Avventura folle (parte 7)
di
Kugher
genere
sadomaso
Alfio si diresse verso il canile al cui interno vi era una schiava incatenata.
Ileana fece un po’ di resistenza, evidentemente aveva intuito le intenzioni del Padrone che, per procedere, diede un'ulteriore frustata sulla natica con il manico del guinzaglio.
“Dentro, cagna”.
Con l’ultima parola voleva che la schiava capisse cosa la aspettava.
Liberò la cagna già incatenata e mise alla catena Ileana, avendo cura, però, di lasciare la catena molto corta. La schiava poteva stare a 4 zampe, non di più, diversamente dalla catena più lunga che aveva lasciato alla cagna della quale aveva preso il posto.
Inizialmente aveva pensato di tenersi in casa Ileana, anche per farsi preparare e servire la cena.
Non gli era però piaciuta la sensazione che aveva avuto con lei. Sentiva attrazione ed empatia, per tacer del fatto che aveva provato verso di lei una sorta di soggezione..
Questa cosa non poteva essere e andava subito corretta.
Per lui le persone che accedevano a quel servizio, dovevano essere solo oggetti. Non poteva avere empatia nei loro confronti, nemmeno stima o altro.
Non incontrò resistenza nell’incatenare la schiava all’anello infisso a terra, lasciandole la catena corta.
La guardò stesa ai suoi piedi e volle affermare, più a sé stesso che a lei, la sua posizione.
Le mise una scarpa sul viso premendolo a terra, più del dovuto, fino a che non sentì da sotto il piede giungere un lamento.
Le riempì di acqua la stessa ciotola usata dalla precedente cagna che si portò in casa. Volle far vedere a Ileana la differenza di trattamento e, da questa, si fece seguire in piedi.
Non gli piacque nemmeno il fatto di avere scaricato su di lei quel principio di frustrazione.
Mentre la cagna gli stava preparando la cena, si mise a leggere il giornale, sentendosi più sollevato.
Da Simona si fece anche servire a tavola.
La schiava dovette portargli il piatto e, mentre egli consumava la cena, aspettare accucciata a terra, vicino alla sua sedia.
Per lui, Simona era solo un corpo, una ragazza della quale conosceva i dati, al pari di tutte le altre, ma nulla più.
Mentre, dopo cena, seduto in poltrona, si faceva leccare i piedi dalla schiava prostrata, sentì un sollievo interiore nel non provare nulla per lei, così come era sempre stato.
Sapeva che era sposata e che il marito era spesso assente per lavoro, lavorando sulle piattaforme petrolifere.
Simona aveva sempre avuto desideri di sottomissione ma non ne aveva mai fatto cenno al marito, se non qualche timido gioco che lui, però, non aveva particolarmente gradito.
Tuttavia questa cosa le era maturata dentro sempre più, avendo la necessità di provare quelle emozioni che provava leggendo storie di schiavitù.
Alfio sapeva solo, avendolo intuito, che mentre il marito era assente, Simona frequentava un Padrone. La storia con quest’uomo stava prendendo una via che lei non voleva seguire. Così aveva deciso di troncare la relazione, in quanto aveva il timore che per lui l’attrazione non fosse solo sessuale. A lei serviva, invece, solo il dominio che le consentiva di liberare quella parte dell’anima che la tormentava.
Amava il marito, ma le mancava la libertà di essere schiava.
L’esperienza alla fattoria di Alfio le dava modo di essere schiava nel senso più forte del termine, in quanto in quel luogo i rapporti erano sempre con sconosciuti. Questi la trattavano per come lei voleva essere, cioè un oggetto.
Era forte la cosa, stravolgente, ma le dava quella libertà di lasciar correre le sue esigenze senza problemi.
Alfio accantonò il giornale per guardare la televisione.
Accanto a sé aveva un frustino che usava solo per incentivare la schiava, quando le carezze con la lingua ai piedi perdevano di efficacia, probabilmente a causa della stanchezza.
Si accorse, con fastidio, di avere ancora il pensiero rivolto ad Ileana.
“Metti gli avanzi della cena in una ciotola”.
Seguito da Simona andò nel canile avvicinandosi alla cagna incatenata.
Ileana era accucciata a terra. Si mosse appena nel vederlo arrivare. Il Padrone osservò i suoi occhi a livello terra, i suoi capelli che a lui trasmettevano una sensazione di forza e di carattere, uniti al suo sguardo morbido che, però, manteneva sempre le distanze.
Le mise la ciotola a terra, poco lontano dal viso, per costringerla ad alzarsi e a muoversi verso il cibo, che avrebbe consumato stando a quattro zampe.
Davanti a lei fece mettere Simona in ginocchio e con la fronte a terra, piegata così su sé stessa, in modo che il Padrone potesse sedersi sulla schiena.
Mise i piedi ai lati della ciotola, avendo così Ileana con la testa tra le sue scarpe.
I capelli nerissimi arrivavano a terra ai lati della testa e, mentre la schiava mangiava, ne immaginava gli occhi e lo sguardo.
Prima di andarsene le riempì nuovamente la ciotola di acqua.
Fortunatamente il giorno dopo sarebbero venuti a prenderla.
Simona venne portata in casa e incatenata sul pavimento ai piedi del suo letto.
Ileana fece un po’ di resistenza, evidentemente aveva intuito le intenzioni del Padrone che, per procedere, diede un'ulteriore frustata sulla natica con il manico del guinzaglio.
“Dentro, cagna”.
Con l’ultima parola voleva che la schiava capisse cosa la aspettava.
Liberò la cagna già incatenata e mise alla catena Ileana, avendo cura, però, di lasciare la catena molto corta. La schiava poteva stare a 4 zampe, non di più, diversamente dalla catena più lunga che aveva lasciato alla cagna della quale aveva preso il posto.
Inizialmente aveva pensato di tenersi in casa Ileana, anche per farsi preparare e servire la cena.
Non gli era però piaciuta la sensazione che aveva avuto con lei. Sentiva attrazione ed empatia, per tacer del fatto che aveva provato verso di lei una sorta di soggezione..
Questa cosa non poteva essere e andava subito corretta.
Per lui le persone che accedevano a quel servizio, dovevano essere solo oggetti. Non poteva avere empatia nei loro confronti, nemmeno stima o altro.
Non incontrò resistenza nell’incatenare la schiava all’anello infisso a terra, lasciandole la catena corta.
La guardò stesa ai suoi piedi e volle affermare, più a sé stesso che a lei, la sua posizione.
Le mise una scarpa sul viso premendolo a terra, più del dovuto, fino a che non sentì da sotto il piede giungere un lamento.
Le riempì di acqua la stessa ciotola usata dalla precedente cagna che si portò in casa. Volle far vedere a Ileana la differenza di trattamento e, da questa, si fece seguire in piedi.
Non gli piacque nemmeno il fatto di avere scaricato su di lei quel principio di frustrazione.
Mentre la cagna gli stava preparando la cena, si mise a leggere il giornale, sentendosi più sollevato.
Da Simona si fece anche servire a tavola.
La schiava dovette portargli il piatto e, mentre egli consumava la cena, aspettare accucciata a terra, vicino alla sua sedia.
Per lui, Simona era solo un corpo, una ragazza della quale conosceva i dati, al pari di tutte le altre, ma nulla più.
Mentre, dopo cena, seduto in poltrona, si faceva leccare i piedi dalla schiava prostrata, sentì un sollievo interiore nel non provare nulla per lei, così come era sempre stato.
Sapeva che era sposata e che il marito era spesso assente per lavoro, lavorando sulle piattaforme petrolifere.
Simona aveva sempre avuto desideri di sottomissione ma non ne aveva mai fatto cenno al marito, se non qualche timido gioco che lui, però, non aveva particolarmente gradito.
Tuttavia questa cosa le era maturata dentro sempre più, avendo la necessità di provare quelle emozioni che provava leggendo storie di schiavitù.
Alfio sapeva solo, avendolo intuito, che mentre il marito era assente, Simona frequentava un Padrone. La storia con quest’uomo stava prendendo una via che lei non voleva seguire. Così aveva deciso di troncare la relazione, in quanto aveva il timore che per lui l’attrazione non fosse solo sessuale. A lei serviva, invece, solo il dominio che le consentiva di liberare quella parte dell’anima che la tormentava.
Amava il marito, ma le mancava la libertà di essere schiava.
L’esperienza alla fattoria di Alfio le dava modo di essere schiava nel senso più forte del termine, in quanto in quel luogo i rapporti erano sempre con sconosciuti. Questi la trattavano per come lei voleva essere, cioè un oggetto.
Era forte la cosa, stravolgente, ma le dava quella libertà di lasciar correre le sue esigenze senza problemi.
Alfio accantonò il giornale per guardare la televisione.
Accanto a sé aveva un frustino che usava solo per incentivare la schiava, quando le carezze con la lingua ai piedi perdevano di efficacia, probabilmente a causa della stanchezza.
Si accorse, con fastidio, di avere ancora il pensiero rivolto ad Ileana.
“Metti gli avanzi della cena in una ciotola”.
Seguito da Simona andò nel canile avvicinandosi alla cagna incatenata.
Ileana era accucciata a terra. Si mosse appena nel vederlo arrivare. Il Padrone osservò i suoi occhi a livello terra, i suoi capelli che a lui trasmettevano una sensazione di forza e di carattere, uniti al suo sguardo morbido che, però, manteneva sempre le distanze.
Le mise la ciotola a terra, poco lontano dal viso, per costringerla ad alzarsi e a muoversi verso il cibo, che avrebbe consumato stando a quattro zampe.
Davanti a lei fece mettere Simona in ginocchio e con la fronte a terra, piegata così su sé stessa, in modo che il Padrone potesse sedersi sulla schiena.
Mise i piedi ai lati della ciotola, avendo così Ileana con la testa tra le sue scarpe.
I capelli nerissimi arrivavano a terra ai lati della testa e, mentre la schiava mangiava, ne immaginava gli occhi e lo sguardo.
Prima di andarsene le riempì nuovamente la ciotola di acqua.
Fortunatamente il giorno dopo sarebbero venuti a prenderla.
Simona venne portata in casa e incatenata sul pavimento ai piedi del suo letto.
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