Sulla pelle di Eva XV

di
genere
confessioni


Il volto di Aldo diventò pallido, quando vide Cinzia scendere dal treno, non tanto per la mia amica, ma per i due ragazzi di colore, poco più che ventenni ,che l'accompagnavano.
Cinzia notando l'espressione di disaprovazione di mio marito, sembrò divertita.
Lei e i due ragazzi si erano conosciuti in treno, e nel dirlo ,mi fece un occhiolino leccandosi il lambro superiore, come a sottolineare che tra loro non ci fosse stata una semplice stretta di mano e banali convenevoli.
Aldo le fece notare che nella camera che era riuscito a farle preparare c’era solo un letto ,ma lei gli rispose che non sarebbe stato un problema e baciando prima l’uno e poi l’altro, aggiunse che al massimo sarebbero stati un pò stretti.
In auto verso l’albergo, non fu difficile capire quale tipo di relazione si fosse instaurata tra i due ragazzi e Cinzia.
Mentre Aldo guidava l’auto a noleggio che avevamo affittato per l’occasione ,cercando di nascondere il disaggio, rimase attento davanti a se, concentrandosi sulla strada. il silenzio era interrotto dalle risatine e i flebili gemiti che arrivavano dai sediolini posteriori, mi o marito, cercando di soffocarli accese la radio ad un volume improponibile, che per non farmi scoppiare i timpani, regolai subito.
Cinzia si schiarì la voce attirando la mia attenzione su di se, i due ragazzi stavano chini su di lei e la divoravano di baci, lei non restava inerte, non subiva passivamente, dopo averli tirati fuori dai pantaloni ,teneva in entrambe le mani il loro sesso e me li mostrava, quasi fiera.
Prima di allora ero stata con parecchi africani e le proporzioni dei suoi amici non avevano nulla da invidiare agli uomini che arrivano da quel continente.
Nello sguardo della mia amica lessi un messaggio sottile, fu quasi telepatico, non aveva mai mancato di presentarsi con un regalo ad ogni nostro incontro e chiaramente quello era un dono che avrebbe volentieri condiviso con me.
Lasciati nella loro camera dell’albergo due piani sotto la nostra, camera che era costata uno sproposito e che Aldo era riuscito ad ottenere solo dietro una grossa mancia al Concierge , mi manifestò subito il suo disappunto.
Per lui la mia amica era sempre eccessiva, e non di rado, volgare, sembrava preoccupato per il nostro buon nome, poverino, che Cinzia ,con qualche atteggiamento sconsiderato ,avrebbe potuto ledere la nostra immagine nell’albergo, senza sapere , o volutamente ignorando, che eravamo gia, grazie a me, la coppia più chiacchierata di Riccione.
Lo baciai, sulla guancia in un gesto tenero, per rassicurarlo dicendogli che ci avrei pensato io a tenere a bada la mia amica, in cuor mio non vedevo l’ora che lei mi presentasse i due ragazzi.
Lamin ed Ebrima, così si chiamavano, avevano quell’aria da finti gangsta che li rendeva al tempo stesso spavaldi e ingenui. Sognavano di sfondare nel mondo della Trap e si vantavano di aver attirato l’attenzione di un produttore milanese. Aldo li aveva invitati a cena nel ristorante dell’hotel, un ambiente elegante, quasi irreale per loro, con il silenzio composto dei camerieri e le luci calde che scivolavano sulle tovaglie bianche. Non passarono inosservati: il modo di vestire, le catene al collo, la voce alta nel fare richieste al personale del ristorante. E soprattutto il modo in cui si rivolgevano alle donne presenti, con appellativi che in qualsiasi altro contesto sarebbero stati offensivi, ma che per loro erano parte integrante di quel linguaggio Trap, sempre poco rispettoso, sempre ostentato come segno di appartenenza.
Mi divertiva la tolleranza, stentata ,con cui mio marito si interagiva, sopratutto quando i due, paradossalmente in una forma di rispetto ,si riferivano a me come la sua Troia. Lo vidi diventare paonazzo quando mi chiesero, anzi no pretesero di alzarmi e fare una piroetta per, usando il loro linguaggio, mostrare la mercanzia.
Io che volevo mostrarmi al meglio quella sera, come se dovessi essere valutata, stetti al gioco e assecondai nella loro richiesta.
Cinzia seduta tra di loro emozionata più di quanto lo fossi io a quella richiesta, felice della mia scelta di partecipare al loro gioco, mi incoraggiava platealmente.
Indossavo un abito nero, dal tessuto lucido con riflessi che vibravano nel rosso più acceso, quello della passione che era chiamato a rappresentare. Brillava sotto le luci della sala come promesse che non avevo ancora fatto, scivolava sul corpo, si raccoglieva sui fianchi, si arrendeva senza opporre resistenza lasciandomi la schiena scoperta. Non stringeva, non imponeva: lasciava intuire. Lo scollo a V, radicale, profondo, cadeva come una frase sospesa mostrando in maniera generosa il decoltè sotto al quale il mio seno era nudo.
Le pieghe laterali sembravano fatte apposta per accompagnare il mio passo, come se fosse quell’abito a decidere dove volevo andare, l’orlo era corto un palmo sotto l’inguine, lasciando le mie gambe libere di esibirsi. I capelli, lunghi e sciolti, facevano parte dell’abito, gli accessori, il pendente al collo che scivolava tra i miei seni e gli orecchini lunghi completavano l’effetto brillando quasi di luce propria.
I due ragazzi manifestarono il loro apprezzamento nell’unico modo che conoscevano: fischiando mentre mi muovevo davanti a loro e invitando a “muovere quel culo”, attirando così l’attenzione imbarazzata degli altri ospiti dell’hotel, definidomi con aggettivi che, per loro, erano lusinghieri, ma che alle orecchie di un profano suonavano come insulti poco velati. Aldo, mio marito, non parve apprezzare, pur restando in composto silenzio.
Da parte mia, riconoscendo lo slang avendo frequentato certi ambienti musicali durante il mio periodo universitario a Milano, sapevo che si trattava di approvazione, rivolta non solo a me ma anche a lui. Fu Lamin a chiarire questo concetto, avvicinandosi a lui e stringendogli la mano, esprimendo rispetto per Aldo ,spiegando che la mia bellezza, la mia appariscenza mai volgare, rappresentava il premio che una vita di successi gli aveva concesso, un successo a cui lui aspirava, da quand’era bambino in Gambia.
Aldo si sentì lusingato da quel riconoscimento, per una volta era protagonista di ammirazione che di solito io con la mia presenza finivo involontariamente per rubargli.
A differenza di Cinzia che sorrideva compiaciuta e degli ospiti nel tavolo accanto al nostro, non si accorse, che mentre Lamin pronunciava quelle parole di rispetto, io stavo in piedi tra loro due, una mano del ragazzo si era posata sul mio sedere e insisteva con presa decisa ,tra le mie natiche.
La serata proseguì in modo piacevole, almeno fino a quando Aldo non fu distratto da una telefonata. Il numero era quello del lavoro e, a quell’ora, considerando che aveva lasciato chiare indicazioni di non disturbarlo durante le ferie se non per esigenze davvero importanti, non poteva che trattarsi di qualcosa di urgente. Si scusò e si alzò per rispondere.
Cinzia, approfittando dell’assenza di Aldo, mi si avvicinò e mi chiese cosa pensassi dei suoi nuovi amici. Le risposi che li trovavo carini, una compagnia piacevole. Lei sorrise e, senza troppi giri di parole, mi domandò se volessi appartarmi con uno di loro o con entrambi.
Fu un colpo al cuore. Conoscendo la mia amica, sapevo che prima o poi saremmo arrivate a quel punto, ma Aldo era lì, fuori nel patio, e presto sarebbe tornato. Cinzia sorrise ancora e mi disse di non preoccuparmi, che avrebbe trovato il modo di distrarlo per il tempo necessario.
Aldo credeva che ne fossi ignara, ma Cinzia, già da tempo, mi aveva confessato che in più di un’occasione si era appartata con mio marito. Non era dunque una situazione nuova. Guardai i due ragazzi, loro ricambiarono lo sguardo intuendo la mia intenzione, poi lo rivolsi a Cinzia che mi porgeva la chiave magnetica della sua camera.
Arrossii, cercando di nascondere l’imbarazzo di una scelta che avevo già compiuto quella mattina, in auto, tornando dalla stazione. Misi da parte l’esitazione e, con discrezione, mi lasciai accompagnare dai due amici al piano di sopra.
Gia nell’ascensore, fui fatta soggetto delle attenzioni dei due ragazzi, Lamin ed Ebrima si diedero da fare per accendere in me un fuoco che gia mi scaldava il basso ventre.
In camera di Cinzia nessuno di noi ebbe il tempo di disfarsi degli abiti, rimuovemmo solo ciò che poteva essere di impedimento all’amplesso
i miei seni vennero scoperti gli slip spostati su un lato e a turno li accolsi entrambi dentro di me, prima uno alla volta poi, in contemporanea ,sfruttando l’elasticità del mio corpo e gli accessi che madre natura mi aveva dato, come ad ogni donna disponibile a superare i propri pregiudizi, i propri limiti.
In quell’amplesso mi persi, fu quasi come se mi vedessi in terza persona, dall’alto come se quell’esperienza non fosse mia, ma di qualcun altro ed essa rianimava tutte le mie fantasie, il demone sempre affamato del mio eros. Presa , goduta, contesa, spartita dall’ardore di quei due ragazzi, schiacciata tra i loro corpi, sovrastata, per brevi tratti ,abusata, asservita dai loro bisogni e dai miei.
Lasciando la stanza, non so quanto tempo fosse passato il tempo non contava più nulla, come non contavano ,i rimorsi e la paura per le conseguenze, ogni fessura del mio corpo era stata servita , riempita ,colmata.
Mi appoggiai alla porta dietro di me ,traendo un lungo sospiro, imponendomi di non tornare dentro ,dove i miei amici stavano riposando nel tentativo di riprendersi dalla fatica a cui li avevo costretti.
Una ragazza del servizio in camera, spingeva un carrello co sopra l’ordine di chi sa chi, mi vide da lontano e mi guardò incuriosita.
Le sorrisi cortese ,mentre mi passava accanto e appena mi diede le spalle, scappai via.
Salendo le scale, non c’era tempo di attendere l’ascensore, incontrai Cinzia ,un sorriso complice si allargava sul suo viso, mi abbracciò e mi baciò prima sul viso ,poi sulle labbra ,tra le quali ancora conservavo il sapore dei suoi amici, assicurandomi che Aldo non si sarebbe lamentato della mia assenza, che ci aveva pensato lei.
Entrando nella nostra camera trovai mio marito, sotto la doccia, non era strano, Aldo faceva sempre la doccia prima di mettersi a letto, fu strano, sentirlo canticchiare, quello era qualcosa che faceva solo quando avevamo condiviso il letto e un orgasmo.
Quando uscii dal bagno mi guardò con aria colpevole, quasi non riusciva a sostenere il mio sguardo. Ruppi il silenzio e gli chiesi chi lo aveva chiamato ,lui si rammaricò per una partita di vino andata perduta a causa di una svista di un suo nuovo collaboratore.
Fui tentata di chiedergli di come aveva passato il tempo con Cinzia ma, lasciai perdere e andi in bagno per sostituirmi a lui sotto la doccia.
Mentre lavavo via l’odore e il sapore di Lamin ed Ebrima dal mio corpo Aldo entrò e mi disse che l’indomani sarebbe tornato a casa per qualche giorno a sistemare il pasticcio combinato in azienda.
Ironizzai chiedendogli se non aveva paura di lasciarmi sola con Cinzia, lui mi rispose che dopo averci “parlato” quella sera aveva la certezza che la mia amica ,voleva solo il meglio per me.
Io all’idea fremetti, non vedevo l’ora di vedere dove, quella nuova condizione di libertà assoluta per quanto temporanea, mi avrebbe condotta.

scritto il
2025-12-01
1 4
visite
2
voti
valutazione
8.5
il tuo voto
Segnala abuso in questo racconto erotico

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Sulla pelle di Eva XIV

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.