Sulla pelle di Eva XVI
di
passodalfiume
genere
confessioni
La mattina giunse carica di promesse, emozionata come una bambina a Natale, dopo aver indossato sotto il pareo il bikini più provocante che avevo nell’armadio, pochi centimetri di stoffa e lacci color rosa fluorescente, ero corsa a perdifiato verso il Lido Belvedere, dove mi aspettavano Cinzia e i suoi nuovi amici. Arrivata in spiaggia, li trovai tutti e tre sotto il nostro ombrellone. Cinzia, senza smentirsi, anche se non erano nemmeno le undici del mattino, aveva ordinato alcuni cocktail per riscaldare l’atmosfera. Nel vedermi arrivare mi accolse con l’entusiasmo di chi non si vede da una vita e poi mi mostrò il regalo che mi aveva fatto. Il pomeriggio del giorno prima era andata a fare shopping in una boutique del centro di Riccione, Il Sogni d’Oro, una boutique che vendeva articoli per adulti, sex toys di ogni genere, lubrificanti e tantissimo abbigliamento, aveva preso per i suoi due ospiti qualcosa che era sicura avrei gradito. Lamin ed Ebrima indossavano, con lo sconcerto di tutte le presenti che non riuscivano a staccargli gli occhi di dosso, due perizoma dorati che a stento ne coprivano il pudore. I due ragazzi non sembravano particolarmente entusiasti, ma Cinzia, dominante come sempre, era stata irremovibile e, minacciandoli di rispedirli a Milano, pretese collaborazione da loro. Cinzia li invitò ad alzarsi per farmi vedere ciò che aveva serbato per me, toccò a loro questa volta, di mostrare la mercanzia, come era capitato a me la sera prima, La loro non era vergogna, no: era il sentirsi privati di un ruolo che, in quanto uomini, sentivano di avere il diritto di interpretare, quello di seduttori, di machos. Vestendo quei pochi centimetri di stoffa a stento impermeabile, finivano per essere ciò che lei aveva deciso che fossero: un oggetto di piacere.
Avevo già la colina in bocca, come davanti ad un bel polletto ruspante avvolto nella stagnola, fu il mio nome gridato all’interfono dello stabilimento e l’invito a presentarmi alla reception a rompere l’incanto, forse qualcuno si era lamentato dello spettacolo che Cinzia e i suoi accompagnatori stavano dando in spiaggia.
Fremendo dal desiderio di tornare da i miei amici andai a passo spedito verso l’ingresso, mentre facevo gli ultimi metri che mi separavano dalla mia meta ,una sensazione mi aggredì la bocca dello stomaco, un cattivo presagio, un avvertimento sussurrato all’istinto di un pericolo imminente.
Quando vidi la figura femminile davanti al bancone del bar, il tempo si fermò. Riccione divenne una landa desolata, il caldo dell’estate svanì e al suo posto un gelo mi entrò nelle ossa. Inattesa, non invitata, sgradita: mia madre era lì, davanti a me. Mi vide e non mi lasciò scampo. Corse verso di me a braccia aperte, con un’aria felice che non le apparteneva, che non aveva mai avuto nei nostri incontri. Mi abbracciò, più per la consapevolezza di essere osservata e per la volontà di apparire madre premurosa o ospite gradita che per sincero affetto. Balbettai qualcosa di incomprensibile, cercando di liberarmi da quell’abbraccio interminabile da pitonessa. Lei, stringendomi per le spalle, mi invitò a parlare con chiarezza, ricordandomi che non aveva speso tutti quei soldi per la mia istruzione perché io biascicassi parole senza senso. Ipocrita. Mi aveva trascurata dal giorno stesso in cui ero uscita dal suo utero. Mi mandava a scuola vestita come una stracciona e solo perché lo pretendeva la legge dell'obbligo scolastico, con abiti riciclati dai parenti o scartati dal suo armadio. Se non fosse stato per Vincenzo, l’unico suo amante decente, con cui avevo mantenuto i contatti dopo la loro separazione, non avrei mai frequentato l’università. In cambio della mia disponibilità a posare come modella nelle sue foto, lui aveva pagato la retta e il mantenimento a Milano, consentendomi di conseguire una inutile laurea in scienze dalle comunicazioni.
Notai subito un’assenza. Mancava qualcuno al suo fianco. Le chiesi di Vittorio e bastò vederla alzare le spalle per capire che tra loro era finita. Peccato: quell’uomo mi piaceva e, sapendo come sarebbe andata, forse avrebbe potuto occuparsi di quel problema che gli avevo confidato, tra le mie gambe, e che lui, anche se tentato, per rispetto a mia madre, aveva rifiutato di controllare. Cercando una spiegazione, le domandai cosa facesse lì. Mi rispose che lo aveva saputo da Aldo. In quel momento biasimai moltissimo mio marito: aveva pensato che forse avrei avuto bisogno di compagnia, di aiuto, di controllo, sapendomi sola con la mia amica, proprio allora, alle mie spalle, comparve Cinzia.
Tra le due non era mai corso buon sangue. Cinzia la odiava per il modo in cui mi aveva cresciuta, nell’indifferenza e nell’abbandono. Mia madre la odiava perché, a suo dire, quella donna aveva cercato di sostituirsi a lei nel ruolo di madre. E in parte ci era riuscita: negli anni avevo costruito con la mia Amica un rapporto più intenso e autentico, di profondo affetto, che con lei. Si fissarono a lungo, come in un vecchio western, la scena in cui i pistoleri si fronteggiano prima della sparatoria. Mia madre la salutò con tono sprezzante. Cinzia, diretta come sempre, replicò chiamandola Grimilde, la matrigna di Biancaneve. Mia madre non gradì affatto. Tra le due volarono scintille e mi ci volle tutta la mia diplomazia per calmarle. Alla fine riuscii a convincerle a non dare spettacolo davanti a tutti, a rasserenarsi, a godersi la bella giornata di sole.
Cinzia, forse solo per affetto nei miei confronti, disse che ci avrebbe aspettate sotto l’ombrellone. Mia madre tirò un sospiro di sollievo quando la mia amica si allontanò, poi mi prese per il braccio e mi costrinse ad accompagnarla alle cabine. Voleva cambiarsi, indossare il costume che si era portata dietro.
Mentre era chiusa nella cabina continuava a parlare, io non la ascoltavo nemmeno. Mi tornò in mente quando mi costringeva a seguirla nelle sue maratone di shopping, e io restavo ore davanti a un camerino mentre lei blaterava di vestiti e mi dispensava consigli sulla vita che non avevo chiesto. Consigli che, soprattutto, nemmeno lei sembrava capace di seguire.
Quando uscì dalla cabina mi ricordai da chi avevo preso i geni, nonostante avesse da poco compiuto i 50 anni, mia madre era in forma straordinaria, Indossava un costume nero, scollato e audace, con lacci dorati che si intrecciavano sul petto e lungo i fianchi come una corazza elegante. Il cappello a tesa larga le copriva metà del viso, lasciando intravedere solo la curva decisa della mascella e l’ombra degli occhi. I bracciali tintinnavano piano mentre si muoveva, e gli orecchini, grandi e circolari, sembravano disegnati apposta per lei. Era come se fosse uscita da una di quelle rivista patinate che leggeva sempre, una diva da spiaggia, sicura di sé e perfettamente consapevole dell’effetto che faceva sugli altri, sopratutto sugli uomini. E io, mio malgrado, dovevo ammetterlo: sapeva ancora come farsi guardare. Poi mi venne un dubbio. Le chiesi dove avesse preso il cappello, visto che era entrata nella cabina a mani vuote. Mi guardò, esitante, poi abbassò lo sguardo e ammise che lo aveva trovato lì dentro. Le era sembrato perfetto da aggiungere alla sua mise, disse, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Arrossii, colta da un’improvvisa vergogna. Speravo con tutto il cuore che la proprietaria, forse ancora sulla spiaggia, forse a pochi metri da noi , non lo riconoscesse.
Quando mia madre vide Lamin ed Ebrima sotto l’ombrellone, si dimenticò all’istante di Cinzia. I suoi occhi si illuminarono, pieni di un’emozione quasi infantile, come se si trovasse davanti a due cuccioli di labrador. Li guardava con un entusiasmo che le avevo già visto altre volte: il luccichio di una lupa affamata, pronta a divorare due teneri agnelli. Cinzia andò subito in allerta di certo non pronta a spartirli con lei. Mi affrettai a presentarli.
Sembrava che la giornata fosse destinata a peggiorare, e invece mia madre fu più sopportabile del solito. Attratta com’era da i suoi due ospiti, belli, alti, muscolosi, e con quei modi pittoreschi , interagiva a stento con Cinzia. Per mia fortuna. La tensione tra loro si stemperava, almeno in apparenza. Ma mai, mai mi sarei aspettata un epilogo come quello che sarebbe avvenuto di lì a poco.
I ragazzi rimasero colpiti dalla bellezza di mia madre. Fu facile per loro riconoscere nei suoi lineamenti quelli che mi appartenevano, come se i geni avessero tracciato due visi e due corpi con la stessa mano. Proprio per questo, con la loro sfacciataggine, vollero verificare se anche il resto fosse identico. Le chiesero di voltarsi e mostrare il sedere, cercando conferma che assomigliasse al mio. Cinzia li fulminò con lo sguardo. Mia madre, invece, divertita da quella spontaneità che li rendeva irresistibili, apprezzò parecchio. Si prestò al gioco e mi invitò a fare lo stesso, così che i due potessero mettere a paragone i nostri fondoschiena.
Sapendo che non l’avrei convinta a lasciarmi in pace, mi piegai a quel capriccio. Dopo essermi liberata del pareo, sostenni quello studio.
L’esame non fu solo visivo, no ,i nostri reciproci “Culi” furono esaminati con dovizia, ispezionati con cura, li palparono, li saggiarono schiaffeggiandoli, ci chiesero di piegarci e di allargarli, imbarazzata ,umiliata eppure ,eccitata, restai ligia al mio dovere e cosi mia madre fece al mio fianco.
Cinzia ci guardava e leggevo nei suoi occhi, un divertimento per la situazione in cui mi ero cacciata e tra le pieghe del suo sorriso, lessi un desiderio irrefrenabile, che quella scenetta le provocava.
Fu lei a suggerirci di continuare il confronto in un luogo più appartato e in effetti la spiaggia, non sembrava adatta alla situazione.
Tutti e cinque , ci trasferimmo in albergo nella Suite mia e di mio marito Aldo, i due ragazzi si accomodarono sul divano nel salottino ,sembravano i padroni di casa. Dandomi della troia, mi ordinarono di mettermi affianco a mia madre ,già pronta e riprendere dove avevano lasciato.
Ma non fu solo il culo ad essere oggetto di esame, pezzo per pezzo ogni centimetro del nostro corpo fu osservato, analizzato e giudicato, fu stabilita persino una graduatoria, io avevo il culo più sodo, con l'ano che offriva ancora molta resistenza, mia madre un culo più grosso e un ano cedevole, il mio seno era pieno ma non enorme, il seno di mia madre, più grande più pesante ,io avevo i capezzoli più sensibili ,mia madre quelli più elastici, io avevo la vagina più stretta, e una volta assaggiata da entrambi i giudici, il sapore era dolce e speziato, lei subito lo stesso trattamento, quella più paffuta e capiente, dal sapore più acidulo ma più pregna di umori. Per valutare i nostri corpi, o per stabilire la nostra disponibilità o ancora, per umiliarci, Abrima mise la coppa dello champagne a terra e senza il minimo tatto ci invitò ad urinare al suo intento, restando in piedi. Mia madre, mostrò molto più coraggio di me, non ci pensò due volte, si pose davanti a quel secchio improvvisato , con le dita schiuse le labbra della sua vagina e dal forellino della sua uretra lasciò andare la vescica, in un arco dorato, caldo e dal getto forte ,ne seguii un applauso generale.
Io ci pensai un attimo, Cinzia mi incoraggiava a non gettare la spugna, mia madre mi fissava con le braccia incrociate sotto al seno prosperoso in segno di sfida, come le avevo visto fare altre volte nella mia vita. l'orgoglio si sostituii alla vergogna , presi posto anch'io davanti al secchio, chiusi gli occhi cercando di concentrarmi e imitandone il gesto, a mio volta lasciai che la mia vescica si liberasse del tutto ,ricevendo anche io, il mio applauso.
Cinzia si rammaricò di essere esclusa da quella competizione ma i due ragazzi la rassicurarono che presto avrebbero testato anche lei.
Ci fu un attimo di pausa, mi chiesero di chiamare il servizio in camera e farmi portare dello champagne e qualcosa da mangiare.
Andai nell'altra camera per chiamare la reception per fare l'ordinazione la ragazza cortese mi assicurò che lo champagne e due club sandwich sarebbero arrivati in poco tempo, quando tornai da loro, mi ritrovai davanti una scena non del tutto inattesa.
La più competitiva era sempre stata mia madre. Mi aveva avuta quando aveva solo sedici anni, troppo giovane per sentirsi davvero madre, abbastanza vicina per diventare presto rivale. Quando io cominciai a mostrare i segni che sembravano attirare l’attenzione degli uomini che lei portava a casa, non seppe restare nel suo ruolo. Manifestò un senso di competizione feroce, smise di cercare di essere guida e si trasformò in antagonista. Non era più la madre che mi proteggeva, non che lo fosse mai stata, ma la donna che temeva di essere superata.
Quindi non era del tutto inatteso quello che mi si parò davanti agli occhi, mia madre stava in ginocchio tra le gambe di Ebrima mentre, una volta liberato dalla prigione dei suoi indumenti, senza osare toccarlo con le mani, faceva sparire nella sua bocca il membro del ragazzo. Cinzia stava sulle ginocchia di Lamin, lo abbracciava e la incitava, Lamin quando mi vide mi disse che mia madre era una vera Troia come lo ero io e senza perdere tempo mi invitò ad una competizione, una gara di sofficini, cosi la chiamò lui, non capendo il gergo ,gli dissi che dalla cucina, stavano per portare su da mangiare come lui aveva chiesto. Cinzia rise per la mia ingenuità, mi spiegò che il ragazzo si riferiva al sesso orale, che sfidava me e mia madre in una competizione tra chi si sarebbe dimostrata più abile nel portare all'orgasmo con la bocca lui e il suo amico.
Guardai mia madre, già a buon punto. Cinzia, con lo sguardo, mi invitava a partecipare. Mi sentivo invasa, come se il mio spazio fosse stato violato. Avevo atteso quella situazione fin dalla sera prima, ma certo non avevo previsto di coinvolgere mia madre. Mi dissi che ormai, se lei era lì, non potevo far altro che far buon viso a cattivo gioco. Così sorrisi, mi legai i capelli dietro la testa e li raggiunsi.
Quando il cameriere, fatto entrare da Cinzia, entrò nella camera spingendo il carrello con le nostre ordinazioni, rimase di stucco vedendo una giovane donna e sua madre praticare con un certo impegno, l'una in competizione con l'altra ,sesso orale a due ragazzi di colore, e con imbarazzo disegnato sul volto, lasciò il vassoio e corse via, sapevo che avrebbe raccontato a tutti quello che aveva visto ma in quel momento, guidata dall'istinto e dalla mia natura, non mi importava assolutamente niente delle conseguenze.
Fu Lamin a venire per primo ,direttamente nella mia bocca , tenendomi la testa incollata al suo pube per impedirmi di sottrarmi, farcendomi il palato con il suo seme caldo e denso, assegnandomi la vittoria di quella piccola competizione, poco dopo anche Ebrima consegnò il suo premio nella bocca di mia madre, che senza esitare , a differenza di me, che colta di sorpresa anche se ne avevo deglutito la maggior parte, ne avevo tossito fuori il resto, mentre lei ubbidiente, lo accolse e lo ingoiò fino all'ultima goccia, la competizione non era finita.
Toccò alle nostre vagine dimostrare la superiorità l'una sull'altra. ci fecero mettere carponi sul pavimento, i ragazzi , instancabili, si diedero il cambio, Ebrima si piazzò dietro di me, sentivo il suo sesso puntare all'ingresso del mio, Lamin dietro i fianchi rotondi di mia madre. Cinzia non potendo partecipare, eccitata dal quadretto familiare, si dava piacere da sola, con una mano infilata negli slip.
Al via presero a scoparci, io facevo del mio meglio per non cedere, mia madre sembrava capace di reggere bene e teneva testa al ragazzo che da dietro le imponeva il suo cazzo nella fica, mentre i suoi fianchi vibravano ad ogni affondo.
Dopo averci testato in quella posizione, vollero cambiare, toccò a noi impalarci sui loro uccelli, mentre loro stavano seduti sul divano, prima frontalmente, cosi che potessero godersi anche i nostri seni, poi dando loro la schiena.
Eravamo io e mia madre ,testa a testa e i due ragazzi non riuscivano a dare un giudizio unanime ,cosi fu il momento della doppia penetrazione.
Fui io la prima a sostenere la prova, Ebrima davanti, Lamin dietro, i due ragazzi ,uno nella mia vagina ,l'altro con un pò di fatica, nel mio retto. cercando il ritmo migliore presero a muoversi dentro di me. Mentre i due facevano di tutto per portarmi allo stremo , io tenevo duro, fui piacevolmente sorpresa nel vedere che Cinzia e mia madre, una volta messo da parte il reciproco risentimento ,impegnate in un sessantanove, su divano di fianco a noi, si divoravano il sesso a vicenda.
Poi toccò proprio a mia madre prendere il mio posto, mentre io correvo ancora affamata , con la bocca spalancata e la lingua tesa, tra le gambe di Cinzia a cercane il sapere che ben conoscevo e infine finalmente, allo stesso modo ,anche la mia amica ricevette ciò per cui era venuta.
Mentre io e mia madre, ormai smarrito ogni pudore, ogni risentimento, ogni vincolo familiare cercavamo tra le cosce l'una dell'altra, un piacere intenso, carnale, viscido e unto e mentre le leccavo la vagina, mentre guardavo al suo interno, mentre con la lingua e le labbra cercavo di trarne ogni possibile sfumatura, lei faceva lo stesso con me, mi resi conto che quella era la cosa più intima, che avessi mai condiviso con lei e che forse ,attraverso quell'atto sconsiderato, stavamo per la prima volta, costruendo un rapporto.
Per concludere in modo che nessuna di noi si sentisse esclusa Lamin ed Ebrima ci fecero inginocchiare davanti a loro, i visi, mio, di mia madre e di Cinzia erano l'uno accanto all'altro. le nostre lingue saettavano fuori dalla bocca , sfiorandosi, cercandosi reciprocamente, mentre i ragazzi ,quasi all'unisono, menandosi il cazzo, in lunghi, densi, caldi fiotti cremosi, spargevano sopra i nostri visi ,nelle nostre reciproche bocche, tutto quello che gli era rimasto nei lombi.
Un istante dopo, il mio telefono lasciato sul tavolino di cristallo al centro della stanza squillò, era Aldo, gli risposi, con ancora lo sperma dei due ragazzi sul viso, mi chiese se mia madre fosse arrivata, mi domandò se le cose andavano bene, lo rassicurai, e che anzi dovevo ringraziarlo, per avergli suggerito di raggiungermi.
Lamin sentendomi parlare con mio marito, mi strappò il telefono di mano, e sorprendendo Aldo dall'altra parte ,con un entusiasmo che mio marito, non poteva capire. Gli confermò quello che gli aveva detto la sera prima al ristorante, aveva come moglie una Troia di lusso, Quando mi ripassò il telefono Aldo, ammise di provare simpatia per quel ragazzo e che avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarlo nel suo sogno di diventare una Trap-star, senza sapere che l'altro, si stava facendo di nuovo spazio tra le mie cosce e mentre parlavo con lui si accingeva a scoparmi, ancora una volta, mentre Ebrima volendo ripetere l'esperienza appena terminata, stava di nuovo abusando, con un certo disappunto da parte sua, forse un pò stanca, dell'ano di mia madre.
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