Sulla pelle di Eva XIV

di
genere
confessioni


Ero in stazione, Aldo al mio fianco un pò seccato, lo tenevo per un braccio cercando di consolarlo e rassicurarlo che l’arrivo della mia ospite non avrebbe portato conseguenze spiacevoli. Mentre aspettavo che il treno , enormemente in ritardo ,di Cinzia arrivasse , mi persi nell’osservare due ragazze, molto giovani e poco vestite, che sembravano allegre con i loro zaini sulle spalle, mentre si raccontavano con entusiasmo e incredulità, chissà quale esperienza vissuta di recente, che dai gesti e dall’espressioni dei loro volti, fu facile per me intuire fosse legato al sesso.
Le due ragazze ,mi riportarono a quando avevo la loro età, quando cominciavo a vivere un cambiamento radicale nella mia vita. Qualcosa era diverso in me, anche se sembrava che ad accorgersene fossero più gli altri intorno a me che io. Davanti allo specchio mi vedevo sempre la stessa ragazza, acqua e sapone, con lo sguardo un po’ ingenuo. No, non era il viso ad essere mutato: era il corpo, le linee che si erano allungate e le curve che si erano riempite. Senza accorgermene, con un certo ritardo rispetto alle mie coetanee, avevo smesso di avere l’aspetto di una bambina e cominciavo ad assomigliare a una giovane donna.
Mia madre, narcisista com’era, accolse male quel cambiamento. Credo che si sentiva minacciata. Molti degli uomini con cui usciva sembravano interessarsi a me più del dovuto, e questo faceva scattare in lei un’ansia particolare: non quella di una madre che vuole proteggere la figlia dagli estranei, ma quella di una donna che teme di non essere più scelta.
Quell’estate andammo in vacanza in Sardegna, a Porto Rotondo. Mia madre aveva conosciuto Vincenzo durante uno speed dating: un uomo dall’aria gentile, sempre premuroso e generoso nei regali che faceva a mia madre. Lei, con l’impeto ingenuo di un’adolescente, si era subito innamorata, e lui sembrava ricambiare. Ci aveva invitate nella sua casa per trascorrere le vacanze.
La villa era splendida: due piani moderni, enormi vetrate affacciate sul mare, una piscina privata protetta da siepi e alberi che garantivano la discrezione.
Vincenzo era un imprenditore. Dopo la morte della moglie non aveva mai trovato il coraggio di legarsi ad un’altra donna. Così, nella solitudine dei suoi cinquantacinque anni, passava da uno speed dating all’altro, cercando almeno un po’ di compagnia. Lì aveva incontrato mia madre. Per sua sfortuna, dietro alle moine lei nascondeva più interesse economico che sentimentale, sperando di conquistare l’agio che quell’uomo sembrava in grado di offrirle e per suo malgrado, di offrire a me, in quanto sua figlia.
Non ci eravamo mai incontrati ma, ci volle molto che anche vincenzo fosse “distratto” dalla mia presenza. L’uomo aveva due passioni ,oltre al lavoro a cui dedicava gran parte della sua vita, la musica lirica e la fotografia. aveva le pareti della sua casa piene di foto, di belle donne, tutte modelle che aveva ingaggiato per il suo Hobby ,molte di quelle foto, per lo più in bianco e nero che ad un occhio inesperto come il mio, ne aumentava l’aspetto artistico, avevano un taglio glamour, sensuale In ognuna attraverso le pose che ogni modella assumeva, si richiamavano istinti e bisogni primordiali, pur restando di un eleganza ineccepibile. Guardando ognuna di quelle foto, non potevo che esserne affascinata, le donne ritratte sembravano ,per quanto nude, completamente a loro agio nel mostrarsi ed esprimere attraverso il loro corpo, un potere che ,ancora non ero in grado di spiegarmi, di capire fino in fondo, me che più di ogni altra cosa, volevo far mio.
Lui si accorse della mia fascinazione per il suo lavoro e cercando di essere il più garbato possibile, mi chiese se mi sarebbe piaciuto, certo, non nel modo in cui aveva ritratto quelle donne, di fargli da modella.
Mia madre, egocentrica come sempre, colpita da quella attenzione che non la riguardava, vedendosi ,come nel peggiore dei suoi incubi messa da parte, lasciò trapelare un’ombra di fastidio ma, per non mancare di riguardo al suo ospite, si limitò a un sorriso rigido e tacque.
Accettai curiosa.
Ogni giorno mi chiedeva di posare per lui, che mia madre ci fosse oppure fossimo da soli, pareva provare una autentica ossessione per me attraverso l'obbiettivo della sua reflex, ma non si spinse mai oltre al catturarmi su pellicola e come se fosse un pegno della sua ammirazione o per essermi dimostrata disponibile, mi diede , in una chiavetta USB, tutte le copie di quelle che aveva scattato ,tutte eccetto alcune che tenne per se, immagini che mi rubò in un attimo di deliziosa incoscienza.
Quelle immagini perdute erano comunque incisa nella mia memoria. La location era la stessa di molte delle altre che mi aveva scattato, quella che garantiva ad entrambi maggiore privacy la piscina di casa sua.
La mattina era cominciata come tutte le altre, Vincenzo diceva che c’era una luce perfetta e che sarebbe stata l’ideale per fare qualche foto, mia madre era fuori, in spiaggia aveva conosciuto una coppia e sembrava molto interessata al marito di lei, cosi gli aveva proposto un giro in barca, giro a cui ne io ne Vincezo eravamo stati invitati.
Le prime foto erano state come molte altre che le avevano precedute, indossavo uno dei miei soliti bikini e assumevo le pose che Vincenzo mi chiedeva di assumere, poi, come quando si strappa un cerotto, all’improvviso, mi chiese di rimuovere il pezzo di sopra e farne qualcuna in topless.
Vista la mia esitazione, ci tenne a precisare, che saremmo andati avanti solo se anche io lo volevo.
Ripensai alle donne sulle pareti della sua casa, ripensai al loro coraggio e quello mi ispirò, timidamente sciolsi i nodi dietro il collo, poi la schiena e feci come mi chiedeva.
Di li a poco, anche i miei slip finirono per terra.
Stavo in piedi, spogliata del mio bikini, nuda con il segno dell'abbronzatura che delineava i confini del costume , smesso poco prima, esposta al suo obiettivo sopra di lui , mentre lui messo da parte ogni premura, stava sotto di me tra le mie gambe, mi riprendeva dal basso ,a fare da sfondo, l'azzurro del cielo limpido di quella estate rovente, gambe aperte, sesso visibile tra la peluria folta sul mio pube pallido che ancora non avevo imparato a curare, seno in vista gonfio già maturo ,braccia tese lungo i fianchi, pugni stretti in un gesto teso e in viso un espressione che tradiva, vergogna ed eccitazione.
Vincenzo stava sotto di me ,sentivo ,tra uno scatto e l’altro, il suo occhio dentro l’obiettivo della sua macchina fotografica, accarezzarmi la pelle e insinuarsi in ogni fessura offerta al suo sguardo.
Mi chiese di cambiare posa, ero di spalle, ripresa sempre dal basso, la testa appena voltata, occhi socchiusi, l’espressione segnata dal pudore e l’esitazione per ciò che non avrei dovuto concedere, eppure seguendo il bisogno, un bisogno che mi nasceva dal fondo dell’anima ,quello di mostrarmi ,di essere desiderata, mi spingevo a farlo.
In quella posa oscena, tenevo le mani sulle natiche e allargandole, esponevo il foro plissettato del mio ano , Mentre scattava le sue foto, senza che ne comprendessi la ragione, continuava a ringraziarmi.
Gli occhi di Vincenzo erano cambiati, non c’era più la gentilezza e la premura , quelle di un mentore ,quasi di un padre ,che avevo imparato ad amare in quei giorni ma, qualcosa di più diretto, erano gli occhi di chi brama, desidera, pretende, ne ero spaventata eppure al contempo attratta, avvinta.
Docile seguii le sue indicazioni, Nell’ultima, stavo supina sulla sdraio a bordo piscina ,il volto avvampato dalla vergogna, gambe larghe e sollevate, le mani ai lati della vagina, schiudendo le labbra in modo da offrire l’interno ,umido e ancora roseo a quei tempi.
Non ci fu obbligo, coercizione, non ero stata costretta, tutt'altro, anche se nel tono della sua voce potevo sentire l’eccitazione, di chi vuole cogliere un frutto proibito, fu educato ,gentile, e più di ogni altra cosa, non si permise mai nemmeno di sfiorarmi, La mia inesperienza mi riempiva di limiti e incertezze, mi faceva tremare. Vincenzo se ne accorse e, con voce calma, mi chiese se volevo fermarmi. Rimasi muta, sospesa tra il desiderio e il pudore. Fu il ritorno chiassoso di mia madre a decidere per me: raccolsi in fretta le mie cose e corsi in camera. Avevo le lacrime agli occhi, ma non era paura. Era rabbia, frustrazione, perché mi aveva strappato la possibilità di dire la mia scelta. Scelta che dentro di me era già compiuta: restare, e diventare la sua musa.
scritto il
2025-12-01
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