Sulla pelle di Eva XXI
di
passodalfiume
genere
confessioni
Ero in ospedale per far visita ad una vicina di casa, la signora Eleonora, una simpatica vecchietta ricoverata per un piccolo incidente domestico.
Sotto la gonna nera a fiori di seta aderente, dentro ai miei slip in pizzo umidi, un plug vibrava veloce nel mio ano. In ascensore, schiacciata per la moltitudine di passeggeri, tra gli sguardi curiosi di chi percepiva il ronzio del giocattolo tra le mie natiche, cercando di nascondere l'eccitazione e combattere la mia solita claustrofobia, sentii qualcuno toccarmi la spalla. Mi voltai, un uomo in divisa da infermiere mi sorrideva, dovette presentarsi perché io potessi riconoscerlo, era Gianfranco.
Anni prima, mia madre aveva cominciato a frequentare un certo Mario e quando i due uscivano la sera finivamo per ospitare suo figlio Gianfranco, che l’uomo non si fidava a lasciare da solo a casa. Così, mentre mia madre era fuori a divertirsi, io ero costretta a fare la baby-sitter a un ragazzino che fino a quel momento si era dimostrato di una noia mortale.
Io e Gianfranco eravamo praticamente coetanei, 18 anni compiuti, entrambi all’ultimo anno di liceo ma mentre io ero già “adulta” su molti aspetti, lui sembrava intrappolato nella sua infanzia. Bruttino, naso troppo grande, occhi da topo, bassino, a stento mi arrivava alle spalle, minuto nel fisico quasi scheletrico, con uno sguardo ingenuo, dava l’aria di essere anche poco sveglio. Ogni volta che apriva bocca era motivo di imbarazzo.
Si vestiva come un ragazzino, indossando magliette di supereroi: il suo preferito era Goku di Dragon Ball, di cui aveva una collezione infinita tra t-shirt e felpe. Persino lo zainetto che a volte si portava dietro era dedicato alla serie. Pensai che se si fosse presentato così al mio liceo lo avrebbero quanto meno linciato.
Ogni volta che lo vedevo arrivare mi sembrava di ospitare un bambino di dieci anni, non un compagno di maturità. Si sedeva sul divano con lo zainetto stretto tra le ginocchia, come se avesse paura che qualcuno glielo rubasse. Parlava poco, e quando parlava era peggio: frasi spezzate, ingenue, che mi facevano vergognare per lui. Io, che già mi sentivo adulta, costretta a vegliare su un ragazzino che non voleva crescere.
Si piazzava davanti alla tv, collegava la sua console portata da casa e passava la serata a giocarci, per me era una fortuna ,almeno cosi ,non mi avrebbe costretto ad interagire con lui. lo trovavo insopportabile.
Una sera avevo ordinato la pizza per entrambi e quando il ragazzo delle consegne, un tipo piuttosto carino sulla trentina con cui ci fu un breve ,ma eccitante scambio di sguardi, fece la sua consegna, lo andai a cercare per avvisare. Mi sorprese non trovarlo davanti alla tv. Lo chiamai due volte, nessuna risposta.
Mi salì il sangue alla testa pensando che potesse essere in camera mia. Mi affrettai a raggiungerla, ma non c’era. Diedi uno sguardo veloce alla stanza di mia madre, nulla. Non era nemmeno in bagno.
Un po’ preoccupata, cominciai a domandarmi se, senza che me ne accorgessi, fosse andato via. Ero stata molto dura poco prima, dopo lo sfortunato incidente in cucina.
Gianfranco era venuto a parlarmi, a cercare un contatto emotivo a cui non ero disponibile. Seduta sullo sgabello stavo china sul ripiano della penisola intenta a scorrere i miei social, lo avevo volutamente ignorato.
Sbuffai infastidita quando mi accorsi che approfittava della mia posizione, nella quale la forma del mio sedere dentro ai shorts di cotone bianco, indossati senza nulla sotto, veniva accentuata, per lanciarmi una lunga occhiata. Ero a casa mia, faceva un caldo terribile , di accendere l’aria condizionata non se ne parlava, avrebbe mandato mia madre su tutte le furie, fissata con le bollette e i soldi. Inoltre, invadeva la mia privacy, se volevo andar e in giro in mutande, avrebbe dovuto farselo piacere e rispettare la mia scelta, senza fare il viscido. Il mio sguardo crudele pieno di giudizio e disprezzo era la sintesi di tutto quello, Gianfranco, pieno di vergogna e rassegnato, stava per andarsene, ma da perfetto imbranato quale era, mise un piede in fallo, scivolò dallo sgabello accanto al mio e, nel tentativo di aggrapparsi, le sue mani finirono sul mio top a fascia senza spalline, che reggeva soltanto perché aderente alla pelle. Lo tirò verso il basso, mettendomi a nudo il seno. Colta di sorpresa e persa l’equilibrio anch’io, fui trascinata giù insieme a lui rovinammo sul pavimento, l’una sull’altro.
Il mio sesso gli finii letteramente in bocca e lui come avrebbe fatto un cane con un giocattolo di gomma, lo masticò per alcuni secondi.
La mia reazione non fu né complice, né comprensiva. Come una valkiria, mi rimisi in piedi e a forza rimisi in piedi lui, furiosa lo spinsi contro il frigo senza lasciargli scampo. Con il volto acceso e le lacrime agli occhi, tra rabbia e imbarazzo, gli urlai contro, chiamandolo pervertito, maiale, malato, mentre lui, atterrito, cercava di scusarsi in ogni modo, che era stato un incidente e che forse stavo esagerando. la goccia che fece traboccare il vaso. Accecata dall’ira, alle sue parole risposi con il gesto più immediato che mi venne in mente, gli afferrai il cavallo dei pantaloni e lo strinsi e gli chiesi come si sentiva.
Gianfranco rimase muto, a quella mia domanda rispose il suo corpo , sentii la sua erezione crescere nel mio palmo dentro i pantaloni della sua tuta e fulmineo venire, inzuppando il tessuto e sopra di esso la mia mano.
Sorpresa, furiosa e disgustata per ciò che lui, restando in silenzio dimostrava, reagii ,sputandogli in faccia, poi me ne andai lasciandolo solo, non prima di essermi pulita la mano sulla sua maglietta.
Ero stata parecchio cattiva, persino crudele ,mi sentivo in colpa, la mia reazione non era solo verso di lui, era verso mia madre ,verso suo padre Mario, che mi avevano lasciato in quella situazione, ma fu comunque eccessiva.
All’idea che il ragazzo avesse preso davvero male la cosa, l’ansia mi salì allo stomaco. Pensai che forse Gianfranco, mortificato, se ne fosse andato chissà dove. Ero preoccupata per lui, ma lo ero anche per me: se non fosse tornato prima che i nostri genitori rientrassero, avrei passato un brutto, bruttissimo guaio. Mario non sembrava un uomo ragionevole, anzi sembrava essere piuttosto severo, visto come il figlio era venuto su, remissivo, e mia madre non era una con cui si potesse parlare.
Stavo per uscire di casa, senza nemmeno indossare i pantaloni, con l’intenzione di andarlo a cercare, quando mi accorsi che la luce del balcone era accesa. Gianfranco era lì, rannicchiato in un angolo, con un’aria affranta che mi fece una tenerezza pazzesca.
Non sapevo cosa dirgli. Volevo scusarmi, pur sentendo che fosse lui dalla parte del torto e io quella che il torto lo aveva subito. Ma vederlo in quelle condizioni mi dispiaceva. Così gli dissi soltanto che la pizza era arrivata e che, se voleva mangiare qualcosa, lo aspettavo in cucina.
Arrivò dopo un po’, con l’aria di un cane appena bastonato. A stento toccò la pizza che aveva davanti, e questo mi faceva sentire in colpa.
Lavati i piatti e messa a posto la cucina, feci per tornare in camera mia, pensando che evitarlo sarebbe stata la cosa migliore da fare.
Passando in salotto lo vidi seduto per terra davanti alla TV, come sempre intrattenuto da uno dei suoi videogiochi. Ma qualcosa nella sua espressione mi convinse a fermarmi.
Non aveva la solita aria concentrata: il suo sguardo era perso nel vuoto e a stento reagiva agli stimoli che il videogioco cercava di imporgli.
Alle medie avevo preso la mononucleosi ed ero stata costretta a casa per un bel po’ di tempo. Conoscevo quel gioco: ci avevo passato parecchie ore anch’io, per ammazzare la noia dell’isolamento. Era un picchiaduro piuttosto cruento, in cui gli atleti si affrontavano in combattimenti mortali.
Un po’ troppo sangue e budella per i miei gusti, ma mi aveva divertito, e alla fine ero diventata anche abbastanza bravina, o almeno così credevo.
Mi avvicinai a Gianfranco nel tentativo di ristabilire un contatto e, a modo mio, di chiedergli scusa. Il suo personaggio, una guerriera dal volto coperto, vestita con un body azzurro e armata di ventagli, stava prendendo mazzate da un gigante in perizoma con quattro braccia. Gli dissi che faceva veramente schifo a quel gioco.
Lui mi chiese se sapevo fare di meglio e mi passò il controller. Accettai la sfida.
Stavo in piedi accanto a lui , mentre restava seduto per terra, concentrata sul gioco, cercando di ricordare i trucchi che avevo imparato con l’esperienza, dando al gigante la lezione che meritava. Gianfranco silenzioso sembrava essere attratto da ben altro. Feci finta di non accorgermi che i suoi occhi non erano sullo schermo: scivolavano su di me, sul tessuto sottile dei miei shorts, umido, per la saliva che lui ci aveva lasciato poco prima e il sudore di una serata di Giugno tra le più calde della storia.
Il disagio che provavo era enorme, ma resistetti, la mia battaglia non era solo nel videogioco ma con lui , con me stessa.
Sentii il bruciore di quello sguardo, un misto di attrazione e fastidio. Io continuavo a premere i tasti, ostinata, ripetitiva come se il ritmo del gioco potesse coprire l’imbarazzo e trasformare la mia frustrazione in ironia, picchiare quel tizio, era al momento l’unica cosa su cui potevo mantenere il controllo.
Gianfranco fissava il mio pube come se cercasse un indizio sfuggente, feci un passo in avanti verso la TV, per sottrarmi al suo sguardo per non mostrargli, quanto le sue attenzioni, quanto tutta quella situazione fatta di tacito consenso, stesse scaldando il mio ventre e inumidendo il cavallo dei miei shorts che sembravano diventati striminziti attorno al mio sesso.
Dal riflesso della vetrinetta lo vidi , in un coraggio che non mi sarei mai attesa, chinarsi verso di me e annusarmi il sedere, era cosi vicino da poter sentire il calore del suo fiato scivolare sulla mia pelle madida di sudore, mi morsi il labbro, imbarazzata e forse, già un pò complice
,lasciai che fosse lui a prendere l’iniziativa.
Ebbi un sobbalzo quando la sua mano in modo audace e inatteso, insinuatosi tra le mie gambe afferrò il mio sesso, palpandolo, strizzandolo come si fa con un frutto succoso di cui si vuole valutarne la maturazione.
Mi sottrassi facendo due passi indietro, lasciai cadere il controller. Sullo schermo la mia eroina rimase immobile, inerme, senza guida, fatta a pezzi dal suo avversario, incontrava il suo fatale destino.
Game Over.
Gianfranco era seduto davanti a me. Aveva sul volto disegnata un'espressione più sconvolta della mia come se quell'atto appena compiuto non gli appartenesse ,ma fosse frutto di un istinto che non era riuscito a controllare.
Con il fiato rotto in gola gli chiesi come si fosse permesso di toccarmi in quel modo. Lui strisciando verso di me con occhi sgranati e voce supplicante mi chiese ancora una volta di perdonarlo, giustificandosi che ai suoi occhi ero così bella che gli era stato impossibile resistermi, che il mio odore lo aveva ubriacato, che il suo intento era stato quello di voler verificare una sua impressione a cui ,come previsto ,avevo dato conferma aggiunse annusandosi la mano.
Nella semi oscurità di quella stanza illuminata solo dallo schermo dietro di lui, sembrava cambiato, non era più il ragazzino imbranato che avevo imparato a odiare.
Provavo tenerezza per quel ragazzo, ma insieme l’impressione di poterlo dominare completamente: avrei potuto chiedergli qualunque cosa e lui l’avrebbe fatto. Proprio questo lo rendeva diverso ai miei occhi, persino attraente. Eppure, incapace di accettare quella realtà, un moto di rifiuto mi spinse prima ad aggredirlo con le parole, poi, un attimo dopo, a passare alle maniere forti.
Lui reagì opponendo una difesa veemente, mentre lo schiaffeggiavo, gli tiravo i capelli, lo spintonavo con rabbia. Ma dentro di me sentii che quella inutile resistenza era qualcos’altro: ebbi l’impressione che nel mio furore lui trovasse un piacere segreto, e questo mi disorientò più di ogni sua reazione.
Voleva essere maltrattato.
Spinta dall'enfasi ,dal senso di potere e dall'eccitazione, riempiendolo di insulti, lo obbligai ad inginocchiarsi ,gli presi la testa e gliela schiacciai contro il mio pube, poi mi voltai e feci lo stesso schiacciandoli il naso tra le mie natiche costringendolo ad annusare l'aroma diffuso dal calore del mio sesso.
Il mio respiro era corto mentre gli trattenevo la testa e sentivo la sua lingua impudente scivolare sul cavallo dei miei slip
Mi ritrovai sul pavimento davanti a lui, i ruoli si erano invertiti. Lui stava in piedi davanti a me , pur se io restavo dominante in quell'azione , posta in ginocchio davanti a lui, il suo sesso , senza educazione, senza permesso, tirato fuori dai pantaloni, balenava sproporzionato rispetto al resto del corpo. Un colosso dalla testa porpora, di pelle liscia a fargli da guaina pallida e umida, corpi cavernosi irrorati dal desiderio, mi sventolava in faccia battendo rigido e caldo sotto al mio naso.
Furente ed arrapata, lo strofinai con entrambe le mani.
Avvicinai la mia bocca ad esso. sfiorai il glande con la lingua, poi la feci correre lungo l'asta, e una volta ritornata all'apice accolsi la punta tra le mie labbra.
Prepotente , vorace, la spinsi nella mia bocca, senza badare ai suoi lamenti, graffiandolo con i denti, scivolò sulla mia lingua fino a spingersi in fondo alla mia gola ,poi tirata indietro per ripetere più e più volte muovendo testa e collo.
Gianfranco mi guardava esterrefatto e eccitato, forse provando a ricordare le volte in cui si era immaginato quella situazione, di vedere il suo cazzo affondare nella mia gola.
Per l'emozione e l'inesperienza non seppe resistere al mio assalto, ricolmò il mio palato con il suo seme abbondante, caldo e appiccicoso, il cui sapore era aspro, muschiato.
O Bere o affogare, non avevo scelta.
Rossa in viso, sudata, con gli occhi saturi di lacrime e rivolti all'indietro deglutii ogni singola goccia che aveva serbato per me.
Passammo sul divano, i miei shorts finirono sul pavimento, lo costrinsi tra le mie cosce, toccava a lui darmi piacere con bocca e lingua, lui sembrò incerto, come se non sapesse esattamente cosa fare.
Non aveva una gran tecnica mostrava inesperienza, dovetti guidarlo passo passo, indicandogli come muoversi ,dove andare a sollecitare ,quanta intensità mettere, quale velocità far muovere la sua lingua, ma di sicuro aveva passione, aveva appetito e riuscì ad accendermi. Quando finalmente fui pronta passammo la penetrazione.
Sopraffatto al mio capriccio e io al mio bisogno, lo feci sedere sul divano, salì su di lui a cavalcioni e guidando il suo membro con la mano all'ingresso della mia vagina bagnata e palpitante, con gesto lento ma costante, lo accolsi dentro di me.
Gianfranco cercò di toccarmi ma io glielo impedii tenendogli le mani costrette dietro la testa, volevo essere io a godermi il suo corpo, lui era l’oggetto del mio piacere e non viceversa.
Muovendo i fianchi, spingendo e rilasciando il suo impeto, dentro e fuori e poi ancora e ancora che ad ogni affondo avanzava nella trappola della mia passione,.
Gianfranco si sporse verso di me cercando un bacio che gli rifiutai, schiaffeggiandolo e spingendogli dietro la testa.
Non ero lì per essere la sua ragazza, ero su di lui per appagare un mio appetito.
Lui si arrese alla mia ferocia, mentre lo dominavo, ebbi l'impressione che non avrebbe retto molto, gli ordinai di avvisarmi prima di venire ma, lui insolente non si attenne alla mia indicazione, eiaculò frenetico contro l’ingresso del mio utero tra le pareti della mia cervice ,che di riflesso , in modo che non potevo controllare, si serravano attorno alla sua asta intrappolandola, mentre il suo sperma mi farciva.
Colta di sorpresa, stordita, da quel l'orgasmo lasciai libere le mani di Gianfranco che, vista l’opportunità, ne approfitto subito.
Mi ribaltò sul divano essenza lasciare il mio corpo ,con un ardore che non era mai scemato continuò a scoparmi.
Affamato, vendicativo, le sue mani erano sui miei seni ,senza delicatezza, senza alcun rispetto, il suo sesso affondava nel mio ,veloce e veemente, i nostri ruoli si erano invertiti.
Ero io che subivo la sua prepotenza. Le mie mani costrette dietro la testa, non potevo far altro che restare succube dei suoi capricci.
Mi strappò un lungo bacio, quello che gli avevo negato, le nostre labbra si unirono, lingue lottarono l'una contro l'altra, fondendo la nostra saliva in un'unica densa sostanza nelle nostre bocche, mentre le sue mani si prendevano tutto ciò che non ero più in grado di sottrargli.
Venne per altre due volte dentro di me e una terza, avvinta al suo dominio, mentre dopo avermi costretta sul pavimento prostrata davanti a lui scaricava sul mio viso tutta la frustrazione accumulata.
Quando fu svuotato ,cercò una pausa accasciandosi esausto sul divano.
Lo andai a raggiungere ,ancora vogliosa delle sue attenzioni, giocavo con il suo sesso che pareva aver bisogno di un attimo per riprendersi.
Ci guardammo a lungo cercando di trovare le parole da dire in quell'occasione, le emozioni si rincorrevano e si facevano lo sgambetto a vicenda, generando confusione e imbarazzo per ciò, inatteso e improvviso, che era appena avvenuto.
Dalla TV veniva la colonna sonora del videogioco che avevamo lasciato in sospeso.
Gianfranco traendo spunto da quello stimolo e cercando di spezzare la tensione di quel silenzio , mentre cupida mi chinavo sul suo cazzo, mi disse che me la cavavo bene come guerriera dei combattimenti mortali.
Sotto la gonna nera a fiori di seta aderente, dentro ai miei slip in pizzo umidi, un plug vibrava veloce nel mio ano. In ascensore, schiacciata per la moltitudine di passeggeri, tra gli sguardi curiosi di chi percepiva il ronzio del giocattolo tra le mie natiche, cercando di nascondere l'eccitazione e combattere la mia solita claustrofobia, sentii qualcuno toccarmi la spalla. Mi voltai, un uomo in divisa da infermiere mi sorrideva, dovette presentarsi perché io potessi riconoscerlo, era Gianfranco.
Anni prima, mia madre aveva cominciato a frequentare un certo Mario e quando i due uscivano la sera finivamo per ospitare suo figlio Gianfranco, che l’uomo non si fidava a lasciare da solo a casa. Così, mentre mia madre era fuori a divertirsi, io ero costretta a fare la baby-sitter a un ragazzino che fino a quel momento si era dimostrato di una noia mortale.
Io e Gianfranco eravamo praticamente coetanei, 18 anni compiuti, entrambi all’ultimo anno di liceo ma mentre io ero già “adulta” su molti aspetti, lui sembrava intrappolato nella sua infanzia. Bruttino, naso troppo grande, occhi da topo, bassino, a stento mi arrivava alle spalle, minuto nel fisico quasi scheletrico, con uno sguardo ingenuo, dava l’aria di essere anche poco sveglio. Ogni volta che apriva bocca era motivo di imbarazzo.
Si vestiva come un ragazzino, indossando magliette di supereroi: il suo preferito era Goku di Dragon Ball, di cui aveva una collezione infinita tra t-shirt e felpe. Persino lo zainetto che a volte si portava dietro era dedicato alla serie. Pensai che se si fosse presentato così al mio liceo lo avrebbero quanto meno linciato.
Ogni volta che lo vedevo arrivare mi sembrava di ospitare un bambino di dieci anni, non un compagno di maturità. Si sedeva sul divano con lo zainetto stretto tra le ginocchia, come se avesse paura che qualcuno glielo rubasse. Parlava poco, e quando parlava era peggio: frasi spezzate, ingenue, che mi facevano vergognare per lui. Io, che già mi sentivo adulta, costretta a vegliare su un ragazzino che non voleva crescere.
Si piazzava davanti alla tv, collegava la sua console portata da casa e passava la serata a giocarci, per me era una fortuna ,almeno cosi ,non mi avrebbe costretto ad interagire con lui. lo trovavo insopportabile.
Una sera avevo ordinato la pizza per entrambi e quando il ragazzo delle consegne, un tipo piuttosto carino sulla trentina con cui ci fu un breve ,ma eccitante scambio di sguardi, fece la sua consegna, lo andai a cercare per avvisare. Mi sorprese non trovarlo davanti alla tv. Lo chiamai due volte, nessuna risposta.
Mi salì il sangue alla testa pensando che potesse essere in camera mia. Mi affrettai a raggiungerla, ma non c’era. Diedi uno sguardo veloce alla stanza di mia madre, nulla. Non era nemmeno in bagno.
Un po’ preoccupata, cominciai a domandarmi se, senza che me ne accorgessi, fosse andato via. Ero stata molto dura poco prima, dopo lo sfortunato incidente in cucina.
Gianfranco era venuto a parlarmi, a cercare un contatto emotivo a cui non ero disponibile. Seduta sullo sgabello stavo china sul ripiano della penisola intenta a scorrere i miei social, lo avevo volutamente ignorato.
Sbuffai infastidita quando mi accorsi che approfittava della mia posizione, nella quale la forma del mio sedere dentro ai shorts di cotone bianco, indossati senza nulla sotto, veniva accentuata, per lanciarmi una lunga occhiata. Ero a casa mia, faceva un caldo terribile , di accendere l’aria condizionata non se ne parlava, avrebbe mandato mia madre su tutte le furie, fissata con le bollette e i soldi. Inoltre, invadeva la mia privacy, se volevo andar e in giro in mutande, avrebbe dovuto farselo piacere e rispettare la mia scelta, senza fare il viscido. Il mio sguardo crudele pieno di giudizio e disprezzo era la sintesi di tutto quello, Gianfranco, pieno di vergogna e rassegnato, stava per andarsene, ma da perfetto imbranato quale era, mise un piede in fallo, scivolò dallo sgabello accanto al mio e, nel tentativo di aggrapparsi, le sue mani finirono sul mio top a fascia senza spalline, che reggeva soltanto perché aderente alla pelle. Lo tirò verso il basso, mettendomi a nudo il seno. Colta di sorpresa e persa l’equilibrio anch’io, fui trascinata giù insieme a lui rovinammo sul pavimento, l’una sull’altro.
Il mio sesso gli finii letteramente in bocca e lui come avrebbe fatto un cane con un giocattolo di gomma, lo masticò per alcuni secondi.
La mia reazione non fu né complice, né comprensiva. Come una valkiria, mi rimisi in piedi e a forza rimisi in piedi lui, furiosa lo spinsi contro il frigo senza lasciargli scampo. Con il volto acceso e le lacrime agli occhi, tra rabbia e imbarazzo, gli urlai contro, chiamandolo pervertito, maiale, malato, mentre lui, atterrito, cercava di scusarsi in ogni modo, che era stato un incidente e che forse stavo esagerando. la goccia che fece traboccare il vaso. Accecata dall’ira, alle sue parole risposi con il gesto più immediato che mi venne in mente, gli afferrai il cavallo dei pantaloni e lo strinsi e gli chiesi come si sentiva.
Gianfranco rimase muto, a quella mia domanda rispose il suo corpo , sentii la sua erezione crescere nel mio palmo dentro i pantaloni della sua tuta e fulmineo venire, inzuppando il tessuto e sopra di esso la mia mano.
Sorpresa, furiosa e disgustata per ciò che lui, restando in silenzio dimostrava, reagii ,sputandogli in faccia, poi me ne andai lasciandolo solo, non prima di essermi pulita la mano sulla sua maglietta.
Ero stata parecchio cattiva, persino crudele ,mi sentivo in colpa, la mia reazione non era solo verso di lui, era verso mia madre ,verso suo padre Mario, che mi avevano lasciato in quella situazione, ma fu comunque eccessiva.
All’idea che il ragazzo avesse preso davvero male la cosa, l’ansia mi salì allo stomaco. Pensai che forse Gianfranco, mortificato, se ne fosse andato chissà dove. Ero preoccupata per lui, ma lo ero anche per me: se non fosse tornato prima che i nostri genitori rientrassero, avrei passato un brutto, bruttissimo guaio. Mario non sembrava un uomo ragionevole, anzi sembrava essere piuttosto severo, visto come il figlio era venuto su, remissivo, e mia madre non era una con cui si potesse parlare.
Stavo per uscire di casa, senza nemmeno indossare i pantaloni, con l’intenzione di andarlo a cercare, quando mi accorsi che la luce del balcone era accesa. Gianfranco era lì, rannicchiato in un angolo, con un’aria affranta che mi fece una tenerezza pazzesca.
Non sapevo cosa dirgli. Volevo scusarmi, pur sentendo che fosse lui dalla parte del torto e io quella che il torto lo aveva subito. Ma vederlo in quelle condizioni mi dispiaceva. Così gli dissi soltanto che la pizza era arrivata e che, se voleva mangiare qualcosa, lo aspettavo in cucina.
Arrivò dopo un po’, con l’aria di un cane appena bastonato. A stento toccò la pizza che aveva davanti, e questo mi faceva sentire in colpa.
Lavati i piatti e messa a posto la cucina, feci per tornare in camera mia, pensando che evitarlo sarebbe stata la cosa migliore da fare.
Passando in salotto lo vidi seduto per terra davanti alla TV, come sempre intrattenuto da uno dei suoi videogiochi. Ma qualcosa nella sua espressione mi convinse a fermarmi.
Non aveva la solita aria concentrata: il suo sguardo era perso nel vuoto e a stento reagiva agli stimoli che il videogioco cercava di imporgli.
Alle medie avevo preso la mononucleosi ed ero stata costretta a casa per un bel po’ di tempo. Conoscevo quel gioco: ci avevo passato parecchie ore anch’io, per ammazzare la noia dell’isolamento. Era un picchiaduro piuttosto cruento, in cui gli atleti si affrontavano in combattimenti mortali.
Un po’ troppo sangue e budella per i miei gusti, ma mi aveva divertito, e alla fine ero diventata anche abbastanza bravina, o almeno così credevo.
Mi avvicinai a Gianfranco nel tentativo di ristabilire un contatto e, a modo mio, di chiedergli scusa. Il suo personaggio, una guerriera dal volto coperto, vestita con un body azzurro e armata di ventagli, stava prendendo mazzate da un gigante in perizoma con quattro braccia. Gli dissi che faceva veramente schifo a quel gioco.
Lui mi chiese se sapevo fare di meglio e mi passò il controller. Accettai la sfida.
Stavo in piedi accanto a lui , mentre restava seduto per terra, concentrata sul gioco, cercando di ricordare i trucchi che avevo imparato con l’esperienza, dando al gigante la lezione che meritava. Gianfranco silenzioso sembrava essere attratto da ben altro. Feci finta di non accorgermi che i suoi occhi non erano sullo schermo: scivolavano su di me, sul tessuto sottile dei miei shorts, umido, per la saliva che lui ci aveva lasciato poco prima e il sudore di una serata di Giugno tra le più calde della storia.
Il disagio che provavo era enorme, ma resistetti, la mia battaglia non era solo nel videogioco ma con lui , con me stessa.
Sentii il bruciore di quello sguardo, un misto di attrazione e fastidio. Io continuavo a premere i tasti, ostinata, ripetitiva come se il ritmo del gioco potesse coprire l’imbarazzo e trasformare la mia frustrazione in ironia, picchiare quel tizio, era al momento l’unica cosa su cui potevo mantenere il controllo.
Gianfranco fissava il mio pube come se cercasse un indizio sfuggente, feci un passo in avanti verso la TV, per sottrarmi al suo sguardo per non mostrargli, quanto le sue attenzioni, quanto tutta quella situazione fatta di tacito consenso, stesse scaldando il mio ventre e inumidendo il cavallo dei miei shorts che sembravano diventati striminziti attorno al mio sesso.
Dal riflesso della vetrinetta lo vidi , in un coraggio che non mi sarei mai attesa, chinarsi verso di me e annusarmi il sedere, era cosi vicino da poter sentire il calore del suo fiato scivolare sulla mia pelle madida di sudore, mi morsi il labbro, imbarazzata e forse, già un pò complice
,lasciai che fosse lui a prendere l’iniziativa.
Ebbi un sobbalzo quando la sua mano in modo audace e inatteso, insinuatosi tra le mie gambe afferrò il mio sesso, palpandolo, strizzandolo come si fa con un frutto succoso di cui si vuole valutarne la maturazione.
Mi sottrassi facendo due passi indietro, lasciai cadere il controller. Sullo schermo la mia eroina rimase immobile, inerme, senza guida, fatta a pezzi dal suo avversario, incontrava il suo fatale destino.
Game Over.
Gianfranco era seduto davanti a me. Aveva sul volto disegnata un'espressione più sconvolta della mia come se quell'atto appena compiuto non gli appartenesse ,ma fosse frutto di un istinto che non era riuscito a controllare.
Con il fiato rotto in gola gli chiesi come si fosse permesso di toccarmi in quel modo. Lui strisciando verso di me con occhi sgranati e voce supplicante mi chiese ancora una volta di perdonarlo, giustificandosi che ai suoi occhi ero così bella che gli era stato impossibile resistermi, che il mio odore lo aveva ubriacato, che il suo intento era stato quello di voler verificare una sua impressione a cui ,come previsto ,avevo dato conferma aggiunse annusandosi la mano.
Nella semi oscurità di quella stanza illuminata solo dallo schermo dietro di lui, sembrava cambiato, non era più il ragazzino imbranato che avevo imparato a odiare.
Provavo tenerezza per quel ragazzo, ma insieme l’impressione di poterlo dominare completamente: avrei potuto chiedergli qualunque cosa e lui l’avrebbe fatto. Proprio questo lo rendeva diverso ai miei occhi, persino attraente. Eppure, incapace di accettare quella realtà, un moto di rifiuto mi spinse prima ad aggredirlo con le parole, poi, un attimo dopo, a passare alle maniere forti.
Lui reagì opponendo una difesa veemente, mentre lo schiaffeggiavo, gli tiravo i capelli, lo spintonavo con rabbia. Ma dentro di me sentii che quella inutile resistenza era qualcos’altro: ebbi l’impressione che nel mio furore lui trovasse un piacere segreto, e questo mi disorientò più di ogni sua reazione.
Voleva essere maltrattato.
Spinta dall'enfasi ,dal senso di potere e dall'eccitazione, riempiendolo di insulti, lo obbligai ad inginocchiarsi ,gli presi la testa e gliela schiacciai contro il mio pube, poi mi voltai e feci lo stesso schiacciandoli il naso tra le mie natiche costringendolo ad annusare l'aroma diffuso dal calore del mio sesso.
Il mio respiro era corto mentre gli trattenevo la testa e sentivo la sua lingua impudente scivolare sul cavallo dei miei slip
Mi ritrovai sul pavimento davanti a lui, i ruoli si erano invertiti. Lui stava in piedi davanti a me , pur se io restavo dominante in quell'azione , posta in ginocchio davanti a lui, il suo sesso , senza educazione, senza permesso, tirato fuori dai pantaloni, balenava sproporzionato rispetto al resto del corpo. Un colosso dalla testa porpora, di pelle liscia a fargli da guaina pallida e umida, corpi cavernosi irrorati dal desiderio, mi sventolava in faccia battendo rigido e caldo sotto al mio naso.
Furente ed arrapata, lo strofinai con entrambe le mani.
Avvicinai la mia bocca ad esso. sfiorai il glande con la lingua, poi la feci correre lungo l'asta, e una volta ritornata all'apice accolsi la punta tra le mie labbra.
Prepotente , vorace, la spinsi nella mia bocca, senza badare ai suoi lamenti, graffiandolo con i denti, scivolò sulla mia lingua fino a spingersi in fondo alla mia gola ,poi tirata indietro per ripetere più e più volte muovendo testa e collo.
Gianfranco mi guardava esterrefatto e eccitato, forse provando a ricordare le volte in cui si era immaginato quella situazione, di vedere il suo cazzo affondare nella mia gola.
Per l'emozione e l'inesperienza non seppe resistere al mio assalto, ricolmò il mio palato con il suo seme abbondante, caldo e appiccicoso, il cui sapore era aspro, muschiato.
O Bere o affogare, non avevo scelta.
Rossa in viso, sudata, con gli occhi saturi di lacrime e rivolti all'indietro deglutii ogni singola goccia che aveva serbato per me.
Passammo sul divano, i miei shorts finirono sul pavimento, lo costrinsi tra le mie cosce, toccava a lui darmi piacere con bocca e lingua, lui sembrò incerto, come se non sapesse esattamente cosa fare.
Non aveva una gran tecnica mostrava inesperienza, dovetti guidarlo passo passo, indicandogli come muoversi ,dove andare a sollecitare ,quanta intensità mettere, quale velocità far muovere la sua lingua, ma di sicuro aveva passione, aveva appetito e riuscì ad accendermi. Quando finalmente fui pronta passammo la penetrazione.
Sopraffatto al mio capriccio e io al mio bisogno, lo feci sedere sul divano, salì su di lui a cavalcioni e guidando il suo membro con la mano all'ingresso della mia vagina bagnata e palpitante, con gesto lento ma costante, lo accolsi dentro di me.
Gianfranco cercò di toccarmi ma io glielo impedii tenendogli le mani costrette dietro la testa, volevo essere io a godermi il suo corpo, lui era l’oggetto del mio piacere e non viceversa.
Muovendo i fianchi, spingendo e rilasciando il suo impeto, dentro e fuori e poi ancora e ancora che ad ogni affondo avanzava nella trappola della mia passione,.
Gianfranco si sporse verso di me cercando un bacio che gli rifiutai, schiaffeggiandolo e spingendogli dietro la testa.
Non ero lì per essere la sua ragazza, ero su di lui per appagare un mio appetito.
Lui si arrese alla mia ferocia, mentre lo dominavo, ebbi l'impressione che non avrebbe retto molto, gli ordinai di avvisarmi prima di venire ma, lui insolente non si attenne alla mia indicazione, eiaculò frenetico contro l’ingresso del mio utero tra le pareti della mia cervice ,che di riflesso , in modo che non potevo controllare, si serravano attorno alla sua asta intrappolandola, mentre il suo sperma mi farciva.
Colta di sorpresa, stordita, da quel l'orgasmo lasciai libere le mani di Gianfranco che, vista l’opportunità, ne approfitto subito.
Mi ribaltò sul divano essenza lasciare il mio corpo ,con un ardore che non era mai scemato continuò a scoparmi.
Affamato, vendicativo, le sue mani erano sui miei seni ,senza delicatezza, senza alcun rispetto, il suo sesso affondava nel mio ,veloce e veemente, i nostri ruoli si erano invertiti.
Ero io che subivo la sua prepotenza. Le mie mani costrette dietro la testa, non potevo far altro che restare succube dei suoi capricci.
Mi strappò un lungo bacio, quello che gli avevo negato, le nostre labbra si unirono, lingue lottarono l'una contro l'altra, fondendo la nostra saliva in un'unica densa sostanza nelle nostre bocche, mentre le sue mani si prendevano tutto ciò che non ero più in grado di sottrargli.
Venne per altre due volte dentro di me e una terza, avvinta al suo dominio, mentre dopo avermi costretta sul pavimento prostrata davanti a lui scaricava sul mio viso tutta la frustrazione accumulata.
Quando fu svuotato ,cercò una pausa accasciandosi esausto sul divano.
Lo andai a raggiungere ,ancora vogliosa delle sue attenzioni, giocavo con il suo sesso che pareva aver bisogno di un attimo per riprendersi.
Ci guardammo a lungo cercando di trovare le parole da dire in quell'occasione, le emozioni si rincorrevano e si facevano lo sgambetto a vicenda, generando confusione e imbarazzo per ciò, inatteso e improvviso, che era appena avvenuto.
Dalla TV veniva la colonna sonora del videogioco che avevamo lasciato in sospeso.
Gianfranco traendo spunto da quello stimolo e cercando di spezzare la tensione di quel silenzio , mentre cupida mi chinavo sul suo cazzo, mi disse che me la cavavo bene come guerriera dei combattimenti mortali.
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