Il diario di una ninfomane esibizionista: 3 ottobre 2025

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genere
esibizionismo

3 Ottobre 2025

​Diario,

​stanotte il demone non mi ha dato tregua. L'orgasmo di ieri sul tram non è stato una cura, è stato solo un antipasto. Un assaggio che ha risvegliato una fame più profonda, più rabbiosa, quasi isterica. Masturbarmi non bastava più. Guardare non bastava più. Il mio corpo urlava. Avevo bisogno di un altro corpo contro il mio, di un respiro affannoso che non fosse il mio. Avevo bisogno di toccare, di assaggiare, di sentire il sapore di un'altra donna sulla mia lingua, di sentire le sue unghie piantate nella mia schiena come ancore in una tempesta.

​Ho passato la giornata in uno stato di febbrile astinenza, un'agonia deliziosa. Ogni donna che incrociavo era un potenziale pasto, una fantasia che si scriveva da sola nella mia testa. Alla caffetteria, ho guardato per dieci minuti una ragazza che si spalmava il burro su una brioche. L'ho immaginata spalmarsi il mio succo sulle labbra con la stessa lentezza, leccandosi le dita con la stessa espressione concentrata. Ho dovuto stringere le cosce così forte sotto il tavolo che mi sono venuti i crampi. Più tardi, in ufficio, ho visto la mia capa, una donna rigida e impeccabile, chinarsi per raccogliere una penna. La cucitura della sua gonna si è tesa sulla curva del suo culo e per un istante ho fantasticato di strapparle via le calze con i denti proprio lì, sulla moquette, di scoparla da dietro mentre i telefoni continuavano a squillare. Ero una cagna in calore e il mondo era pieno di bellissime, inconsapevoli padrone. La fame cresceva, diventava un dolore sordo nel basso ventre, un vuoto che esigeva di essere riempito.

​Stasera la gabbia l'ho aperta. Ho deciso di andare a caccia sul serio.

​Il rituale di preparazione è stato un atto sessuale in sé. Mi sono spogliata davanti allo specchio del bagno, l'ho appannato con il vapore della doccia e poi ci ho scritto sopra con un dito: "PUTTANA". Guardare quella parola materializzarsi sopra la mia immagine mi ha fatto bagnare all'istante. Mi sono lavata lentamente, insaponando ogni centimetro del mio corpo, le dita che si soffermavano tra le mie labbra umide, ma senza dare solievo. Stasera il piacere doveva arrivare da qualcun altro. Volevo essere un calice vuoto, in attesa di essere riempito. Ho scelto i vestiti come un'armatura: jeans neri così stretti da non lasciare nulla all'immaginazione e una canottiera di seta sottilissima, senza reggiseno. I miei capezzoli, già duri come sassi, spingevano contro la stoffa, due piccoli insulti arroganti. E sotto i jeans, niente. Assolutamente niente. Il pensiero della mia figa nuda, che sfregava contro la cucitura ruvida del denim a ogni passo, era la mia piccola perversione privata, un segreto che mi rendeva invincibile.

​Sono andata in un bar lesbo, un buco di merda in una via secondaria dove la musica è troppo alta e i pavimenti sono sempre appiccicosi. Perfetto. L'aria era una zuppa densa di sudore, birra, fumo e desiderio a buon mercato. Un paradiso.

​Mi sono fatta largo tra i corpi, sentendo fianchi e tette premere contro di me. Ogni tocco casuale era una piccola scossa elettrica. Mi sono appoggiata al bancone, ho ordinato un gin tonic e ho iniziato la mia caccia. La stanza era un buffet. Ragazze mascoline che giocavano a biliardo, femmine iper-truccate che si facevano selfie, coppie che si mangiavano la faccia in un angolo. I miei occhi scannerizzavano la folla, scartando, soppesando, scegliendo.

​E poi l'ho vista.

​Era seduta da sola in un angolo buio, su una poltrona di finta pelle scorticata. Tatuaggi di serpenti e rose le avvolgevano un braccio, spuntando dalla manica di una camicia a scacchi. Aveva un piercing ad anello al labbro inferiore che catturava i lampi delle luci stroboscopiche. I capelli erano neri e corti, rasati da un lato. Aveva un'aria da stronza, una di quelle che ti guarda come se sapesse già tutti i tuoi segreti più sporchi. Non era innocente. Era una cacciatrice, come me. I nostri sguardi si sono incrociati da parte a parte della stanza. È stato come uno schianto. Non ha sorriso. Non l'ho fatto io. È stata una dichiarazione di guerra.

​Siamo rimaste così per un tempo indefinito, a studiarci. L'ho vista bere un sorso di birra, i suoi occhi sempre fissi nei miei da sopra la bottiglia. L'ho vista leccarsi una goccia di schiuma dal piercing. Cazzo. Ho sentito una fitta al basso ventre così forte che ho dovuto appoggiarmi al bancone. Il gioco era iniziato.

​Mi sono alzata e mi sono diretta verso la piccola pista da ballo improvvisata. Non per ballare, ma per mettermi sulla sua traiettoria. Ho iniziato a muovermi a ritmo della musica, lentamente, sentendo il sudore iniziare a imperlarmi la schiena. Dopo un paio di canzoni, l'ho vista alzarsi. Si è mossa verso di me. Non mi ha detto una parola. Ha iniziato a ballare di fronte a me, i nostri corpi che si sfioravano "per caso" nella folla. Sentivo il calore della sua coscia contro la mia, il suo fianco che premeva sul mio. Era un duello silenzioso, una negoziazione fatta di pelle e calore.

​Quando la canzone è finita, le ho afferrato un polso. "Vieni", le ho detto, la voce un ordine. L'ho trascinata verso il fondo del locale, verso l'unica porta con la scritta "BAGNO". Sapevo che mi avrebbe seguita.

​Il bagno del locale è un cesso unico, un buco lurido con le pareti coperte di graffiti osceni e una porta che non si chiude. Il chiavistello era rotto. Meraviglioso.

È entrata dopo di me e ha spinto la porta, chiudendola alle sue spalle. Il rumore del basso del locale ora era un battito sordo, il battito cardiaco del nostro piccolo inferno privato.

​Si è appoggiata alla porta con la schiena, incrociando le braccia. "Allora?", ha detto. "Che vuoi?" Il suo sguardo era una sfida.

​"Voglio te", ho risposto, facendomi più vicina. "In ginocchio. Adesso".

​Un angolo della sua bocca si è sollevato in un mezzo sorriso arrogante. Non si è mossa. Le sono andata di fronte, le ho preso il viso tra le mani e l'ho baciata. Un bacio violento, famelico, una lotta tra lingue e denti. Sapeva di birra e di tabacco. Le ho morso il labbro, dove aveva il piercing, e ho sentito il sapore metallico e caldo del sangue mescolarsi alla sua saliva. Ha gemito nella mia bocca e mi ha stretto i fianchi così forte da lasciarmi i lividi.

​L'ho spinta via. "In ginocchio", ho ripetuto, la voce un ringhio.

​Stavolta ha obbedito. È scivolata a terra, davanti a me. Le ho aperto i jeans, scoprendo la mia figa nuda, già fradicia di desiderio, esposta nella luce fioca e sporca del bagno. Lei ha alzato lo sguardo, i suoi occhi scuri che brillavano. Poi ha affondato il viso tra le mie gambe.

​Cazzo. La sua lingua era un'arma. Esperta, esigente, quasi brutale. Ha iniziato a leccarmi lentamente, assaporandomi, poi con più foga, succhiando il mio clitoride con una forza che mi ha fatta urlare contro il palmo della mia stessa mano. Il suo piercing freddo contro la mia carne bollente era una sensazione celestiale. Il mio corpo era in fiamme. Mi sono aggrappata ai suoi capelli corti e ispidi, spingendole la testa più a fondo, scopandomi la sua bocca mentre lei mi divorava.

​Qualcuno ha provato ad aprire la porta. La maniglia ha girato a vuoto, poi un pugno contro il legno. "Occupato!", ha ringhiato lei, senza smettere di leccarmi, la voce attutita contro la mia figa. L'adrenalina mi ha quasi fatta venire all'istante.

​L'ho tirata su di peso. "Il mio turno", ho ansimato. L'ho spinta contro il lavandino crepato e le ho strappato i pantaloni. Era già bagnata, il suo odore forte, selvatico, mi ha riempito le narici. L'ho leccata con una violenza che era quasi disperazione, bevendo il suo sapore, sentendola tremare sotto la mia bocca. Ho infilato due dita dentro di lei, scopandola con forza, mentre la baciavo e la mordevo sul collo, lasciando un segno viola sulla sua pelle.

​"Cazzo... sto per venire...", ha ansimato, le unghie che si conficcavano nella mia schiena.

"Vieni per me, puttana", le ho ringhiato all'orecchio. "Fatti sentire".

​E proprio mentre sentivo i suoi muscoli contrarsi attorno alle mie dita, la porta si è aperta di scatto. Una ragazza con i capelli rosa ci ha guardate, gli occhi sgranati, la bocca aperta, per un secondo che è sembrato infinito. È rimasta lì, a fissarci, paralizzata.

​Non ci siamo fermate. Il suo sguardo è stato come un'altra persona nella stanza, un'altra scarica di adrenalina pura. Siamo venute insieme, urlando l'una nella bocca dell'altra, un orgasmo esplosivo, sporco, disperato, che ci ha lasciate senza fiato, appiccicose e tremanti in quel cesso di bagno, mentre la ragazza con i capelli rosa balbettava "scusate" e richiudeva la porta in fretta e furia.

​Siamo rimaste lì, per un minuto, ansimando. Ci siamo guardate allo specchio. Eravamo un disastro bellissimo: sudate, spettinate, con le labbra gonfie e gli occhi spiritati. Ho passato un dito sul suo labbro sanguinante e poi me lo sono portato alla bocca.

​Senza dire una parola, ci siamo ricomposte. È uscita prima lei, dopo avermi lanciato un ultimo sguardo indecifrabile. Io ho aspettato un altro minuto, fumando una sigaretta che lei aveva lasciato sul lavandino.

​Quando sono tornata nel locale, lei non c'era più. Meglio così.

​Sono uscita nella notte fredda, il sapore del suo sesso e del suo sangue ancora sulle mie labbra. Il demone, stasera, non ha solo mangiato. Ha lottato, ha vinto e ha divorato un altro demone. E si sente fottutamente, gloriosamente, sazio. Almeno fino a domani.

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2025-10-06
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