Filo Rosso Anima 2

di
genere
bondage

Sono passati tre giorni da quella telefonata, da quell'orgasmo solitario e condiviso che ha lasciato un'impronta indelebile sulla mia anima. Tre giorni in cui il mio corpo ha continuato a vibrare, un'eco prolungata di quel piacere straziante che ha solo accentuato la tortura della distanza. La nostra connessione, ora, ha un sapore diverso. La barriera della conversazione educata si è dissolta completamente, lasciando spazio a una franchezza quasi brutale, una necessità viscerale di esplorare i territori più profondi e oscuri del nostro desiderio. Ma una nuova paura, più sottile e insidiosa, ha messo radici nel mio cuore. È la paura di rivelare non solo le fantasie del mio corpo, ma l'architettura segreta della mia anima, quelle stanze più nascoste e polverose dove coltivo i miei sogni più inconfessabili.

​È in una di queste stanze che la mia mente torna incessantemente. Da quella notte, la mia ossessione ha trovato un nome. Ho passato ore che si sono trasformate in giorni a navigare in un oceano di immagini, un mondo parallelo fatto di pelle, ombra e corda. Lo Shibari, il Kinbaku. Ho imparato i nomi delle legature come se fossero versi di una poesia: il kikkou, il guscio di tartaruga che protegge il petto; il hishi karada, la geometria di diamanti che adorna il torso. Ho letto della filosofia che ne è alla base, della fiducia come fondamento sacro, del dolore come potenziale via per una trascendenza del piacere, della bellezza come obiettivo ultimo e assoluto. E più leggevo, più guardavo, più una certezza quasi terrificante si faceva strada in me: questo era il linguaggio che stavo cercando. Un linguaggio fatto di nodi e di tensioni, capace di esprimere la complessità della mia devozione per Yuko, un desiderio che voleva venerare tanto quanto voleva possedere.

​Ma come potevo mostrarle questa mappa della mia anima senza che lei la scambiasse per il delirio di una mente perversa? Come potevo spiegarle che per me quelle corde non erano catene, ma braccia infinite con cui avvolgerla e adorarla?

​Stasera, l'ansia è un sapore metallico sulla mia lingua. Ho preparato la nostra videochiamata come un condannato prepara la sua ultima cena. Sono seduta alla mia scrivania, nel mio studio, circondata da pesanti volumi di storia dell'arte che mi fissano con muto rimprovero. Indosso un maglione oversize di cashmere grigio antracite, morbido e avvolgente come un bozzolo. È un'armatura soffice. Ma sotto, la mia pelle è nuda. Questa contraddizione è il mio stato d'animo: protetta e corazzata in superficie, completamente esposta e tremante al di sotto.

​Yuko appare sullo schermo, e il mio respiro si blocca per un istante. È nel suo letto, come al solito, con indosso una semplice canottiera bianca che lascia scoperte le sue braccia toniche. Ha un sorriso stanco ma bellissimo, un sorriso che potrebbe illuminare la galassia più remota. Parliamo, e io cerco disperatamente di sembrare normale. Le chiedo del suo lavoro, di un'amica comune, ma la mia voce è un filo sottile e teso, e lei, con la sua sensibilità quasi soprannaturale, se ne accorge subito.

​"C'è qualcosa che non va, Fuuka?" chiede, e la sua immagine sullo schermo si fa più vicina, i suoi occhi scuri che mi scrutano con un'intensità che sento fisicamente, come se potesse attraversare lo schermo e leggermi dentro. "Sei distante stasera."

​Il mio cuore inizia a battere così forte che temo possa sentirlo anche lei. È il momento. O adesso, o mai più. La fiducia che mi ha dimostrato merita la mia onestà più spaventosa.

"C'è una cosa... una cosa che ho scoperto. Che vorrei mostrarti," dico, e la mia voce è appena un sussurro. "Ma ho paura, Yuko. Ho una paura fottuta."

"Non devi mai avere paura di me," risponde lei, la sua voce è una carezza calda, un balsamo sulla mia ansia. "Mostrami. Lascia che ti veda."

​Prendo un respiro profondo, che sa di polvere e panico. Con le dita che tremano leggermente, apro una cartella sul mio computer che ho chiamato semplicemente "Linee". Clicco sul pulsante di condivisione dello schermo. La mia immagine si rimpicciolisce in un angolo, una piccola testimone terrorizzata, sostituita da una fotografia in bianco e nero. È un'immagine artistica, potente. Una schiena di donna, avvolta in una complessa geometria di corde nere che ne esaltano la muscolatura e la vulnerabilità.

​Rimango in silenzio, lasciando che l'immagine parli per me. Il mio sguardo è incollato alla piccola finestra che mostra il volto di Yuko. La vedo. Vedo le sue sopracciglia aggrottarsi leggermente, non in un giudizio, ma in una profonda, quasi accademica, concentrazione. Vedo le sue labbra socchiudersi. I suoi occhi non lasciano lo schermo, studiano ogni linea, ogni ombra. Il suo silenzio è un abisso in cui rischio di precipitare. Sento il sudore freddo sulla nuca, il desiderio disperato di chiudere tutto, di scusarmi, di dire che era solo uno scherzo, un errore.

​Ma poi, la sua voce arriva, calma e ponderata, ancora più bassa del solito.

"Questa non è un'immagine di dolore, vero?"

La sua domanda, la sua intuizione, mi colpisce con la forza di una rivelazione. Ha capito. Ha capito subito.

"No," rispondo, la voce rotta dal sollievo. "È un'immagine di estasi."

​Incoraggiata, scorro alla foto successiva. Un busto, le corde che incorniciano i seni come un gioiello intricato. Poi un'altra ancora. Un corpo intero, legato in una posa quasi fetale, un'immagine non di costrizione, ma di resa e di una pace profonda, quasi spirituale.

​"Cosa vedi tu, Fuuka?" mi chiede infine, i suoi occhi che ora cercano i miei nella piccola finestra della webcam. "Quando guardi queste immagini, cosa senti?"

​Le sue domande mi aprono le porte. Le parole iniziano a fluire, un fiume in piena che travolge le mie paure.

"Vedo... vedo la fiducia resa visibile," spiego, la voce che si fa più sicura a ogni sillaba. "Vedo una forma di adorazione. L'artista non sta sottomettendo la modella, la sta adornando. La sta trasformando in un'opera d'arte vivente, sta usando le corde per disegnare la sua anima sulla sua pelle. È... è quello che provo per te, Yuko. Un desiderio così grande che le parole non bastano, un bisogno di venerarti che è quasi doloroso. Vorrei mapparti, imparare ogni centimetro di te, e le corde... le corde sarebbero le mie dita, i miei baci, le mie preghiere."

​Ho detto tutto. Ho svuotato il mio cuore, ho messo la mia anima nuda sul tavolo. Ora tocca a lei.

Yuko continua a fissarmi per un tempo infinito. Poi, lentamente, fa qualcosa di inaspettato. Si sposta leggermente, e la sua mano scivola sulla sua spalla, proprio dove la spallina della canottiera incontra la pelle. Le sue dita iniziano a tracciare una linea invisibile, scendendo lungo il suo braccio.

"Mi stai chiedendo di essere la tua tela?" sussurra, e la domanda è carica di un'intimità così profonda da farmi venire le vertigini.

​Annuisco, incapace di parlare, le lacrime che mi riempiono gli occhi e minacciano di straripare.

​Lei si alza. Lo schermo ora inquadra la sua figura intera, una silhouette perfetta nella luce soffusa della sua stanza. Si ferma al centro dell'inquadratura, di fronte a me. È una statua greca che ha preso vita per me. E poi, guardando dritta in camera, dritta dentro di me, inizia a parlare, e le sue mani seguono le sue parole, toccando il suo stesso corpo come se fossero le mie.

"La mia pelle è tua, Fuuka," dice, la sua voce un giuramento, mentre la sua mano le accarezza il fianco. "Il mio respiro è tuo. Te lo dono," sussurra, e la sua mano si posa sul suo petto, proprio sopra il cuore.

La sua mano scende più in basso, posandosi sul suo ventre.

"La mia vulnerabilità è tua. Prenditene cura."

Infine, la sua mano si posa ancora più giù, sul pube, sopra la stoffa dei suoi pantaloncini.

"E il mio piacere... sarà la tua opera d'arte."

​In quel momento, mentre la guardo offrirsi a me attraverso uno schermo, completamente, senza riserve, il mio corpo reagisce con una violenza che mi sorprende. Un'ondata di calore mi inonda, un misto di sollievo, gratitudine e un desiderio così lancinante da togliermi il respiro.

Abbiamo trovato il nostro linguaggio. E la promessa che ci siamo scambiate stasera, attraverso un freddo schermo di vetro, è più vincolante e sacra di qualsiasi nodo io possa mai imparare a fare.

di
scritto il
2025-09-16
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