pezzo di vergogna, di inutile timidezza, un frammento di controllo, smontava una parte di me e ne faceva affiorare una del tutto nuova. Non pensai. Non parlai. Guardai solo il mio pube gonfiarsi ,Mi lasciai andare e con essa anche la mia vescica che avevo trattenuto a lungo ,segui l’esempio e si rilasso, generando ad ogni contrazione una serie di getti violenti ,liquidi e caldi che non erano composti solo di urina.
Quello era il mio primo vero orgasmo, orgasmo che non avevo mai provato con Aldo ,troppo impegnata ad assecondare i desideri, ma nemmeno Philippe la sera prima mi aveva regalato ,o almeno , non con quella intensità.
scritto il
2025-10-28
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