Sulla pelle di Eva XIX

di
genere
confessioni


Seduta al tavolino di un bar, stavo scorrendo i miei Reel sui social, in cerca di ispirazione, per un possibile nuovo contenuto da regalare ai miei followers, quando tra di loro e i loro molti messaggi ,molti espliciti ,altri più garbati e lusinghieri, trovai quello di Riccardo e mi venne un tuffo al cuore.
Sembrava passato un secolo, lui era cosi cambiato, non era più il ragazzino arrogante e un pò prepotente, che avevo conosciuto ai tempi dell’università, era un giovane uomo dai lineamenti maturi, papà di una bellissima bambina, marito di una attraente donna ucraina.
Io e Riccardo ci incontrammo la prima volta grazie ad una app di annunci e shopping online.
Tra l’università, il lavoro con Cinzia, e gli allenamenti di atletica, era diventato prioritario cercare un modo alternativo di muoversi per la città, usare la metropolitana era, si comodo, ma mi portava via un sacco di tempo.

Cosi avevo deciso di acquistare uno scooter, avevo risposto all’annuncio di un uomo del hinterland che vendeva il suo. Una decina di anni di vita, qualche chilometro di troppo ma, almeno a suo dire, in ottime condizioni e dalle foto allegate all’annuncio, sembrava essere vero, cosi mi decisi e feci la mia mossa. Dopo averlo contattato, ci eravamo dati appuntamento per il pomeriggio del giorno dopo, mi aveva avvisato che non avrei trovato lui, era via per lavoro, bensi Riccardo suo figlio, che a quell’ora rientrava dalla scuola e che se lo scooter mi fosse piaciuto, avrei potuto prendere accordi con lui e passare all’acquisto.

Arrivata all’indirizzo, scrutai con un certo timore la palazzina popolare che mi si parava davanti, in un quartiere che prometteva ben poca sicurezza.
Uscita dalla metropolitana, capolinea della linea rossa, non passai inosservata mentre mi muovevo per le strade di quel rione. Cercai di ignorare gli sguardi, riparandomi dietro le lenti scure dei miei Aviator, un po’ incerta e timorosa.
Mantenni un’espressione tesa, poco disponibile, per sembrare decisa e sicura di me, e parve funzionare: molti si limitarono a guardarmi, altri a qualche commento piccante, ma nessuno osò avvicinarsi.

Un ora prima avevo sostenuto il casting, organizzato da Cinzia, per una comparsata in uno spot , che sarebbe andato in onda su una rete locale e indossavo quello che mi era sembrato più adeguato al mio impegno.
Mi sentivo audace, ma non sfacciata. Avevo scelto quel top rosso sangue perché , il tempo lo consentiva , quasi 30 gradi a metà settembre ,e mi piaceva l’idea di lasciare scoperta la schiena, come se la pelle potesse respirare meglio. Il pizzo che lo decorava, non era romantico, era una rete sottile che mi teneva insieme. La gonna di jeans, troppo corta e sfilacciata, sembrava quasi un errore, ma era voluta: volevo che si vedesse che non ero lì per compiacere, ma per camminare come mi pare ed essere scelta. I tacchi, appena accennati, mi davano quel centimetro in più, mi slanciavano quanto basta ,quanto serve, quando vuoi che ti prendano sul serio, anche se non dici nulla.
Avevo messo i bracciali d’oro e gli orecchini a cerchio, si dice che una donna senza gioielli sembra triste e io volevo apparire tutt’altro che triste. la borsa nera ricoperta di pelle, borchie e pizzo, piccola, era solo un pretesto: dentro c’erano le chiavi, un rossetto, e un biglietto su cui c’era scritto un numero di telefono che non avrei mai chiamato, e in fine ,indispensabile, lo smartphone.
Il citofono di fianco al portone d’ingresso era mal messo, molti tasti erano malconci, scritte scarabocchiate ovunque, etichette con i nomi dei residenti, attaccate e strappate cosi tante volte da aver lasciato una patina scura sul metallo e la plastica. Digitai il codice che mi era stato comunicato dal venditore, ci fu uno squillo lungo, qualcuno rispose, gracchiò qualcosa di incomprensibile, ne seguii il rumore elettrico della serratura che veniva aperta.
Osservai l’androne con attenzione, due tizi dall’aria poco affidabile, stavano dentro vicino alle cassette delle lettere, mi fissavano, timida decisi che avrei atteso fuori.
Dopo qualche minuto, dalla scala ne scese un ragazzotto pieno di tatuaggi, persino sulla faccia, testa rasata, barbetta incolta, sguardo da delinquente, in canotta bianca su cui luccicava una catena dorata, pantaloni della tuta grigi e infradito, nella mano sinistra una sigaretta appena accesa e nell’altra le chiavi dello scooter, era Riccardo.
Il ragazzo quando mi vide si soffermò sulle scale, quasi incredulo, mi sorrise, era chiaro che dovevo aver fatto colpo ,me lo fece capire ancora meglio quando, dopo essersi presentato con una energica stretta di mano, con gesto indifferente si strizzò il pacco, non potei non notarlo, ebbi l’impressione che sotto i suoi pantaloni, non indossasse niente.
Ci avviammo verso il garage, ma davanti alla discesa che portava ai Box gli chiesi, purchè non fosse un problema per lui, se lo avessi aspettato li, mentre andava a prendere il mezzo.
Scrollò le spalle, intuendo il mio disagio e dopo un po ' tornò da me spingendo lo scooter che il padre stava cercando di vendere.
Era quello che cercavo, comodo sediolino lungo, un bel bauletto capiente, ruote alte che sembravano nuove, Parabrezza amplio un pò segnato dal tempo ma in buone condizioni, nero canna di fucile, fu cosi ,che il ragazzo descrisse il color antracite.
Dovetti faticare per nascondere il mio entusiasmo, lo avrei comprato subito senza pensarci, poi cercando di apparire competente, mi chinai per osservare il mezzo da vicino.
La minigonna, non mi rendeva la vita facile ,ogni volta che mi piegavo ,che assumevo una posizione accucciata, le mie gambe ,i miei glutei e le mutandine rosse che indossavo sotto ,venivano messe alla berlina, sotto gli occhi di Riccardo e di alcuni altri ragazzi che si erano avvicinati per osservare la strana scenetta.
Ancora una volta sentivo sguardi estranei su di me, non feci nulla per ripararmi da essi e il tassello del mio intimo finì per inumidirsi.
Cercando di mantenere il controllo, ricordandomi che ero li per fare un affare, e quel mio tentativo di esibirmi era stato solo una piccola, pericolosa, stimolante parentesi, tornai da lui.
Mostrandomi decisa, risoluta, dissi che l’avrei preso, ma che prima, volevo farci un giro.
Riccardo non ebbe problemi a concedermi quell’esame, ma mi disse che non poteva lasciarmi andar via con lo scooter del padre ,per tanto, se volevo fare un giro, dovevo farlo con lui, non avendo scelta accettai il suo compromesso.
Il ragazzo si sedette , picchiando la mano dietro di lui facendomi segno di raggiungerlo, ma pretesi che fossi io a guidare il mezzo, cosi da potermi rendere meglio conto delle condizioni generali, e non ebbe da ridire.
Si alzò per cedermi il posto, salii sullo scooter, stando con le gambe divaricate feci scattare il cavalletto, attesi che lui prendesse posto dietro di me e partii.
Non mi ero accorta che nel risedermi, il mio ospite con gesto furtivo aveva fatto risalire l’orlo della mia minigonna fino ad espormi, quasi del tutto, le natiche.
Concentrata nella guida, seguendo le sue indicazioni, prendemmo a girare per il quartiere.
Passò poco tempo da che Riccardo prendesse iniziativa, le mani del ragazzo non riuscivano a stare quiete , si muovevano lente, sulla mia pelle esposta, sul collo, dietro le orecchie, sulle mie cosce, sui fianchi, sull’addome, lungo la schiena, quasi come se fosse un gesto naturale, e a per farmi sentire quanto gradiva il mio corpo, mi imponeva la sua erezione.
Sentii le sue mani scivolare su di me, insinuarsi negli accessi offerti dal mio abbigliamento, sotto la blusa in cerca del mio seno, tra le mie cosce, fino a trovare il fiore carnoso del mio sesso sotto il tessuto ricamato dei mie slip. Complice, il mio corpo reagì prima ancora che la mia mente potesse opporsi. Mi accorsi di quanto mi piacesse, di quanto mi lusingasse quell’attenzione così diretta, quasi brutale nella sua naturalezza, di quanto fosse semplice accendere in me il desiderio. Eppure vivevo un turbamento che non riuscivo a soffocare.
Mentre sfrecciavamo lungo le strade del suo quartiere, tutti potevano vederci, e Il mio viso avvampò, l’espressione del mio volto tradiva le mie emozioni, mi vergognavo del piacere che provavo, mi vergognavo di lasciarmi toccare come se fosse inevitabile. Ogni carezza mi faceva fremere, ogni gesto mi ricordava che Riccardo mi desiderava, e questo mi dava una vertigine che non sapevo gestire. Mi sentii divisa, combattuta tra la voglia di abbandonarmi e il bisogno di difendermi, tra la libido che mi incendiava e la voce della ragione che mi ammoniva. Rimasi lì, sospesa, incapace di scegliere, con il cuore che batteva forte e la pelle che ardeva di vergogna e di eccitazione insieme.
Fermi ad un semaforo rosso, una coppia di anziani dall’aria trascurata, salutò Riccardo con confidenza, notando con piacere la bella ragazza con cui si accompagnava.
Con uno sguardo più attento, si accorsero della nostra intimità, le dita del mio passeggero superato l’ostacolo del tessuto, stimolavano direttamente il mio sesso esposto e umido. Sorrisero complici , felici per quel ragazzo che sembravano conoscere da una vita e che a quanto pare, non doveva essere nuovo a quel genere di situazioni.
Mi ritrovai, sotto un cavalcavia, senza nemmeno ricordare come ci fossi arrivata, schiena contro il cemento del pilastro su cui stavo costretta, Riccardo chino tra le mie gambe si dissetava alla mia fonte ,mentre con le dita di una mano cercava di trarre da essa il mio nettare.
Travolti dall’eros, divorandoci la faccia e cercando di strappare la pelle l’uno dall’altra con le nostre carezze, ci spostammo sul cofano di una auto abbandonata li accanto, che da quel momento sarebbe stata il nostro giaciglio.
Di forza mi sollevò e mi fece stendere su di essa, allargate le cosce, lubrificata, dilatata e pronta ,lo accolsi dentro di me.
Riccardo prepotente, tenendomi ferma sotto il peso del suo corpo, come se corresse il rischio di vedermi scappar via, mi prese facendomi sentire il suo ardore.
Mentre portavamo avanti il nostro amplesso, alcuni senza tetto, di cui probabilmente stavano usurpando il domicilio, si avvicinarono per assistere alla scena offerta.
Riccardo, notandoli e sentendo nel mio respiro, nei miei gemiti, nelle mie suppliche, il piacere, misto all’imbarazzo, che stavo vivendo, deciso di mostrarmi ,ad espormi agli sguardi dei nostri ospiti, sciolto il nodo dietro il mio collo, fece scivolare la maglia che indossavo scoprendo il mio seno.
Mi ritrovai circondata ,nessuno eccetto Riccardo osava toccarmi ma ,tutti ,tra i presenti davano piacere a se stessi nell'ammirarmi, mentre il mio corpo si offriva a loro, sussultava, si piegava, si arrendeva al piacere che l’amplesso e i loro sguardi mi regalavano.
Come per l’altare votivo di una santa, ognuno di essi a turno, versò sulla mia pelle nuda o quanto meno vicino ad essa, il proprio tributo e quando anche Riccardo colmò la mia coppa, l’estasi mi rapì, strappandomi ,quello che in nessun altro modo potrei descrivere come, il guaito di un cane.
Quella sera, anche se non ero riuscita a strappare il prezzo voluto e pagandolo ,almeno a mio giudizio, un pò più del dovuto, tornai verso casa in sella al mio nuovo scooter, un nuovo numero nella mia rubrica, senza le mutandine, lasciate in pegno al mio nuovo amico e con un altra storia da raccontare.
scritto il
2025-12-07
1 2 5
visite
2
voti
valutazione
9
il tuo voto
Segnala abuso in questo racconto erotico

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Sulla pelle di Eva XVIII

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.