Sulla pelle di Eva Capitolo X
di
passodalfiume
genere
confessioni
Il treno correva verso la riviera e io osservavo il paesaggio cambiare lentamente. I campi dorati si alternavano a filari di pioppi, e ogni tanto un casolare isolato si stagliava contro il cielo. Il rumore regolare delle rotaie mi dava un ritmo interiore, come se scandisse il tempo che mi separava dal mare. Aldo, era intento a leggere il giornale al mio fianco e come sempre mi dava poche attenzioni. Provai a suscitare il suo interesse, posandogli una mano sulla coscia e facendola risalire fino al cavallo.
Potevo sentire il suo sesso sotto le mie dita attraverso il tessuto dei pantaloni estivi leggeri.
Una donna e sua figlia sedevano di fronte a noi ognuna assisteva alla scena con diverse emozioni ,la madre aveva nello sguardo, malinconia, come se le mancasse da tempo quel tipo di intimità, l’altra più giovane e forse più inesperta ,sembrava curiosa e desiderosa di vedere a cosa avrebbe condotto quella mia iniziativa, si mostrava attenta come se volesse far sua quell’esperienza.
Aldo era un gran bell’uomo e molte donne lo desideravano, cosi ogni tanto ero io a esporre lui ai loro sguardi.
Dovevo loro uno spettacolo, quello ormai era certa che entrambe lo avrebbero gradito, cosi feci scorrere la zip dei pantaloni di mio marito e dopo aver infilato le dita nel varco appena creato, ne esposi il sesso desiderosa di mostrarlo alle mie due ospiti.
Aldo era ignaro, vulnerabile, sorpreso e compiaciuto dalla mia iniziativa, tenendo il giornale in mano era convinto che potesse ,proteggerlo dagli sguardi indiscreti, che potesse garantirgli una certa privacy che invece ,gli era negata.
La sua virilità mi crebbe nella mano, fino a prendere pieno vigore.
La madre, forse pudica, incapace di sostenere lo sguardo, lo volse all’esterno fuori dal finestrino ma, la figlia, si lasciò vincere dal bisogno di guardare , di studiare le reazioni di un corpo maschile ,di capirne i meccanismi ,forse per poi mettere in pratica quelle strategie che gli stavo mostrando e da esse ottenerne vantaggi e benefici.
Mentre muovevo le mie dita sul sesso di Aldo, lei non staccava un attimo lo sguardo, teneva entrambe le mani, strette tra le cosce accavallate, sode, lisce e nude muovendole con discrezione sul suo sesso celato sotto gli short.
Il suo modo di vestire me l’aveva fatta notare subito, aveva quell’impudenza nell’esporsi tipico della sue età, un invito ad essere guardata.
I pantaloncini di jeans dal tessuto elastico, scoloriti e corti, stringevano le cosce con una naturalezza che non chiedeva permesso. le strizzavano i fianchi e mettevano in risalto, le natiche e lasciando intuire il dettaglio paffuto e fine celato sotto di essi, il seno piccolo, forse persino acerbo era nudo sotto un top nero dal taglio audace, con un profondo scollo a V che si chiudeva dietro il collo con un semplice nodo. La parte superiore, in tessuto opaco, avvolgeva il busto con discrezione lasciando intuire l’arroganza dei capezzoli irti sotto di esso, mentre quella inferiore, in velo plissettato e trasparente, lasciava intravedere la pelle attraverso un reticolo di linee orizzontali e verticali. Un sottile laccio centrale univa i due lembi sotto il seno, lasciando il ventre scoperto. Era un capo che giocava con il contrasto tra copertura e rivelazione, l’ombellico al cui centro brillava un pendente argentato restava scoperto, mostrandosi.
Capelli corti a caschetto corvini le incorniciavano un volto dai lineamenti fini, di una ragazza giovane piena di vita appena all’inizio del suo viaggio e desiderosa di nuove esperienze, dietro gli occhiali da vista, uno sguardo acuto, intelligente ,sfrontato. che non ci lasciava un attimo, che violava la nostra intimità e partecipava nel gesto solitario della sua mano al nostro piacere.
Mi ricordava molto me, alla sua età, rivedevo non nel suo viso, cosi diverso dal mio, ma nella sua energia, un eco lontano del mio passato.
Era per lei che esponevo il sesso di mio marito, era per lei che mi esibivo e mentre la madre si rifiutava di partecipare al nostro gioco, lei ne era parte.
Quando Aldo raggiunse il suo limite, nel cono della mia mano, la ragazza parve provare un certo disappunto come se ,ad un passo dall’ottenerlo, le fosse stato negato un premio.
Si morse il labbro distogliendo lo sguardo, in un misto tra frustrazione e delusione.
Mi alzai per raggiungere il bagno dove lavarmi le mani, Aldo si riprendeva dal piacere appena provato ,la madre ancora incapace di ritornare lo sguardo per l’imbarazzo, continuava a fissare lo scorrere della campagna fuori dal treno, nessuno badava a noi, agii di istinto e quando le fui accanto, aprì la mano in cui tenevo imprigionato il seme di mio marito e gliela offrii.
Lei mi guardò con occhi grandi, tra incredulità e desiderio, poi guardò nel palmo della mia mano sotto al suo naso e vinta dalla curiosità, chiuse gli occhi e nel mezzo ,li dove il liquido si addensava di più ci intinse la lingua.
Dal finestrino, il blu dell’orizzonte cominciava a insinuarsi tra le colline, e l’aria sembrava già più leggera, intrisa di sale.
Nel vagone, le voci si mescolavano: bambini che ridevano, ragazzi che parlavano di serate e concerti, coppie che si scambiavano sguardi complici. tornata dal bagno le mie due ospiti non c’erano più. Io mi sentivo sospesa, un pò delusa, ma poi tornai ai miei pensieri, come se fossi già altrove. Stringevo il biglietto tra le dita, quasi fosse un talismano. Non era solo un viaggio: era il premio che mi ero promessa dopo mesi disciplina, disciplina che avevo deciso di abbandonare.
Quando il treno rallentò, il cuore mi accelerò. Scesi con passo deciso, respirando a pieni polmoni l’aria salmastra che mi riempì la testa di immagini: la sabbia calda, il mare che scintillava, il bikini rosso nascosto nella borsa.
Aldo affannava tra valige e zainetto dietro di me.
Gli dissi che non sarei andata in Hotel ma, che sarei corsa direttamente in spiaggia, lui fu rammaricato di dover restare da solo ma, consapevole che non avrei cambiato idea.
Il Lido Belvedere di Riccione mi accolse con un mosaico di colori. Ombrelloni gialli e blu punteggiavano la sabbia, sdraio disposte in file ordinate, e il vociare dei bagnanti si mescolava al frangersi delle onde. L’odore di crema solare e di fritto proveniente dai chioschi si confondeva con quello del mare. Le cabine di legno, dipinte di bianco e azzurro, si allineavano come piccole sentinelle lungo la riva.
La titolare Graziella, una donna che sembrava il manifesto vivente della riviera, mi riconobbe subito, venne a salutarmi e ad assicurarmi che il mio solito ombrellone era gia pronto in prima fila come ogni anno, la ringraziai e senza esitare oltre mi avviai verso la spiaggia, diretta verso le cabine.
Entrai in una di esse con il cuore che batteva forte, si andava in scena. Il bikini rosso, comprato a Milano in una boutique elegante, era pochi centimetri di stoffa disegnato per esporre più che per coprire. Lo indossai in fretta.
Mentre ero china indossando gli slip, la porta alle mie spalle, la cui serratura era priva di lucchetto, si aprì.
Un uomo sulla cinquantina accompagnato da un bambino di 5-6 anni , forse con l'intento legittimo di cambiarsi, mi aveva sorpreso indifesa.
Il miei glutei nudi gli puntavano contro ma, invece di scusarsi e ritirarsi, restò ad ammirare la scena offerta dal mio sesso ,ancora umido per l’avventura sul treno e il mio ano esposto tra le mie natiche, fu solo la voce di una donna alle sue spalle a riportarlo alla realtà e senza nemmeno concerdermi le scuse che avrei meritato, chiuse al porta dietro di se e se ne andò.
Provai un brivido ,a quella violazione ,ma non fu solo vergogna, spavento, fu compiacimento.
Ripresi il controllo di me e indossai il costume ,solo allora mi accorsi che la taglia era più piccola del previsto: i laccetti tiravano, il tessuto aderiva con una precisione che non lasciava spazio a esitazioni eccetto pochi altri, ogni centimetro della mia pelle era esposto, di sicuro non sarei passata inosservata. Per un istante pensai di rinunciare, forse era troppo anche per me, di rimettere il vecchio costume nero intero che avevo portato di riserva. Poi respirai a fondo, mi guardai nello specchio opaco della cabina e decisi che era il momento di uscire.
Stringendo tra le braccia il telo da mare davanti a me, quasi fosse un paravento, cercando di nascondere l’imbarazzo che mi bruciava sulle guance. Ogni passo sulla sabbia mi sembrava un’esposizione, eppure non potevo tornare indietro, ecco la vergogna che ogni volta ,precede l’eccitazione.
Dov’era la donna che poco prima aveva esposto se stessa e suo marito agli occhi di due estranee?
Sparita, portata via dal vento caldo del mare.
Gli sguardi arrivarono subito, rapidi, curiosi, alcuni più insistenti, alcuni pieni di giudizio, altri di ammirazione e desiderio. Abbassai lo sguardo, serrando il telo contro il ventre, ma più camminavo tra gli ombrelloni e le voci degli estranei, più sentivo che quel tessuto non bastava a coprirmi. Molta della mia pelle era esposta, e il sole la accendeva di riflessi.
All’inizio fu vergogna, un nodo che mi stringeva lo stomaco. Poi, lentamente, quel nodo si sciolse. Ogni sguardo che percepivo non era più un giudizio, ma un riconoscimento. Il telo tra le braccia si abbassò, lasciando intravedere sempre più di me. Non stavo più nascondendomi: stavo scegliendo di mostrarmi.
Con un respiro profondo, lasciai che il telo scivolasse lungo un fianco, tenendolo ora solo come un accessorio, non più come una barriera. Il passo si fece più sicuro, e il cuore, invece di tremare, batteva con forza. Era la mia prova, il mio gioco di seduzione silenziosa.
Fu così che raggiunsi le docce ,il mio palcoscenico, pronta a mettermi ancora più alla prova, consapevole che nessuno avrebbe potuto rifiutarmi.
Con passo lento, cercando di apparire naturale, mi avvicinai alle docce pubbliche. L’acqua scese a rivoli sottili, e io mi infilai sotto uno di quei getti, lasciando che il costume si bagnasse e aderisse ancora di più alla pelle. Accanto a me, una piccola ressa: un padre che lavava la sabbia dalle gambe del figlio, una donna di mezza età che si rinfrescava con gesti rapidi, due ragazzini che sembravano più intenti a farsi i dispetti che a lavarsi e in fine, un uomo muscoloso sembrava danzare sensuale sotto la doccia, cercando di attirare gli sguardi di alcune ragazze che stavano in fila dietro di lui e non gli staccavano gli occhi di dosso.
Ognuno di loro ebbe una reazione diversa. Il padre abbassò lo sguardo, ma un sorriso involontario gli sfuggì. La donna mi osservò con un misto di sorpresa e complicità, come se riconoscesse in quel gesto un coraggio che lei stessa non aveva mai avuto. i due ragazzi ,accortisi di me, si davano spallate e sguardi di approvazione, L’uomo palestrato, invece, non si sforzò nemmeno di nascondere l’apprezzamento: il suo sguardo era diretto, quasi sfidante.
Fu vicino a lui che decisi di fare la mia doccia, perchè invece di sentirmi vulnerabile, mi scoprii più forte. Era una prova, un gioco di equilibrio tra pudore e audacia. E in quel momento, sotto il sole e l’acqua salata, mentre il suo sguardo mi divorava, capii che stavo vincendo la mia sfida personale.
Premetti il pulsante e l’acqua scese improvvisa, fresca, avvolgendomi. Il costume rosso si scurì, aderendo ancora di più alla pelle mostrando con dovizia ,ogni dettaglio , ogni curva, ogni fessura del mio corpo. Presi un po’ di schiuma dal dispenser e la lasciai scivolare lungo le braccia, poi sul ventre. Le mie mani si muovevano con delicatezza, sfiorando la pelle come se stessi esplorando un territorio nuovo. Ogni gesto era semplice, ma carico di tensione: un rituale di pulizia che diventava prova di coraggio.
Sentivo gli sguardi accanto a me. Non li cercavo, ma li percepivo. Il padre, distratto dal figlio, alzava lo sguardo di tanto in tanto, con un sorriso trattenuto. La donna mi osservava con curiosità, quasi con ammirazione, come se riconoscesse in quel gesto una libertà che lei non aveva mai osato. L’uomo muscoloso, invece, non si sforzava di nascondere il suo interesse: il suo sguardo era diretto, quasi sfidante, e rimaneva fisso su di me.
Lasciai che la schiuma scivolasse lungo le spalle, seguendo le curve del corpo, e non mi affrettai a risciacquarla. Ero consapevole di essere osservata, non provavo vergogna. Al contrario, sentivo crescere dentro di me un senso di autorità.
L’acqua mi colava sul viso, mescolandosi al sapore salato delle labbra. Chiusi gli occhi un istante, come per assaporare la scena, mi accorsi che stavo sorridendo. Era la mia sfida, e la stavo vincendo.
Quando li riaprii l’uomo palestrato mi stava davanti ad un palmo di distanza, deciso a condividere con me il getto dell’acqua, le sue fan dietro di noi ,sembravano non gradire la sua scelta, e dalle loro labbra furono pronunciate parole di rabbia e dileggio verso di me.
Si presentò, si chiamava Enzo mi chiese se poteva darmi una mano a lavarmi la schiena, glielo concessi.
Le sue mani, forti, furono su di me ma non si limitarono alla schiena, li davanti a tutti saggiarono il mio corpo, scivolando sui fianchi, risalendo sul seno fino a soppesarlo, giù sulle mie natiche sode, scorrera tra di esse fino a cercarmi il sesso carnoso esponendolo al contatto diretto delle sue dita, fino a violarlo.
Poi il buio dell’incoscienza, un vortice che mi rapì senza darmi scampo.
Mi ritrovai, di nuovo in una cabina, seduta su una scomoda panchina di legno con la schiena che grattava contro la parete di legno, il seno scoperto, le mie gambe spalancate, gli slip appena spostati di lato e l’uomo sopra di me che con vigore affondava il suo sesso turgido nel mio, muovendosi veloce ,frenetico e vorace.
Mi teneva per i fianchi, spingeva e grugniva, ma non osava guardarmi negli occhi, teneva lo sguardo basso sul mio corpo come se fosse l’unica cosa che gli interessasse.
Solo quando mi colmò della sua essenza, scambiò un rapido sguardo con me, quasi in cerca di chi sa quale conferma, poi dopo essersi svuotato, si ritrasse si sistemò ,trasse un profondo sospiro e mi abbandonò, su quella panchina come un oggetto che aveva smesso la sua funzione.
Rimasi sola, ma senza rimpianti, dal mio sesso grondava il seme di quell’estraneo, lo avevo cercato e voluto.
Da fuori la voce di Aldo, mi chiamava, senza rendermene conto avevo lasciato lo smartphone nello zaino che era rimasto con lui, mi aveva cercata e un bagnino, forse testimone di ciò che avevo fatto, poco prima, l’aveva indirizzato verso la cabina in cui stavo nascosta.
Risistemando il reggiseno e gli slip del costume, sapendo che il tessuto non avrebbe mai contenuto l’effluvio di sperma e secrezioni che abbondavano nella mia vagina colando fuori, mettendo sul viso l’espressione più ingenua che avevo, tornai da lui.
Se volte sentire quella che ho adottato, come la mia voce, raccontarvi queste vicende:
https://speaktor.com/
e scegliete Claudia...
Potevo sentire il suo sesso sotto le mie dita attraverso il tessuto dei pantaloni estivi leggeri.
Una donna e sua figlia sedevano di fronte a noi ognuna assisteva alla scena con diverse emozioni ,la madre aveva nello sguardo, malinconia, come se le mancasse da tempo quel tipo di intimità, l’altra più giovane e forse più inesperta ,sembrava curiosa e desiderosa di vedere a cosa avrebbe condotto quella mia iniziativa, si mostrava attenta come se volesse far sua quell’esperienza.
Aldo era un gran bell’uomo e molte donne lo desideravano, cosi ogni tanto ero io a esporre lui ai loro sguardi.
Dovevo loro uno spettacolo, quello ormai era certa che entrambe lo avrebbero gradito, cosi feci scorrere la zip dei pantaloni di mio marito e dopo aver infilato le dita nel varco appena creato, ne esposi il sesso desiderosa di mostrarlo alle mie due ospiti.
Aldo era ignaro, vulnerabile, sorpreso e compiaciuto dalla mia iniziativa, tenendo il giornale in mano era convinto che potesse ,proteggerlo dagli sguardi indiscreti, che potesse garantirgli una certa privacy che invece ,gli era negata.
La sua virilità mi crebbe nella mano, fino a prendere pieno vigore.
La madre, forse pudica, incapace di sostenere lo sguardo, lo volse all’esterno fuori dal finestrino ma, la figlia, si lasciò vincere dal bisogno di guardare , di studiare le reazioni di un corpo maschile ,di capirne i meccanismi ,forse per poi mettere in pratica quelle strategie che gli stavo mostrando e da esse ottenerne vantaggi e benefici.
Mentre muovevo le mie dita sul sesso di Aldo, lei non staccava un attimo lo sguardo, teneva entrambe le mani, strette tra le cosce accavallate, sode, lisce e nude muovendole con discrezione sul suo sesso celato sotto gli short.
Il suo modo di vestire me l’aveva fatta notare subito, aveva quell’impudenza nell’esporsi tipico della sue età, un invito ad essere guardata.
I pantaloncini di jeans dal tessuto elastico, scoloriti e corti, stringevano le cosce con una naturalezza che non chiedeva permesso. le strizzavano i fianchi e mettevano in risalto, le natiche e lasciando intuire il dettaglio paffuto e fine celato sotto di essi, il seno piccolo, forse persino acerbo era nudo sotto un top nero dal taglio audace, con un profondo scollo a V che si chiudeva dietro il collo con un semplice nodo. La parte superiore, in tessuto opaco, avvolgeva il busto con discrezione lasciando intuire l’arroganza dei capezzoli irti sotto di esso, mentre quella inferiore, in velo plissettato e trasparente, lasciava intravedere la pelle attraverso un reticolo di linee orizzontali e verticali. Un sottile laccio centrale univa i due lembi sotto il seno, lasciando il ventre scoperto. Era un capo che giocava con il contrasto tra copertura e rivelazione, l’ombellico al cui centro brillava un pendente argentato restava scoperto, mostrandosi.
Capelli corti a caschetto corvini le incorniciavano un volto dai lineamenti fini, di una ragazza giovane piena di vita appena all’inizio del suo viaggio e desiderosa di nuove esperienze, dietro gli occhiali da vista, uno sguardo acuto, intelligente ,sfrontato. che non ci lasciava un attimo, che violava la nostra intimità e partecipava nel gesto solitario della sua mano al nostro piacere.
Mi ricordava molto me, alla sua età, rivedevo non nel suo viso, cosi diverso dal mio, ma nella sua energia, un eco lontano del mio passato.
Era per lei che esponevo il sesso di mio marito, era per lei che mi esibivo e mentre la madre si rifiutava di partecipare al nostro gioco, lei ne era parte.
Quando Aldo raggiunse il suo limite, nel cono della mia mano, la ragazza parve provare un certo disappunto come se ,ad un passo dall’ottenerlo, le fosse stato negato un premio.
Si morse il labbro distogliendo lo sguardo, in un misto tra frustrazione e delusione.
Mi alzai per raggiungere il bagno dove lavarmi le mani, Aldo si riprendeva dal piacere appena provato ,la madre ancora incapace di ritornare lo sguardo per l’imbarazzo, continuava a fissare lo scorrere della campagna fuori dal treno, nessuno badava a noi, agii di istinto e quando le fui accanto, aprì la mano in cui tenevo imprigionato il seme di mio marito e gliela offrii.
Lei mi guardò con occhi grandi, tra incredulità e desiderio, poi guardò nel palmo della mia mano sotto al suo naso e vinta dalla curiosità, chiuse gli occhi e nel mezzo ,li dove il liquido si addensava di più ci intinse la lingua.
Dal finestrino, il blu dell’orizzonte cominciava a insinuarsi tra le colline, e l’aria sembrava già più leggera, intrisa di sale.
Nel vagone, le voci si mescolavano: bambini che ridevano, ragazzi che parlavano di serate e concerti, coppie che si scambiavano sguardi complici. tornata dal bagno le mie due ospiti non c’erano più. Io mi sentivo sospesa, un pò delusa, ma poi tornai ai miei pensieri, come se fossi già altrove. Stringevo il biglietto tra le dita, quasi fosse un talismano. Non era solo un viaggio: era il premio che mi ero promessa dopo mesi disciplina, disciplina che avevo deciso di abbandonare.
Quando il treno rallentò, il cuore mi accelerò. Scesi con passo deciso, respirando a pieni polmoni l’aria salmastra che mi riempì la testa di immagini: la sabbia calda, il mare che scintillava, il bikini rosso nascosto nella borsa.
Aldo affannava tra valige e zainetto dietro di me.
Gli dissi che non sarei andata in Hotel ma, che sarei corsa direttamente in spiaggia, lui fu rammaricato di dover restare da solo ma, consapevole che non avrei cambiato idea.
Il Lido Belvedere di Riccione mi accolse con un mosaico di colori. Ombrelloni gialli e blu punteggiavano la sabbia, sdraio disposte in file ordinate, e il vociare dei bagnanti si mescolava al frangersi delle onde. L’odore di crema solare e di fritto proveniente dai chioschi si confondeva con quello del mare. Le cabine di legno, dipinte di bianco e azzurro, si allineavano come piccole sentinelle lungo la riva.
La titolare Graziella, una donna che sembrava il manifesto vivente della riviera, mi riconobbe subito, venne a salutarmi e ad assicurarmi che il mio solito ombrellone era gia pronto in prima fila come ogni anno, la ringraziai e senza esitare oltre mi avviai verso la spiaggia, diretta verso le cabine.
Entrai in una di esse con il cuore che batteva forte, si andava in scena. Il bikini rosso, comprato a Milano in una boutique elegante, era pochi centimetri di stoffa disegnato per esporre più che per coprire. Lo indossai in fretta.
Mentre ero china indossando gli slip, la porta alle mie spalle, la cui serratura era priva di lucchetto, si aprì.
Un uomo sulla cinquantina accompagnato da un bambino di 5-6 anni , forse con l'intento legittimo di cambiarsi, mi aveva sorpreso indifesa.
Il miei glutei nudi gli puntavano contro ma, invece di scusarsi e ritirarsi, restò ad ammirare la scena offerta dal mio sesso ,ancora umido per l’avventura sul treno e il mio ano esposto tra le mie natiche, fu solo la voce di una donna alle sue spalle a riportarlo alla realtà e senza nemmeno concerdermi le scuse che avrei meritato, chiuse al porta dietro di se e se ne andò.
Provai un brivido ,a quella violazione ,ma non fu solo vergogna, spavento, fu compiacimento.
Ripresi il controllo di me e indossai il costume ,solo allora mi accorsi che la taglia era più piccola del previsto: i laccetti tiravano, il tessuto aderiva con una precisione che non lasciava spazio a esitazioni eccetto pochi altri, ogni centimetro della mia pelle era esposto, di sicuro non sarei passata inosservata. Per un istante pensai di rinunciare, forse era troppo anche per me, di rimettere il vecchio costume nero intero che avevo portato di riserva. Poi respirai a fondo, mi guardai nello specchio opaco della cabina e decisi che era il momento di uscire.
Stringendo tra le braccia il telo da mare davanti a me, quasi fosse un paravento, cercando di nascondere l’imbarazzo che mi bruciava sulle guance. Ogni passo sulla sabbia mi sembrava un’esposizione, eppure non potevo tornare indietro, ecco la vergogna che ogni volta ,precede l’eccitazione.
Dov’era la donna che poco prima aveva esposto se stessa e suo marito agli occhi di due estranee?
Sparita, portata via dal vento caldo del mare.
Gli sguardi arrivarono subito, rapidi, curiosi, alcuni più insistenti, alcuni pieni di giudizio, altri di ammirazione e desiderio. Abbassai lo sguardo, serrando il telo contro il ventre, ma più camminavo tra gli ombrelloni e le voci degli estranei, più sentivo che quel tessuto non bastava a coprirmi. Molta della mia pelle era esposta, e il sole la accendeva di riflessi.
All’inizio fu vergogna, un nodo che mi stringeva lo stomaco. Poi, lentamente, quel nodo si sciolse. Ogni sguardo che percepivo non era più un giudizio, ma un riconoscimento. Il telo tra le braccia si abbassò, lasciando intravedere sempre più di me. Non stavo più nascondendomi: stavo scegliendo di mostrarmi.
Con un respiro profondo, lasciai che il telo scivolasse lungo un fianco, tenendolo ora solo come un accessorio, non più come una barriera. Il passo si fece più sicuro, e il cuore, invece di tremare, batteva con forza. Era la mia prova, il mio gioco di seduzione silenziosa.
Fu così che raggiunsi le docce ,il mio palcoscenico, pronta a mettermi ancora più alla prova, consapevole che nessuno avrebbe potuto rifiutarmi.
Con passo lento, cercando di apparire naturale, mi avvicinai alle docce pubbliche. L’acqua scese a rivoli sottili, e io mi infilai sotto uno di quei getti, lasciando che il costume si bagnasse e aderisse ancora di più alla pelle. Accanto a me, una piccola ressa: un padre che lavava la sabbia dalle gambe del figlio, una donna di mezza età che si rinfrescava con gesti rapidi, due ragazzini che sembravano più intenti a farsi i dispetti che a lavarsi e in fine, un uomo muscoloso sembrava danzare sensuale sotto la doccia, cercando di attirare gli sguardi di alcune ragazze che stavano in fila dietro di lui e non gli staccavano gli occhi di dosso.
Ognuno di loro ebbe una reazione diversa. Il padre abbassò lo sguardo, ma un sorriso involontario gli sfuggì. La donna mi osservò con un misto di sorpresa e complicità, come se riconoscesse in quel gesto un coraggio che lei stessa non aveva mai avuto. i due ragazzi ,accortisi di me, si davano spallate e sguardi di approvazione, L’uomo palestrato, invece, non si sforzò nemmeno di nascondere l’apprezzamento: il suo sguardo era diretto, quasi sfidante.
Fu vicino a lui che decisi di fare la mia doccia, perchè invece di sentirmi vulnerabile, mi scoprii più forte. Era una prova, un gioco di equilibrio tra pudore e audacia. E in quel momento, sotto il sole e l’acqua salata, mentre il suo sguardo mi divorava, capii che stavo vincendo la mia sfida personale.
Premetti il pulsante e l’acqua scese improvvisa, fresca, avvolgendomi. Il costume rosso si scurì, aderendo ancora di più alla pelle mostrando con dovizia ,ogni dettaglio , ogni curva, ogni fessura del mio corpo. Presi un po’ di schiuma dal dispenser e la lasciai scivolare lungo le braccia, poi sul ventre. Le mie mani si muovevano con delicatezza, sfiorando la pelle come se stessi esplorando un territorio nuovo. Ogni gesto era semplice, ma carico di tensione: un rituale di pulizia che diventava prova di coraggio.
Sentivo gli sguardi accanto a me. Non li cercavo, ma li percepivo. Il padre, distratto dal figlio, alzava lo sguardo di tanto in tanto, con un sorriso trattenuto. La donna mi osservava con curiosità, quasi con ammirazione, come se riconoscesse in quel gesto una libertà che lei non aveva mai osato. L’uomo muscoloso, invece, non si sforzava di nascondere il suo interesse: il suo sguardo era diretto, quasi sfidante, e rimaneva fisso su di me.
Lasciai che la schiuma scivolasse lungo le spalle, seguendo le curve del corpo, e non mi affrettai a risciacquarla. Ero consapevole di essere osservata, non provavo vergogna. Al contrario, sentivo crescere dentro di me un senso di autorità.
L’acqua mi colava sul viso, mescolandosi al sapore salato delle labbra. Chiusi gli occhi un istante, come per assaporare la scena, mi accorsi che stavo sorridendo. Era la mia sfida, e la stavo vincendo.
Quando li riaprii l’uomo palestrato mi stava davanti ad un palmo di distanza, deciso a condividere con me il getto dell’acqua, le sue fan dietro di noi ,sembravano non gradire la sua scelta, e dalle loro labbra furono pronunciate parole di rabbia e dileggio verso di me.
Si presentò, si chiamava Enzo mi chiese se poteva darmi una mano a lavarmi la schiena, glielo concessi.
Le sue mani, forti, furono su di me ma non si limitarono alla schiena, li davanti a tutti saggiarono il mio corpo, scivolando sui fianchi, risalendo sul seno fino a soppesarlo, giù sulle mie natiche sode, scorrera tra di esse fino a cercarmi il sesso carnoso esponendolo al contatto diretto delle sue dita, fino a violarlo.
Poi il buio dell’incoscienza, un vortice che mi rapì senza darmi scampo.
Mi ritrovai, di nuovo in una cabina, seduta su una scomoda panchina di legno con la schiena che grattava contro la parete di legno, il seno scoperto, le mie gambe spalancate, gli slip appena spostati di lato e l’uomo sopra di me che con vigore affondava il suo sesso turgido nel mio, muovendosi veloce ,frenetico e vorace.
Mi teneva per i fianchi, spingeva e grugniva, ma non osava guardarmi negli occhi, teneva lo sguardo basso sul mio corpo come se fosse l’unica cosa che gli interessasse.
Solo quando mi colmò della sua essenza, scambiò un rapido sguardo con me, quasi in cerca di chi sa quale conferma, poi dopo essersi svuotato, si ritrasse si sistemò ,trasse un profondo sospiro e mi abbandonò, su quella panchina come un oggetto che aveva smesso la sua funzione.
Rimasi sola, ma senza rimpianti, dal mio sesso grondava il seme di quell’estraneo, lo avevo cercato e voluto.
Da fuori la voce di Aldo, mi chiamava, senza rendermene conto avevo lasciato lo smartphone nello zaino che era rimasto con lui, mi aveva cercata e un bagnino, forse testimone di ciò che avevo fatto, poco prima, l’aveva indirizzato verso la cabina in cui stavo nascosta.
Risistemando il reggiseno e gli slip del costume, sapendo che il tessuto non avrebbe mai contenuto l’effluvio di sperma e secrezioni che abbondavano nella mia vagina colando fuori, mettendo sul viso l’espressione più ingenua che avevo, tornai da lui.
Se volte sentire quella che ho adottato, come la mia voce, raccontarvi queste vicende:
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