Filo Rosso Anima 3
di
Fuuka
genere
bondage
Il tempo, da quando ho messo fine alla chiamata con Yuko, ha cambiato natura. Si è dilatato, diventando denso e viscoso come miele. I giorni che mi separano dal suo arrivo sono passati in uno stato di febbrile astrazione, il mio corpo impegnato nelle routine quotidiane, ma la mia mente e la mia anima sospese in un’unica, infinita attesa. Oggi è il giorno. Tra non molto, il suo treno arriverà in stazione.
Il mio appartamento, di solito un rifugio di quiete e ordine, oggi è un tempio in preparazione. Ho passato il pomeriggio in un’attività quasi rituale. Ho pulito ogni superficie finché non ha brillato, non per un bisogno di pulizia, ma per purificare lo spazio, per renderlo degno di lei. Ho scelto la musica, una playlist di brani strumentali malinconici e sensuali che possano fare da colonna sonora al nostro silenzio. Ho acceso candele profumate al sandalo e all’ambra, riempiendo l’aria di un profumo caldo e avvolgente. È tutto un prologo, una meticolosa preparazione della scena per l’unica attrice che conti.
Ora sono in piedi, di fronte all’armadio, e la scelta di cosa indossare sembra la decisione più importante della mia vita. Voglio essere un dono per lei, un invito. Scarto abiti troppo strutturati, troppo formali. La mia mano si posa infine su un abito a sottoveste di seta color smeraldo, un tessuto liquido e freddo che promette di non nascondere nulla. Lo indosso. La sensazione della seta sulla mia pelle nuda è un brivido delizioso. Scivola sui miei fianchi, accarezza le mie cosce a ogni passo. Sotto, non indosso niente. Voglio che tra la mia pelle e la sua non ci sia alcun ostacolo, alcun segreto.
Mi verso un altro sorso di vino, le mie mani tremano leggermente. Mi siedo sul divano e guardo l’orologio. Un’ora. Sessanta minuti che sembrano sessanta ere geologiche. Il mio corpo è un’orchestra di sensazioni contraddittorie: un’energia nervosa mi fa battere il cuore all’impazzata, mentre un calore basso e pesante si è insediato nel mio ventre, un desiderio sordo e costante. Ogni suono proveniente dalla strada mi fa sussultare. È lei? È già qui? Mi sento come una corda di violino tesa al massimo, a un passo dal vibrare o dallo spezzarsi.
Quando il campanello suona, il suono è così acuto e improvviso che quasi grido. Il mio calice trema nella mia mano. Lo poso con un piccolo tintinnio, mi alzo, la seta dell’abito che fruscia attorno a me. Attraverso il corridoio, i miei piedi nudi e freddi sul parquet. Ogni passo è un rintocco. Davanti alla porta, mi fermo. Prendo un respiro profondo, cercando di calmare la tempesta dentro di me. Poi, apro.
Ed eccola. È ancora più bella di come la ricordassi, più reale, più solida. Indossa dei semplici jeans e una t-shirt bianca, abiti da viaggio che non fanno nulla per nascondere la grazia del suo corpo. I suoi lunghi capelli neri sono leggermente arruffati dal vento, il suo viso è stanco ma i suoi occhi… i suoi occhi scuri sono due pozzi ardenti che mi divorano. Rimaniamo così per un istante che dura un’eternità, immobili sulla soglia, bevendoci a vicenda con lo sguardo. Poi, lentamente, un sorriso le increspa le labbra. Lascia cadere la sua borsa a terra. Il tonfo sordo è il segnale d’inizio.
Annulla la distanza tra noi, e il mondo esterno cessa di esistere. La sua mano si posa sulla mia guancia, il suo palmo è caldo, ruvido, reale. Un sospiro mi sfugge dalle labbra e poi la sua bocca è sulla mia.
È una collisione. Non c’è dolcezza in questo primo bacio, ma una fame quasi violenta, un bisogno disperato di confermare che tutto questo è vero. Le nostre lingue si scontrano, si intrecciano, una danza selvaggia e senza regole. Il sapore di menta del suo viaggio si mescola a quello del vino sulle mie labbra. Le mie mani si aggrappano alle sue spalle, le unghie che si conficcano nella stoffa della sua maglietta, mentre lei mi spinge dentro, chiudendo la porta alle sue spalle con un calcio. Siamo al buio, nel corridoio stretto, e i nostri corpi si scontrano con una forza che mi lascia senza fiato.
Le sue mani scivolano dalla mia schiena, mi afferrano le natiche e mi sollevano, premendomi contro il muro. Le mie gambe si allacciano istintivamente attorno alla sua vita. La seta del mio vestito è ormai inutile, arricciata sui miei fianchi. Sento la durezza del suo bacino contro il mio sesso nudo e umido, e un gemito roco mi sfugge nella sua bocca. Non è più un bacio, è un tentativo di divorarci, di fonderci.
Iniziamo a muoverci, quasi inciampando, verso la camera da letto, senza mai staccare le labbra, lasciando una scia di vestiti sul nostro cammino. La sua t-shirt, i suoi jeans. Le sottili spalline del mio abito si arrendono con un piccolo strappo. Siamo pelle contro pelle, e la sensazione della sua pelle calda contro la mia è così intensa da essere quasi dolorosa.
Cadiamo sul letto, un groviglio di arti e di capelli neri. Yuko si mette sopra di me, e per la prima volta mi guarda davvero da vicino. I suoi occhi sono dilatati, il suo respiro è affannoso come il mio. Mi bacia di nuovo, ma questa volta è diverso. La furia lascia il posto a una profonda, insaziabile lussuria. La sua bocca scende sul mio collo, i suoi denti che mordicchiano la pelle sensibile dietro il mio orecchio, facendomi tremare. Le sue mani esplorano il mio corpo, riscoprendolo, reclamandolo. Una mano si ferma sul mio seno, stringendolo, il suo pollice che stuzzica il capezzolo fino a farlo diventare un sassolino duro e dolente.
L’altra sua mano scende tra le mie gambe, senza alcuna esitazione. Le sue dita affondano nella mia umidità, e io grido il suo nome. Inizia a muoversi dentro di me, due dita, poi tre, riempiendomi, stirandomi, possedendomi con un ritmo primitivo e inesorabile. Io mi inarco contro la sua mano, completamente persa, mentre la sua bocca continua la sua discesa, baciandomi il petto, lo stomaco, lasciando una scia di fuoco.
Si ferma, proprio sopra il mio sesso, e mi guarda. “Voglio assaggiarti,” dice, la sua voce è un soffio roco.
Si china, e la sua lingua calda e umida trova il mio clitoride. È un’esplosione di puro piacere. La sua bocca è esperta, spietata. Lecca, succhia, mentre le sue dita non smettono mai il loro ritmo dentro di me. Sono intrappolata in una tempesta perfetta di sensazioni, senza via di scampo. L’orgasmo arriva come un fulmine, un’onda bianca e accecante che mi spezza in due. Il mio corpo si contrae violentemente, un urlo liberatorio che riempie la stanza, mentre vengo sulla sua bocca e sulla sua mano, completamente, senza alcuna vergogna.
Rimango così, tremante, gli occhi chiusi, il corpo che ancora pulsa per le scosse dell’orgasmo. Yuko risale lentamente su di me e si accascia al mio fianco, attirandomi a sé. Rimaniamo in silenzio per un tempo indefinito, avvolte nel buio, i nostri corpi nudi e sudati appiccicati, i nostri cuori che rallentano il loro ritmo all’unisono. L’aria è densa dell’odore del nostro sesso, un profumo muschiato e dolce che è la firma della nostra passione.
“Mi sei mancata,” sussurro infine, la mia voce quasi irriconoscibile.
“Ogni singolo secondo,” risponde lei, baciandomi la fronte.
La tempesta è passata, lasciando al suo posto una quiete profonda, una tenerezza quasi struggente. È in questo silenzio pacificato che il suo sguardo cade sul mio comodino. Vede la pila di libri, e in cima, quello con la copertina nera e gli ideogrammi rossi. Il suo titolo parla di corde e di anima.
Yuko non dice nulla. Allunga una mano e lo prende. Lo sfoglia per qualche istante, le pagine che frusciano delicatamente nel silenzio. Poi lo riappoggia con cura. Si volta verso di me, i suoi occhi scuri che ora contengono una nuova profondità, una nuova serietà.
Prende la mia mano, quella che fino a poco prima era stretta tra le lenzuola, e la porta al suo petto, posandola proprio sopra il suo cuore che batte forte e regolare contro il mio palmo.
“Il mio cuore si fida di te,” sussurra, e le sue parole sono un voto solenne.
Poi, senza mai staccare i suoi occhi dai miei, guida la mia stessa mano più in basso, lungo la linea del suo stomaco, fermandosi proprio sul suo pube, al centro del suo essere. La sua pelle è calda, il suo corpo è completamente rilassato sotto il mio tocco.
“E anche il mio corpo,” continua, la sua voce appena un soffio. “Insegnagli. Insegnagli il tuo linguaggio.”
Rimango immobile, la mia mano posata su di lei, sentendo il peso e la meraviglia della sua offerta. La tempesta ci ha riunite, ma è in questa calma profonda, in questa promessa silenziosa, che il nostro vero viaggio sta per iniziare.
Il mio appartamento, di solito un rifugio di quiete e ordine, oggi è un tempio in preparazione. Ho passato il pomeriggio in un’attività quasi rituale. Ho pulito ogni superficie finché non ha brillato, non per un bisogno di pulizia, ma per purificare lo spazio, per renderlo degno di lei. Ho scelto la musica, una playlist di brani strumentali malinconici e sensuali che possano fare da colonna sonora al nostro silenzio. Ho acceso candele profumate al sandalo e all’ambra, riempiendo l’aria di un profumo caldo e avvolgente. È tutto un prologo, una meticolosa preparazione della scena per l’unica attrice che conti.
Ora sono in piedi, di fronte all’armadio, e la scelta di cosa indossare sembra la decisione più importante della mia vita. Voglio essere un dono per lei, un invito. Scarto abiti troppo strutturati, troppo formali. La mia mano si posa infine su un abito a sottoveste di seta color smeraldo, un tessuto liquido e freddo che promette di non nascondere nulla. Lo indosso. La sensazione della seta sulla mia pelle nuda è un brivido delizioso. Scivola sui miei fianchi, accarezza le mie cosce a ogni passo. Sotto, non indosso niente. Voglio che tra la mia pelle e la sua non ci sia alcun ostacolo, alcun segreto.
Mi verso un altro sorso di vino, le mie mani tremano leggermente. Mi siedo sul divano e guardo l’orologio. Un’ora. Sessanta minuti che sembrano sessanta ere geologiche. Il mio corpo è un’orchestra di sensazioni contraddittorie: un’energia nervosa mi fa battere il cuore all’impazzata, mentre un calore basso e pesante si è insediato nel mio ventre, un desiderio sordo e costante. Ogni suono proveniente dalla strada mi fa sussultare. È lei? È già qui? Mi sento come una corda di violino tesa al massimo, a un passo dal vibrare o dallo spezzarsi.
Quando il campanello suona, il suono è così acuto e improvviso che quasi grido. Il mio calice trema nella mia mano. Lo poso con un piccolo tintinnio, mi alzo, la seta dell’abito che fruscia attorno a me. Attraverso il corridoio, i miei piedi nudi e freddi sul parquet. Ogni passo è un rintocco. Davanti alla porta, mi fermo. Prendo un respiro profondo, cercando di calmare la tempesta dentro di me. Poi, apro.
Ed eccola. È ancora più bella di come la ricordassi, più reale, più solida. Indossa dei semplici jeans e una t-shirt bianca, abiti da viaggio che non fanno nulla per nascondere la grazia del suo corpo. I suoi lunghi capelli neri sono leggermente arruffati dal vento, il suo viso è stanco ma i suoi occhi… i suoi occhi scuri sono due pozzi ardenti che mi divorano. Rimaniamo così per un istante che dura un’eternità, immobili sulla soglia, bevendoci a vicenda con lo sguardo. Poi, lentamente, un sorriso le increspa le labbra. Lascia cadere la sua borsa a terra. Il tonfo sordo è il segnale d’inizio.
Annulla la distanza tra noi, e il mondo esterno cessa di esistere. La sua mano si posa sulla mia guancia, il suo palmo è caldo, ruvido, reale. Un sospiro mi sfugge dalle labbra e poi la sua bocca è sulla mia.
È una collisione. Non c’è dolcezza in questo primo bacio, ma una fame quasi violenta, un bisogno disperato di confermare che tutto questo è vero. Le nostre lingue si scontrano, si intrecciano, una danza selvaggia e senza regole. Il sapore di menta del suo viaggio si mescola a quello del vino sulle mie labbra. Le mie mani si aggrappano alle sue spalle, le unghie che si conficcano nella stoffa della sua maglietta, mentre lei mi spinge dentro, chiudendo la porta alle sue spalle con un calcio. Siamo al buio, nel corridoio stretto, e i nostri corpi si scontrano con una forza che mi lascia senza fiato.
Le sue mani scivolano dalla mia schiena, mi afferrano le natiche e mi sollevano, premendomi contro il muro. Le mie gambe si allacciano istintivamente attorno alla sua vita. La seta del mio vestito è ormai inutile, arricciata sui miei fianchi. Sento la durezza del suo bacino contro il mio sesso nudo e umido, e un gemito roco mi sfugge nella sua bocca. Non è più un bacio, è un tentativo di divorarci, di fonderci.
Iniziamo a muoverci, quasi inciampando, verso la camera da letto, senza mai staccare le labbra, lasciando una scia di vestiti sul nostro cammino. La sua t-shirt, i suoi jeans. Le sottili spalline del mio abito si arrendono con un piccolo strappo. Siamo pelle contro pelle, e la sensazione della sua pelle calda contro la mia è così intensa da essere quasi dolorosa.
Cadiamo sul letto, un groviglio di arti e di capelli neri. Yuko si mette sopra di me, e per la prima volta mi guarda davvero da vicino. I suoi occhi sono dilatati, il suo respiro è affannoso come il mio. Mi bacia di nuovo, ma questa volta è diverso. La furia lascia il posto a una profonda, insaziabile lussuria. La sua bocca scende sul mio collo, i suoi denti che mordicchiano la pelle sensibile dietro il mio orecchio, facendomi tremare. Le sue mani esplorano il mio corpo, riscoprendolo, reclamandolo. Una mano si ferma sul mio seno, stringendolo, il suo pollice che stuzzica il capezzolo fino a farlo diventare un sassolino duro e dolente.
L’altra sua mano scende tra le mie gambe, senza alcuna esitazione. Le sue dita affondano nella mia umidità, e io grido il suo nome. Inizia a muoversi dentro di me, due dita, poi tre, riempiendomi, stirandomi, possedendomi con un ritmo primitivo e inesorabile. Io mi inarco contro la sua mano, completamente persa, mentre la sua bocca continua la sua discesa, baciandomi il petto, lo stomaco, lasciando una scia di fuoco.
Si ferma, proprio sopra il mio sesso, e mi guarda. “Voglio assaggiarti,” dice, la sua voce è un soffio roco.
Si china, e la sua lingua calda e umida trova il mio clitoride. È un’esplosione di puro piacere. La sua bocca è esperta, spietata. Lecca, succhia, mentre le sue dita non smettono mai il loro ritmo dentro di me. Sono intrappolata in una tempesta perfetta di sensazioni, senza via di scampo. L’orgasmo arriva come un fulmine, un’onda bianca e accecante che mi spezza in due. Il mio corpo si contrae violentemente, un urlo liberatorio che riempie la stanza, mentre vengo sulla sua bocca e sulla sua mano, completamente, senza alcuna vergogna.
Rimango così, tremante, gli occhi chiusi, il corpo che ancora pulsa per le scosse dell’orgasmo. Yuko risale lentamente su di me e si accascia al mio fianco, attirandomi a sé. Rimaniamo in silenzio per un tempo indefinito, avvolte nel buio, i nostri corpi nudi e sudati appiccicati, i nostri cuori che rallentano il loro ritmo all’unisono. L’aria è densa dell’odore del nostro sesso, un profumo muschiato e dolce che è la firma della nostra passione.
“Mi sei mancata,” sussurro infine, la mia voce quasi irriconoscibile.
“Ogni singolo secondo,” risponde lei, baciandomi la fronte.
La tempesta è passata, lasciando al suo posto una quiete profonda, una tenerezza quasi struggente. È in questo silenzio pacificato che il suo sguardo cade sul mio comodino. Vede la pila di libri, e in cima, quello con la copertina nera e gli ideogrammi rossi. Il suo titolo parla di corde e di anima.
Yuko non dice nulla. Allunga una mano e lo prende. Lo sfoglia per qualche istante, le pagine che frusciano delicatamente nel silenzio. Poi lo riappoggia con cura. Si volta verso di me, i suoi occhi scuri che ora contengono una nuova profondità, una nuova serietà.
Prende la mia mano, quella che fino a poco prima era stretta tra le lenzuola, e la porta al suo petto, posandola proprio sopra il suo cuore che batte forte e regolare contro il mio palmo.
“Il mio cuore si fida di te,” sussurra, e le sue parole sono un voto solenne.
Poi, senza mai staccare i suoi occhi dai miei, guida la mia stessa mano più in basso, lungo la linea del suo stomaco, fermandosi proprio sul suo pube, al centro del suo essere. La sua pelle è calda, il suo corpo è completamente rilassato sotto il mio tocco.
“E anche il mio corpo,” continua, la sua voce appena un soffio. “Insegnagli. Insegnagli il tuo linguaggio.”
Rimango immobile, la mia mano posata su di lei, sentendo il peso e la meraviglia della sua offerta. La tempesta ci ha riunite, ma è in questa calma profonda, in questa promessa silenziosa, che il nostro vero viaggio sta per iniziare.
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